Copertina
Autore Ascanio Celestini
Titolo Pro patria
EdizioneEinaudi, Torino, 2012, Supercoralli , pag. 130, cop.ril.sov., dim. 14x22x1,5 cm , Isbn 978-88-06-21363-3
LettoreGiangiacomo Pisa, 2012
Classe narrativa italiana , movimenti , paesi: Italia: 1800
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Indice


  3 1.  Tutti, almeno una volta nella vita, affacciandosi
        alla finestra, hanno pensato di fare il salto
  7 2.  Giovanni Mastai Ferretti sta affacciato alla finestra
        della Storia
 11 3.  Il Negro Matto Africano davanti al mare
 17 4.  Non sono il protagonista di una barzelletta
 19 5.  Erbivori all'ufficio matricola
 25 6.  L'asteroide 21687 Filopanti
 29 7.  Guten Tag Wittgenstein, wie geht's?
 31 8.  Lo dice il Secondino Merda
 37 9.  I francesi affacciati alla finestra della Storia

 39 10. Pisacane, lo vedi il fiume?
 41 11. Mazzini, perché non vi vedo?
 45 12. I figli uccidono i padri o i padri si mangiano i figli
 49 13. Re Bomba si affaccia alla finestra della Storia
 53 14. Certe volte saltano tutti, vero Mazzini?
 57 15. Senza prigioni, senza processi?
 59 16. Dove stanno gli scarafaggi ci trovi anche i negri
 63 17. Quand'è che ci avete pensato?
 69 18. Certo che vedo il fiume, Mameli
 71 19. Cinque quinti di negritudine

 73 20. Un monumento di bronzo
 77 21. La rivoluzione si fa a vent'anni, vero Mazzini?
 81 22. Mi sono alzato e ho parlato
 83 23. Chi ruba una mela finisce in galera
 91 24. Il carcerato è fuori dalla catena alimentare
 93 25. Non sono piú un ladro di mele
 99 26. Di Bartolomei segna il calcio di rigore
101 27. Scriviamo una lettera, che ne dite?
107 28. Voglio parlare col direttore!
113 29. Io esco. È robba di pochi giorni ed esco
117 30. Non sta succedendo niente


119 Qualcosa sui nomi e sui numeri


 

 

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Pagina 3

1. Tutti, almeno una volta nella vita, affacciandosi alla finestra, hanno pensato di fare il salto


Tutti, almeno una volta nella vita, affacciandosi alla finestra, hanno pensato di saltare.

Per qualcuno l'ossessione ritorna non appena si sporge. Bastano pochi metri d'altezza. Quando l'idea si fa largo nel cervello stringe le mani sulla balaustra del balcone o sugli stipiti della finestra per frenare l'impulso. L'attrazione per il vuoto è una specie di controvertigine. Solo pochissimi saltano per davvero, ma tutti, almeno una volta nella vita, affacciandosi alla finestra, hanno pensato di fare il salto.


Per non saltare bisogna rispettare i cicli del sonno e della veglia. Dormire in maniera regolare. Otto ore di sonno e sedici di veglia. Le ore di sonno sono le piú pericolose, ma durano meno. Le ore di veglia puoi riempirle con un'occupazione che ti toglie le forze e che ti manda a dormire con grande stanchezza. Io per esempio sono occupato dal discorso. Per tutto il giorno mi concentro sul discorso, penso il discorso, scrivo il discorso, provo il discorso. La sera sono stremato e la notte dormo.

Otto ore di sonno, sedici di veglia.


Il Negro Matto Africano invece no. Il Negro Matto Africano dorme cinque minuti ogni ora. Dorme cinque minuti, si sveglia, beve un caffè, sta sveglio un'oretta scarsa e poi si rimette a dormire per cinque minuti. Poi si sveglia, si beve il caffè, sta sveglio un'oretta scarsa e si rimette a dormire per altri cinque minuti. Eccetera. Totale: dieci minuti in due ore. Venti minuti in quattr'ore, mezz'ora in sei, un'ora piena su dodici. Nell'arco del giorno e della notte si fa due ore di sonno e ventiquattro caffè. Non saprei dirvi se dorme in questa maniera perché è matto, o è matto perché dorme in questa maniera. Saranno i caffè?


Il Negro Matto Africano dorme cinque minuti, poi si sveglia, prepara il caffè e aspetta. Dopo qualche minuto il caffè gli parla e dice gorgoglio nel gorgo, gorgoglio nel gorgo, gorgoglio nel gorgo.


Voi l'avete mai visto un negro, Mazzini?

Certo che l'avete visto, voi girate l'Europa, andate in Svizzera, in Francia, vivete a Londra che sarà piena di negri, vero Mazzini? E poi voi siete genovese e al porto di Genova di negri ne sbarcano tutti i giorni, vero? Lo so che uno l'avete visto anche a Roma nel 1849, nei giorni della repubblica romana. Com'era quel negro, Mazzini? Era alto? Era grosso? No, era piccolo, dicono. Un negretto col cappotto. Il cappotto era grosso e lo faceva sembrare ancora piú piccolo. C'aveva anche un cane. Si chiamava Guerrillo. Il cane dico. Mentre il negro era Aguyar. Andreas Aguyar. C'aveva tre zampe. Il cane, non il negro. Che avevate capito, Mazzini? Pensavate che era un'allusione sconcia? Mazzini, qui si fa la rivoluzione, mica si raccontano barzellette. Il cane Guerrillo era rimasto azzoppato in battaglia. Il negro invece era figlio di schiavi negri africani deportati in Sudamerica. Infatti lui era nato a Montevideo. Garibaldi l'aveva liberato e se l'era portato a Roma, vero Mazzini? A battagliare. E lui, il negro, c'aveva la corda, cioè il lazo e faceva la guerra con quello. Il negro, il cane e il lazo a Roma. Che storia, Mazzini!


Scusate Mazzini. Lo so che voi state pensando che io parlo del negro perché voglio perdere tempo, perché oggi non c'ho voglia di lavorare al discorso. E invece io parlo del negro col cane perché mi piacerebbe metterci pure lui nel discorso. È una figura secondaria, ma se vogliamo preparare un bel discorso dobbiamo curare anche i particolari. Ma andiamo con ordine e quando arriverà il momento di parlare del negro, parleremo anche di lui.


Perciò non perdiamo altro tempo e cominciamo a provare il nostro discorso.

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Pagina 7

2. Giovanni Mastai Ferretti sta affacciato alla finestra della Storia


Cittadini!

Giovanni Mastai Ferretti sta affacciato alla finestra della Storia. Con le mani strette agli stipiti vaticani guarda lontano per non saltare di sotto. Per non cedere anche lui alla controvertigine. È bello, ha fatto il soldato e s'è pure innamorato un paio di volte, dice lui, e a cinquant'anni lo fanno papa col nome d'arte Pio IX. È il 1846.

Affacciato alla finestra della Storia fa le amnistie per i reati politici, costruisce la ferrovia, apre le porte del ghetto e libera gli ebrei. Affacciato alla finestra della Storia gli piace sentire che nelle piazze lo chiamano il papa Carbonaro.


Passa due anni alla finestra della Storia, arriva il 1848 e per la precisione il giorno 12 gennaio che è il compleanno di Ferdinando II, il Borbone. E per regalo di compleanno insorge Palermo.


Giovanni Mastai Ferretti affacciato alla finestra della Storia vede Ferdinando II che traccheggia, è insicuro, prima concede la costituzione ai siciliani, poi s'incazza e bombarda Palermo e Messina. È per questo che i sudditi lo chiameranno re Bomba, vero Mazzini?


Mastai Ferretti spera che quella sia la prima e ultima rivolta che gli capiterà di vedere nella vita, ma intanto sente che alla finestra della Storia comincia a tirare un'aria fredda. E infatti insorgono Milano, Firenze e Torino. Scoppia la guerra contro l'Austria e partono i volontari da tutta la penisola. Carlo Alberto concede lo statuto ai piemontesi, il granduca Leopoldo scappa dalla Toscana, a Parigi il re si traveste e pure lui monta in carrozza e corre a Londra, cosicché in Francia nasce la seconda repubblica.


Un giorno di fine marzo Giovanni Mastai Ferretti sta affacciato alla finestra della Storia, vede i cittadini romani che se ne vanno a piazza Venezia e chiedono all'ambasciatore austriaco di togliere le insegne imperiali. L'austriaco si rifiuta, ma la folla le stacca lo stesso, le lega alla coda di un somaro, le trascina per via del Corso e le brucia in piazza del Popolo. È vero Mazzini? Quel giorno gli austriaci minacciano lo scisma. Perché erano cattolici, ma stavano a un passo dai luterani tedeschi, o no?

E Giovanni Mastai Ferretti affacciato alla finestra sente che la Storia è diventata una brezza gelida, una lama di coltello e forse di ghigliottina. S'accorge che s'è spinto troppo avanti, che gli manca un passo per fare il salto. La controvertigine, caro Mazzini! E affacciato alla finestra della Storia stringe le mani e si tira indietro.

Indietro, Mazzini. Niente salto. Peccato.


È che Giovanni Mastai Ferretti si mette paura di quella brezza sulla faccia. Invece noi, caro Mazzini, stiamo in equilibrio sulla Storia come il gatto sul cornicione. Ci stiamo proprio bene, ci piace questa lama di coltello. Come dite voi, che i giovani devono essere sospesi tra il birro e il palco. A noi c'hanno insegnato che l'equilibrio consiste nel rispettare i cicli del sonno e della veglia, in bilico tra il passo sicuro del gatto sul cornicione e il salto. L'equilibrio è la controvertigine.

I gatti c'hanno sette vite, vero Mazzini? Ma pure chi c'ha sette vite alla fine muore. Muore sette volte, ma non prima d'aver vissuto sette vite.


Invece Mastai Ferretti c'aveva una vita sola e sperava che fosse eterna. Si scusa con gli austriaci e consegna il governo della città a Pellegrino Rossi. Un professionista delle finestre chiuse in faccia alla Storia. Niente salti e niente controvertigini. E appena Pellegrino Rossi s'affaccia alla finestra della Storia per chiuderla, si becca subito una coltellata. Mazzini, è vero che quando a Roma si viene a sapere che l'avevano ammazzato si festeggiò?


Ma a quella festa non partecipa pure il papa. Perché dopo due anni che se ne sta affacciato, Giovanni Mastai Ferretti chiude la finestra, non vuole piú sentire quella brezza sulla faccia, monta in carrozza e scappa a Gaeta da re Bomba. Come si dice, Mazzini? Chi si somiglia si piglia.


Scappa il papa e arriva Andreas Aguyar, cioè il negro col cane, col lazo, con Garibaldi, eccetera. E allora sono i cittadini romani ad affacciarsi alla finestra della Storia. I cittadini e anche il negro col cane a tre zampe.


Perché è a questo punto del discorso che metterei il negro, caro Mazzini. E qui che direi: «Com'era quel negro? Era alto? Era grosso? No, era piccolo, dicono. Un negretto col cappotto. Il cappotto era grosso e lo faceva sembrare ancora piú piccolo. C'aveva anche un cane. Si chiamava Guerrillo. Eccetera eccetera...» Che ne dite?

Com'era davvero quel negro, Mazzini?

E com'era quel cane?

C'aveva davvero tre zampe?

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9. I francesi affacciati alla finestra della Storia


Cittadini!

Nel '49 a Roma di cittadini ce n'erano quasi duecentomila. Seimila erano ecclesiastici e ci stavano quasi trecento chiese, ma oltre mille erano le osterie. Vino batte Dio 3 a 1!


Ma mentre Roma diventa repubblicana e l'assemblea scrive la costituzione, anche i francesi si affacciano alla finestra della Storia. Se ne affacciano quindicimila e il 25 aprile sbarcano a Civitavecchia. Non gli austriaci dell'impero austro-ungarico, non le milizie della monarchia spagnola, ma l'esercito della repubblica francese che proclama lo stato d'assedio e occupa il porto. Il generale e duca di Reggio Victor Oudinot sbarca ottomila soldati e si muove verso Roma. Per ordine della repubblica romana lungo la via Portuense sono stati piantati i cartelli sui quali è scritto l'articolo quinto della costituzione francese, quello che dice che la Francia non impiegherà mai le sue forze contro la libertà di un altro popolo.


Cittadini!

I francesi attaccano porta Angelica e porta Cavalleggeri, ma Garibaldi li prende di fianco scendendo dal Gianicolo e imboccando l'Aurelia antica mentre il generale Galletti esce da porta San Pancrazio. Dopo ore di battaglia i francesi ripiegano, ma il capitano Picard resta tagliato indietro, si arrende a Garibaldi che entra a Roma con trecento prigionieri, di cui uno grosso che suona il tamburo.


Che successe a questi prigionieri, Mazzini? Vennero arrestati e torturati? Processati e condannati? No, vennero accolti con la Marsigliese, abbracciati e sfamati. I romani gli offrirono sigari e infine vennero liberati e salutati come fratelli repubblicani. Come diceste voi, senza prigioni, senza processi.


A Parigi l'assemblea è indignata per le notizie provenienti da Roma.

I francesi si chiedono: perché fra tante monarchie, proprio la repubblica francese s'è mossa per andare a combattere la repubblica romana?

L'assemblea lo chiede al presidente Luigi Bonaparte che si scusa. E sapete perché, Mazzini? Perché Luigi Bonaparte è un pezzo di merda! Non so se condividete la mia analisi politica, Mazzini. Lo so che detta in questa maniera risulta essere un po' rozza. Voi usereste termini meno volgari, vero? Ma credetemi, se dico pezzo di merda capiscono tutti anche senza avere conoscenze storiche. E poi il discorso lo devo fare io e a me mi viene meglio chiamarlo pezzo di merda.

Infatti Luigi Bonaparte si scusa coi francesi, ma ordina al suo generale a Roma di aspettare i rinforzi. Il generale Oudinot chiede una tregua di venti giorni e propone che la repubblica romana si metta sotto la protezione della repubblica francese. A Roma rispondono che se i francesi vogliono proteggere la repubblica vadano alle frontiere dove stanno arrivando gli austriaci che nel frattempo hanno assediato Bologna. E poi gli dicono se volevate proteggerci, potevate almeno evitare di spararci addosso.

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10. Pisacane, lo vedi il fiume?


— Pisacane! Pisacane! Dimmi Pisacane, lo vedi il fiume?

— Certo che vedo il fiume, Mameli, lo vedo il fiume.

— E allora dimmi Pisacane, che vedi nel fiume?

— L'acqua vedo, Mameli, c'è l'acqua del fiume nel fiume.

— Sí, ma nell'acqua che vedi?

— Rami secchi, Mameli, mi pare.

— Ma, dimmi Pisacane, cosa c'è che ancora non si vede, ma presto scorrerà nell'acqua del fiume?

— Topi? Mameli...

— No, Pisacane, teste!

— Teste? Mameli...

— Teste. Teste di padroni. Teste di conti e contesse, di baroni e baronesse, di principi e principesse. Teste coronate di regine e di re, imperatori e imperatrici. Teste di vescovi e cardinali. E la testa del papa in testa alle teste. Vedi, caro Pisacane, fin dall'antichità i popoli civili edificano le città lungo i fiumi per ricordare a tutti i cittadini liberi che non c'è testa di padrone che non possa un giorno scorrere nell'acqua del fiume. E allora dimmi, Pisacane, come scorre il fiume?

— Scorre lento, Mameli.

— Scorre lento, ma scorre!

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15. Senza prigioni, senza processi?


Cittadini!

Dal 9 febbraio ala luglio del 1849, mentre la città si difende dai francesi, l'assemblea scrive la costituzione repubblicana. A Roma si abolisce la tassa sul pane e si obbliga a vaccinare contro il vaiolo. Si vota la laicità dello stato e della scuola. Si tassano i ricchi e si nazionalizzano i beni del clero. Il testamento diventa obbligatorio e non vale piú la parola del prete che dice che il moribondo ha sussurrato che lasciava tutto a lui. Si istituisce il matrimonio civile e pure la donna ha diritto di successione. La bandiera è tricolore e in mezzo c'è scritto Dio e popolo, senza preti di mezzo. Roma è una repubblica a sovranità popolare, c'è libertà di culto e nessuna religione di stato. È abolito il sant'Uffizio che aveva processato Campanella, Giordano Bruno e Galileo. È abolita la censura e la pena di morte. Il 3 luglio si approva la costituzione. Il 4 luglio i francesi entrano in città, mettono il coprifuoco e chiudono circoli e giornali.

Quando sua maestà Pio IX torna a Roma — cioè quando Giovanni Mastai Ferretti si affaccia nuovamente alla finestra della Storia — richiude gli ebrei nel ghetto, ripristina la censura, l'inquisizione, la tortura, la pena di morte e in tre anni processa piú di tremila persone.


Va bene scritto cosí, Mazzini? Manca qualcosa? Manca quello che faceste voi. Voi che siete rimasto a Roma anche dopo l'arrivo dei francesi. Siete diventato un clandestino, ma eravate abituato. La vita vostra era fatta di esilio, clandestinità o galera. Siete rimasto qualche giorno accanto a Goffredo Mameli. Mameli con la ferita alla gamba. La gamba in cancrena che viene tagliata. Mameli che a settembre avrebbe compiuto 22 anni, ma non campa fino alla fine di luglio. Mameli che per primo vi aveva scritto di Roma repubblicana. Mameli che per ultimo salta dalla finestra. Che avete pensato quando è saltato anche lui?

È vero che poi vi siete imbarcato a Civitavecchia con un documento americano su cui c'era scritto che vi chiamavate George Moore?

È vero che siete andato a Marsiglia e vi siete nascosto in un manicomio? È vero che andando via da Roma diceste Governammo senza prigioni, senza processi?


Lo dice anche Wittgenstein che il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose. Dunque il carcere non è una cosa che sta qui e non sta lí, ma un fatto che accade nel mondo. E se la galera è nel mondo, il mondo è anche una galera. L'ha capito pure il Negro Matto Africano che è scappato dall'Africa perché era una grande prigione, s'è buttato nel mare che era un'altra prigione immensa e quando s'è salvato dal mare ed è arrivato in Italia, l'hanno chiuso in galera.

A che serve scappare? Passiamo da una prigione a un'altra prigione e in mezzo non c'è la libertà, ma solo ore d'aria.

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18. Certo che vedo il fiume, Mameli


— Pisacane, dimmi Pisacane, lo vedi il fiume?

— Certo che vedo il fiume, Mameli, lo vedo il fiume.

— E allora dimmi Pisacane, che vedi nel fiume?

— L'acqua vedo, Mameli, c'è l'acqua del fiume nel fiume. In questo fiume che scorre lento non c'ho visto passare le teste dei padroni. Non le teste di conti e contesse, di baroni e baronesse, di principi e principesse. Non le teste coronate delle regine e dei re, degli imperatori e delle imperatrici. Né le teste dei vescovi e dei cardinali. Né tantomeno la testa del papa in testa alle teste. Caro Mameli, in questo fiume che scorre lento c'ho visto passare solo la testa mia e la tua.

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Pagina 73

20. Un monumento di bronzo


Mazzini, c'è stato un momento che avete pensato di saltare anche voi? C'è stato un giorno che avete sentito di cedere alla controvertigine? Non l'avete fatto, ma c'avete pensato, vero?

È stato alla fine degli anni Cinquanta? C'avevate alle spalle venti anni di lotta armata, è vero? E prima di voi ce n'erano stati tanti di rivoluzionari che avevano fatto il salto. Da quanti anni durava questa vostra rivoluzione fallita? Erano almeno quarant'anni di lotta armata e galera. Perché questo è stato il risorgimento. È stata una storia di lotta armata e galera. C'era gente che c'aveva sulle spalle quarant'anni di battaglie perse. Ce l'avevano anche quelli che quarant'anni prima manco erano nati. Erano sconfitti, figli di quarant'anni di sconfitte. Non che non ci fosse ancora tanta gente che si muoveva, che si ribellava. Migliaia s'armavano e partivano, ma ormai la rivoluzione era finita. Cosí ci fu un momento che non si parlò piú di repubblica e di repubblicani. La parola rivoluzione si pronunciava appena. Era diventato un argomento per matti, gente come Pisacane che se ne andava in Cilento a farsi prendere a picconate.


Tutti almeno una volta nella vita, affacciandosi alla finestra, pensano di fare il salto. Qualcuno invece chiude la finestra. Questo successe, vero Mazzini? Quarant'anni di Storia chiusi fuori dalla finestra e pure quel pezzo di merda di Luigi Bonaparte diventa un amico degli italiani. Gli si manda Maria Clotilde di Savoia, una vergine per il Minotauro. È cosí che si deve fare? Impacchettare una ragazzina per il cugino e spedirgliela? Nelle rivoluzioni, caro Mazzini, ai sovrani si tirano le bombe, non gli si mandano le femmine. Però c'è da riconoscere che in questa maniera tutto diventa piú semplice. Chi sta coi Savoia è un eroe, chi è contro i Savoia è un terrorista. E anche Garibaldi è un eroe quando sbarca a Marsala e lo fa in nome dei Savoia. È un eroe quando si mette d'accordo coi baroni secessionisti siciliani. È un eroe pure quando fa scannare i contadini di Bronte perché lo fa in nome dei Savoia. Ma due anni piú tardi, quando è un terrorista perché dall'Aspromonte si dirige verso Roma per prenderla al papa, sono i Savoia che sparano a Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba. Poi torna ad essere un eroe a Bezzecca nel '66 perché combatte per i Savoia contro gli austriaci. E passa solo un anno quando Garibaldi a Mentana è di nuovo un terrorista perché c'ha i Savoia contro.

Quand'è arrivato il giorno della controvertigine? Quand'è che avete pensato che era finita e avete avuto l'istinto di lasciarvi cadere, Mazzini? Coi plebisciti? Con la breccia di porta Pia? Con le decine di migliaia di morti, le teste appese, i corpi squartati, la repressione al brigantaggio?


Caro Mazzini,

il Negro Matto Africano, il Secondino Merda e il sottoscritto, riuniti in democratica assemblea nella cella liscia, abbiamo deliberato che l'ultimo atto rivoluzionario del vostro risorgimento fu nel 1877 coi fatti del Matese, e tagliamo la testa al toro!

Quando Carlo Cafiero, Errico Malatesta e altri internazionalisti anarchici entrano nel paese di Letino e sfilano con la bandiera rossa e nera col popolo che gli va appresso. Entrano nel palazzo municipale, staccano e fanno a pezzi il ritratto del re, issano la bandiera, bruciano i documenti dell'archivio e dichiarano abolita la proprietà privata e i poteri dello stato. Poi se ne vanno a piedi per cinque chilometri fino a Gallo Matese per fare la stessa cosa. Si fermano di tanto in tanto presso i mulini per staccare í contatori del grano, quelli della tassa sul macinato. Arriva l'esercito italiano e dodicimila soldati circondano il paese. Gli anarchici sono qualche decina. In tribunale ne processeranno ventisei.

Per loro intercede Silvia, figlia di Carlo Pisacane. Dopo la morte della madre, Silvia è stata adottata da Giovanni Nicotera, quello che era compagno di Pisacane a Sapri. E perché questo rivoluzionario può aiutare gli anarchici? Perché vent'anni prima stava in Cilento a fare la rivoluzione, si prendeva le accettate in testa e una condanna all'ergastolo, ma ora, vent'anni piú tardi, è diventato ministro degli Interni.

Ed è proprio a loro, cioè ai vecchi rivoluzionari Nicotera e Crispi, Depretis e Cairoli, che scrivono gli anarchici. E gli scrivono ricordandogli che sono compagni e hanno portato le manette ai polsi come oggi, vent'anni piú tardi, le portano loro. Scrivono per dirgli noi faremo la rivoluzione che volevate fare voi vent'anni fa. Scrivono perché vogliono il processo politico che invece non avranno, perché in tribunale non si fa politica, è vero Mazzini? L'imputato non è un soggetto politico e forse nemmeno un cittadino. L'imputato è giudicato per l'atto che ha compiuto. Hai rubato una mela? E allora sei un ladro di mele. La differenza sta solo tra chi ne ruba una e chi ne ruba un milione. Qualcuno si fa un giorno di galera, qualcun altro non esce piú. Ma per lo stato, in tribunale, siamo ladri di mele e chi ruba una mela finisce in galera.

Secondo noi cosí è finita la vostra rivoluzione, con i rivoluzionari in pensione che vanno al governo e processano i figli. Chi non muore a vent'anni diventa ministro a quaranta, Mazzini. E quando Crispi inaugura il monumento di Garibaldi al Gianicolo non se lo ricorda manco piú lui che è stato un ribelle. Sotto a quel mucchio di bronzo dirà che nelle figure di Garibaldi, Vittorio Emanuele, Mazzini e Cavour si compendia la storia del Risorgimento nazionale. Quattro persone che non si sono mai incontrate attorno a un tavolo e se s'incontravano si sparavano addosso, vero?

E cosí, accanto a un monumento di bronzo, si erge un monumento di chiacchiere.

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