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| << | < | > | >> |IndicePremessa 7 Plurale, corale, Comune 17 Donne e comunarde 36 Pratiche di sorellanza e lotta collettiva 68 Sante e sanguinarie 100 Essere comunarde oggi 133 Ringraziamenti 147 Letture 151 |
| << | < | > | >> |Pagina 24Tutte le rivoluzioni, prima o poi, devono fare i conti con la questione del potere. Istituirne uno nuovo, su basi radicalmente differenti rispetto agli assetti tradizionali, non è semplice. Non è scontato che la nuova forma di potere non si riduca infine ad un mero cambio di attori (o di classi) al governo. Soprattutto, non è facile non trovarsi improvvisamente di fronte a quello che Hannah Arendt ha chiamato «il problema dell'Assoluto» ( Sulla rivoluzione, 1963), un dilemma che ha portato molti, con lei, a chiedersi se una rivoluzione non contraddittoria e totalitaria sia mai possibile - penso ad esempio a Camus e al suo Uomo in rivolta dei 1951, ma anche alle pagine di qualche anno prima di Simone Weil in Riflessioni sulle cause della libertà e dell'oppressione sociale e in Esame critico delle idee di rivoluzione e progresso.La questione potrebbe essere sintetizzata brutalmente con il seguente interrogativo: una volta istituito un potere, una volta realizzato il proprio sogno di giustizia, uguaglianza, libertà per tutti, occorre difenderlo a tutti i costi, divenendone i custodi/poliziotti, o lasciare che le future generazioni, o gli oppositori del nuovo potere, lo rovescino a loro volta rivoltandosi contro di esso? La rivoluzione è condannata a contraddire lo spirito che l'ha originata, dando vita a realtà ideologiche da preservare e a regimi impossibili da contestare? La questione è spinosa e non puà essere affrontata nuovamente per intero in questa sede. In un certo modo, però, l'esperienza della Comune sembra aggirare la contraddizione. Nei propri presupposti, almeno: non sappiamo a quali sviluppi sarebbe andata incontro nel tempo. Ma rispetto alle basi gettate nel periodo dal 18 marzo al 28 maggio 1871, occorre rilevare come la Comune, lungi dal pensarsi un momento di lotta per il potere, abbia proposto e immaginato modalità dell'agire politico inedite, basate sull'associazione, sull'autogestione e l'autogoverno, molto lontane dalle derive rivoluzionarie classiche. La sua idea di base è quella di una politica come espressione reale di una sovranità diffusa e popolare, fondata sull'autonomia e sull'associazione, non disgiungibile dalla questione sociale. Oltre a questi fattori, la Comune risulta eccezionale rispetto al proprio tempo per almeno un altro motivo. Nel quadro di una politica europea tutta incentrata sulla nozione di Stato-nazione e orientata alla suo espansione imperialistica, la Comune sceglie di muoversi sul piano delle realtà locali. Rifiutando l'Impero, lo Stato, la Nazione, la Comune vuole essere insieme locale e internazionale, federazione di realtà libere e autonome, unite in un orizzonte internazionalista. Notre drapeau est le drapeau de la republique universelle. Per questo motivo va abbandonata ogni lettura che inquadri l'esperienza comunarda come resistenza nazionale e patriottica contro i prussiani che dal settembre del 1870 assediano Parigi. Federativa e repubblicana, la Comune si vuole repubblica universale che dichiara a gran voce, nel rifiuto totale dell'idea di Stato e della sua macchina burocratica, la centralità delle pratiche condivise e delle alleanze tra esperienze locali. Mette al centro la libertà concreta di ogni uomo e donna (una libertà tutta politica, che nasce e si realizza solo assieme agli altri) e le realtà locali, autonome e libere, all'interno di una federazione internazionale di popoli, contro ogni astrazione caratteristica dell'universalismo repubblicano. | << | < | > | >> |Pagina 38Oggi la partecipazione delle donne è riconosciuta come un tratto caratteristico della Comune di Parigi. Non solo in quanto elemento fondamentale di avvio dell'esperienza comunarda - i fatti del 18 marzo partono proprio dall'iniziativa delle donne parigine che, in modo forse ancor più peculiare rispetto alle donne della Rivoluzione francese, accendono la scintilla che innesca la rivolta nelle strade di Parigi, portando alla presa dell'Hôtel de Ville - ma anche in virtù di una specificità politica che caratterizza il posizionamento delle comunarde all'interno degli eventi, che mira alla sovversione della società borghese e sfida la società patriarcale.Il rischio, in questo tipo di indagine, è costante. La tentazione di dimenticare le donne comuni in nome di alcune donne eccezionali, che spiccano tra gli archivi e di cui senza dubbio si riesce a sapere qualcosa di più rispetto alle altre, è fortissima. Allo stesso modo, ci vuole molto rigore per evitare di ricadere in una di queste due opposte derive: da un lato, piegare gli eventi passati alle urgenze del contemporaneo; dall'altro, rimanere prigioniere delle rappresentazioni dell'epoca, che rendono a volte impossibile il racconto del coinvolgimento femminile. Un altro errore da evitare è sovrapporre le istanze dei femminismi odierni alle lotte delle donne comunarde. Le comunarde erano femministe? Dipende. Il termine circolava ancora poco e non si era caricato dei sensi che gli attribuiamo oggi (per quello occorre attendere il 1882 e la militante e scrittrice Hubertine Auclert). Ma se per femminismo si intende il rifiuto delle diseguaglianze tra uomini e donne e il desiderio di lavorare su queste relazioni sovvertendone i presupposti, allora sì, erano femministe. Se infatti, in un certo senso, è vero che il termine femminismo non esiste prima degli Anni '80 dell'Ottocento, è anche vero che il desiderio di autodeterminazione e di maggiore giustizia sociale, così come la volontà di emancipazione e di partecipazione politica, hanno una storia molto più lunga. Per molte delle comunarde, la dicotomia tra coscienza di classe e genere è artificiale: le due dimensioni si intrecciano continuamente. | << | < | > | >> |Pagina 45Il 18 marzo e l'alba di una nuova societàLa Comune di Parigi nasce in un giorno ben preciso e certo non dal nulla. La precedono mesi intensi di attività politica, di assemblee, di riunioni. La data di inizio però mette d'accordo tutti, storici, analisti politici, comunardi, versagliesi: l'alba del 18 marzo 1871. È proprio all'alba, infatti, che un gruppo di donne, dopo aver dato l'allarme per le vie di Parigi, si schiera tra i parigini in armi della Guardia Nazionale e le truppe al servizio del governo Thiers: un gesto fondamentale, dal fortissimo valore simbolico, che innescherà gli eventi successivi. Nella notte i soldati del governo Thiers si erano insediati silenziosamente nei quartieri popolari di Belleville, Batignolles e Montmartre (considerata dai comunardi l'acropoli della ribellione, la cittadella della libertà, il monte sacro, come racconta Louise Michel nelle sue memorie), con l'ordine di occupare punti strategici e requisire le armi, tra cui i cannoni di Montmartre di proprietà della Guardia Nazionale, acquistati dai cittadini per difendersi durante l'assedio prussiano. All'alba, quindi, le donne uscite per comprare latte e pane si accorgono dei soldati e cominciano a spargere la notizia, a dare l'allarme. Attorno alle sette del mattino Montmartre si solleva: donne di tutte le età si riuniscono, circondano i cannoni, cercano l'interlocuzione con i soldati che provano ad allontanarle. I loro corpi e le loro parole creano una barriera, una barricata umana, impedendo la rimozione dell'artiglieria e dei cannoni che la classe operaia parigina aveva predisposto sulle colline a difesa della città. Da una parte i soldati pronti a sparare, dall'altra i compagni, mariti, figli, pronti anche loro all'aggressione frontale. Questi due schieramenti incarnano una modalità di conflitto ben precisa: frontale, muscolare, violenta, in cui la vittoria coincide con l'annientamento dell'altro. Le donne li esortano a fraternizzare. Cercano il confronto con i soldati. Chiedono: «Ci sparereste? Ai vostri fratelli, nostri mariti, nostri figli?», come racconta Edith Thomas. I soldati esitano un momento poi tirano in aria e solidarizzando con la folla arrestano il loro generale. «Fra noi e l'armata, le donne si gettano sui cannoni, sulle mitragliatrici: i soldati rimangono immobili». Le donne, che con queste parole Michel descrive come un gruppo a sé stante, in cui lei non rientra (dal momento che si trovava tra gli uomini della Guardia Nazionale), danno avvio alla catena di eventi che porterà alla nascita della Comune. «La rivoluzione era fatta», scrive Louise Michel di quei minuti. | << | < | > | >> |Pagina 54[...] Le donne, cittadine a metà dagli albori della politica (si pensi alla polis democratica, basata sull'esclusione strutturale di donne e schiavi), non fanno dunque pienamente parte dell'umanità al centro dello slancio illuminista.Lo statuto delle donne è sempre stato incerto nelle società patriarcali: tra umano e animale, tra politica e natura, tra ragione e follia. Nella società francese post-rivoluzionaria, la visione patriarcale si mantiene in salute, assumendo declinazioni tanto grottesche quanto contraddittorie. In un nesso imprescindibile che lega le donne 'naturalmente' al domestico, questa visione nega loro la possibilità di partecipazione alla vita pubblica per salvaguardare la loro salute mentale. Le donne sono ritenute troppo deboli di mente, inadatte alle pressioni e allo stress della vita pubblica. Il loro fragile equilibrio mentale, nel contesto collettivo e politico, potrebbe spezzarsi. E dal momento che la follia, secondo i teorici francesi dell'Ottocento, è ereditaria, permettere a una donna di partecipare alla vita pubblica significa condannare l'intera società e la Nazione alla pazzia, allo smembramento, al declino. In una mossa platealmente paternalista, per il bene delle donne e della Francia tutta, occorre che le donne stiano a casa. La 'natura' le ha destinate ad altro, non agli affari pubblici. Allo stesso modo, l'educazione femminile deve essere diversa da quella degli uomini, poiché non può andare contro il loro essere, che le vota al domestico e alla cura. Questa debolezza deriva in parte dal fatto che le donne sono irrazionali, ferine, sempre sull'orlo delle più violente passioni. Solo l'azione civilizzatrice del patriarcato è riuscita ad intervenire su di loro, rendendole 'accettabili', addomesticandole con fatica. E poiché il disordine nella famiglia si riflette nel disordine nello Stato, dopo la Rivoluzione la società ha il compito etico di ri-addomesticare le donne. [...] La 'natura' torna dunque sempre sulla scena, invocata a garanzia dello status quo: le donne sono madri per natura; sono pericolose per natura; sono inferiori, fragili, passive per natura. Le donne sono la Natura, violenta e aggressiva, che minaccia l'ordine razionale e politico creato dal maschile nelle società; per questo motivo vanno addomesticate e protette (dagli altri e da sé stesse). L'idea dominante di cosa sia una donna oscilla dunque tra poli contraddittori: da una parte la donna idealizzata, che nutre e cura; la donna pura, casta, moralmente superiore. Dall'altra, l'essere demoniaco, pericoloso, bestiale, irrazionale e primitivo, che la società patriarcale deve contenere e civilizzare. La donna incarna sia il bene più puro e astratto che il male più oscuro. | << | < | > | >> |Pagina 98Al di là di quei giorni violenti e disperati, la questione dell'accesso all'esercizio della violenza politica e alla difesa rimane una ferita aperta. Tranne per alcuni casi 'eccezionali' come Louise Michel che faceva parte dei comitati di vigilanza di Montmartre sia maschili che femminili, l'esercizio della forza venne precluso alle donne, la loro violenza derubricata a scoppio irrazionale, disorganizzato, inefficace e persino pericoloso per la Comune. La loro violenza non aveva segno politico.Il 1 maggio un decreto del Comitato di Salute Pubblica della Comune vieta alle donne di accedere al campo di battaglia. Grazie al sessismo di molti dei leader socialisti, la violenza femminile veniva ancora una volta, come già durante la Rivoluzione del 1789, ridotta a pura bestialità. Ancora una volta, gli stessi compagni agivano nei confronti dell'azione politica delle donne derubricazione e derisione, mostrando profonda misoginia, finendo con l'elaborare immagini negative e caricaturali delle donne in azione. | << | < | > | >> |Pagina 105Il corpo delle donne è centrale nella produzione dell'identità nazionale in tutto l'Ottocento. La libertà che guida il popolo (1830) di Delacroix popola gli immaginari nazionali di ieri e di oggi, francesi e non. La Marianna che tutte conosciamo non ha paura, va fiera, sfoggiando un petto vigoroso e pieno, con il quale nutre i figli della Nazione. Nutrice e protettrice, forte e sana: come lei, tante sono state le prosperose e vigorose Marianne, donne di Francia. Attraverso il corpo femminile queste immagini hanno veicolato contenuti più ampi come l'identità nazionale, la fedeltà alla Patria, la difesa della Nazione, la cittadinanza, la rappresentanza politica.Per tutto il secolo, un uso sapiente dell'iconografia del corpo femminile, ora esaltato, ora descritto come abietto, sessualmente vorace, sporco, demoniaco, è strumento pervasivo e condiviso di definizione e cristallizzazione dei valori della società. [...] Proprio come l'immaginario della Repubblica borghese, anche la Comune procede per allegorie, dimenticando ancora una volta le donne reali, i cui diritti civili e politici, proprio come i loro vissuti, continuano ad essere lasciati nell'ombra. Allegorie in cui prosperosi corpi di donne incarnano valori astratti e solitamente attribuiti al maschile (forza, coraggio, valore militare), che privano già nell'immaginario le donne reali di tali caratteristiche. Una strategia efficace che assegna quei valori e quelle virtù socialmente declinate al maschile solo a donne irreali e allegoriche, depotenziando e ammutolendo le donne in carne e ossa. Il messaggio implicito, come fu già per le Amazzoni, sembra essere: 'è impossibile che davvero riusciate a incarnare questi valori. Una donna coraggiosa, forte e guerriera è un'immagine fittizia e irraggiungibile'. | << | < | > | >> |Pagina 137Un altro elemento che queste vicende sottolineano è la trasversalità del patriarcato. Si tratta di un carattere a volte difficile da digerire, ma la violenza contro le donne e l'oppressione patriarcale non si trovano solo nelle destre reazionarie e conservatrici o nei neofondamentalismi odierni. Il patriarcato è una visione del mondo di cui tutte le nostre vite sono imbevute fin dai primi momenti coscienti. È un sistema di dominio in cui cresciamo, in cui veniamo abituate e abituati a pensare, a muoverci, a organizzare il nostro mondo. In ogni uomo, ma anche in ogni donna, il rischio di riprodurre la visione patriarcale esiste. Anche i cosiddetti 'compagni' devono dunque fare i conti con i privilegi e gli impliciti che rimangono al fondo dei loro migliori slanci ideali. Anche l'idea più giusta di società nata da una rivoluzione, anche gli esperimenti politici più innovativi, se non mettono propriamente a tema la relazione dicotomica/oppositiva, stereotipata, oppressiva tra i generi finiscono per riprodurre modalità patriarcali, che ne inficiano profondamente tutte le migliori intenzioni.[...]
Questo mi porta verso una seconda questione. Ancora oggi il collegamento
tra donne e conflitto produce atteggiamenti ambivalenti. Da una parte, sono
caduti molti dei tabù sulle donne e sull'esercizio della forza
da parte femminile - vediamo donne nelle istituzioni militari, nelle forze
d'assalto, vediamo supereroine forzute e donne che
lottano e gareggiano a livelli agonistici.
Dall'altra, la persistenza di stereotipi legati
a una intrinseca debolezza e emotività delle
donne cancella ancora una volta il senso e
la portata della loro presenza nello spazio
pubblico. Le retoriche razziste e sessiste delle destre, nostrane e non solo,
insistono proprio sull'idea di donne come vittime indifese,
da proteggere nel chiuso dello spazio privato (dove, come rivelano i dati sul
femminicidio, sono abusate e uccise da compagni,
padri, mariti, fratelli, amici ed ex fidanzati);
donne che non devono girare per le strade
da sole e che se sono troppo 'indipendenti'
o fuori dagli schemi tradizionali evidentemente 'se la vanno a cercare'. Con
queste rappresentazioni siamo costrette a fare i
conti quotidianamente, assieme alla costante
squalifica della nostra presa di parola pubblica, considerata emotiva,
irrazionale, non sistematica, marginale in moltissimi contesti
lavorativi, politici e sociali.
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