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| << | < | > | >> |IndicePrefazione 5 Capitolo primo Il senso comune della sanità 9 La montagna e il topolino 9 Gli intenti 11 Senza metodologia del «Progetto Sanità» 13 Il contesto di riferimento del «Progetto Sanità» 16 Previsioni come giustificazioni 20 Le proposte a priori 24 Ipotesi e argomenti 27 Le non proposte del senso comune 35 Capitolo secondo Ammodernamento del servizio sanitario nazionale 45 La teoria della manutenzione normativa 45 Ammodernamento 48 I rischi dell'apriorismo 50 Modernità e post-modernità in sanità 52 Capitolo terzo Politica e tecnica 61 La «piccola svolta» 61 Il «6878» 65 Il «9299» 68 Il servizio incomplesso 71 Capitolo quarto Le qualità della qualità 77 Tecnici 77 Il linguaggio dell'incomplessità 80 Il paradosso qualità 83 Le qualità delle linee guida 87 Migliorare e/o cambiare 91 Proprietà e capacità 96 La qualità come cura del mondo 99 Chi decide le qualità da scegliere? 102 Nelle situazioni «come se accadessimo» 104 Qualità dal volto umano 107 Capitolo quinto Persone come cose: cittadini, operatori, esperti, profani 111 La scienza règia 111 Asseribilità: quello che dicono le persone 114 Rappresentare le persone come oggetti 119 Operatori come cose 121 Capitolo sesto Partecipazione sociale e governabilità 125 Cosa vuol dire «dalla parte del cittadino»? 125 Esperti e profani 129 Partecipazione sociale e governo del sistema sanitario 132 Capitolo settimo Fallibilità e «ineventualità» 159 Il rischio e l'errore 159 Il grado di fallibilità inevitabile 163 Capitolo ottavo Autonomia e responsabilità professionale 169 Libera professione 169 Nuovo scambio: autonomia contro responsabilità 174 Capitolo nono Livelli assistenziali e governance 181 La questione dei livelli assistenziali 181 Pubblica amministrazione e governance 189 La Babele delle Regioni 192 Capitolo decimo Sostenibilità: prevenzione, previsione, predicibilità 197 Longevità, salute, ricchezza: la sfida della sostenibilità 197 Prevenzione: pensiero debole e/o politica debole 201 La prevenzione dentro una strategia nuova: la sostenibilità 205 Prevenzione o clinica degli ambienti 210 Salute/azienda: una relazione che non funziona 215 Previsione dei rischi e predicibilità della salute 219 Capitolo undicesimo Integrazioni 225 L'ideale dell'integrazione 225 Integrazione, conformità e continuità 229 L'inflessibilità dell'ospedale 234 L'ingenuità del territorio 239 Reti e integrazioni 243 Capitolo dodicesimo La grande questione «medicina» 247 La questione «medicina» e il pensiero assente 247 Quale formazione? 251 Le fabbriche del pensiero debole 255 Proposte e controproposte 260 Capitolo tredicesimo Conclusioni 265 Colpa e debito 265 La colpa collettiva: le disuguaglianze 269 |
| << | < | > | >> |Pagina 5PrefazioneEsattamente trent'anni fa prendeva forma un «pensiero forte», la riforma sanitaria del 23 dicembre 1978, il cui obiettivo strategico era cambiare alla radice il sistema di tutela mutualistico per affermare un nuovo diritto alla salute. Le condizioni politiche, culturali ed economiche per questo cambiamento, già all'indomani dell'approvazione della riforma, si indebolirono e in luogo del cambiamento dei modelli assistenziali, presero piede strategie moderate ispirate alla buona gestione, alla razionalizzazione e al governo regionale.
A un «pensiero forte» si sostituì negli anni un «pensiero debole», un
pensiero certamente inadeguato a governare le sfide del
tempo, ma soprattutto rassegnato a operare, al meglio certamente,
dentro vecchi modelli di tutela.
Oggi questo pensiero debole non solo mostra inevitabilmente tutti i suoi limiti, la sua regressività, ma anche che i risultati attesi dalle sue politiche, cioè i miglioramenti, sono palesemente al di sotto delle necessità del sistema e delle ragionevoli aspettative. Non che non si sia fatto niente, per carità, la buona amministrazione di risultati ne ha dati molti, ma questi risultati spesso si sono pagati con nuove e più pesanti contraddizioni, come la crescita delle disuguaglianze, l'autoreferenzialità dell'offerta di servizi, la crescita della spesa privata, il contenzioso legale, la caduta della qualità delle prestazioni, il razionamento delle coperture, ecc. Oggi è chiaro che migliorare i modelli è un obiettivo sacrosanto, ma è altrettanto chiaro che questa strategia non è in grado in alcun modo di sostituirsi a inevitabili strategie di cambiamento dei modelli. È chiaro che i problemi di prospettiva a cui va incontro il sistema sanitario pubblico, soprattutto l'antieconomicità (cioè una spesa crescente senza benefici di salute crescenti), sono principalmente determinati dalla vetustà dei modelli e dall'arretratezza di forme di tutela che non sono mai state veramente riformate. Oggi, quindi, ritorna con forza la necessità di un pensiero forte, di un pensiero riformatore e di conseguenza il tema del cambiamento. Questo libro, nel trentennale della riforma sanitaria, intende dimostrare l'esistenza innegabile di questa necessità: richiamare l'attenzione della politica sui rischi, sui danni, sui limiti che si accompagnano al pensiero debole. Per dimostrarlo abbiamo analizzato grandi progetti, teorie nuove come quelle dell'ammodernamento, i rapporti difficili tra politica e servizi, il tema della qualità; abbiamo anche riesaminato grandi idee ormai rese esangui dal senso comune, come integrazione, partecipazione, livelli assistenziali, prevenzione; abbiamo pure studiato il pensiero più recente in tema di rischio, di governance, di libera professione, di formazione, di professionalità, di sostenibilità. Da questa ricognizione critica viene fuori una vera e propria mappa del pensiero debole, delle sue forme e delle sue modalità. Le conclusioni politiche che possono in qualche modo sintetizzare questo lavoro sono sostanzialmente tre: 1. Oggi il pensiero debole domina le politiche sanitarie e ha nella maggior parte dei casi la forma del «senso comune», cioè della ripetizione stanca delle stesse cose, delle stesse soluzioni, degli stessi problemi. È questo «senso comune» a essere drammaticamente incongruo rispetto alle esigenze di governo e di cambiamento del sistema sanitario. 2. Sinora abbiamo creduto che i problemi più importanti della sanità fossero quelli dell'invecchiamento, della non autosufficienza, della cronicità, della crescita della spesa, cioè problemi tecnico-finanziari. In realtà, oggi dobbiamo ammettere che il problema più grande della sanità è il pensiero debole. I problemi tecnico-finanziari, che esistono naturalmente, rischiano di non essere governati come meriterebbero: non tanto perché sono complessi, ma perché le politiche che vi si riferiscono sono inadeguate, inappropriate. 3. Il pensiero debole che viene fuori da trent'anni di riformismo sanitario non è il segno distintivo della generazione che ha ereditato la riforma del '78, ma della classe dirigente che questa generazione ha espresso. Una classe dirigente che nasce debole perché espressione a sua volta di logiche politiche deboli (quelle note e arcinote) e che per sua sfortuna ha ereditato progetti molto impegnativi, spesso più grandi delle sue forze, che ha dovuto fare i conti anche con molte ingenuità del pensiero forte, che si è trovata tra i piedi cambiamenti profondi, emergenze e nuove sfide. Una classe, tuttavia, che pure con le attenuanti storiche resta sempre quella che con le sue scelte, le sue leggi, le sue politiche sta portando il sistema sanitario pubblico verso una prospettiva che i più definiscono di insostenibilità; una prospettiva preannunciata dalla nostalgia per le mutue, da fenomeni delicati come il razionamento, dalla crescita delle disuguaglianze, e della spesa privata, da esperienze di governo regionale in molti casi deludenti e soprattutto dalla scomparsa di un servizio sanitario nazionale e universale. | << | < | > | >> |Pagina 9Capitolo primo
Il senso comune della sanità
La montagna e il topolino Nell'ottobre 2006 un importante e prestigioso centro di ricerca pubblicava il «rapporto finale» di un lungo e complesso lavoro di elaborazione collettiva sulle problematiche sanitarie nel nostro paese, che chiameremo «Progetto Sanità». L'organizzazione di questo progetto, peraltro promosso da una grande impresa farmaceutica multinazionale, si basava su sette tavoli tecnici che nel loro insieme rappresentavano «più di dieci milioni di cittadini, utenti e operatori della sanità», quindi tutti gli «attori» e gli «interlocutori chiave» della sanità in Italia. Questi tavoli erano in qualche modo supervisionati da un advisory board che riuniva i massimi esperti in tema di «sanità ed economia», tra i quali figuravano due ex ministri della sanità italiana. I risultati di ciascun tavolo furono oggetto di specifici workshop e raccolti in sette position paper pubblicati su un importante quotidiano nazionale. In sanità, iniziative progettuali così metodologicamente curate, confronti tanto rappresentativi e una massa critica di questioni a un tempo complesse e complicate, non si erano mai visti. Se non altro per ragioni di sostenibilità economica e di uno sforzo organizzativo che non tutti sono in grado di garantire. Abbiamo avuto modo di studiare i materiali in corso d'opera, anche se non coinvolti formalmente in alcun tavolo di lavoro, e di discutere del progetto con gli organizzatori che nel frattempo ci avevano sollecitato un'opinione «amichevole» e «informale». Rimanemmo subito colpiti da una caratteristica di fondo: lo squilibrio tra organizzazione e proposta, quello che in genere si spiega con la metafora della montagna che partorisce il topolino. Il rischio che ci sembrava di vedere era una piccola e modesta proposta, ma partorita, da un'organizzazione e da un budget davvero ragguardevoli. Naturalmente riferimmo la nostra impressione documentandola con rilievi, esemplificazioni, analisi e confutazioni. Gli organizzatori erano ben coscienti di questo rischio e siamo testimoni degli sforzi da loro fatti per attutirne il più possibile la portata. Alla fine, però, la nostra impressione iniziale finì, loro malgrado, con il coincidere in tutto e per tutto con il «rapporto finale»: la proposta complessivamente intesa, e le singole proposte tecniche, nonché l'impianto politico della strategia suggerita, si proponevano come puro «senso comune». La proposta non andava oltre il sentire generale, la consuetudine dell'opinione diffusa, cioè oltre quell'insieme di «credenze» che in quel momento, in questo momento e chissà ancora per quanto, circolavano e circolano in sanità. Per «senso comune» intendiamo l'espressione di un pensiero debole e la fonte inevitabile di politiche deboli. Per pensiero debole non intendiamo il pensiero relativo che depotenzia la ragione forte, di tipo cartesiano (di cui si sono occupati anni fa filosofi come Vattimo e Rovatti), ma al contrario un pensiero che non innova, anzi ostacola il cambiamento: cioè non aggiunge nulla o ben poco al senso comune, per l'appunto, in una situazione in cui oggettivamente c'è bisogno di innovare e cambiare. Una situazione nella quale c'è bisogno di un pensiero forte. Il pensiero debole in sanità è soprattutto un pensiero inadeguato, inappropriato, inadatto, insufficiente ad affrontare le grandi contraddizioni del sistema sanitario, i suoi grandi problemi, sia immanenti che di prospettiva, e a inventare, con una costante reinterpretazione dei contesti, i suoi ideali regolativi, i suoi princìpi fondamentali. La debolezza in questo caso non è una virtù filosofica che smaschera le arroganze dei saperi forti della sanità, è un difetto che rivela solo la miseria di un'elaborazione rispetto alle sfide che si dovrebbero affrontare. Il pensiero debole è una sottodeterminazione di ciò che servirebbe. Nel caso del «Progetto Sanità», quindi, non si tratta tanto di criticare i promotori e gli organizzatori del progetto, ma di comprendere in che modo e perchè un collettivo altamente qualificato e rappresentativo non riesce ad andare oltre il senso comune. Si tratta di rispondere ad alcune domande: perché una montagna partorisce un topolino? Come succede? Come facciamo a distinguere un pensiero debole da uno forte? Cos'è il senso comune in sanità? Che cosa misura e definisce le politiche deboli? Senso comune, pensiero debole, politiche deboli, non sono per caso le diverse espressioni di un atteggiamento conservativo? Risponderemo a queste e ad altre domande cercando di analizzare e di comprendere come si organizza il senso comune in un progetto, come esso si esprime e quali sono le sue forme, i suoi punti deboli, i suoi inganni e le sue contraddizioni, cercando di confrontarlo con un altro pensiero, più adatto, più appropriato a risolvere gli stessi problemi e a rimuovere le stesse contraddizioni. La logica che adotteremo non è quella che contrappone, ma quella che analizza la coerenza, la pertinenza, la plausibilità delle tesi e dell'atteggiamento complessivo, cioè di quella mentalità collettiva che in quanto senso comune va oltre il singolo progetto, il singolo convegno, perché riguarda una fase, un clima, e forse financo un'intera classe dirigente. Capire la debolezza del pensiero, in sanità, non è capire un qualche grado di erroneità, ma un certo grado di arretratezza culturale, di visioni vecchie del mondo sanitario, di modi superati di attendere agli interessi privati e pubblici: è capire le difficoltà di una classe dirigente a esprimersi attraverso una politica di cambiamento, riformatrice si direbbe oggi.
Mai come oggi, alla retorica persino stucchevole sul riformismo corrisponde
un così basso livello di pensiero creativo.
Gli intenti La filosofia del «Progetto Sanità» è nelle sue premesse. Tre sono i passaggi della sua impostazione: • si parte con un giudizio tutto sommato positivo sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN), pur ammettendone limiti e criticità; • si cerca di risolvere il problema della distanza tra le esigenze e le aspettative dei cittadini, e la capacità del SSN di dare risposte adeguate; • l'obiettivo strategico è «valorizzare il SSN e renderlo più efficace, efficiente e quindi sostenibile nel lungo periodo». Poche idee chiare, ma soprattutto una inequivocabile visione conservatrice del mondo sanitario. Che cosa ricaviamo da questa impostazione di fondo? • La scelta strategica scaturisce dal giudizio di partenza: se il SSN funziona male l'obiettivo è solo ed esclusivamente di migliorarlo rimanendo coerenti al modello e alle caratteristiche; • il miglioramento è più un problema tecnico che politico. I tavoli tecnici ne sono la dimostrazione. Si propone una metodologia problem solving di stampo popperiano. Lo schema è problemi/ipotesi/soluzioni; • si fa leva sul valore razionale degli interessi in gioco. In premessa è precisato che i vari comportamenti dei tavoli tecnici possono considerarsi «portatori di interessi» nel complesso mondo della sanità. Partire dalla razionalità degli interessi, inevitabilmente crea un senso comune alimentato dall'autoreferenzialità dell'interesse in quanto tale, razionale o non razionale che sia. Autoreferenzialità dell'interesse vuoi dire che i suoi rappresentanti chiamati a migliorare le cose si propongono come risolutori (problem solvers) e mai come «problemi»; ma, così facendo, è come se essi implicitamente rifiutassero approcci, interventi, visioni politiche «esterne» al sistema sanitario, tutte quelle che potrebbero denunciare le loro eventuali responsabilità, relegando la politica a una semplice funzione di supporto dei loro punti di vista. Va precisato che le ragioni dei tecnici, in prima istanza, non coincidono con banali interessi corporativi, ma con un interesse collettivo che alla fine può essere sintetizzato così: tutto quello che è necessario migliorare riguarda sempre gli altri, e in ogni caso la soluzione siamo noi e la politica ci deve aiutare a esserlo. Non è particolarmente difficile vedere, in questa filosofia, tutti i luoghi comuni del senso comune: siamo nel mondo dell'opinione, per quanto espressa nella forma di una maggioranza e di una collettività tecnica; tali opinioni sono asserite nella forma della certezza: non perché scientificamente comprovabili, ma perché convenzionalmente condivise; le evidenze che vengono avanzate costituiscono un «sapere di fondo» fortemente influenzato dagli interessi in gioco; la «proposta» che ne viene fuori è un insieme di credenze giustificato da una necessità di «tutela» di se stessi, emerge il carattere di fondo del senso comune: l'autonomia di una visione delle cose, intendendo con questo termine una collettività di interessi che determina essa stessa le condizioni del discorso. In senso stretto l'autonomia è il potere di un pensiero autoreferenziale fortemente autosuggestionante, nel senso di credere vero ciò che conviene lo sia. La comunità degli interessi ha in sé il centro da cui inevitabilmente deriva la propria interpretazione della realtà, la sua valutazione, ma soprattutto l'autoevidenza del senso comune che essa esprime.
Il senso comune tende così a riprodurre le credenze da cui esso
si origina. Da qui il suo carattere eminentemente conservativo e
il suo pensiero terribilmente debole.
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