Copertina
Autore Ivan Cavicchi
Titolo Filosofia della pratica medica
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2002, Saggi Scienze , pag. 336, dim. 147x220x18 mm , Isbn 978-88-339-1408-4
LettoreCorrado Leonardo, 2003
Classe medicina , filosofia
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Indice

  9     Prefazione

        Parte prima

 15  1. Come se fosse medicina
 18  2. L'essenza nominale della medicina
 22  3. Per una definizione aperta
 26  4. Modi della natura
 29  5. Ridiscutere la sostanza
 33  6. L'idea e la sostanza
 36  7. Essere e natura
 39  8. Ontologie nascoste
 43  9. La grande macchina
 47 1O. Il composto umano
 50 11. Un corpo molto personale
 53 12. Il concetto di natura
 56 13. La storia secondo natura
 59 14. La natura secondo storia
 63 15. Una normale natura patologica
 66 16. Natura e storia
 70 17. La natura della malattia
 73 18. Il quasi-oggetto
 76 19. La malattia come concrescenza
 79 20. Per una filosofia della medicina
 83 21. I mondi inesemplificati delle
        possibilità
 86 22. Il rasoio del fisicalismo
 89 23. La sapienza della medicina
 92 24. La medicina come arte
 96 25. Retorica medica
1OO 26. Arte come filosofia
1O4 27. L'arte dell'esperienza
1O7 28. L'autore
111 29. L'opera
115 30. Concretamente
119 31. Il gioco e il rito
123 32. Sensibilità ontologica
127 33. Vedere-come
131 34. Intenzionalità
135 35. L'ontologia e il fenomeno
139 36. Il condizionale ontologico
143 37. La domanda di ontologia
147 38. Medicina della medicina
151 39. Una visione unitaria
155 40. Filosofia e scienza

        Parte seconda

161  1. Onto-logica
165  2. Il procedimento ragionato
169  3. Analisi
173  4. Logica della spiegazione
177  5. Nome e oggetto
181  6. L'oggetto del significato
185  7. Sapere-come
189  8. Figure di contenuto
193  9. Indicali e riferimenti
197 10. Semeiotica di secondo livello
202 11. L'ipotesi clinica
206 12. Retrodeduzione
21O 13. Inerenza
214 14. Pato-logica
217 15. Il paradigma indiziario
221 16. Problematologia
225 17. Pan-problematismo
229 18. Adeguare il problema all'oggetto
233 19. Adeguare l'errore all'oggetto
237 20. Misteri
241 2I. Il ragionamento pratico
245 22. Il fare e 1'agire
249 23. Il ragionamento tecnico
253 24. Operare senza fare
257 25. L'inferenza pratica
261 26. La scelta come premessa
265 27. Il principio di primarietà
269 28. Il volere
273 29. Conoscenza, valori, credenze,
        preferenze
277 30. Credere e conoscere
281 31. Conoscenza condizionale e
        affidabilità
285 32. Possibilità logica
289 33. Plausibilità
293 34. La funzione propria
297 35. Conoscenza pragmatica
301 36. Dall'implicito all'esplicito
305 37. Il sillogismo clinico
309 38. La medicina modale
313 39. Oltre il vero e il falso
317 40. Semantica medica
321 41. I mondi possibili della medicina

325     Note

 

 

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Pagina 9

Prefazione


Con questo libro propongo una vera e propria filosofia della medicina. Ma attenzione! Non quella che si intende in modo tradizionale, come una sorta di sovracopertina colorata della medicina scientifica, e che parla delle solite cose (la comunicazione, il rapporto medico-malato, i valori morali, la deontologia medica ecc.), ma una filosofia specifica quale parte fondamentale del giudizio e della valutazione medica e, per questo, utile al malato come la conoscenza scientifica. Questa è la novità. Sostengo che il ragionamento scientifico nei fatti varia con le premesse filosofiche e, in ragione di una banale regola transitiva, che la filosofia è, in medicina, importante come la scienza. E che una certa filosofia deve far parte della formazione di un medico. Propongo un'alleanza nuova tra filosofia e scienza per accrescere l'efficacia della medicina stessa, per renderla migliore rispetto alle multiformi necessità di chi sta male. Non si tratta di una filosofia teorica, che mendica alla scienza un po' di comprensione ma, al contrario, di una filosofia pratica quale condizione per la scienza, cioè funzionale ai suoi propri obiettivi e, per questo, indispensabile, con piena titolarità e pieno diritto di cittadinanza. A chiedere, con forza, questa specie di riabilitazione da una parte, ma anche reinvenzione dall'altra, è quella società che abbiamo descritto in La medicina della scelta. Nel solco di questa riflessione già a partire da L'uomo inguaribile, passando per Il rimedio e la cura, Filosofia della pratica medica continua l'esplorazione e l'ideazione per un rinnovamento profondo della medicina cosiddetta «ufficiale» o «classica». Ciò che propongo è, più propriamente, una filosofia quale ontologia, intendendo per ontologia (va chiarito subito) non già la metafisica dell'essere, che già la medicina positivistica con Comte ancora prima di Bernard aveva smantellato (e che non è recuperabile), ma una concreta concezione della realtà, del malato, della natura. L'ontologia della natura che propongo, quale filosofia della medicina, è una meditata mediazione rivolta al sapere scientifico. Una mediazione per favorire l'alleanza tra filosofia e scienza. So bene che un malato non è solo natura (e di questo si terrà conto nella trattazione), ma so, altrettanto bene, che tutto ciò che è fuori dalla natura, o oltre, o sopra, è di difficile comprensione per il medico con una formazione classica. L'idea è di trovare, nella natura, un punto di incontro tra un'ontologia che la reinterpreti andando oltre il classico concetto di «sostanza» e una scienza che accetti di rinnovarsi di conseguenza e di ridiscutere i suoi modi di ragionare. Mi sembra, tutto sommato, una mediazione ragionevole, che supera, in un colpo solo, il metafisicismo di certi cultori dell'umanizzazione e lo scientismo di certi medici. L'ontologia, premessa della scienza medica, significa premessa dentro un ragionamento che, per quanto scientifico, resta innanzi tutto un ragionamento. È noto che la disciplina che si occupa dei ragionamenti è la logica. E questa è la seconda grossa novità del libro. In genere si ritiene, in particolare nella manualistica clinica, che la clinica non abbia logica. Questo è vero se per logica intendiamo un rigoroso procedimento formalizzato o l'uso di leggi logiche. Ma se intendiamo la logica semplicemente come ragionamento, la clinica e la medicina in generale non solo hanno una loro logica (peraltro storicamente ben individuabile e connotabile), ma anche una logica da cui dipendono le loro «corporee» congetture scientifiche. Il ragionamento scientifico varia con le premesse filosofiche, e con i modi di ragionare. La logica, proprio in medicina, si trova a mediare le relazioni forti che esistono tra ontologia e scienza. In medicina la premessa al ragionamento scientifico, così, si amplia. Essa diventa onto-logica. Dal modo in cui il medico vede il malato dipende il suo modo di ragionare e da questo il suo modo scientifico di operare delle scelte. Al pari dell'ontologia la logica, in medicina, con la scienza, partecipa alla sua efficacia complessiva, alla sua concreta riuscita, al raggiungimento dei suoi propri scopi.

Essa è terribilmente concreta. Debitamente specificata in termini medicali, essa dovrebbe rientrare in un programma ideale di formazione del medico. Ritengo che tutto quanto partecipa significativamente alla formazione del giudizio clinico debba costituirvi materia di insegnamento. Come organizzare questi insegnamenti che, prima dell'avvento del positivismo, in medicina, erano la regola? E in modo moderno e consono alle esigenze del malato attuale? Le proposte sono essenzialmente due: la medicina della medicina e la medicina modale.

Con la prima si intende semplicemente orientare l'insegnamento (ma non solo), che per ora è prevalentemente disciplinare (primo livello), con un insegnamento metadisciplinare (secondo livello) in grado di indirizzare il medico verso quello che potrei definire il lavoro di formazione delle «premesse». Se la premessa è fondamentale al ragionamento scientifico non è per niente scandaloso formare un medico alla costruzione più efficace della premessa. Un esempio pratico: la semeiotica clinica senza una formazione di semeiotica generale riduce le capacità congetturali del medico.

Oppure, l'inferenza clinica senza una formazione logica riduce significativamente le opzioni congetturali di un medico (ma problemi analoghi valgono per la comunicazione, la filosofia del linguaggio, l'economia sanitaria ecc.). In ambito formativo la «medicina della medicina» risponde a due esigenze: quella di recuperare i deficit della formazione preuniversitaria, ma anche quella di specializzare saperi che, nella formazione preuniversitaria, non possono che essere ad impronta generale. Quello che si studia al liceo non può essere specificato in senso medicale. In ambito operativo la «medicina della medicina» è una proposta che non si esaurisce con la formazione universitaria, ma è soprattutto un'idea di riflessione costante sull'atto medico. Essa rientra nella pratica quotidiana perché è riflessione su ciò che un medico fa come parte costitutiva del fare. Riflettere sull'atto e agire l'atto, sono, per la «medicina della medicina», la stessa cosa. Questo è un modo di rispondere alle nuove esigenze della società moderna che sempre più chiede di essere inclusa nella congettura e, quindi, nella scelta come persona titolata ad asserire le «sue» verità.

Con la «medicina modale» si intende (per quanto risulti strano), togliere di mezzo non solo la metafisica che specula sull'essere e che ogni tanto riemerge qua e là dietro le mistiche della persona, dell'umanizzazione, del diritto, ma anche quella che intride, suo malgrado, la visione della scienza medica ostinata a considerare in modo assoluto (cioè metafisico) la realtà, o la natura, o il corpo, o un sintomo. Un malato sicuramente «è quello che è» ma, nel suo esistere, vi sono tali e tante modalità da chiamare in causa le varie circostanze del suo essere e, addirittura, la sua storia. La «medicina modale» è medicina del possibile e del contingente. Essa ricorre a nuove logiche di tipo, ad esempio, pratico-inferenziale o plurivalenti, che le consentono un più alto grado di flessibilità nei ragionamenti ma, soprattutto, un loro più alto grado di adattabilità e di adeguatezza al malato nella sua unicità, singolarità e specificità. Se il modo di essere di un malato varia in modo impressionante da malato a malato non si può congetturare su di lui come se fosse un «ente assoluto». In questo testo la medicina modale è un traguardo che si raggiunge attraverso un viaggio dentro il ragionamento classico della clinica, ma anche dentro una razionalità medica che, tutto sommato, è praticamente ferma alla sillogistica e all'assiomatica di Aristotele. In conclusione, questo libro è certamente «quello che è», un tentativo di ammodernare la ragione e il pensiero della medicina. Naturalmente i suoi modi di essere, oltreché dipendere dagli argomenti sostanziali trattati (certamente non dei più facili), dipendono anche dalle modalità di chi scrive (non è facile manifestare un pensiero, cioè formularlo e riferirlo come se fosse la cosa più chiara al mondo). A questo genere di difficoltà si può ovviare con la complicità dei nostri interessi: i modi di scrivere sono importanti quanto quelli di leggere. «Scrivere» e «leggere» sono modalità (anch'esse) del pensiero e del pensare in medicina ma in funzione di chi sta male. Solo così la filosofia può davvero, con la scienza, migliorare le cose.

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Pagina 22

3.

Per una definizione aperta


Un modo più moderno di definire la medicina, e che in qualche misura aiuta a superare i limiti delle definizioni, per essenze nominali, è quello secondo il quale essa è:

- una dichiarazione di significati di molti termini;

- una dichiarazione dell'uso che di tali termini può essere fatto;

- una dichiarazione dei campi semantici nei quali avviene tale uso.

In tal caso non esiste più una essenza privilegiata, né nominale né sostanziale, sulla quale basare la definizione di medicina. Il passaggio è decisamente innovativo: da una definizione, comunque chiusa (sia essa scientifica, artistica o ermeneutica), si passa a una definizione aperta. Il che equivale a dire che esistono più possibilità per definire la medicina a fini diversi e tali possibilità possono tutte, seppure con pesi diversi, essere dichiarate essenziali rispetto ai loro fini. Questo è il passaggio per riconoscere i limiti di tutte quelle definizioni di medicina che oscillano tra le scienze nomotetiche e quelle idiografiche o che si schierano a favore di una essenza o di un'altra. La proposta è la seguente: ogni qual volta le condizioni sono x, y, z, il termine M (medicina), sarà usato «come» x, y, z. Questa definizione di medicina suppone sempre e in ogni caso un contesto, cioè un insieme di presupposti o di presupposizoni che costituiscono un preambolo della sua definizione. A seconda della natura del preambolo, la definizione di medicina potrà avere un diverso carattere. Se il preambolo della medicina fa riferimento alla statistica e all'epidemiologia, ad esempio come nel caso dell'EBM, la sua definizione sarà semplicemente convenzionale e induttiva.

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Pagina 35

Introdurre il modo di essere della medicina quale connotato costitutivo della medicina stessa ribadisce quanto già sostenuto. Cambiando il modo di essere della medicina cambia il modo di essere della sostanza, della natura e viceversa. Dal «cos'è» al «com'è», dal «com'è» al «cos'è». Ciò che cambia nella definizione classica di medicina è, quindi, l' idea esistenziale di natura. Un cambiamento che autorizza a porre con forza la questione dell'ontologia, oltreché quella altrettanto forte di scienza. La nuova definizione di medicina potrebbe suonare così: essa è i modi di essere scienza rispetto a tutto ciò che, in modo reale, è. Intendendo per «modo reale» un'idea di «sostanza» plurale e non monista. Così la sostanza non è ridotta solo a modalità del discorso, quindi priva di spessore ontologico, ma recupera questo spessore senza contrapporre il modo di essere della natura al modo di spiegarla. Dire «ciò che è» è una questione di modalità perché quello che è non è autonomo, né dall'essere (ontologia) né dallo spiegare (scienza).

La medicina quindi non è più solo scienza ma è ontologia e scienza.

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Pagina 54

[...] Dall'altra, il giudizio medico è riflessione. In questo caso, più che regole scientifiche, valgono i principi ontologici che è conveniente seguire in una data circostanza senza che si sia costretti a farlo sempre, ovunque, con chiunque. Un esempio di questa circostanza è il «consenso informato». Qual è il salto rispetto alla vecchia ontologia cartesiana? In funzione del giudizio la medicina decide le proprietà della persona malata. Proprietà, si badi bene, che appartengono a una natura estesa, riassunta nella persona. È come porre dall'esterno, alla natura stessa, le sue proprietà. Tali proprietà sono conferite dalla medicina e sono proprietà umane dal momento che il giudizio medico resta un giudizio soggettivo. È la medicina che si accorda con i fenomeni chiamati malattie, accordo reso possibile da un certo modo di vedere la persona malata. Il salto è quindi ontologico. Nella natura della persona malata non si vede più una banale macchina causale e neanche quello che, troppo genericamente, viene definito un'approssimazione della macchina, un «soggetto», ma si vedono delle spiegazioni a proposito (direbbe Kant) del concetto di natura, cioè a proposito dell'ontologia di riferimento. E qui si registra un altro passaggio importante: se prima le spiegazioni appartenevano alla natura, ora esse appartengono a chi le pensa, le razionalizza, cioè alla medicina. È la medicina che sceglie le spiegazioni da dare della natura. Perché la cura di una malattia sia possibile, serve che tra le leggi vagliate e i fatti patologici osservati ci sia un lavoro di concettualizzazione. La razionalità medica concettualizza la natura. Ma in che modo le famose leggi di natura si lasciano organizzare dal sistema concettuale della medicina? È semplice: con l'umanizzare le spiegazioni, cioè togliere alla natura la sua pretesa autoesplicativa. La natura sotto forma di organismo: non è una tecnica meccanica e non è neanche il progetto di questa tecnica. Ne deriva che la spiegazione non può essere data solo quale prodotto di processi naturali, ma anche come loro concettualizzazione. Kant afferma che un filo d'erba non potrà mai essere compreso in base ad un'analisi causale. Ne deriva che, per evitare il contrasto tra leggi naturali e concettualizzazione, è necessario pensare un'altra ontologia della natura, cercando di comprendere i fenomeni attraverso una medicina in cui non esiste questo contrasto. Il senso di una concezione umana della natura, per la medicina, significa una cosa sola: compiere la natura concettualizzandola. Si tratta di una svolta umanista. Solo in questo modo si può reintrodurre l'idea di persona sottraendo il malato non alla natura, ma a quell'ontologia della natura che lo riduceva a una macchina. Questa è un'operazione che prelude a un ingresso importante: quello della storia. Tale presenza non è estranea alla medicina. Per molti essa, nella sua accezione clinica, studia la malattia del singolo nella sua forma storicamente determinata. È stato Windelband a distinguere le scienze che vanno a caccia di leggi e concernono la natura (nomotetiche) da quelle idiografiche che hanno per oggetto la storia. Anche Ampère aveva proposto qualcosa di simile distinguendo scienze dello spirito (noologiche) e scienze della natura (cosmologiche). Ma è stato Cournot a prendere le distanze da coloro che pensavano alla natura come a qualcosa di eterno, legificato, con regole immutabili quali fondamenti, tutto sommato, di una natura armonica. La sua distinzione tra scienze che implicano un dato storico e scienze fisiche che implicano un dato teorico, di fatto, introduce l'importanza del rapporto tra storia e natura. Le scienze che implicano un dato storico descrivono fatti attuali quali esito di fatti anteriori che si sono prodotti successivamente gli uni agli altri. In questo senso le scienze fisiche non sono «scienze del mondo», ma della natura. La medicina quale scienza della natura dovrebbe essere una scienza fisica, ma come scienza delle persone dovrebbe essere una scienza storica. È una contrapposizione problematica. La medicina deve sempre collegare la natura alla storia.

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Pagina 79

20.

Per una filosofia della medicina


Vediamo di riepilogare. Abbiamo tentato, come si ricorderà, di esplorare una definizione di medicina in grado di dare conto dei problemi ontologici e dei problemi scientifici legati alla malattia. Poi abbiamo anche criticato una sua versione riumanizzata, quella che si limita ad appiccicare a una vecchia idea di natura tutto ciò che non è naturale. Abbiamo quindi valutato la possibilità di un altro percorso, partendo dal presupposto che una ridefinizione scientifica della medicina non sia efficace se non attraverso una ridefinizione ontologica del concetto di natura. Quindi deliberatamente abbiamo lavorato per riumanizzare, prima di tutto, l'idea di natura, convinti che avremmo riumanizzato davvero la medicina intesa quale «scienza della natura». Del resto siamo convinti che predicare l'umanità della medicina attraverso le solite tesi sul rapporto medico-malato, sul dialogo e la comunicazione, sul consenso informato, sul rispetto della persona, sulle carte dei diritti ecc., al massimo contribuisce a un miglioramento deontologico della medicina. Ma nulla di più. Con ciò, non si vuole sottovalutare la deontologia (per carità!) ma solo insistere su una nostra vecchia tesi: la riumanizzazione della medicina necessita di un ripensamento profondo di un intero apparato ontologico. Insistiamo: si tratta di un ripensamento prima di tutto di natura ontologica, e solo dopo epistemologico. Sul secondo abbiamo scritto già molto in L'uomo inguaribile, Il rimedio e la cura e La medicina della scelta. Sul primo la ricerca è aperta, come la caccia quando è tempo di caccia. Essere medici umanisti considerando un malato una macchina cartesiana, non è così umanista come può sembrare. Considerare un malato qualcosa di diverso da una macchina può invece contribuire a una riumanizzazione seria della medicina. Al punto dove siamo arrivati però abbiamo l'impressione e avvertiamo il disagio di essere caduti, nostro malgrado, in una contraddizione. Abbiamo fatto tanto per riabilitare una ontologia umanista della natura, asserendo quasi un naturalismo filosofico, senza renderci conto che questo, almeno nelle sue rappresentazioni radicali, propone la sostituzione della filosofia con la scienza. Ma negare con la scienza la nostra preziosa ontologia è esattamente il difetto più grave dello scientismo medico. Il nostro intento, in realtà, è di integrare ontologia e scienza in una base ridefinitoria della medicina stessa. La contraddizione probabilmente si risolve liberandoci da una serie di possibili malintesi. Per quanto il naturismo giochi in chiave anti-ontologica, non esiste una medicina che in nome della scienza si possa illudere di fare a meno dell'ontologia o vantarsi di non possederne alcuna. Il vuoto ontologico, lo ribadiamo, non esiste. La questione del «naturismo» della medicina è una di quelle cose che meritano attenzione. Essa è trattata da quegli autori che parlano di «filosofia della medicina» e da quegli altri, come Voltaggio ad esempio, che parlano di medicina come «scienza filosofica». Nel primo caso il termine filosofico è un po' eccessivo, nel secondo caso il dubbio da sciogliere è se si voglia intendere l'eliminazione della filosofia in favore di una scienza più sapienziale oppure se si voglia integrare, ma nello stesso tempo far coesistere, la filosofia con le scienze. Ma in questo caso si tratta di capire il verso del naturalismo. In generale esso intende due cose: una sorta di scatolone per raccogliere tutte quelle filosofie per le quali ciò che conta è ciò che appartiene alla natura pensata come «fisicità»; oppure ciascuna filosofia che indaga il reale con i metodi offerti dalle scienze naturali. La prima è più ontologica, la seconda è più gnoseologica; la prima percorre tutta la storia della medicina con l'eccezione di quelle fasi antiche dove al «naturale» si preferiva il «sopra-naturale», per la seconda invece non vi è dubbio che essa inizia sul serio con il positivismo, quindi con la nascita delle «scienze naturali». Nella cosiddetta «medicina metafisica» di Bernard vi è un forte carattere naturalista che, sotto un altro punto di vista, compare anche nel taglio scientista di molte cosiddette «filosofie della medicina». Oggi la medicina è prevalentemente una scienza positivista con un naturalismo ovviamente di tipo positivistico, a differenza di quello logico-metodologico di certe tendenze come l'EBM che sono in realtà a bassissimo contenuto naturalistico. Si tratta di tendenze nelle quali è come se si tentasse di rimediare a una sorta di debolezza dell'esperienza medica cercando di ricorrere alla logica statistica, o alla biometria. Una debolezza che riguarda l'esperienza della natura, ma anche la logica statistica riguarda la natura. Il che vale come una sorta di scientismo naturalistico su base statistica. Da Neurath riprendiamo la metafora del filosofo e del medico che si trovano sulla stessa barca, senza che ai due si conferiscano compiti in qualche modo privilegiati. E il carattere particolarmente complesso della medicina che richiede la loro convivenza collaborativa. Lo scopo? Riflettere insieme, in modo nuovo, sulla tesi portante del naturalismo medico. Dire che in medicina ogni cosa fa parte del mondo naturale, funziona se questo viene esteso a ciò che non è naturale, come la storia. Se però per mondo naturale intendiamo la natura in senso stretto, non funziona più. Siamo nello scientismo. Una delle sue peculiarità è negare le cose scientificamente più discutibili e affermare le meno discutibili; quelle date per vere o verosimili. In genere le cose discutibili sono quelle che allargano l'idea di natura, mentre le altre sono quelle che la restringono. Allargare o restringere l'idea di natura però non è un problema primariamente scientifico bensì ontologico. Se per natura un medico intende solo le cose che esistono nello spazio e nel tempo, il malato e la sua malattia saranno un sistema spazio-temporale. Di conseguenza il medico negherà cose vere che pur appartengono al malato e alla malattia, ma che non sono riconducibili alle coordinate spazio-temporali di un evento. Alla stessa maniera si ammetteranno altrettante cose vere, compatibili con quelle coordinate. Per cui il medico si comporta facendo in modo che dalla verità di ciò che afferma consegua che anche ciò che nega sia vero. Non c'è dubbio che una malattia è qualcosa di più di un problema spazio-temporale. Ma allora, perché negarlo in nome della «scienza della natura»? Tutti i medici sono d'accordo che esistono cose spazio-temporali, in particolare i chirurghi, i cardiologi, gli internisti e altri. Ma non tutti sono convinti che non esistono cose solo spazio-temporali. Gli psichiatri, ad esempio, i cardiologi, gli immunologhi ecc. Vi sono psichiatri e medici dei servizi di prevenzione che sono convinti dell'esistenza di entità fuori dallo spazio e dal tempo della natura. Vi sono medici che pensano al capitalismo come causa fondamentale di malattie (quelli di medicina democratica, ad esempio). Costoro, in qualche modo, ragionano come gli scolastici preoccupati di trovare la «prima causa efficiente». Si rammenti, ad esempio, Scoto e il suo De primo principio. Questi medici pensano che ogni malattia sia contingente (avrebbe potuto essere evitata), che ogni cosa contingente abbia una causa, quindi che tutte le malattie in quanto contingenti abbiano una causa ma che, dal momento che esse non sono autocausate, sia legittimo ritenere che esse sono causate da qualcosa fuori di esse. In altre parole da cause non spazio-temporali. Queste comprendono la famiglia, la società, il capitalismo, il sistema produttivo ecc. Ebbene, per quanto discutibile, tale ragionamento di fatto nega una ontologia naturalistica e, proprio come quello degli scolastici, rientra più nell'ambito della teologia naturale, o, se si preferisce, in quello di una qualsiasi ideologia naturale.

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