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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 7 La salute: diritto costituzionale e bene della collettività 19 Dal Rapporto sulle Diseguaglianze di salute in Italia 31 Scienza ed innovazione tecnologica 43 Dal Rapporto annuale Istat sulla situazione del Paese 47 Dal Rapporto Italia dell'Eurispes 63 Dal Rapporto Censis sulla situazione sociale dell'Italia 77 Dal Rapporto Italia 2004 di UnionCamere 91 L'analisi del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro 97 Ricerca e Sviluppo nei Paesi OCSE 111 La Ricerca Scientifica 135 Analisi comparativa del sistema R&S 165 Cervelli in fuga 183 Dal Programma Nazionale per la Ricerca 2005-2007 del MIUR 191 Dal Rapporto SVIMEZ 2004 sull'economia del Mezzogiorno 231 Sistema Bancario e sviluppo del Mezzogiorno 251 Il Federalismo 263 La Ricerca Scientifica negli IRCCS 277 Le Associazioni/Fondazioni 327 Conclusioni 335 Abbreviazioni 345 L'Autore 349 |
| << | < | > | >> |Pagina 7Introduzione"Io non so persuadermi come nello stesso regno, sotto le stesse leggi, ci devono essere la città di Milano e la città di Napoli ... Ho cercato invano in altri paesi civili contrasti così profondi: non sono riuscito a trovarne. E perché devono ancora durare? Non parliamo forse la stessa lingua? non siamo forse la stessa gente? La verità comincia a farsi strada solo da poco: ma domani procederà rapidamente." ... Queste parole venivano scritte nel maggio del 1903 da Francesco Saverio Nitti, noto sociologo, economista, saggista, deputato e ministro del Parlamento italiano, presidente del Consiglio. Parole vere, sentite, ancora attuali, se la questione è ancora lì, irrisolta. Sorprende però le difficoltà che ancora oggi incontra la verità per farsi strada, anche quando essa risponde ad un imperativo dovere di corretta informazione, giustizia, equità. E' proprio questo desiderio di verità che ha costituito la motivazione principale per dare alla stampa questi appunti, che vogliono portare una conoscenza tacita, personale e pertanto individuale, a diventare conoscenza disponibile, esplicita e per ciò collettiva, utilizzando tutti gli strumenti e le tecnologie che questa società della Informazione e Comunicazione mette a disposizione. Alla base, una visione strategica basata sull'esperienza propria di chi, lavorando da trentacinque anni nel settore, ha imparato a girovagare all'interno di dati e informazioni accumulati in ogni luogo, ed ha da tempo accettato la sfida. Di qui il tentativo di esplicitare talune disuguaglianze che caratterizzano il sistema italiano della ricerca scientifica (l'area di interesse cui viene limitata la disuguaglianza in questo volume). Esiste in effetti una "questione meridionale" anche per la ricerca scientifica; e, anche in questo caso, le disuguaglianze rispondono ad una logica, ma non all'etica, né sociale, né politica né economica. Molti grandi meridionalisti (Salvemini, Fortunato, Turiello, Nitti, Croce, Dorso, Saraceno, Compagna, Villari, Gramsci, Rossi Doria, Galasso, De Rosa, De Masi, etc.) hanno affrontato, molto più sapientemente ed esaustivamente, la "questione meridionale", privilegiando ora la sociologia (Nitti), ora la storia (Galasso), ora la geografia economica (Compagna), ora la politica (Gramsci e Dorso), e via dicendo. In questa sede preme aggiungere, possibilmente un nuovo tassello, affrontando un problema non meno importante che coinvolge il mondo collegato alla Ricerca Scientifica, vista come possibile volano di riscatto per l'intero Mezzogiorno. Il risultato minimo richiesto è una maggiore attenzione unita al rispetto di verità, giustizia, etica ed equità nella distribuzione delle risorse, indispensabili per concretizzare una possibilità per un'area del Paese Italia, conferire pari dignità a tutti i suoi abitanti, offrire almeno di base pari condizioni e qualità di vita. L'etica esige per assunto il perseguimento dell'eguaglianza. Dato per scontato che le disuguaglianze sono sempre esistite, esistono, ed esisteranno sempre, l'etica dovrebbe porre almeno il limite alla loro accettabilità o meno. Quanto sta avvenendo nel mondo scientifico, di seguito esposto, rende sempre più non accettabili le condizioni imposte, volte ad escludere il Mezzogiorno da detta possibilità, con le conseguenti ricadute nei vari campi sino a quello che riguarda l'offerta e qualità di prestazioni assistenziali. In campo sanitario, il perseguimento dell'eguaglianza dovrebbe significare cercare di assicurare a tutti i cittadini quei livelli di ben-essere compatibili - come affermato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità - con una vita socialmente ed economicamente produttiva. Con ciò si vuole affermare un modo nuovo di vedere (vision), non più solo salute, ma adottare corretti stili di vita, vivere sano se si vuole assicurare una buona salute, star bene con se stessi e con tutti e tutto quello che ci circonda, dalla famiglia, ai propri simili, all'ambiente. Se utopistico appare il conseguimento di tale obiettivo, volerlo perseguire conferisce dignità all'essere umano.
La
vision
di questa iniziativa vuol essere allora quella di
disegnare un quadro d'insieme, reale più che realistico, che
possa essere di qualche utilità a chi è alla ricerca di idee o
vuole definire strategie per il cambiamento, per correggere e
contenere
le inevitabili
sperequità sociali,
impedire che le disuguaglianze diventino iniquità, giustificare e rendere
accettabili le disuguaglianze.
La nuova vision deve portare a promuovere una economia del benessere che massimizzi un reddito egualitariamente distribuito, ovvero un'etica economica e sociale incentrata su quei principi che caratterizzano le istituzioni giuste. In un simile contesto, educare la cittadinanza si configura come una delle priorità educative tanto a livello di Unione Europea, quanto a livello nazionale. Nella nozione di cittadinanza, però, convergono esigenze, aspettative, finalità molteplici e differenziate: dallo sviluppo di una cittadinanza attiva, all' apprendimento dei valori democratici, dall' educazione alla legalità, all'educazione ai diritti umani in prospettiva globale, all'aumento, localmente, della partecipazione dei cittadini (con un'attenzione particolare alla pari opportunità per le fasce deboli) alla vita politica, sociale, culturale. A fronte di questa nozione di cittadinanza si pone, a volte in continuità, più spesso in alternativa, la dimensione comunitaria, che richiama non tanto ai diritti soggettivi fondamentali e universali, quanto all'identità collettiva e all'appartenenza ad un gruppo culturalmente connotato. Uno "stato di ben-essere" (well-being) chiama in causa le capacità di funzionare degli aspetti della vita fondamentali (nutrizione, salute, partecipazione sociale, ecc.). Questo criterio si può chiamare "approccio delle capacità" rispetto all'altro definibile genericamente come "approccio delle preferenze". L'"approccio delle capacità" ci trasporta "dallo spazio delle merci, dei redditi, delle utilità, ecc., verso lo spazio delle componenti costitutive del vivere". "Agire liberamente" non significa solo abilità di promuovere i fini che si ha motivo di promuovere, "numero di alternative a disposizione", ma avere la capacità di discriminare tra le diverse alternative in modo da scegliere quella che più positivamente può operare sul proprio futuro, tenendo presente che la propria libertà si estende fin dove incontra quella altrui. Così scegliere uno stile di vita non è esattamente equivalente ad avere quello stile di vita indipendentemente da come è sorto. Una "misurazione della diseguaglianza" che si basa solo sulla distribuzione dei redditi non rende giustizia alla "importanza della libertà come elemento costitutivo di una buona società". Il vantaggio reale di un individuo va valutato nel contesto degli svantaggi indotti. Welfarismo e utilitarismo enfatizzano l'utilità individuale e rifacendosi a metriche mentali (grado di appagamento dei desideri per valutare le acquisizioni) valutano un modo di vedere il vantaggio individuale "particolarmente limitante in presenza di radicate diseguaglianze" e addirittura fuorviante nel misurare l'appagamento dei desideri in un contesto di miseria in cui anche un piccolo vantaggio può apparire notevole per chi non ha niente. Ci sono modi di vedere "la relazione tra eguaglianza e libertà" completamente sbagliati. Una "libertà eguale" non è assioma sufficiente a garantire eguaglianza in senso pieno, né tanto meno una eguale distribuzione di beni primari è garanzia di libertà in senso completo. Inoltre, "la libertà è uno dei possibili campi d'applicazione dell'eguaglianza, e l'eguaglianza è una delle possibili configurazioni della distribuzione delle libertà". "Libertà, diritti, utilità, redditi, risorse, beni primari, appagamento dei bisogni, ecc., sono tutti modi diversi di vedere la singola vita delle varie persone, e ciascuna delle prospettive conduce a una differente visione dell'eguaglianza". In breve, un "insieme di capacità" riflette la libertà di "scegliere fra le vite possibili"; un "insieme di bilancio" riflette solo la libertà di comprare merci. Pertanto, nel contesto di politiche sociali non è sbagliato preferire obiettivi di giustizia mediante il criterio del miglior well-being per tutti.
Rawls ha ragione nello spostare l'attenzione "dalla
diseguaglianza nei risultati... a quella nelle opportunità".
Per chi opera in Sanità, ciò significa non accettare che la salute diventi un prodotto, l'ospedale un'azienda profit; significa non identificare gli elementi costitutivi dello stato di benessere, il cosiddetto well-being, con oggetti tipo reddito o risorse o posizione sociale o altro, tutti rientranti nell'idea di acquisizioni, ma mettere al primo posto l'insieme delle capacità di perseguire da sé, liberamente, tali elementi. Nel mondo esistono aree caratterizzate da livelli di sviluppo economico assai diversificato; schematicamente si possono però individuare due raggruppamenti: i paesi del Nord e quelli del Sud. Tale distinzione non vale solo a livello mondiale, ma anche all'interno di ciascun paese.
In queste pagine si vuol levare una voce per rivendicare i
sacrosanti diritti della gente del Sud nella speranza che
diventi un coro non un'eco.
Recentemente il filosofo Aldo Masullo, persona notoriamente impegnata, ha ritenuto di rivolgere un appello accorato alla cittadinanza napoletana (MANIFESTO "Salviamo Napoli") al fine di mettere in moto un processo di consapevolezza civica e proporre un'assunzione dell'etica della responsabilità. "Stiamo tutti volenterosamente collaborando alla rovina", ha affermato Masullo, rivolgendosi in primo luogo agli intellettuali, ma in realtà ai cittadini tutti, per destarli dal loro torpore. "È in atto una poco virtuosa gara a scavalco fra forze politiche, istituzioni, forze sociali, una gara all'ammiccamento a questa o quella fazione che porta a simulare disponibilità interessata, al massimo elettorale, inefficace, dannosa addirittura perché dà alimento al circolo vizioso che tutti ci soffoca. Quello che crea il disagio sociale, che diventa, a sua volta, il padre di quello economico. Prenda la camorra. Nasce come risposta al mancato sviluppo economico e, alla fine, ne diventa causa". ... Una gara certo "poco virtuosa e masochista. Quando affonda la nave non vanno sotto solo i topi, ma anche i marinai ed i comandanti sulla tolda ...
Penso che il gioco a scavalcarsi sia responsabilità di tutte le
istituzioni e forze politiche. Si perde di vista l'obbiettivo
principale e, invece di collaborare sinergicamente, si alimenta il disastro dei
circoli viziosi che crea la paralisi endemica".
Il mondo della Ricerca non si sottrae, purtroppo, a tale tendenza negativa, e non tanto per una carenza di finanziamenti, quanto per una serie di anomalie che interessano le fonti degli stanziamenti, l'autoreferenzialità, la gestione politicizzata, la distribuzione delle risorse, la burocratizzazione dei processi, la mancanza di incentivi, e via dicendo. | << | < | > | >> |Pagina 31Dal Rapporto sulle Diseguaglianze di salute in Italia
Gli stretti rapporti esistenti tra condizione economica, distribuzione delle
risorse e salute sono sempre più oggetto di attenzione da parte degli Organi
preposti al governo della sanità pubblica europea, e di riflesso in quella
nazionale. Poiché è noto quanto la collocazione sociale sia in grado di
condizionare lo stato di salute del cittadino, tanto da poter
influenzare il decorso e spesso determinare gli esiti stessi
della malattia, in poco tempo in molti paesi si è passati dalla
misurazione di detti fenomeni alla ricerca delle cause e alla
definizione di interventi di correzione (v. l'
Health Inequalities Impact Assessment,
l'
Independent Inquiry into Inequalities in Health,
il
Program Committee on Socio-economic Inequalities in Health,
etc.).
Purtroppo, con l'apertura dell'Unione Europea ad Est e via via che si ha accesso ai sistemi informativi e statistici disponibili nei singoli Paesi, emerge sempre più che le diseguaglianze nella salute in Europa sono piuttosto "intense", "regolari" e "crescenti". Per tale motivo l'Unione Europea ha sostenuto tre importanti programmi di ricerca comparativa in questo campo. Il primo ha confrontato le differenze sociali negli adulti valutando mortalità, morbosità percepita e stili di vita tra i pochi paesi europei ove erano presenti fonti informative comparabili negli anni ottanta. La mortalità presentava diseguaglianze in ogni paese, qualsiasi fosse l'indicatore sociale utilizzato per misurare le differenze. Le differenze avevano tuttavia intensità variabile, a causa del diverso profilo geografico delle cause di mortalità: in particolare, a fare la differenza erano le malattie cardiocircolatorie, soprattutto quelle ischemiche del cuore, responsabili di una quota consistente sia della mortalità sia delle diseguaglianze nella mortalità nei paesi del Nord Europa, senza influenzare le diseguaglianze nella mortalità generale nei paesi dell'Europa meridionale. Il secondo programma di ricerca ha esteso anche l'osservazione fino alla fine degli anni novanta, anni per i quali erano arruolabili nuovi paesi che nel frattempo avevano sviluppato sistemi informativi e statistici adeguati: in questo caso è risultato evidente che le diseguaglianze nella mortalità, in senso relativo, si stavano allargando, mentre quelle in senso assoluto erano, al meglio, stabili.
Ti terzo programma ha incluso l'osservazione delle fasce di
età anziane, dimostrando che differenze significative nella
mortalità persistono anche oltre i 65 anni, differenze che
sono di intensità relativa attenuata ma di impatto assoluto
più importante. Sul piano della morbosità percepita le
diseguaglianze misurate da questi studi comparativi sono di
grandezza comparabile tra i diversi paesi, sono riproducibili
con tutti gli indicatori sociali utilizzati e sono sostanzialmente
stabili nel tempo.
A dieci anni dalla pubblicazione del primo rapporto italiano
sulle disuguaglianze nella salute (1994), il 31 maggio 2005,
è stato presentato e discusso nel forum
Disuguaglianze di salute in Italia, il rapporto sulle
Disuguaglianze di salute in Italia
pubblicato da Epidemiologia e prevenzione, e curato da
Giuseppe Costa, epidemiologo dell'Università di Torino, Carlo
Perucci, epidemiologo dell'Asl Roma E e Cesare Cislaghi,
presidente dell'Associazione Italiana di Epidemiologia.
Le politiche sanitarie, secondo gli autori del rapporto, riflettono la struttura e anche la crisi del sistema italiano odierno, dove non solo persistono ma si ripropongono fratture storiche e disuguaglianze negli indicatori di welfare tra le regioni del paese. I risultati dell'indagine confermano lo svantaggio delle aree meridionali del paese, in termini di condizioni economiche, sociali e culturali, e di riflesso, sotto il profilo della qualità dell'assistenza sanitaria. Alle disuguaglianze storiche si sono aggiunte, negli ultimi anni, nuove questioni legate all'invecchiamento della popolazione, all'immigrazione, alla disponibilità di nuove tecnologie biomediche. Il rapporto, sempre secondo gli autori, è imperniato sul concetto di "equità" e si fonda sull'idea che "per costruire un miglioramento complessivo della qualità di vita non sia sufficiente stabilire una cura per ogni malattia e fare in modo che questa sia accessibile a tutti. Bisogna dunque trovare una nuova dimensione della salute che non sia determinata solo da fattori di natura biologica. (...) Per eliminare o almeno cercare di limitare le disuguaglianze in salute, utilizzare un criterio come l'equità vuol dire costruire un sistema di prevenzione capace di rimuovere le cause che, prescindendo dalla volontà del singolo, gli impediscono di raggiungere il livello di vita desiderato."
Le politiche della salute stentano a riconoscere che tali
disuguaglianze possano costituire una guida concreta per la
programmazione degli interventi, dove il richiamo ai principi
di equità non manca, ma non si traduce in criteri e in
obiettivi operativi. Tra i compiti del rapporto (nonché di
questo volume) è proprio quello di
dare una base di conoscenze a chi è preposto a decidere delle strategie di
salute evidence-based e dell'allocazione delle risorse, onde rimuovere l'alibi
della mancanza di informazioni.
In Italia le disuguaglianze nella salute rappresentano una priorità assoluta per le politiche del Paese, dal momento che le indagini condotte (v. Regione Piemonte e Regione Lazio) evidenziano, indipendentemente dagli indicatori sociali utilizzati - classe, educazione, casa, risorse economiche, contesto - che chi sta in posizione più avvantaggiata presenta un profilo di salute migliore rispetto a chi sta in una posizione più svantaggiata. Le differenze nella mortalità si sono allargate muovendo dagli anni settanta agli anni novanta, soprattutto tra gli uomini adulti. Per poter consapevolmente intervenire o intraprendere specifiche azioni e politiche di contrasto, occorre che siano ben compresi i meccanismi attraverso cui lo svantaggio sociale, relativo e assoluto, agisce sulla salute. Una volta rivelati tali meccanismi, ognuno di essi può diventare una porta d'ingresso per un intervento di prevenzione o di correzione degli effetti sfavorevoli sulla salute. A differenza di quanto avveniva nel secolo appena concluso, allorché la causa di morte dominante nelle società occidentali era rappresentata dalle malattie infettive, nel tempo attuale sono le malattie cardiovascolari ed i tumori a recitare il ruolo di primo piano. Le disuguaglianze nella salute trovano un'origine multifattoriale: - differenze nella qualità dell'assistenza sanitaria, in primo luogo nelle possibilità di accesso ai servizi sanitari e di beneficiare di adeguati trattamenti - disuguaglianze socioeconomiche - differenti stili di vita - diversa propensione ad adottare comportamenti salubri - diversa esposizione a fattori insalubri o fattori di rischio - mancanza di informazione accurata o consapevolezza delle conseguenze negative di specifici comportamenti, agenti, etc. | << | < | > | >> |Pagina 135La Ricerca ScientificaLe attività di Ricerca scientifica e Sviluppo sperimentale (R&S) offrono un contributo essenziale alla crescita dei sistemi economici di un Paese: esse generano nuova conoscenza scientifica e tecnologica potenzialmente utilizzabile sia per migliorare processi di produzione sia per sviluppare nuovi prodotti o servizi. Per tale motivo, promuovere e sostenere la R&S significa accrescere la competitività sui mercati internazionali e quindi aumentare il benessere di un Paese o Azienda che sia. L'attività di Ricerca e Sviluppo (R&S) viene definita dal Manuale di Frascati dell'Ocse come quel complesso di lavori creativi intrapresi in modo sistematico sia per accrescere l'insieme delle conoscenze (inclusa la conoscenza dell'uomo, della cultura e della società), sia per utilizzare tali conoscenze in nuove applicazioni. Essa viene distinta in tre tipologie: * Ricerca di base: lavoro sperimentale o teorico intrapreso principalmente per acquisire nuove conoscenze sui fondamenti dei fenomeni e dei fatti osservabili, non finalizzato ad una specifica applicazione. * Ricerca applicata: lavoro originale intrapreso al fine di acquisire nuove conoscenze e finalizzato anche e principalmente ad una pratica e specifica applicazione. * Sviluppo sperimentale: lavoro sistematico basato sulle conoscenze esistenti acquisite attraverso la ricerca e l'esperienza pratica, condotta al fine di completare, sviluppare o migliorare materiali, prodotti e processi produttivi, sistemi e servizi. Il personale impegnato in attività di R&S viene distinto dal Manuale di Frascati per mansione: ricercatori, tecnici e personale di supporto. La consistenza di tale personale è valutata sia in termini di numero di persone, che di quota del tempo di lavoro direttamente impegnata in attività di R&S (definita equivalente a tempo pieno). Nel settore delle imprese sono considerati gli addetti con mansioni di R&S e i consulenti (ovvero coloro che collaborano alla R&S senza essere addetti dell'impresa), qualora operino all'interno dell'impresa. I consulenti che operano all'esterno dell'impresa sono, invece, esclusi. Nel settore pubblico sono considerati i dipendenti con contratto a tempo determinato o a tempo indeterminato che svolgono attività di R&S. Nelle università sono considerati i docenti, i ricercatori e l'altro personale di ruolo che collabora ad attività di R&S. Recentemente il Regolamento n. 364/2004 della Commissione Europea del 25.2.2004 ha apportato una serie di modifiche e integrazioni al Regolamento (CE) n. 70/2001 per quanto concerne gli aiuti alla ricerca e sviluppo concessi alle PMI. Tale Regolamento (Art. 1, b) definisce le varie tipologie di ricerca come segue: • "ricerca fondamentale": un'attività che mira all'ampliamento delle conoscenze scientifiche e tecniche non connesse ad obiettivi industriali o commerciali; • "ricerca industriale": ricerca pianificata o indagini critiche miranti ad acquisire nuove conoscenze, con l'obiettivo di utilizzare tali conoscenze per mettere a punto nuovi prodotti, processi produttivi o servizi o per migliorare in maniera significativa prodotti, processi produttivi o servizi o per migliorare in maniera significativa prodotti, processi produttivi o servizi esistenti;
• "attività di sviluppo precompetitivo",
la concretizzazione dei risultati della ricerca industriale
in un piano, un progetto o un disegno per prodotti,
processi produttivi o servizi nuovi, modificati o
migliorati, siano essi destinati alla vendita o
all'utilizzazione, compresa la creazione di un primo
prototipo non idoneo ai fini commerciali. Tale attività
può inoltre comprendere la formulazione teorica e la
progettazione di altri prodotti, processi produttivi o
servizi nonché progetti di dimostrazione iniziale o
progetti pilota, a condizione che tali progetti non
siano convertibili né utilizzabili a fini di applicazione
industriale o sfruttamento commerciale. Essa non
comprende le modifiche di routine o le modifiche
periodiche apportate a prodotti, linee di produzione,
processi di fabbricazione, servizi esistenti e altre
operazioni in corso, anche se tali modifiche possono
rappresentare miglioramenti.
Al di là di questa o quella definizione, di questa o quella corrente di pensiero, quel che conta non è fare questa o quella ricerca, bensì è essenziale fare buona ricerca, essendo l'una tipologia propedeutica per l'altra. E' importante per ciò poter valutare la qualità della ricerca portata avanti da un Paese in maniera attendibile, anche se difficile in quanto non esistono parametri o indicatori assoluti. Ad esempio, per misurare la competitività tecnologica di un Paese (ma anche di un Ricercatore) si ricorre, in genere, ad una serie di parametri tra cui: impact factor delle pubblicazioni scientifiche, numero di brevetti registrati, etc. Il fattore di impatto (IF) è relativo alle riviste ed è dato dal rapporto fra il numero di citazioni ottenute da ciascuna rivista e il numero di articoli pubblicati in un determinato periodo di tempo. Lo stesso Garfield, inventore dell'IF, ha ammesso che esso è alquanto approssimativo, a causa della grossolanità del filtro adottato (non si considera la diffusione della rivista, la tipologia del lavoro, il numero di autori degli articoli e dei collaboratori della rivista, l'influenza di autocitazioni, le citazioni incrociate, ecc.). [...] Da un confronto tra sei paesi (Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti e Giappone) nel periodo tra il 1963 e il 2001, emergono alcune interessanti indicazioni anche per quanto riguarda la competitività tecnologica italiana: i brevetti complessivamente detenuti da questi sei paesi rappresentano il 90% di quelli registrati presso lo Uspto nel periodo considerato; esistono differenze sostanziali fra i paesi esaminati; l'Italia evidenzia una debolezza endemica, come rilevabile dalla quota italiana dei brevetti complessivamente attribuiti (1,2%), dal rapporto fra numero di brevetti e popolazione residente (0,6) e dal rapporto tra numero di soggetti (imprese, università, centri di ricerca, inventori indipendenti) titolari di brevetti e popolazione residente (0,9). E le tendenze degli ultimi anni non sono confortanti: tra il 1996 e il 2001 il tasso di crescita medio annuo del numero dei brevetti italiani presso lo Uspto, pur ragguardevole (7,3%), è stato significativamente più basso di quello degli altri paesi, tra i quali spicca il 10,6% della Germania. Quest'evidenza empirica conferma tre dati di fatto inconfutabili: a) la modesta capacità del nostro paese di realizzare un numero elevato di invenzioni e scoperte sufficientemente utili, nuove e non ovvie da poter essere brevettate; b) l' esiguità del numero di soggetti che partecipano attivamente alla realizzazione dell'output innovativo nazionale; c) la non crucialità dell'attività brevettuale per un sistema produttivo dominato dai settori tradizionali e dalle piccole imprese e che proprio per questa ragione trova in fattori non tecnologici il fondamento della propria competitività. Il quadro cambia leggermente se si confronta il "valore" dei brevetti. Infatti, il divario tra l'Italia e gli altri paesi si riduce solo parzialmente: il numero medio di citazioni ricevute (3,4) avvicina quello dei brevetti francesi (3,8) e tedeschi (3,8), ma resta molto lontano da quello dei brevetti del Regno Unito (4,3), del Giappone (4,7) e, soprattutto, degli Stati Uniti (5,2). Evidentemente, i brevetti dei soggetti che negli ultimi quattro decenni hanno contribuito all'output innovativo del nostro paese sono in generale caratterizzati da una minore capacità di creare un significativo cluster innovativo rispetto a quelli dei loro omologhi dei paesi più avanzati. | << | < | > | >> |Pagina 340Condizione essenziale per la crescita del Sud resta infine la riduzione del livello di rischio ed incertezza nel quadro legale, nelle prestazioni amministrative, nella sicurezza che circonda il fare impresa. Senza il tasso di zavorramento camorristico annuo, come dimostrato da una recente indagine del Censis, il Pil pro-capite del Mezzogiorno avrebbe raggiunto quello del Nord.La drammatica situazione di debolezza del Mezzogiorno espressa da: - scarsa dotazione di risorse e strutture devolute alla ricerca scientifica e all'innovazione tecnologica, purtroppo retaggio antico - una quota estremamente ridotta in investimenti e spese in R&S, che pone il Mezzogiorno non solo molto al di sotto della media nazionale, ma anche di quella dei Paesi dell'allargamento comunitario a 25 (la spesa in R&S, espressa come percentuale del PIL, è pari allo 0,8% nel Mezzogiorno contro una media europea dell'1,9%; nel Mezzogiorno gli investimenti per R&S in rapporto al Pil ammontano allo 0,75% (2001), contro l'1,11% a livello nazionale; nel Centro-Nord operano 7 ricercatori contro 1 nel Mezzogiorno ogni 1OOmila abitanti; soltanto il 9% delle risorse pubbliche destinate alla ricerca viene assegnato al Mezzogiorno di fronte al 91% destinato al Centro-Nord, e soltanto il 3% delle risorse private di fronte al 97% destinato al Centro-Nord - una struttura produttiva ancora poco propensa all'innovazione, nonostante vari strumenti di sostegno adottati, fortemente condizionata e penalizzata dagli assetti strutturali predominanti (es.: larghissima preponderanza di microimprese, per giunta operanti in settori caratterizzati da un basso tasso innovativo ed un basso valore aggiunto; scarsa dotazione di risorse finanziarie, tecniche, professionali; ridotta presenza di relazioni cooperative tra le imprese locali; labile complementarità e debolezza delle relazioni produttive e funzionali (subfornitura, trasferimento tecnologico) tra imprese locali ed imprese di origine esterna) - comportamenti innovativi degli imprenditori scarsi e di limitato spessore (solo il 20,5% delle imprese meridionali innova nei prodotti, processi e organizzazione aziendale (contro una media nazionale del 33,1%); gran parte dell'innovazione posta in essere dalle aziende nel Mezzogiorno si sostanzia in acquisto di beni strumentali/beni capitali che incorporano l'innovazione (76,9% del totale, contro una media nazionale del 47,1%), mentre sono molto più contenuti comportamenti più evoluti, quali il ricorso alla R&S, alla progettazione, a indagini di mercato (solo il 6,7% del totale delle spese compiute a livello nazionale riguarda le imprese del Sud) - labili nessi funzionali e strategici tra strutture scientifiche e tessuto produttivo - insufficiente disponibilità di profili professionali ad alta qualificazione (ove presenti, sono del resto costretti a cercare lavoro in aree esterne al Mezzogiorno) - limitata dimensione dei laboratori di ricerca - una disomogenea struttura disciplinare nell' offerta di ricerca pubblica (circa il 50% dei ricercatori pubblici meridionali afferiscono alle scienze biomediche ed alla fisica, mentre sono assenti strutture di supporto all'innovazione nelle PMI )
- bassa attrattività
per gli investimenti esteri.
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