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| << | < | > | >> |IndiceIX Prologo 1 1. La "follia" di Gödel 1 Un logico "folle" 7 Le carte Gödel 13 Le fonti 14 Vita e verità 17 Gödel e le donne 21 "Fanaticamente razionale" 23 Monadologia e ipersensibilità 25 Il mondo della mente 27 Nulla è lasciato al caso 32 In che mondo viviamo? 34 Gödel è "folle" o soltanto leibniziano? 37 Frammenti 40 Il fantastico, ovvero il misterioso 43 2. La realtà degli oggetti immateriali 43 L'occhio pineale 48 Il platonismo 51 Differenti tipi di oggetti 54 Il matematico e il dottor Watson 58 L'argomento di Gödel 63 Cartesio e lo psicoanalista 67 Borges, i sogni e la realtà delle finzioni 70 La matematica come sogno 77 Ancora sull'occhio del pensiero 79 Speculazioni diverse 83 Illuminazioni improvvise 89 3. L'incompletezza 89 Incompletezza e ipnosi 94 I caffè viennesi 98 L'enunciato 101 Le macchine di Turing 106 Dilemmi 112 Questione d'immagine 116 L'ottimismo razionalista 120 Lo sviluppo della matematica 126 Paradossi e riflessività della mente 129 Il logico è umano? 134 Mente e cervello 142 La vita dopo la morte 145 L'incompletezza, il male e il diavolo 152 Un folle in un mondo di macchine 155 4. Il caso Post: una breve digressione 155 Un altro logico "folle" 160 Una stella 163 Alcune carte e un incontro 167 Il sogno di Post 172 L'operaio e la macchina 176 Le immagini della mente 183 5. Elementi di metafisica 183 La "follia" dei logici 184 Le paure di Gödel: le cose piccole e i doppi 187 Il peccato logico 192 Camere d'albergo 194 Perché Leibniz? 197 Il palazzo dei destini 203 L'armonia prestabilita 210 Il migliore dei mondi 213 La monadologia e il tempo 215 L'immobilità delle cose 217 Perché, allora, il tempo? 220 L'eternità di Dio e il tempo degli angeli 226 Il nostro tempo fra altri 231 I paradossi del viaggio nel tempo 234 Altre difficoltà di un viaggio nel tempo 238 I viaggiatori 242 Epilogo: quasi un fantasma 249 Ringraziamenti 251 Indice dei nomi |
| << | < | > | >> |Pagina 11. La "follia" di GödelUn logico "folle" Gödel è un logico "folle". Preciso: non è vero che tutti i logici siano folli e, all'inverso, tutti i folli non siano logici. Ma Gödel è logico ed è "folle". Logico. Nessuno contesterà che Gödel sia logico. Č una delle figure più notevoli della storia della logica. Per dirla in breve, nella storia della logica vi è una rottura, nella seconda metà del XIX secolo, che trasforma quello che era un capitolo della filosofia in una disciplina matematica. Gödel si colloca in un'epoca nella quale la logica è già matematica, ma vi produce risultati di eccezionale importanza. Essi danno un nuovo orientamento al lavoro logico, modificando gli scopi tecnici che i logici possono darsi e, soprattutto, assumendo un senso che travalica il puro campo della logica matematica. Il teorema più famoso di Gödel, il teorema di incompletezza, è (diciamolo senza troppa enfasi) un punto di svolta nella storia intellettuale. Sì, vi è nel teorema di incompletezza, quale può essere riformulato con le macchine di Turing, un momento paragonabile al cogito cartesiano. L'inferenza che Cartesio sembra inventare (il penso dunque sono) è, a partire da lui fino a noi, un enunciato rispetto al quale ogni filosofia deve prendere posizione o situare nella prospettiva in cui essa si colloca. Accade lo stesso con le macchine di Turing e con il teorema di incompletezza. Si tratta di una nuova immagine della mente, una nuova formulazione della questione dei limiti del pensiero e del suo rapporto con una trascendenza. Lo stesso Gödel accetta lo statuto ambiguo del suo lavoro, la cui importanza è tutta esterna alla logica. Lo scrive molto chiaramente alla madre, in occasione di una cerimonia nel corso della quale vengono discussi i lavori di una quindicina di scienziati: La presentazione che è stata fatta del mio lavoro era senz'altro la più bella. Venivo indicato come lo scopritore della verità matematica più significativa del secolo. Non devi pensare che fossi descritto come il più grande matematico del secolo. La parola "significativo" dice piuttosto: del più grande interesse al di fuori della matematica. Non vi è alcuna amarezza in quest'ultima frase. Č, al contrario, il merito che Gödel si riconosce: aver stabilito in logica una proposizione filosofica. Egli trae infatti dal suo teorema di incompletezza «forse la prima proposizione rigorosamente provata a proposito di un concetto filosofico» Vediamo qui la peculiarità della posizione di Gödel nella storia della logica. Gödel si situa dal lato della logica moderna, della tecnica matematica, che per noi dà ai suoi argomenti un rigore incontestabile. Allo stesso tempo può, come i logici classici, stare ancora dalla parte della filosofia. Gödel, quando lavora in logica, è per metà filosofo e per metà matematico. Questa ambiguità è forse resa possibile dall'epoca: Quando sono entrato nel campo della logica, c'era un 50% di filosofia e un 50% di matematica. Ora [nel 1975] un 99% di matematica e un 1% di filosofia, e questo 1% è cattiva filosofia. Ma l'epoca non è tutto. Č proprio del genio di Gödel l'aver saputo integrare temi filosofici in enunciati logici, enunciati inseriti in una disciplina dai ragionamenti normati. Lo stesso movimento si ritrova, del resto, nella riflessione di Gödel sul tempo, che lo porterà a dimostrare la possibilità (nel quadro della teoria della relatività generale) di viaggiare nel tempo. Ciò detto, Gödel non è unicamente logico, cioè per metà matematico e per metà filosofo. Č anche puramente filosofo, forse perché vi sono temi e problemi che non riesce a esprimere in logica. In ogni caso, è alla sua filosofia che rivolgerò la mia attenzione. Nel complesso parlerò assai poco di logica. Certo, discuterò del teorema di incompletezza. Ma il mio oggetto è piuttosto la filosofia di Gödel, e la sua logica lo è solo nella misura in cui ne dipende la sua filosofia. O, più esattamente, lo è il mondo di Gödel, il mondo quale egli lo vede, o quale lo immagina, e la logica lo è solo in quanto vi fa parte. Gödel nasce nel 1906 a Brno (nell'attuale Cechia). Studia a Vienna a partire dal 1924 ed elabora un primo teorema importante nel 1929. Formula il teorema di incompletezza nel 1930 e lo pubblica nel 1931. Emigra negli Stati Uniti nel 1940 e si sistema a Princeton. Sí sa, ora, che parte da Vienna con, nelle valigie, quasi tutti i risultati logici che pubblicherà nel corso della sua vita. Uno dei rari risultati realmente conseguiti negli Stati Uniti riguarda la fisica e la possibilità di viaggiare nel tempo, ed è motivato da un problema e da una tesi filosofici: il tempo non ha realtà oggettiva. Che cosa fa dunque Gödel negli Stati Uniti? Come confessa egli stesso, continua, dopo il 1943, a lavorare nel campo della logica soprattutto per seguire i lavori dei suoi contemporanei e adempiere ai pochi obblighi che il suo posto all'Institute for Advanced Studies gli impone. Ma l'Istituto, creato nel 1930 da due milionari filantropi per accogliere i più grandi scienziati in condizioni di lavoro eccezionali, lascia i suoi membri molto liberi. Gödel può fare della filosofia la sua attività principale. Nel 1966 elenca così la sua attività al di fuori del lavoro logico: Dal 1940, 1. circa 1000 pagine stenografate 6*8 [pollici] di appunti filosofici (e anche filologici, psicologici) perfettamente redatti (= asserzioni filosofiche). 2. Due articoli filosofici pronti per essere pubblicati.
3. Diverse migliaia di pagine di estratti filosofici e letterari [...].
Gödel non pubblica praticamente nulla dei suoi appunti filosofici. Giustifica questo silenzio in due modi diversi. Innanzitutto, non raggiunge quel sistema rigoroso che sperava. Il che significa che non riuscì a dargli la forma che lo avrebbe collegato alla logica. Ma non è tutto. Gödel aggiunge che la sua filosofia è contraria allo spirito del tempo. Č convinto (lo vedremo) che i filosofi debbano temere lo spirito del tempo. Così, dice Gödel, «sono prudente e rendo pubbliche solo le parti della mia filosofia che meno si prestano alla controversia». Ma, per me, la filosofia di Gödel non è solo originale rispetto al suo ambiente e al suo tempo. Essa è "folle". Gödel è "folle". "Folle": nel senso più banale e generico, come quando si dice di qualcuno, ovviamente a proposito: "Oh! Č folle!". Vi sono nella vita di Gödel svariati esempi di comportamenti che giustificano la qualifica di "folle". Vi è la paura dei "gas". Tra il 1941 e il 1945, i Gödel, Adele e Kurt, traslocano tre volte, perché lui non sopporta l'"aria cattiva" prodotta dal riscaldamento centrale. In seguito — cosa più stupefacente — l'"aria cattiva" che esce dai loro frigoriferi, al plurale perché i Gödel ne cambiano di frequente, al punto da essere noti nei negozi di elettrodomestici nei dintorni di Princeton. I Gödel lasciano le finestre costantemente aperte, in modo da far uscire í gas del frigorifero. Vi è anche — cosa più triste — la paura di essere avvelenato. Fin dal 1936, ancor prima che si sposassero, Kurt accompagna Adele a un soggiorno ad Afflenz, una città termale, e lei, che pure non aveva alcun timore che li avvelenassero, prende l'abitudine di assaggiare i loro pasti. Le stesse scene si ripetono a Princeton, dove Gödel si è convinto che l'Istituto sia scontento del suo lavoro e cerchi di eliminarlo. E, alla fine, è di questa paura che Gödel muore. Smette praticamente di alimentarsi. Alla morte, pesa 31 kg. Ma come avrebbero potuto avvelenarlo a casa sua? Avvelenare un pranzo che egli stesso si sarebbe preparato? Č difficile da immaginare, ma Gödel afferma di aver smascherato due falsi medici, in realtà agenti stranieri, che cercavano così travestiti di introdursi in casa sua. | << | < | > | >> |Pagina 77Ancora sull'occhio del pensieroIl platonismo di Gödel è segnato da tre tesi: 1. Č indifferente che gli oggetti matematici s'inscrivano in una realtà separata, un cielo di idee sovrapposto al mondo sensibile, o in una ragione soggiacente all'ego e, di conseguenza, inconscia. 2. Il mondo matematico (sia interno alla ragione sia sviluppato all'esterno) è popolato di angeli. Gli oggetti matematici si accompagnano a esseri bizzarri, che sono nelle idee come noi siamo nella materia. 3. Il mondo matematico (oggetti e angeli matematici) ci è dato come un'intuizione, diversa dall'intuizione sensibile ma che, come questa, presuppone un organo particolare. La prima tesi è già stata oggetto di una lunga discussione. Così pure l'esistenza degli angeli e la posizione di un occhio del pensiero. Gli angeli, nel mondo di Gödel, sembrano unire la vita e la coscienza a un modo d'essere che li avvicina ai concetti. Costituiscono una forma d'essere più alta di quella dei concetti che non sono viventi, e più alta ancora della nostra, di noi che viviamo nel mondo materiale: La coscienza è una forma elevata dell'essere (quella della vita), e anche l'anima è in un certo senso qualcosa di più elevato dei concetti (che sono una cosa morta). [Ma ci sono] prima gli angeli e Dio che sono una forma di essere ancora più elevato. O ancora: Il tempo è una forma di esistenza più elevata del semplice essere dei concetti, ossia la forma della vita [...], il che non esclude che vi sia una forma più elevata ancora, come gli angeli che, da un certo punto di vista, assomigliano ancora ai concetti. Come vedremo, Gödel intende provare, a partire dalla teoria della relatività, che il tempo non ha realtà oggettiva. Il tempo è solo una forma soggettiva di apprensione dei fenomeni, propria degli esseri del mondo sensibile. Il logico può dunque opporre la temporalità della vita umana all'immobilità dei concetti, e queste due forme d'essere a quella degli angeli, che sono della natura del concetto ma hanno ugualmente parte nella vita. Gli angeli sembrano vivere tra i concetti. Gödel può anche chiedersi se il loro corpo non sia esso stesso ideale: Il livello più basso degli angeli è forse materiale (o luminoso)? [...] Le idee sono per gli angeli ciò che è per noi la materia? Gli angeli si incarnerebbero nelle idee come noi ci incarniamo nella materia. Č una corsa evidentemente difficile da immaginare. Ma esiste effettivamenté un mondo matematico: un paesaggio inanimato con esseri viventi che lo abitano. Questo mondo ci è dato attraverso un'intuizione. L'intuizione matematica è, per Gödel, un «fatto psicologico». Essa ha luogo in un organo particolare, una sorta di occhio situato nel cervello, in prossimità della zona preposta al linguaggio: Č necessario un organo fisico perché sia possibile maneggiare impressioni astratte. Nessuno può utilizzarle se non confrontandole in occasione di impressioni sensibili. Questo organo sensoriale [che coglie l'astratto] deve essere strettamente legato ai centri del linguaggio. La posizione di un occhio matematico è una delle tesi più ricorrenti della metafisica di Gödel. | << | < | > | >> |Pagina 893. L'incompletezzaIncompletezza e ipnosi Gödel, come ho già detto, aveva paura di essere folle, paura che quei pensieri infimi, inconsci, di cui, nell'ottica di una monadologia, bisogna che la mente sia colma, potessero svilupparsi autonomamente, senza controllo. Essi avrebbero potuto allora far vacillare la mente nel caos o, al contrario, assumere una nuova unità, una diversa configurazione per formare una nuova personalità, come se la mente di Gödel non fosse più quella di Gödel ma di un altro, di uno sconosciuto. E Gödel, almeno una volta, ha creduto proprio di non essere più lui, ma di agire sotto un'influenza estranea: l'avrebbero ipnotizzato a sua insaputa. Credo che questa paura si esprima nel teorema di incompletezza, un teorema che è stato descritto come la proposizione matematica più significativa del XX secolo. Ciascun commentatore ha la sua interpretazione. Č un passaggio obbligato. Ecco dunque la mia. Procederò, devo dirlo, per sommi capi. L'enunciato preciso del teorema lo darò solo nelle sezioni successive. Dapprima voglio cercare di collegare l'incompletezza, e l'esercizio di traduzione su cui poggia il teorema, alle paure e alla metafisica fantastica che Gödel svilupperà in seguito. Occorre partire dal programma con cui Hilbert, negli anni venti, vuole dare un fondamento alla matematica e, in primo luogo, alla più semplice delle sue teorie, l'aritmetica. Il fine è dimostrare che l'aritmetica è priva di contraddizioni: non si può dimostrare un enunciato del tipo 0 + 1 = 0 (che contraddirebbe quello che sappiamo essere vero, 0 + 1 = 1). L'aritmetica è per prima cosa un teoria semplice, che s'impara a scuola e richiede abilità, ma nella quale le dimostrazioni non sono rigorose. Tale teoria semplice dev'essere formalizzata: si stabiliscono assiomi, si fissano regole che indicano come dedurre una formula da una o varie altre e si richiede, di fatto, che le dimostrazioni partano da assiomi e che ogni inferenza segua una delle regole date. L'abilità aritmetica si esplica, così, in una serie di regole. Nell'aritmetica, una volta formalizzata, tutto va in un certo senso da sé, senza che ci si debba pensare, senza che si debba pensare al senso delle formule. Per verificare una dimostrazione basta assicurarsi, un simbolo dopo l'altro, che le formule di partenza siano degli assiomi e che ogni inferenza sia l'applicazione di una delle regole convenute. Basta considerare i simboli della dimostrazione, confrontarli con i simboli degli assiomi e con quelli degli schemi d'inferenza. Non c'è da riflettere. Si potrebbe fare aritmetica in modo automatico, con la mente altrove o, se si vuole, lasciar fare matematica al proprio cervello da solo. Basta aver educato il cervello (o, diciamo pure, il cervello e la mano che traccia i simboli) a seguire le regole stabilite perché possa poi funzionare autonomamente. Č un po' come il nuoto. Il corpo si è abituato a seguire certi gesti, lavora da sé e siamo liberi di pensare ad altro. Dunque, il mio cervello fa aritmetica ma io penso ad altro. Penso infatti a ciò che fa il mio cervello e mi chiedo se esso, seguendo quel meccanismo che gli ho inculcato, possa dimostrare qualcosa come 0 + 1 = 0. Il cervello produce una serie di formule, di dimostrazioni, e io ragiono su esse, considerandole semplicemente come gruppi di simboli, per verificare che non possono sfociare nell'espressione 0 + 1 = O. Per eliminare ogni difficoltà, utilizzo, nell'analizzare le dimostrazioni che scaturiscono dal mio cervello, solo ragionamenti molto semplici, di cui posso verificare io stesso ogni passaggio. Questi ragionamenti sulla serie di formule prodotte dal cervello matematico costituiscono ciò che chiamiamo matematica. Č, grosso modo, il programma di Hilbert (come lo interpreta, per esempio, Nicolas Lusin). Ma qual è la strategia di Gödel? Anzitutto Gödel respinge il fatto che sia il cervello a fare matematica. In fondo, il programma di Hilbert presuppone che le dimostrazioni aritmetiche non abbiano senso e siano solo un gioco di simboli che il cervello, il quale agisce ma non pensa, compie autonomamente. No, controbatte Gödel, l'aritmetica ha un senso: il matematico sono io, non il mio cervello. Questo spostamento introduce, in un colpo solo, un problema e una possibile soluzione. La difficoltà è la seguente. Č impossibile pensare a due cose per volta: pensare alle dimostrazioni aritmetiche e alla metamatematica, al cui interno ragiono sulle dimostrazioni aritmetiche. Bisognerebbe davvero dividersi la mente in due. Tuttavia, se io stesso devo fare le dimostrazioni aritmetiche, così come i ragionamenti metamatematici, vi è un'altra possibilità che Hilbert non poteva immaginare: tradurre la metamatematica nell'aritmetica. Nella prospettiva di Hilbert, sarebbe stato assurdo cercare di tradurre la metamatematica, che pretende di poter svolgere effettivamente ogni ragionamento, nell'aritmetica di cui si suppone la mancanza di significato. Al contrario, se l'aritmetica ha un senso, essa fornisce un quadro alla metamatematica. In metamatematica, per ragionare sulle dimostrazioni aritmetiche, si è costituito un apparato concettuale, si sono inventati predicati da applicare alle formule prodotte (si credeva) dal cervello. Prendiamo, per esempio, il predicato "essere una dimostrazione", che si applica a una sequenza di formule: verifico che questa sequenza di formule cominci con degli assiomi, che rispetti le regole d'inferenza e, in tal caso, concludo che la sequenza di formule è in effetti una dimostrazione. Oppure il predicato "essere una formula dimostrabile", che si applica fondatamente a una formula quando questa è la conclusione di una dimostrazione possibile. Le proprietà metamatematiche, che si applicano alle formule e alle dimostrazioni aritmetiche, Gödel le traduce attraverso proprietà aritmetiche. Il logico codifica le formule dell'aritmetica con dei numeri interi e trova allora una proprietà, in aritmetica (del tipo "essere un numero pari", solo un po' più lunga da scrivere), che è la traduzione della proprietà metamatematica "essere una formula dimostrabile". In altri termini, se si può stabilire in metamatematica che una particolare formula dell'aritmetica, diciamo F, è "una formula dimostrabile", allora si potrà dimostrare in aritmetica che il codice della formula in questione, F, verifica quella proprietà aritmetica che traduce il predicato metamatematico "essere una formula dimostrabile". Invece di spaccarsi la mente in due per fare dell'aritmetica e, insieme, della metamatematica, Gödel fa in modo che le formule aritmetiche dicano contemporaneamente due cose: esse hanno un senso proprio e un senso metamatematico. Ci si può immergere completamente nell'aritmetica, le formule aritmetiche hanno un doppio senso: esprimono relazioni tra gli interi e traducono, nel contempo, fatti metamatematici. La traduzione della metamatematica nell'aritmetica è il passaggio essenziale della dimostrazione di Gödel. Č facilissimo quindi costruire una formula aritmetica, diciamo I, che traduca l'asserzione matematica "I non è dimostrabile". Ora, se I fosse dimostrabile in aritmetica, essa sarebbe vera, il che vorrebbe dire, a livello metamatematico, che I non è dimostrabile. All'inverso, se I fosse confutabile in aritmetica (se cioè la sua negazione fosse dimostrabile), essa sarebbe falsa, il che vorrebbe dire, a livello metamatematico, che I è dimostrabile. Di conseguenza, se l'aritmetica è coerente, e non si può dimostrare una proposizione e la sua negazione, I non è né dimostrabile né confutabile: è indecidibile in aritmetica. L'aritmetica, come è stata formalizzata, è incompleta. Vi è un corollario a questo primo teorema. Gödel riesce ugualmente a tradurre in aritmetica la proposizione metamatematica secondo cui la non contraddizione dell'aritmetica implica l'indecidibilità di I. Ne consegue che una dimostrazione della non contraddittorietà dell'aritmetica (in aritmetica) fornirebbe una dimostrazione di I (in aritmetica). Ma ciò non si dà. Di conseguenza, non si può provare la non contraddittorietà dell'aritmetica attraverso ragionamenti che si esprimono in aritmetica. Occorrono ragionamenti che vadano, in qualche modo, al di là dell'aritmetica, ma non sono più allora quei ragionamenti immediatamente verificabili con cui Hilbert voleva fondare l'aritmetica. Il programma di Hilbert è distrutto. | << | < | > | >> |Pagina 1835. Elementi di metafisicaLa "follia" dei logici Non sono interessato all'esatta denominazione e agli aspetti clinici delle "follie" di Gödel e di Post. Anche se è chiaro che i due logici non sono "folli" allo stesso modo. Gödel non è mai totalmente sprofondato nella follia, né ha abbandonato il campo della logica e quello della realtà, come Post, le cui crisi lo hanno a volte totalmente travolto. In secondo luogo, la "follia" di Post passa attraverso immagini, mentre quella di Gödel passa attraverso paure. La paura, così come l'immagine, può esprimersi logicamente e, come abbiamo visto, vi è forse una paura all'origine del teorema di incompletezza. In ogni caso, le paure di Gödel e le immagini di Post non si applicano in genere agli stessi punti. Il caso di Post sembra dimostrare la dipendenza della logica da alcune immagini, non solo nella direzione che prende il lavoro logico (i teoremi "interessanti"), ma anche nelle modalità del discorso: il riferimento a una dimostrazione che, in linea di principio, deve poter essere riprodotta da una macchina di Turing. Il radicamento nell'immaginario si manifesta già nell'analogia fra il testo matematico, visto attraverso la logica del XX secolo, e il romanzo poliziesco: due racconti, da parte di un narratore umano, delle avventure di una macchina. Ma la forma del romanzo poliziesco è stata definita prima di quella del testo matematico. Č come se quest'ultimo fosse stato ricalcato su quello. Il caso di Gödel, poi, mette in questione la sovrastruttura di cui la logica fa parte: la metafisica che determina il valore degli enunciati logici. Gödel cerca di dedurre da alcuni teoremi tesi "folli" (la possibilità del diavolo, l'immortalità della mente ecc.). Coniuga questi teoremi logici con principi filosofici che hanno una tradizione e sono almeno plausibili. Ciò significa che la logica implica tesi "folli", che anch'essa è "folle"? Le "deduzioni" di Gödel sono plausibili senza essere necessarie. Nulla ci obbliga a seguirle. Potremmo immaginare altri principi, altrettanto plausibili, che giustificassero le tesi materialiste dello spirito del tempo. Gödel riterrebbe solo che siamo noi i "folli" con le nostre "deduzioni" materialiste. Non dirò che la logica è neutra, perché ciò significherebbe che essa non può dir niente. La assumiamo sempre, a quanto pare, all'interno di una struttura che la rende significativa. La logica semmai è ambigua: autorizza una molteplicità di "follie" e questa molteplicità ingenera il fantasma di un'altra follia, una follia assoluta. Ciascuno può prendere gli enunciati logici in una rete di immagini e di paure per svilupparli, trasformarli in una certa direzione, come Post vuol fare, o, come si propone Gödel, fondarvi una superscienza che lo spirito del tempo, con la propria rete di immagini e di paure, considererà "folle". La logica è complice di queste "follie". Essa può giustificarle. Non vi è logica se non in forma di "follia", all'interno di una rete di immagini e di paure fra altre possibili. Solo che la contingenza di queste figure rinvia a una totale esteriorità che le travalica, e sarebbe come nascosta dietro a questo ventaglio di possibilità e non avrebbe dunque niente di relativo: una follia in sé. E una paura che troviamo negli appunti di Gödel ma che appartiene anche allo spirito del tempo. Lo spirito del tempo ha altre paure? Non dobbiamo chiedercelo ora. Come con le immagini, bisogna innanzitutto lavorare per identificare le paure che non si condividono. | << | < | > | >> |Pagina 186Č innegabile che Gödel tema il diavolo. La paura del diavolo, degli spiriti, dei demoni, è onnipresente nei quaderni filosofici e, forse, nella vita stessa del logico. In fin dei conti, «gli uomini devono la vita al fatto che il diavolo ha preferito farli morire lentamente». Il diavolo dunque ci attende. Ma il testo più sorprendente sulla paura dei demoni e della dannazione si trova curiosamente in un corso di logica. Gödel, nel primo semestre del 1939, è invitato dal suo amico di Vienna, Menger, già emigrato negli Stati Uniti, a Notre Dame, un'università cattolica, isolata, a un centinaio di chilometri da Chicago. In particolare Gödel vi tiene un corso di logica per principianti, che redige con cura su quaderni di appunti. Ce ne sono sette in tutto. Il settimo quaderno si apre con una serie di proposizioni e questioni religiose, in inglese. Questo per quattro pagine, poi Gödel riprende il seguito del corso.Il peccato logico 1. Ogni proposizione divina è vera. 2. Chi [due parole illeggibili tra parentesi] crede alla negazione di un dogma commette peccato mortale. 3. Chi non crede a un dogma sapendo che si tratta di un dogma commette un peccato mortale. 4. Chi insegna pubblicamente la negazione di un dogma come fosse la verità commette un peccato mortale. 5. Chi afferma in privato [la negazione di un dogma come se fosse la verità commette un peccato mortale]. 6. Il mondo esiste da circa 6000 anni.
7. Il cielo è fatto di materia solida.
Sono le prime sette proposizioni di un elenco di quaranta. Chiaramente, il problema deriva dal fatto che la scienza dà per vere proposizioni contrarie a quelle della Bibbia. La Bibbia permette di far risalire l'origine del mondo a circa seimila anni fa. La fisica attribuisce alla Terra più di quattro miliardi di anni. Lo scienziato che sostiene simili tesi è in peccato mortale. Come intendere queste proposizioni? Gödel prende sul serio la possibilità di un peccato della scienza, almeno della fisica, e si sente in qualche modo complice di questo peccato? Le proposizioni esprimerebbero allora un vero e proprio smarrimento, che il logico tenterebbe di analizzare distinguendo i principi, le contraddizioni, che ne sono la fonte. In un appunto di un quaderno filosofico, Gödel parla della fecondità di «un'analisi concettuale dei [suoi] turbamenti». Č forse a questo tipo di analisi che egli si dedica qui. Le proposizioni, anche se interrompono un corso di logica, non costituiscono un semplice esercizio (del tipo: fornire alcune conseguenze delle proposizioni, indicare le proposizioni indipendenti ecc.). Lo dimostrano le proposizioni che vengono dopo, e che non hanno un rapporto evidente con le precedenti. D'altra parte, dare un simile esercizio in un'università cattolica sarebbe stato del tutto contrario al carattere prudente di Gödel. Può tuttavia trattarsi di una specie di sfida che il logico lancia a un prete dell'università di Notre Dame, o a uno studente cattolico, che intende restare cattolico pur essendo fisico. In questa ipotesi, Gödel si sforza di dimostrare che, per la religione cattolica, la scienza moderna è peccato. Egli mette a punto una serie di proposizioni e di problemi, per sottoporli in seguito al suo interlocutore. Le proposizioni non esprimono allora, direttamente, le convinzioni del logico. Tuttavia, la serietà con cui Gödel affronta questi problemi, l'orientamento delle questioni successive rivelano qualcosa della condizione mentale e, se vogliamo, dell'universo del logico, in quel periodo poco conosciuto che precede la sua emigrazione definitiva. Il logico non si è ancora assunto il compito, a cui accennerà più tardi con Carnap, di fondare una filosofia religiosa sistematica. Tuttavia, l'idea che la religione debba costituire un sistema, la convinzione che l'universo sia pieno di strani esseri sono già presenti nella mente di Gödel. Vi è, senza dubbio, una continuità tra i problemi che Gödel pone nel 1939 e le sue riflessioni ulteriori. Il problema del rapporto fra scienza e religione, sollevato dalle prime proposizioni, ricompare per esempio nel 1961 in una lettera di Gödel alla madre, sull'immortalità dell'anima. Il conflitto è ora considerato risolto: Siamo lontani dal poter giustificare scientificamente il punto di vista teologico sul mondo, ma credo che sia fin d'ora possibile mostrare in modo puramente razionale (senza l'aiuto della fede o di alcun tipo di religione) che il punto di vista teologico del mondo è del tutto compatibile con i fatti già noti. Nell'elenco del 1939, Gödel dà due proposizioni che suggeriscono una risoluzione del conflitto in favore della religione. Una di esse è aneddotica: 25. I fossili sono opera del diavolo? Il diavolo ci ingannerebbe abbandonando tra noi dei fossili e, del resto, ogni genere d'indizio, che inducono a pensare che il mondo sia più vecchio di quanto non dica la Bibbia. L'altra proposizione, invece, spiega quello che è per il logico un vero problema: 11. Il logico e la matematica ci saranno anche dopo la fine del mondo? Nell'epistemologia di Gödel questo interrogativo, che abbiamo già incontrato, è centrale. Vi è Dio, vi sono angeli, esseri razionali non umani che fanno matematica. La loro matematica è identica alla nostra? E, poiché Gödel crede in una vita eterna della mente umana, faremo la stessa matematica dopo la morte o dopo la fine del mondo? Vi è una ragione per queste domande. Come abbiamo visto, le nostre teorie matematiche sono incomplete. Gödel attende una rivoluzione che trasformerà sia il linguaggio delle nostre teorie sia i concetti che ne sono alla base. Tuttavia, alcuni appunti lasciano intendere che la rivoluzione matematica esiga uno sviluppo della mente incompatibile con la sua incarnazione o, diciamo così, la sua unione con il cervello di dimensione finita. Soltanto alla morte, dunque, quando la mente si stacca dal cervello, essa scopre la realtà matematica e una realtà diversa dalla matematica umana. In questo caso, dobbiamo credere che la matematica dopo la morte, o dopo la fine del mondo, non sia la stessa che noi conosciamo. Nel 1939, nel contesto di un elenco di proposizioni, una risposta positiva alla questione sembra, comunque, assumere un senso un po' diverso. Essa sembrerebbe significare apparentemente, come l'ipotesi dei fossili diabolici, che la matematica e le teorie fisiche che ne derivano sono false rispetto alle scienze divine. Bisognerebbe credere più alla Bibbia che alla scienza.
Gödel prosegue con una serie di proposizioni sui demoni:
8. Esistono angeli e spiriti maligni [evil spirits]. 9. Alcune malattie mentali sono causate da spiriti maligni.
10. I fenomeni d'ipnotismo, telepatia, telecinesi, profezia sono causati
da spiriti maligni.
O ancora, un po' più avanti:
20. Č un peccato mortale chiedere consiglio a un medium? [...] 24. Alcune leggi fisiche sono causate dall'azione regolare di spiriti maligni? [...] 26. Esistono mali che ci colpiscono per ragioni naturali (senza l'azione di demoni?) [...]
29. Č possibile che a volte un medium convochi gli spiriti dei morti?
Queste proposizioni, questi interrogativi mostrano, ancora una
volta, la ricchezza del pantheon di Gödel. Nel 1939, egli conosce
già i demoni che popolano i quaderni filosofici e la telepatia su cui
tornerà nelle lettere alla madre. Anche le domande seguenti riguardano un tema
che resterà caro al logico, la vita dopo la morte,
e i suoi luoghi, i mondi in cui essa si svolge:
37. I santi, che sono attualmente in paradiso, hanno coscienza e stanno pregando? 38. Il paradiso, dove essi si trovano, è una regione dello spazio?
39. Stessa cosa per l'inferno.
Sono domande che hanno qualcosa d'infantile. Tuttavia esse si
impongono nell'universo di Gödel. Egli crede alla vita eterna
dell'anima e alla dannazione. Devono esserci dunque un inferno e un paradiso. Il
logico ritiene anche possibile costituire un
sistema religioso che inglobi questi strani esseri in un tutto uniforme. Deve
dunque situare l'inferno e il paradiso rispetto al
nostro mondo, e in modo tale da spiegare il viaggio dell'anima
che vi si reca.
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