Autore Ermanno Cavazzoni
Coautoreal.
Titolo Almanacco 2018
SottotitoloRivoluzioni, ribellioni, cambiamenti e utopie
EdizioneQuodlibet, Macerata, 2018, Compagnia Extra 73 , pag. 204, cop.fle., dim. 12x19x1,5 cm , Isbn 978-88-2290-179-8
CuratoreErmanno Cavazzoni
LettoreGiangiacomo Pisa, 2018
Classe narrativa italiana












 

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Indice


  7 Premessa (di Ermanno Cavazzoni)


    Rivoluzioni


 15 Ugo Cornia, Alcune tesi per la rivoluzione, per l'abolizione della storia
    e per il ritorno a un paleolitico felice basato sullo smantellamento
    del neolitico e delle sue tristi conseguenze

 11 Fabio Donatini, Note frettolose sull'Ultima Rivoluzione

 27 Natalia Guerrieri, Gli ultimi giorni di Edilemà

 29 Patrizia Barchi, Sogni in fatto di rivoluzione

 36 Paolo Pergola, Bernazzani e Pardini

 46 Stefano Tonietto, Note sul «maggio gallico» del 68 d.C.

 58 Ermanno Cavazzoni, Lettere di Vladimir Il'ič Lenin prima e dopo
    la rivoluzione


    Ribellioni


 67 Paolo Colagrande, Portioli (una metafora di qualcosa)

 69 Alessandro Della Santunione, La difficile condizione di Maletti

 73 Andrea Lucatelli, La rivoluzione è difficile con le scarpe strette

 77 Mauro Orletti, Foglie Parlanti

 83 Alberto Piancastelli, Pignolerie

 95 Aldo Testa, Coazione alla ribellione


    Cambiamenti

101 Daniele Benati, Ultime e ultimissime Opere complete di Learco Pignagnoli

107 Luca Mirabile, Incontri ravvicinati col sindaco

114 Jacopo Narros, Piccole trasformazioni dell'aula scolastica

119 Ivan Fantini, Nestore Zocaie

128 Marino Santinelli, Non urlate per favore. L'allegria. Il prezzo. Il punto


    Utopie

139 Jean Talon, Come andarono a finire gli ammutinati del Bounty

150 Elena Contenta Patacchini, Silvia

154 Francesco Marsibilio, Il mega sifone tecnologico (o Il miracolo)

173 Paolo Albani, La casella postale

179 Irene Russo, Via Roma non esiste

187 Gianfranco Mammi, Il Cinno


193 Gli autori


 

 

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Pagina 7

Premessa


di Ermanno Cavazzoni



La rivoluzione è un po' caduta in disgrazia, non se l'aspetta nessuno, e neppure se l'augura. Quanto alla ribellione, è diventata una faccenda da nevrastenici, con molte grida, qualche piatto rotto, qualche lacrima, poi più o meno si continua sulla stessa strada. I cambiamenti sì, ce ne sono, uno cambia l'auto, uno cambia morosa, cambia ogni tanto il governo, cambia il tempo, prima c'è il sole poi piove, il tempo è incostante, a meno che lo si prenda su lunghi periodi, allora è sempre uguale, febbraio freddo e malefico, marzo ventoso, aprile con gli alberi in fiore e le campane che suonano, maggio odoroso, eccetera. Dicono che anche tutto questo è cambiato; può darsi, ma il cambiamento è la regola ciclica, le morose che si avvicendano alla fine sono equivalenti, tanto che alcuni ne tengono una sola come esemplare che le riassume tutte, e fanno bene; il tempo lo stesso, ogni anno più o meno è equivalente, solo che ci si lamenta, il guaio è questo, che ci si lamenta, ci si lamenta dell'auto, ci si lamenta della morosa, perché è sempre uguale, sempre con gli stessi limiti, l'auto perché non va forte, la morosa altrettanto, se uno ad esempio ha visto su internet nei siti porno la pioggia dorata e il pissing (e la morosa invece non vuoi bagnare il materasso perché non è igienico), o ha visto il club di scambisti, e la morosa non si ritiene scambiabile, e allora ci si lamenta, che ormai lo scambio di morose e morosi è l'attività principale durante i weekend, «perché non lo facciamo anche noi?» Se poi la morosa accetta, ecco che ci si lamenta del cambiamento: «Non sei più quella di una volta... non ti ho conosciuta così... non eri scambista nei primi tempi, né sado-maso, né feticista, né esibizionista, coprofiliaca, dedita solo ai clisteri e al vampirismo zoofilo, anche con i cadaveri... non eri così... dobbiamo parlarne». Come si vede i cambiamenti sono un fenomeno percettivo, non c'è intuizione (direbbe Kant) senza concetto, e gli do ragione, si vede che l'ha sperimentato. E le utopie? Sulle utopie si deve sparare a zero, perché l'uomo è malfatto ed è meglio se resta malfatto, impreciso, incostante, irragionevole, lussurioso, vendicativo, rancoroso, desideroso della donna altrui, desideroso dei soldi altrui, e bugiardo, l'uomo per sua natura è bugiardo, quindi crolla ogni utopia, ad esempio l'utopia di una società di perfetti scambisti, tutti verso sera vanno in un parcheggio vuoto di un supermercato e scambiano la moglie con una moglie equivalente, oppure scambiano l'auto con un'auto equivalente, o danno un'auto con pochi cavalli fiscali per un'auto più potente ma che costa molto di manutenzione, altrettanto dicasi per la moglie e per il marito. Una dà un marito di grossa cilindrata in cambio di un marito debole, impedito, bianchiccio, ma intellettuale, cinefilo, e ad esempio anche esistenzialista, fenomenologo e incline al pensiero debole. Una donna a volte può desiderare perfino questo. Oppure dà un marito odontotecnico, e in cambio ha un esodato; a volte le donne desiderano un esodato, non si capisce perché, non danno spiegazioni; o un cassintegrato, sui desideri femminili non mi pronuncio; l'ho chiesto a volte: «Cos'è che ha un cassintegrato di così attraente e lascivo?»; perché invece una cassintegrata, tanto per fare confronti, non è mai comparsa nella pornografia internet, né figura nelle classificazioni erotogene. Ma continuiamo. Nel parcheggio utopico degli scambisti, ci si scambia casa, ci si scambia figli, ad esempio si danno i propri figli a un pedofilo, in questa utopia anche i pedofili devono trovare soddisfazione. E i pedofili che cosa danno? possono dare la mamma, che è il loro bene supremo, e si raccomandano che non venga troppo abusata... va beh, lasciamo perdere, le utopie a guardarle nel dettaglio hanno anche cose inspiegabili. Però l'uomo è mentitore, e in questa utopia di scambismo universale succederà che qualcuno bara, uno darà un figlio che in realtà è un vecchio prosseneta peggio di tutti i peggiori pedofili di questo mondo, e la moglie sarà in realtà un meccanico di biciclette travestito da bella donna, e così via, l'odontotecnico sarà in realtà uno senza diploma, che non vale niente, e quindi l'utopia si dissolve, sorgeranno i campi di concentramento, le persecuzioni a chi vuole tenere la moglie e l'auto; e ci saranno carestie che decimano la popolazione, perché ogni utopia finisce in massacro e depredazioni. I capi, perché ci sono sempre i capi, pubblici o occulti, i capi prometteranno lo scambismo universale, e poi si terranno in esclusiva la moglie o un surrogato, e non scambieranno il caviale con una pizza. Le utopie sono disastri. Meglio mirare al peggio, a un'utopia ad esempio dove tutti sono barboni, nullatenenti, alcolizzati, senza fissa dimora, tutt'al più una botte come abitazione, e un mestolo che fa da scodella e da lavabo, niente rasoio, niente bagnoschiuma, ginnastica poca, quel tanto per trasferirsi sotto un ponte se piove... che in ogni caso mirando al peggio il risultato sarà sempre migliore, perché le utopie estreme non si realizzano mai, cioè si realizzano in parte e malamente, e quindi di fatto si realizzerà quella via di mezzo in cui siamo, siamo sempre stati e saremo. E la via di mezzo si chiama limbo: il limbo è la società migliore, oziosa e un po' lavorativa, filosofeggiante e anche infantile, sfiduciata e fatalista, e completamente arresa allo stato di fatto vigente. Ho il sospetto che ad una specie di limbo ci siamo già dentro, stabile, perché la rivoluzione è fatica, terrestre, senza motivi forti per ribellarsi, e senza pretese di ascendere un giorno al paradiso, che a quanto ne so, a quanto ne dicono, non c'è mai stato né ci sarà, è solo propaganda elettorale per i coglioni.

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Pagina 36

Paolo Pergola

Bernazzani e Pardini


Bernazzani, già alle medie, col suo amico Pardini, si era sempre interessato ai moti rivoluzionari. A dire il vero a quel tempo era soprattutto Pardini, il rivoluzionario. Bernazzani più che altro gli andava dietro. Tutto era iniziato con le lezioni di storia del professor Zentili. I poveri erano il terzo stato, che ne aveva abbastanza della prepotenza dei nobili, così un giorno si prese la Bastiglia. La cosa andava avanti, e ai nobili gli tagliavano la testa con la ghigliottina. A ogni taglio di testa di cui parlava il professor Zentili, a Pardini veniva da urlare «Viva la rivoluzione», e poi aggiungeva «Abbasso il potere coercitivo!», che l'aveva sentito dire da suo fratello che faceva già il liceo e aveva tutta l'aria di essere un rivoluzionario. Il professor Zentili lo sgridava, ma lui continuava coi suoi slogan, finché il professor Zentili gli metteva una bella nota sul diario, «Te la do io la rivoluzione, Pardini», gli diceva. Pardini allora si sentiva un eroe, mirava e rimirava quella nota sul diario, e gli pareva che la Malvini, la biondina del secondo banco, l'avesse finalmente notato. Anche se i genitori della Malvini erano degli sporchi capitalisti, come aveva detto a Bernazzani, io con quella non ci starò mai, gli diceva Pardini, ma quando per sbaglio all'intervallo incrociava il suo sguardo, il suo cuore di rivoluzionario si metteva a battere a mille. Magari prima me la sposo, la lotta di classe la posso sempre fare dopo, gli veniva da pensare ogni tanto, durante l'intervallo.

Ma poi la mattina finiva, suonava la campanella, i genitori della Malvini se la venivano a prendere in macchina, e Pardini rimaneva lì a guardarla mentre si allontanava, appoggiato al cancello della scuola. «Dài che andiamo a casa, lasciala stare quella lì, che è anche capitalista», gli diceva Bernazzani. Così s'incamminavano per tornare a casa a piedi. Pardini e Bernazzani facevano la stessa strada, un bel viale alberato lunghissimo, e all'ombra degli ippocastani ogni tanto si ripassavano gli slogan più belli. Pardini ne sapeva a centinaia, come «Proletari di tutto il modo unitevi!» che l'aveva letto da qualche parte ma non si ricordava dove, forse è di mio fratello, aveva detto a Bernazzani. A Bernazzani queste frasi a effetto facevano molto colpo, però a lui non gli venivano, un po' perché fratelli più grandi non ne aveva, un altro po' perché non sapeva dove andarsele a cercare. Pardini allora gli concedeva di urlarle anche lui ogni tanto, gli diceva «Dài, Bernazzani, urla anche tu, che sei un rivoluzionario, urla, che ti fa bene ai polmoni!» Spesso, il sabato pomeriggio, si sedevano su di una panchina lungo il fiume, e ogni tanto ne tiravano fuori una. Aspettavano il tramonto con il fiume dietro che scorreva in piena. Stavano seduti sullo schienale della panchina, leccandosi un gelato con panna e urlavano, a turno, «Potere agli operai!» oppure «Abbasso il capitalismo!» Se poi gli passavano davanti delle signore d'alto bordo, allora aspettavano che si fossero un po' allontanate e poi gli urlavano dietro «Viva la rivoluzione!» Pardini teneva un blocco notes su cui annotava tutti questi slogan. Nella cartella teneva anche dei vecchi numeri di «Lotta Continua», che aveva recuperato nella stanza di suo fratello. Più che altro leggeva e imparava a memoria i titoli degli articoli, che spesso potevano diventare dei begli slogan da urlare quando lui e Bernazzani si sedevano sulla panchina lungo il fiume. «Il sogno del capitalismo genera mostri!» oppure «Lotta dura senza paura!» e via così.

Un giorno però a Pardini non venne da dire più nulla sulla rivoluzione, neanche quando il professor Zentili lo provocò mettendosi a parlare della Comune di Parigi.

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Pagina 46

Stefano Tonietto

Note sul «maggio gallico» del 68 d.C.


Victor Hugo, a proposito della battaglia di Waterloo - che in realtà si svolse altrove -, scrisse che la Storia si serve dei nomi che suonano meglio. Forse la Storia, ammesso che si giovi di uno Spirito che la organizzi e la programmi, si ancora a certe date preferendole ad altre. Non è fuori luogo osservare come le guerre particolarmente significative amino concludersi in anni col 5, come la Guerra di Successione Spagnola (1715), l'epopea napoleonica (1815), la Guerra di Secessione Americana (1865), la Seconda Guerra Mondiale (1945). Nemmeno parrà vana suggestione constatare che la decollazione di certi re avviene di preferenza nel mese di gennaio (Carlo I d'Inghilterra, Luigi XVI di Francia) o che parecchie battaglie decisive si combattono nei mesi estivi. A chi parla di mere coincidenze diremo che difetta imperdonabilmente di fantasia.

L'arbitraria cronologia di cui facciamo uso, incardinata su un evento quale la nascita di Gesù detto il Cristo, avvenuto in realtà cinque, sei o anche sette anni prima dell'anno 1, è responsabile di gran parte di queste coincidenze. Tiberio Claudio Nerone, l'imperatore romano meglio noto col terzo dei suoi nomi, non seppe mai di essere giunto, nel suo ultimo anno di regno, al 68 d.C., che per lui piuttosto era l'anno 821 dopo la fondazione dell'Urbe. E quei Galli che, stanchi del suo potere fatto di bizzarrie e crudeltà, finalmente alzarono le bandiere della ribellione, sapevano altresì di essere insorti nel maggio, ma non nel maggio del 68 d.C. Furono in sostanza, ma a loro insaputa, i primi sessantottini, si licet parva componere magnis.


Nerone era un imperatore pop. Asceso al potere all'età di diciassette anni, inizialmente tenuto a freno dai suoi pedagoghi, il filosofo Lucia Anneo Seneca e il prefetto del pretorio Afranio Burro, nonché da una madre possessiva e tirannica come Agrippina, avrà dovuto sentirsi inebriato dall'enorme potere profuso nelle sue mani di adolescente. Ha un bel dire, il filosofo, che la clementia è la virtù precipua del reggitore politico; quando sei un ragazzo e folle scatenate inneggiano a te a ogni tua apparizione, quando contempli la mappa marmorea del mondo approntata da Agrippa e ti rendi conto che è quasi tutto tuo, quando solo una sposa frigida, un pedagogo triste e una madre castrante si frappongono fra te e la realizzazione dei tuoi sogni, cosa fai? Sì, perché anche un imperatore ha dei sogni. Cosa fai, allora? Divorzi dalla moglie e te ne pigli una più trendy, licenzi il tuo insegnante (oh, goduria!) in attesa di dargli congedo definitivo, simuli un attentato e togli di mezzo la genitrice mediterranea tanto invasiva, ecco cosa fai!

[...]

Si sa che in Italia ogni 68 esplode veramente solo nel 69. Il vero caos infatti fu quello dell'anno seguente, quando Galba imperatore fu fatto uccidere da Otone, che poi soccombette di fronte a Vitellio, tolto di mezzo alfine da Vespasiano. Dodici mesi, un anno, quattro imperatori, tre guerre civili, Roma espugnata da truppe amiche, con la folla che si accalcava sul Pincio ad osservare, come a teatro, o al cinema, la conquista di una città - sicuramente sgranocchiando frutta secca. Un Cesare scannato in pieno Foro, un altro suicida, un terzo linciato come Gheddafi: come sempre la situazione era sfuggita di mano ai protagonisti. E infine la restaurazione dei Flavi, nuova dinastia di origine borghese, buona amministrazione, economie (la tassa sulle latrine pubbliche), lavori pubblici, vedi Colosseo, rimbocchiamoci le maniche e rimuoviamo le macerie.

Alcuni attori di questo dramma vissero abbastanza a lungo da poterlo contemplare storicamente. Verginio Rufo, l'uomo che per due volte non era stato imperatore, morì vecchio e pacifico nel 100, lasciando in Tacito il dubbio che forse il migliore imperatore è sempre quello che non arriva a regnare.

Né Rufo né altri meno illustri, che presero parte a quelle vicende, ebbero mai chiara coscienza della situazione storica in cui si trovarono ad agire. Per colpa di una cronologia sfortunata non seppero mai di essere reduci del 68.

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Pagina 119

Ivan Fantini

Nestore Zocaie


«Gran bel piatto» si sentiva esclamare a un certo punto nel tenue brusio dell'osteria di Nestore Zocaie. L'esclamazione seguiva il rumore sordo del cucchiaio poggiato sul tavolo ed era l'esternazione perentoria di uno dei commensali dopo aver assaggiato la «Passatina di ortica con polpettine di fegato di coniglio pralinate alle noci». Gli altri commensali si giravano verso l'uomo e annuivano, poi cercavano lo sguardo di Nestore Zocaie che solo apparentemente non dava, per quanto concentrato sugli ingredienti dietro ai vetri della cucina. «Grandissimo piatto» diceva poi un altro per i Gambi di malva cotti al vapore e conditi con un olio aromatizzato con i suoi stessi fiori, e ancora «Stupefacente» se ne usciva una signora dopo il primo assaggio della Cronologia di una rosola, «Me-ra-vi-glio-sa!» la Crostatina di ciccioli con marmellata di borragine, declamava un altro alzandosi in piedi.


Applausi, articoli su giornali e riviste specializzate, interviste, segnalazioni su guide gastronomiche. Poi però pochi tornavano nell'osteria con cucina di Nestore Zocaie.

«Perché vorremmo cose un po' più normali».

Normali?!

«Perché ci è piaciuta così tanto l'ultima volta la porchetta con l'insalatina di asparagi selvatici e maionese al curry che...».

Ma erano passati sei mesi e gli asparagi selvatici ovviamente non c'erano, e non era neanche il periodo della «Smettitura del maiale», ma per gli amanti della «buona cucina» tutto questo era incomprensibile. Era impossibile capire la stagionalità, impossibile fidarsi della testa e delle mani di chi ogni giorno costruiva una minuta quotidiana con ciò che aveva a disposizione, impossibile realizzare che neanche pagando avrebbero ottenuto ciò che volevano.

Eh! E questo era davvero troppo!

Mai un pomodoro, una zucchina, una melanzana, un peperone dall'inizio di novembre fino a fine giugno, sempre erbe spontanee o crocifere nei mesi invernali. Mai un pollo, un tacchino, un'oca, un coniglio «cucinati uguale uguale alla volta precedente», e poi l'assenza di pasta all'uovo nei tre mesi invernali quando le galline non ne facevano di uova.

Ma insomma!

E poi cos'erano quei pesci piccoli con la testa e le spine che il pescatore gli portava?

E quella passione per il quinto quarto?

E poi, e poi...

Nestore Zocaie pensava che la normalità espressiva nella disciplina gastronomica rispondesse all'esperienza e all'estro, e che dovessero essere i punti fermi della professione del cuoco, pensava che la spontaneità e la gratuità fossero il primo mercato da cui un cuoco dovesse attingere, pensava che rendere eccellente un ingrediente volesse dire rispettarlo, nel senso di non appiattirne il gusto all'uso che se ne voleva fare ma valorizzarlo per le sue caratteristiche. È evidente che non sbagliava, è altrettanto evidente che non funzionava.

Da «partigiano del gusto», «giovane promessa della cucina di Frusaglia», «talento ribelle dell'entroterra frusagliese, era divenuto «cuoco eterodosso e dimissionario» senza mai smettere di cucinare. Nestore Zocaie ha smesso quella che chiamano «la professione» ma non fa altro che cucinare. Cucina costruendo il perno del suo segmento vitale quotidiano attorno alla spontaneità e all'attenzione per ciò che resta a lato, allo scarto, al rifiuto, all'abbandono, che sia un ingrediente o un mestiere, una persona o una parola, tentando di sovvertirne la consuetudine negativa e valorizzando ciò che ne resta.

«Il resto di qualcosa è qualcosa di qualcosa!» continua a dire.

Ha lavorato a stretto contatto con contadini, norcini, casari, vignaioli, mugnai, domandando costantemente ciò che non si faceva più, ciò che non si produceva più, non per un vezzo ma per capire il perché, per capire se quella cessazione fosse frutto di una incapacità o di un dovere legato alla contingenza. Ha avuto molte e diverse risposte alle sue domande e ha continuato ostinatamente a perseguire il generarsi di una emozione che si facesse stile, l'emozione che un ingrediente poteva provocare, l'emozione nel manipolarlo, l'emozione nel raccontarlo, l'emozione nel creare per ogni commensale una personale madeleine che in ogni volto a occhi chiusi rivivesse. È successo, tutto questo è successo per giorni, mesi e anni, ma tutto questo non è bastato a farlo continuare. Ci si sono messe le leggi a impedirglielo, le leggi sempre punitive e mai educative e Nestore Zocaie ha accusato il colpo, tutta la sua comunità provvisoria ha accusato il colpo. Ha resistito, ma piano piano si è dovuto accasciare perché la mente e il fisico accusavano sempre di più i colpi. Continuava a resistere Nestore Zocaie convinto che ce l'avrebbe fatta, che in qualche modo l'avrebbe scampata, ma lo hanno colpito economicamente, con multe e «messe a norma», lo hanno colpito ricattandolo e tentando di uniformarlo, svilendo stagionalità, tradizioni, spontaneità, passioni, e il valore della fatica. A un certo punto Nestore Zocaie si è ritrovato disteso, inerme, e ha decretato la sua sconfitta, la testa e il fisico non hanno retto ma la sconfitta è stata cosa preziosa.


Dopo la sconfitta Nestore Zocaie si è dedicato alla terra e agli animali facendo ciò che non sapeva fare. Ha dato vita alla sua «Utopia che passeggia» dedicandosi al recupero di frutta e ortaggi abbandonati nei campi per ottenere marmellate, succhi di frutta e sottaceti, originando un canale di baratto che lo aiuta a vivere e a imbastire nuove relazioni sociali. Continua a cucinare assecondando la stagionalità e saccheggiando la gratuità, lo fa per sé e per le persone che da anni popolano la sua aia, senza denaro, con il baratto, con gli abbracci caldi prima e dopo il sangiovese, con gli ingredienti che trova e dai quali nessuno si aspetta nulla, perché da Nestore Zocaie ci si guarisce dalla normalità.

Qualcuno ha detto «Nestore Zocaie è un rivoluzionario che non ha il tempo di aspettare la rivoluzione, perché la rivoluzione ha teste e tempi vuoti che le impediscono di realizzarsi».

Ma da anarchico quale è, Nestore Zocaie sorride e ribadisce il suo invito a ognuno ogni qualvolta lo si vada a trovare:

«Prendete ciò che volete, mettete ciò che potete», qui è di nuovo possibile.

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Pagina 128

Marino Santinelli

Non urlate per favore. L'allegria. Il prezzo. Il punto


Non urlate per favore

BUONGIORNO... STATE TRANQUILLAMENTE AI VOSTRI POSTI E NON VI MUOVETE!... QUESTA È SEMPLICEMENTE UNA RAPINA!... NO NO NO... NON URLATE PER FAVORE!... IO NON STO URLANDO E NON VI STO MINACCIANDO!... VI RISPETTO MA ESIGO RISPETTO!... mi chiamo jason e non ho mai ucciso nessuno!... perciò calmatevi respirate forte profondamente e RILASSATEVI!... voi dall'altra parte del vetro non fate suonare l'allarme!... ODIO I RUMORI FORTI... ASSORDANTI... INUTILI!... vedete... io faccio questo mestiere per mangiare!... non ho lavoro sono disoccupato e CON CHI ME LA DEVO PRENDERE?... se mi arrabbio mi viene il fegato adiposo e l'ulcera gastrica... o quel polipetto tolto con la colonscopia e mal di testa infiniti!... la vita cari miei non è facile... alti... bassi... malumore!... NON CI SI SVEGLIA FORTUNATAMENTE TUTTE LE MATTINE CON IL MEDESIMO STATO D'ANIMO!... siamo vulnerabili deboli poco umili e vogliamo il soldo facile!... speriamo nel superenalotto... freghiamo il prossimo... siamo egoisti;... MAI UNA PACCA SULLA SPALLA... una parola di consolazione... UN SUPPORTO O UN SORRISO... NON CI SALUTIAMO PIÙ!... siamo frenetici nervosi e incontentabili!... tre televisioni... due cellulari a testa... una macchina ciascuno e il pc personalizzatissimo!... l'adsl internet E LA VOGLIA DI IMITARE RICCHI E FAMOSI!... io tutto ciò lo trovo desolante voi no? - disse jason! - non capisco... state zitti... muti... non rispondete... PARLIAMONE!... «IO... IO CREDO CHE LEI HA RAGIONE... PERÒ... PERÒ COME FACCIO A FIDARMI CHE LEI NON USERÀ QUELLA MITRAGLIETTA... MI INQUIETA... NON RIESCO AD AVERE IL CERVELLO LIBERO... NON CE LA FACCIO A PARLARE!...» È QUESTO IL DRAMMA... DISSE JASON... RIMANERE PARALIZZATI... IMMOBILIZZATI... IMPAURITI!... questa è una strategia studiata e pensata a tavolino!... non bisogna reagire!... NIENTE ASSOCIAZIONI DI PENSIERO... ATTIVITÀ CULTURALI ZERO... FORZA DI COESIONE NULLA E OGNUNO PER LA SUA STRADA!... la fiducia... il cambiamento... l'amicizia... l'utopia... NON PUOI COMPRARLE IN MACELLERIA!... te li devi conquistare caro il mio lei!... paradossalmente viviamo di attese... di soldi che piovono dal cielo... DI SOGNI... DI ILLUSIONI!... ecco... SI PASSA LA VITA A PENSARE QUELLO CHE VORREMMO ESSERE E CIÒ CHE VOGLIAMO DIVENTARE!... poi ci angustiamo... perdiamo le staffe e PRENDIAMO A SCHIAFFI I FIGLI!... litighiamo con il vicino e ci si piange addosso!... poi l'ansia e la tachicardia!... IN MOLTI CASI LA DEPRESSIONE... IL CANCRO DELL'ANIMA!... allora sbrocchiamo o ci si chiude in casa ci si incazza!... ma questo non porta a niente!... solo frustrazione e alienazione!... dunque... SE CI DOBBIAMO INCAZZARE... CONVOGLIAMO LA NOSTRA RABBIA... GESTIAMOLA... AFFINCHÈ DIVENTI PRODUTTIVA!... non facciamo gesti isolati tipo legarsi con le catene davanti al posto di lavoro o scioperi con manganelli e sangue... no no no!... ASSOCIAMOCI... MA NON PER FARE UN PARTITO... NON PER PROMETTERE CIÒ CHE NON SI MANTIENE!... NON PER ILLUDERE LA GENTE...! MA SEMPLICEMENTE PER PRENDERE COSCIENZA CHE ANIMA E CERVELLO... DETERMINAZIONE E AUTOSTIMA... FORZA INTERIORE E COMUNICAZIONE... SCONFIGGANO ALMENO IN PARTE I ROBOT E I CERVELLI MECCANIZZATI!... non ci vuole molto signori... BASTA DAVVERO CREDERCI!

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Pagina 179

Irene Russo

Via Roma non esiste


1

In via Roma c'è un signore che stende i vestiti nel balcone di fronte allungandoli con la canna da pesca, perché dice che il sole dovrebbe essere equamente diviso fra tutti gli abitanti della strada, a prescindere da questioni di censo e provenienza. I dirimpettai lo lasciano fare perché in Africa avevano, così tanto sole che si sentono in debito con chi ne ha avuto di meno. La sera questo signore, non avendo vestiti da stendere, passa le ore in complicati calcoli per stabilire le percentuali giuste di irraggiamento, tenendo conto dei coefficienti di nazionalità. Dice che questa è la sua utopia, ma ogni tanto qualcuno nel quartiere protesta convinto che bisognerebbe dedicarsi a rivoluzioni più ambiziose.

Invece il signore continua a stendere il bucato alla sua maniera, forse perché, come disse lo scrittore Victor Hugo, l'utopia deve accettare il giogo della realtà. Ogni idea astratta deve trasformarsi in un'idea concreta; ciò che ogni idea perde in bellezza, lo acquista in utilità; viene rimpicciolita, ma è più efficace.




2

Una giovane donna che frequenta via Roma ha inventato un'agenda che va al rovescio: in alto stanno gli svaghi della sera mentre in basso gli impegni del mattino, gli ultimi da guardare - a detta sua - se non ci si vuole rovinare la giornata. È una buona notizia sapere già all'alba del risarcimento che ci aspetta al tramonto, sostiene la giovane donna abituata alle ore che procedono in ascesa anziché in caduta.

Le hanno fatto notare che il modello di agenda non tiene conto del movimento dell'occhio, avvezzo a buttarsi in alto a sinistra per consuetudine di lettura. Ma anche nel cuor della notte l'inventrice è in grado di sostenere, con profusione di parole argomentative, come l'occhio possa per sua vocazione adattarsi alle visioni che considera più convenienti.

Dice che questa è la sua utopia: vedere scorrere il tempo nel senso della felicità. Forse è per questo che le sue giornate partono tutte dall'intenzione di inventare come si possa nascere vecchi e crescere ringiovanendo. O forse, come disse l'ingegnere Adriano Olivetti, il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte. Solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande.

[...]

5

Può capitare di vedere in via Roma un fotografo ambulante, che usa una macchina fotografica d'altri tempi e una valigia come camera oscura. In quest'epoca in cui ci sentiamo tutti fotografi, vuole che ogni suo scatto sia speciale. Per questo scatta al massimo dieci foto al giorno e si concentra sulla qualità del momento vissuto. Tutti vogliono farsi una foto come se fossero i propri antenati.

Quando il fotografo ambulante lascia la città, alcuni si esercitano usando filtri digitali in bianco e nero per apparire persone già realizzate. Forse perché, come disse il filosofo Zygmunt Bauman, dopo l'età delle utopie del futuro e poi quella che ha negato ogni utopia, oggi viviamo l'epoca dell'utopia del passato. La nostra è un'epoca in cui il futuro si presenta sempre più incerto e minaccioso, lasciandoci in balia di un presente in cui - crollati tutti i progetti collettivi - l'idea di progresso si è completamente privatizzata.

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