Copertina
Autore Antonio Castronuovo
Titolo Libri da ridere
SottotitoloLa vita, i libri e il suicidio di Angelo Fortunato Formiggini
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2005, Margini 57 , pag. 160, cop.fle., dim. 106x169x10 mm , Isbn 978-88-7226-844-5
LettoreLuca Vita, 2005
Classe libri , biografie
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Indice

Mihi confricor (a mo' d'introduzione)         5

Il volo di protesta                           9
Cosa bolliva nella pentola della razza       18
L'accento sulla i                            25
La memoria al macero                         29
Tra sartine e schiamazzi                     33
Ridere con laurea                            41
La secchia in festa                          47
Svegliarsi con lo stesso naso, ma editori    51
Un tale gratis                               58
La carrozza e la trincea                     63
Er mejo fico der mio bigonzo                 68
Disarmare l'osceno                           73
Le oche del Campidoglio                      77
Metti una risata in camera                   85
Le medaglie rubate                           90
Italia che scrive (molto) e legge (poco)     95
Pesce d'aprile con fonografo                100
Come ti scippo l'istituto                   106
Tra marmi, bernoccoli e ficozze             110
Italia castelvetranizzata                   115
Il rompiscatole tascabile                   119
?                                           127
Cantonata e svelamento                      131
Il fascismo preso a pasquinate              137
Ci è venuta l'hitlerizia                    143
La condanna della noia                      149

Sobria appendice                            155

 

 

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Pagina 5

MIRI CONFRICOR
(A MO' D'INTRODUZIONE)



                Formiggini è l'editore meno noioso che si conosca.
                                            (Giulio Bertoni, 1933)



Qui si narra di un editore che ha lavorato nella prima metà del Novecento e che ha impresso all'editoria italiana un marchio indelebile. Ma si narra anche di un uomo che fu tante altre cose: talmente tante da ingarbugliare ogni tentativo di classificazione. Era un ebreo che si sentiva italiano al cento per cento; vide di buon occhio il nascente fascismo, ma quando s'accorse che Mussolini faceva scrivere «persino sui vespasiani» di aver sempre ragione, se ne pentì amaramente; fu editore, fondatore di riviste e anche scrittore; fu filosofo dell'umorismo e collezionista di libri umoristici; fu dotato di inestinguibile vena scettica e ironica, sulla quale aveva disteso una densa pennellata di malinconia; fu infine un deliberato suicida. Tutti caratteri a prima vista incompatibili, ma che invece riescono ad aggregarsi in una figura concreta e straordinaria, riescono ad armonizzarsi nell'aureo monile che chiamiamo Angelo Fortunato Formiggini.

Questo «privato editore dilettante» – come amava scherzosamente definirsi – organizzò la sua attività secondo una linea artigianale: la sua carriera di editore è punteggiata da circa seicento titoli e da varie annate di riviste ("Rivista pedagogica", "Rivista di filosofia", "Gioventù Italiana", "L'Italia che scrive"). La categoria di cui faceva parte – quella dei dilettanti – continua a ossessionare gli accademici, che sempre s'interrogano su come sia possibile inventarsi un cosmo senza studi regolari, ma che anche dedicano rispetto a queste anime efficienti e leggere. La sua attività copre un arco di trent'anni, dal 1908 al 1938. Un trentennio di storia tormentata, che a noi oggi sembra oscura e monotona, e che invece produsse movimenti intellettuali di conio molteplice. È sufficiente pensare al futurismo (che si sviluppò lungo quegli stessi anni e verso il quale Formiggini nutrì ben poca attrattiva) per capire quale varietà di flussi impreziosisca una medesima epoca.

La sua editoria fu incline a fornire gli strumenti per capire la realtà e per cambiarla, ebbe dunque una sostanziosa vocazione popolare. Alcune sue collane furono esplicitamente dedicate ai ceti meno colti, e in quella stessa direzione andò l'istituzione di una biblioteca circolante. Tra i suoi autori ci furono nomi vicini al fascismo, ma molti suoi collaboratori erano di militanza socialista. Insomma: Formiggini è una tipica figura di quella "cultura dell'inquietudine" che impregna i primi decenni del Novecento, stagione senza certezze nel cui grande fermento – dominato dalla mole dello Stato liberale prima e totalitario poi – confluirono socialismo, anarchia, utopia e avanguardia.

Il valore che la sua impresa ha conseguito nel tempo è testimoniato da un particolare cui non riuscivo a dare, anni fa, la giusta importanza. La biblioteca della città in cui vivo non concede il prestito a domicilio dei volumi pubblicati da Formiggini, a qualsiasi collana essi appartengano. Il prestito è semmai concesso per altri volumi della stessa epoca, ma per quelli no. Proprio come se fossero oggetti preziosi. E infatti lo sono. Preziosi quanto l'ironia, merce fragile e delicata, sempre più rara e sempre meno richiesta.

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Pagina 9

IL VOLO DI PROTESTA



Dicono che una buona regola per chi scrive sia questa: «Vuoi riuscire interessante? comincia dal fondo».

Tentiamo allora di riuscire interessanti e cominciamo dal fondo, che nel caso in questione è un balzo da un campanile, una caduta verticale, veloce quanto può esserlo quella di un corpo risucchiato verso il suolo dalla forza di gravità.

Sono fatti che maldestramente occultati sul momento e insabbiati per molto tempo in una sorta di prepotente ostracismo – sono stati poi svelati da molti. L'autore stesso di queste righe li ha già narrati, in un grumo di pagine dei Suicidi d'autore (Stampa Alternativa, 2003). Di suicidio si tratta, infatti. E d'autore. Perché tra i più lucidi e determinati che si conoscano. Tra quelli che alla fine di un percorso fatto di "vita e opere" danno a quella vita e a quelle opere un significato compiuto.

Bisogna allora davvero cominciare dal fondo a raccontare la storia di un uomo che vediamo gettarsi nel vuoto, affidandosi alle braccia del nulla, e volare giù dalla torre Ghirlandina di Modena: la storia di Angelo Fortunato Formiggini.

Buttandosi a capofitto dalla torre, egli alzava coraggiosamente il capo, guardava in faccia il tiranno — Mussolini, il Duce in cui aveva creduto e che gli aveva poi voltato le spalle con le leggi razziali — e lo inceneriva col terribile sguardo del catoblepa. Mitico animale dei bestiari più antichi, il catoblepa era simile allo gnu e si narra che tenesse la testa sempre rivolta verso il basso: se infatti guardava qualcuno lo inceneriva. Così fece Formiggini: si suicidò per poter guardare in faccia il tiranno e scaraventarlo nel rogo del catoblepa.

Lo sapeva bene, e in uno dei suoi ultimi scritti, Imitazione del Cristo, raccontò la leggenda della sua vita, prima ancora di renderla compiuta. Lo fece con un tono lievemente macabro, perché pur dotato di umorismo sereno e brillante, avvicinandosi alla fine Formiggini acquistò la tetra intonazione di chi cerca volontariamente la morte: «C'era una volta un editore modenese di sette cotte, e perciò italiano sette volte, che risiedeva a Roma. Quando gli dissero: tu non sei italiano, egli volle dimostrare di essere modenese di sette cotte e perciò sette volte italiano, buttandosi dall'alto della sua Ghirlandina. Ma era stato scritto di lui che aveva la testa molto dura, ed infatti precipitando a capo fitto la testa si frantumò in tre grosse schegge senza dare una goccia di sangue. Le tre schegge guizzaron prodigiosamente fino a Roma: una cadde ai piedi del Papa che la raccolse e disse: Questo è il brillante più grande e più splendido che esista nel mondo: lo incastonerò nel Triregno ad onore e gloria della mia Chiesa. Un'altra colpì nel petto il Re ed Imperatore, che ne ebbe mozzato il respiro per sempre. Una terza colpì sulla fronte il Tiranno e vi impresse l'indelebile segno del "catoblepa"».

Voleva insomma incenerire tiranno e tirannia, quella che — dopo aver messo la museruola ai tanti — tolse la voce a lui, che era di famiglia ebrea. E gliela tolse con la promulgazione delle leggi razziali, il divieto di possedere una casa editrice e di lavorare. Quando tutto ciò che ha messo in piedi è soppresso, medita sereno la condanna: a chi comminarla e come comminarla. La campagna razziale è ancora ai primi cenni quel 27 giugno 1938, giorno in cui stila la sentenza:

Formaggino da Modena
editore in Roma
sopportò sorridendo
XVI anni di dominazione fascista
che lo aveva raso al suolo.
Ma quando ignobili penne,
per atavico odio plebeo,
o per turpe mercede,
o per puro contagio tedesco,
iniziarono una campagna razzista,
sdegnato
si condannò a morte per alto tradimento;
sostituendosi al vero colpevole,
per stornare dalla sua Patria
amorosamente diletta
il danno e la vergogna.

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Pagina 68

ER MEJO FICO
DER MIO BIGONZO



Cent'anni fa – prima dell'umana lordatura – tirava a Genova aria di mare, buona aria salsoiodica che oltre a combattere il rachitismo infantile stimolava le idee nell'adulto. Anche su Formiggini quell'aria ebbe effetto, anzi: fece maturare un frutto molto dolce, «er mejo fico der mio bigonzo», come qualificò la sua nuova invenzione editoriale. Ancora una volta il secchio troneggiava, solo che ora non si trattava di una "secchia rapita" ma di un bigoncio, cioè di un recipiente contadino (metafora agricola per indicare patrimonio editoriale) nel quale aveva messo il suo miglior fico. E il fico, come si sa, è frutto dionisiaco, dotato di arcaici valori nutritivi.

In una circolare del novembre 1912 preannuncia una collezione di grande serietà editoriale, per quanto l'impresa sia la più allegra da lui pensata, e aggiunge: «C'è bisogno, oggi, di richiamare gli uomini ad una serena e lieta concezione della vita». Poco dopo, nell'articolo Il "Cucùlo" ovvero l'Amoroso Commiato del dicembre 1912 chiarisce il suo pensiero: «Io sono persuaso che sia altamente providenziale oggi il grande rivolo di giocondità che la mia collezione farà dilagare irresistibilmente su tutto il Paese: nulla è più umano del ridere, nulla è più fautore di affratellamento in questo mondo di cani ringhiosi, nulla è più conciliante con la vita in questo secolo di surmenage e di irrequietezza e di nausea».

Affiora il giudizio sul valore civile dell'umorismo, che ora trova realizzazione nei Classici del ridere, collana fondata allo scopo di confutare la filosofia degli accigliati, ma forse, più semplicemente, di riderne e ridersene. L'idea è di raccogliere in una collana «il fior fiore di quanto è stato prodotto, di attinente al ridere, in tutte le letterature in tutti i tempi», una collana che vuole diventare, mediante libri che rappresentano anche documenti di vita e di costume, un ampio repertorio di ciò che s'intende per "comico".

Il titolo della collana non giunse subito: per molto tempo ne aleggiarono molti. Le prime ipotesi furono Classici dell'umorismo e Classici della giocondità, ma altre ne emersero via via. Classici allegri, Capolavori dell'umorismo, Classici giocondi, Classici del buonumore, Letteratura gaia, Capolavori della letteratura gioconda, Classici giocondi e umoristici, Classici scapigliati. Qualcuno propose I maestri del ridere, oppure anche Scrittori del ridere, la cui sonorità sembrava però un'eco degli Scrittori d'Italia diretti da Benedetto Croce per Laterza.

Alla fine del 1912 Formiggini decide e adotta Classici del Ridere, [...]

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Pagina 95

ITALIA
CHE SCRIVE (MOLTO)
E LEGGE (POCO)



Che Formiggini dedicasse attenzione al mondo dei lettori è dimostrato dal grande Censimento dell'Italia che legge, indirizzario di sessantamila lettori aperto a tutti gli editori che desideravano istituire un rapporto diretto con loro. Vi erano raccolti i nomi di coloro «che amano ricevere saggi, annunci e prospetti da editori e da periodici». Era formato da targhette metalliche incise mediante una speciale macchina elettrica «con rapidità e nitidezza a richiesta di chiunque». Ogni editore che volesse procurarsi indirizzi di lettori poteva fruirne a pagamento. Chissà se fu mai utilizzato: certo, l'idea precorreva quel rapporto diretto che molti editori oggi desiderano avere col lettore. Ma il Censimento comprendeva anche gli indirizzi dei periodici italiani, delle librerie, delle edicole, delle case editrici e delle biblioteche.

Tutto giungeva da lontano. Nel 1918, in un momento storico davvero difficile, e affinché l'Italia potesse sollevare un po' la testa dal fango, Formiggini aveva fondato una rivista dedicata ai lettori: "L'Italia che scrive". Il primo numero uscì l'1 aprile 1918, epoca di guerra che aveva non solo isterilito la produzione libraria ma anche distratto la stampa quotidiana dalle segnalazioni dei libri. La rivista fu perciò accolta con grande favore.

Conoscendo Formiggini, e sapendo quanti pesci ha tirato, colpisce che il primo numero esca il primo aprile. Ora, poiché «nel mare della vita tutto è pesce d'aprile», anche il libro potrebbe avere quei requisiti, ad esempio in quel suo essere estensione dell'immaginazione e della memoria, una impalpabile piovra capace di avvinghiare senza che il lettore se ne accorga. Ma se anche egli non volle apparecchiare nessun pesce d'aprile, non rinunciò all'ironia, e la rivista fu presto riconosciuta con la sigla delle iniziali: ICS, e per tagliare ancora più corto X, che è appunto la lettera che si legge "ics", ma che anche suona come «lo stropiccio di una capocchia di fiammifero sulla carta vetrata».

Nel sesto numero del 1923, spiega in un articolo che cosa significa quella X: «Vuoi dire l'ICS, ossia l'Italia che scrive, rassegna per coloro che leggono. Supplemento mensile a tutti i periodici. Esso tende a contribuire alla diffusione del libro italiano nel mondo e a creare in Italia un nuovo e grande partito politico: il partito del libro». Ma se la rivista è una "rassegna per coloro che leggono", ciò equivale a dire che coloro che leggono devono essere traghettati nel gran mare di ciò che si scrive. In altre parole, i propositi formigginiani celano una delle realtà più tipiche del Novecento: che si scrive più di quanto si legga, che l'editoria è in perenne crisi non perché non ci siano libri ma perché non ci sono lettori. E dunque, in un mercato librario asfittico e segnato dal peso delle vicende belliche, perché non tentare di stimolare alla lettura? perché non fondare, per quelli che leggono, un periodico di informazione bibliografica? È un'idea che precorre i moderni studi sul target consumistico: tentare di capire di che cosa il mercato ha bisogno e rispondere con un prodotto mirato. Così fu fondata "L'Italia che scrive", «la mia più diletta creatura, nata armata di una penna e di un sorriso».

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