Copertina
Autore Roberto Cellini
Titolo Politica economica
SottotitoloIntroduzione ai modelli fondamentali
EdizioneMcGraw-Hill, Milano, 2004, Collana di istruzione scientifica , pag. 460, cop.fle., dim. 170x240x28 mm , Isbn 978-88-386-6174-7
LettoreRenato di Stefano, 2005
Classe politica , economia
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice

Prefazione                                              XV


PARTE PRIMA   LA POLITICA ECONOMICA E I SUOI OBIETTIVI   1


Capitolo 1
La politica economica e il conflitto                     3

1.1  Introduzione                                        3
1.2  I fini di un ente collettivo                        3
1.3  Il perseguimento dei fini                           5
1.4  Il risultato dell'azione della politica economica   5
1.5  I soggetti della politica economica                 6

Capitolo 2
La teoria normativa della politica economica            11

2.1  Introduzione                                       11
2.2  Caratteristiche di un modello                      12
2.3  Obiettivi e strumenti                              14
2.4  Una formalizzazione del modello descrittivo
     di economia politica                               15
2.5  Gli obiettivi fissi nel modello formale
     di economia politica                               16
2.6  L'obiettivo flessibile                             18
2.7  La critica di Lucas                                20
2.8  Conclusione                                        21

Capitolo 3
I fondamenti dell'economia del benessere                25

3.1  Introduzione                                       25
3.2  Le impostazioni individualiste della vecchia
     economia del benessere                             27
3.3  Il criterio paretiano                              30
3.4  Il primo teorema fondamentale dell'economia
     del benessere                                      31
3.5  Il secondo teorema fondamentale dell'economia
     del benessere                                      33

Capitolo 4
L'individuazione degli obiettivi di politica economica
secondo i nuovi indirizzi dell'economia del benessere   37

4.1  Introduzione                                       37
4.2  La nuova economia del benessere                    38
4.3  La teoria delle votazioni: un cenno                40
4.4  La scuola della political economy                  43

Capitolo 5
Gli obiettivi micro e macroeconomici                    47

5.1  Introduzione                                       47
5.2  Il "fallimento" microeconomico del meccanismo
     di mercato                                         47
5.3  La misura dell'efficienza su un mercato singolo    49
5.4  Approccio di equilibrio generale e approccio di
     equilibrio parziale: il teorema del "second-best"
     di Lipsey-Lancaster                                53
5.5  Correzione dell'esito di mercato per motivi
     di ideologia esterna                               54
5.6  Efficienza statica ed efficienza dinamica          56
5.7  La redistribuzione delle risorse                   57
5.8  Gli obiettivi macroeconomici e le loro relazioni
     con gli interventi microeconomici                  58


PARTE SECONDA   LE POLITICHE MICROECONOMICHE            63


Capitolo 6
Fallimenti microeconomici del mercato:
il potere di mercato                                    65

6.1  Introduzione                                       65
6.2  L'inefficienza allocativa del monopolio            65
6.3  Perché esistono i monopoli?                        68
6.4  Il monopolio è inefficiente anche
     in senso dinamico?                                 68
6.5  Le vie d'uscita dall'inefficienza statica
     di monopolio                                       70
6.6  Altri casi di potere di mercato                    74
6.7  Il cartello                                        76
6.8  Che cosa vuol dire e come si misura
     la "concorrenzialità"                              77

Capitolo 7
Le politiche antitrust                                  81

7.1  Introduzione                                       81
7.2  L'intervento antitrust in USA e in Europa:
     due diverse logiche a confronto                    82
7.3  L'esperienza americana                             84
7.4  Le esperienze europea e italiana                   85
7.5  Le Autorità di settore                             87
7.6  Liberalizzazione e privatizzazione                 88

Capitolo 8
Le esternalità                                          91

8.1  Introduzione                                       91
8.2  L'esternalità determina l'inefficienza sociale
     delle scelte individualmente ottimali              93
8.3  Correzione dell'effetto esterno tramite
     l'imposizione di vincoli sulle quantità            96
8.4  Correzione dell'esternalità tramite tasse o
     sussidi                                            97
8.5  La creazione di mercati per lo scambio di effetti
     esterni: il teorema di Coase                       99
8.6  Le pseudo-esternalità                             103

Capitolo 9
L'interdipendenza strategica come causa di fallimento
del sistema di mercato                                 105

9.1  Introduzione                                      105
9.2  Tassonomia dei giochi                             106
9.3  Strategie dominanti e dominate                    109
9.4  Il concetto di equilibrio di Nash                 109
9.5  Alcuni esempi di giochi                           110
9.6  Il ruolo della politica economica in presenza di
     interdipendenza strategica tra gli agenti privati 118
9.7  Una riflessione conclusiva                        121

Capitolo 10
I beni pubblici                                        123

10.1 Introduzione                                      123
10.2 Definizione di bene pubblico e tassonomia dei beni123
10.3 L'inefficienza allocativi dei beni pubblici       126
10.4 L'impostazione di Lindhal                         130
10.5 Meccanismi di rivelazione delle preferenze
     individuali                                       132
10.6 I common goods                                    132

Capitolo 11
I beni di merito e di demerito e le asimmetrie
informative                                            137

11.1 Introduzione                                      137
11.2 Beni di merito e di demerito                      137
11.3 Le asimmetrie informative: presentazione
     e classificazione                                 139
11.4 La selezione avversa                              140
11.5 L'azzardo morale                                  142
10.6 Soluzioni di politica economica ai fallimenti
     del mercato dovuti ad asimmetria informativa      143


PARTE TERZA   LE POLITICHE REDISTRIBUTIVE              147


Capitolo 12
Distribuzione del reddito e benessere sociale          149

12.1 Introduzione                                      149
12.2 La distribuzione personale del reddito: misure
     della equità distibutiva                          150
12.3 Concetti e indicatori di povertà                  155
12.4 Il legame teorico fra distribuzione del reddito
     e benessere sociale                               158
12.5 La distribuzione funzionale del reddito           159
12.6 Le conseguenze economiche della distribuzione
     del reddito                                       161
12.7 Le politiche economiche di redistribuzione        163

Capitolo 13
Il welfare state                                       167

13.1 Introduzione                                      167
13.2 Origini storiche del welfare state                167
13.3 La struttura della spesa per lo stato sociale
     in Italia ed Europa                               169
13.4 La previdenza                                     170
13.5 L'assistenza                                      178
13.6 La sanità                                         181
13.7 Una breve conclusione                             183

Capitolo 14
Le politiche industriali                               185

14.1 Introduzione                                      185
14.2 La composizione strutturale di un'economia        185
14.3 Le politiche industriali in Italia e nei
     Paesi europei                                     188
14.4 Sistemi di imprese e politiche industriali        193

Capitolo 15
Le politiche regionali                                 199

15.1 Introduzione                                      199
15.2 Gli squilibri regionali e le teorie economiche    200
15.3 La misurazione delle divergenze regionali         202
15.4 L'esperienza storica delle politiche regionali
     italiane                                          204
15.5 Le "nuove" politiche regionali e l'intervento
     dell'Unione Europea                               205


PARTE QUARTA   LE POLITICHE MACROECONOMICHE            209


Capitolo 16
I regimi di disequilibrio macroeconomico               211

16.1 Introduzione                                      211
16.2 I quattro disequilibri possibili nel modello
     macroeconomico 2X2                                212
16.3 Ancora su disoccupazione classica e disoccupazione
     keynesiana                                        216
16.4 Il disequilibrio keynesiano come equilibrio stabile
     di sottoccupazione: una precisazione terminologica217
16.5 Una semplice modellizzazione del sistema
     macroeconomico, come un sistema di tre mercati    218

Capitolo 17
Il livello del reddito aggregato nei modelli di base
per l'analisi macroeconomica                           221

17.1 Introduzione                                      221
17.2 Il modello a prezzi fissi con tasso d'interesse
     esogeno                                           221
17.3 Il modello a prezzi fissi con tasso d'interesse
     endogeno                                          232
17.4 Il modello con prezzi e quantità endogeni         251

Capitolo 18
La politica fiscale                                    261

18.1 Introduzione                                      261
18.2 Definizioni istituzionali                         261
18.3 Il modus operandi della politica fiscale in Italia264
18.4 Alcuni effetti macroeconomici della politica
     fiscale                                           266
18.5 Effetti macroeconomici dell'imposizione
     progressiva                                       267
18.6 Effetti delle diverse modalità del finanziamento
     della spesa pubblica                              269
18.7 Problemi di gestione del debito pubblico          276

Capitolo 19
La moneta e la politica monetaria                      283

19.1 Introduzione                                      283
19.2 Definizione degli aggregati monetari              283
19.3 La creazione della base monetaria                 286
19.4 I moltiplicatori della base monetaria             289
19.5 Strumenti e obiettivi della politica monetaria:
     la teoria tradizionale del modus operandi
     della politica monetaria                          293
19.6 La teoria e la pratica dell'inflation targeting   297

Capitolo 20
L'inflazione e le politiche anti-inflazionistiche      299

20.1 Introduzione                                      299
20.2 I costi dell'inflazione                           300
20.3 Le politiche di controllo dell'inflazione         301
20.4 La politica dei redditi                           311
20.5 I vantaggi dell'inflazione e la tragedia
     della deflazione                                  313

Capitolo 21
Le alterne fortune della curva di Phillips             317

21.1 Introduzione                                      317
21.2 La spiegazione teorica di Lipsey                  320
21.3 La critica di Friedman                            322
21.4 La curva di Phillips con aspettative razionali    327
21.5 Curva di Phillips e curva di offerta aggregata    328
21.6 Il declino empirico della curva di Phillips       329
21.7 Digressione: le politiche del lavoro              330

Capitolo 22
Politiche macroeconomiche in presenza
di interdipendenza strategica fra Governo e privati    337

22.1 Introduzione                                      337
22.2 La versione di base del modello di Barro e Gordon 338
22.3 Il conflitto tra ottimalità e coerenza            342
22.4 Attivismo contro "mani-legate" nel modello
     di Barro e Gordon                                 343
22.5 Il modello di Barro e Gordon in presenza
     di incertezza nella struttura economica           345
22.6 Il modello di Barro e Gordon in presenza
     di informazione incompleta sulle preferenze
     del policy-maker                                  346

Capitolo 23
La bilancia dei pagamenti e i tassi di cambio          351

23.1 Introduzione                                      351
23.2 La bilancia dei pagamenti                         352
23.3 I tassi di cambio                                 360
23.4 Effetti delle modificazioni del tasso di cambio   369
23.5 I meccanismi economici di riequilibrio automatico
     della bilancia dei pagamenti                      371
23.6 Le politiche attive di riequilibrio dei conti
     con l'estero: la manovra del cambio
     e le sue limitazioni                              374
23.7 La teoria della bilancia dei pagamenti e
     la curva BP                                       378

Capitolo 24
Gli effetti delle politiche macroeconomiche
in economia aperta: il modello IS-LM-BP                385

24.1 Introduzione                                      385
24.2 Gli effetti delle politiche economiche
     in un'economia aperta con cambi flessibili        387
24.3 Gli effetti delle politiche economiche
     in un'economia aperta con cambi fissi             391
24.4 Valutazione degli effetti delle politiche
     economiche in casi particolari                    394
24.5 Tassi di cambio flessibili e fissi:
     una valutazione complessiva                       397

Capitolo 25
Il problema dell'assegnazione degli strumenti
agli obiettivi                                         401

25.1 Introduzione                                      401
25.2 Alcuni casi un po' speciali                       402
25.3 Il caso generale                                  404
25.4 Un esempio di assegnazione: perseguire il pieno
     impiego e il pareggio dei conti con l'estero,
     utilizzando come strumenti la spesa pubblica
     e la base monetaria                               405
25.5 L'interdipendenza strategica fra diversi centri
     decisionali della politica economica              411
25.6 Conclusioni                                       412

Capitolo 26
Le politiche di crescita e di sviluppo                 415

26.1 Introduzione                                      415
26.2 Una panoramica di recenti modelli di crescita
     e sviluppo                                        416
26.3 Il modello classico di Lewis: teoria e politiche  417
26.4 Il modello keynesiano di Harrod-Domar:
     teoria e politiche                                420
26.5 Un cenno alla teoria post-keynesiana della
     crescita: il modello di Kaldor                    424
26.6 La teoria neoclassica della crescita:
     il modello di Solow                               425
26.7 Il modello di Solow e la questione
     della convergenza: una digressione                430
26.8 Aspetti generali della nuova teoria
     della crescita                                    432
26.9 Le politiche suggerite dalla teoria
     della crescita endogena                           434

Capitolo 27
La politica economica nell'era della globalizzazione   437

27.1 Introduzione                                      437
27.2 La definizione di globalizzazione                 438
27.3 Sulle cause della globalizzazione                 439
27.4 Gli effetti della globalizzazione                 440
27.5 Una riflessione conclusiva sulla politica
     economica nel mondo globalizzato                  444

Bibliografia                                           447
Indice analitico                                       455

 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina XV

Prefazione


Questo manuale vuole introdurre all'analisi di temi rilevanti nell'azione della politica economica.

Su quale debba essere il contenuto di un corso introduttivo di politica economica non vi è unanimità di vedute nel mondo accademico. Taluni intendono la politica economica come un insegnamento di economia applicata, altri come un insegnamento di macroeconomia avanzata, altri ancora come un insegnamento di teoria delle scelte sociali, e così via. Questo è dovuto anche al fatto che l'interesse per i temi economici è cresciuto negli ultimi decenni e, mentre soltanto alcuni anni fa i curricula di studi economici contenevano di norma solamente tre o quattro insegnamenti (microeconomia, macroeconomia, politica economica e scienza delle finanze), negli anni più vicini a noi sono state inserite materie più specialistiche (economia industriale, economia internazionale, economia dello sviluppo, economia monetaria ecc.), che hanno "sottratto" argomenti che tradizionalmente venivano affrontati dai corsi istituzionali di politica economica. In talune sedi, la politica economica – come materia a sé stante – è persino scomparsa dall'ordinamento di studio.

La recente riforma degli ordinamenti universitari sembra avere dato nuovi spazi per la disciplina di politica economica: infatti, un'introduzione ai temi (e più specificamente agli obiettivi e agli strumenti) della politica economica sembra essere – e giustamente – un'esigenza avvertita in molti corsi di studio, tanto nei percorsi in economia politica, economia aziendale, economia applicata, quanto in altri percorsi, più applicati e professionalizzanti, per i quali la conoscenza dei principi di politica economica è comunque rilevante. Inoltre, la politica economica compare anche in corsi di studio di ambito giuridico, politologico, linguistico ecc.

Questo manuale viene scritto appunto per colmare un vuoto di offerta, che – sulla base della mia specifica esperienza didattica – riguarda l'insegnamento di corsi di politica economica rivolto a chi possiede limitate conoscenze di base di micro e di macroeconomia.

Pertanto, nella presentazione dei diversi argomenti, questo testo ripropone una trattazione (essenziale ma rigorosa) degli elementi di base della teoria economica, e successivamente propone ciò che è peculiare della disciplina della politica economica, vale a dire la trattazione degli aspetti istituzionali e l'utilizzo a fini normativi dei modelli teorici.

Ho scelto di affrontare sia temi di natura microeconomica, sia temi di natura macroeconomica, e ho cercato di evitare fratture troppo brusche tra i due ambiti. Ritengo che ognuno di noi, nella propria esperienza quotidiana, abbia modo di assistere all'adozione (e alle conseguenze) di interventi di politica econonica, sia di natura micro sia di natura macroeconomica. Riconoscere i tratti comuni di questi interventi, nonché le loro intersezioni e le loro influenze è importante per comprendere il ruolo della politica economica nel mondo attuale.

Ho scelto di proporre l'analisi di temi tradizionali, in modo abbastanza tradizionale. D'altra parte, le riforme degli ordinamenti scolastici e universitari fanno sì che l'uditorio di un corso di politica economica oggi sia spesso costituiro da persone che ignorano temi, modelli, e anche strumenti di analisi, che erano invece basilari (e scontati) per studenti dei corsi di laurea dei precedenti ordinamenti.

Ho scelto di dare per scontate le conoscenze matematiche che generalmente vengono fornite in un corso di matematica introduttivo all'università; tuttavia, i passaggi analitici sono sempre sviluppati in modo quasi pedissequo, onde evitare che gli studenti più svogliati possano anche solo pensare di addurre la non conoscenza della matematica per trovare scuse alla pigrizia mentale.

In sostanza, ritengo che il livello di difficoltà, logica e analitica, di questo testo sia adeguato agli studenti dei corsi di laurea di primo livello, che affrontano il corso di politica economica avendo in precedenza affrontato un solo corso (o tutt'al più due corsi) di argomento economico.

Ho scelto di proporre il conflitto come filo conduttore del testo. L'esplicita individuazione dei conflitti esistenti è basilare, a mio giudizio, per comprendere l'esatto ruolo della politica economica nel mondo attuale. L'obiettivo di fondo del testo è rendere i lettori consapevoli del fatto che l'azione della politica economica non è mai neutrale nella soluzione dei conflitti. La maturazione, non solo scientifica, ma anche civica, degli studenti è il fine ultimo di tutta l'attività di formazione.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 3

1

La politica economica e il conflitto


1.1 Introduzione

Secondo la classica definizione data da Lionel Robbins nel 1935, la politica economica è "il corpo di principi dell'azione o dell'inazione del Governo rispetto all'attività economica". Federico Caffè (1978) ha proposto la seguente definizione di politica economica: "quella disciplina che cerca le regole di condotta tendenti a influire sui fenomeni economici in vista di orientarli in un senso desiderato". Volendo proporre una definizione più puntuale rispetto a quanto ci apprestiamo a esaminare in questo corso, possiamo avanzare la seguente: la politica economica è quella parte della scienza economica che studia una comunità, riguardo all'individuazione dei fini, al modo di perseguire tali fini, e all'esito dell'eventuale intervento.

Per comunità, o "ente collettivo", si intende un aggregato di individui, con preferenze (e quindi obiettivi) eterogenei.

In questo primo capitolo ci soffermeremo sui tre ingredienti sopra menzionati, della politica economica, che costituiscono anche le tre parti concettuali nelle quali si articola la disciplina: l'individuazione dei fini di un corpo sociale complesso, le modalità di raggiungimento di tali fini (e, in questo ambito, la scelta tra l'azione e l'inazione del Governo) e l'effetto dell'eventuale azione.

Segnaleremo come all'interno di ognuna di queste parti, e fra di esse, vi siano motivi di conflitto. Il filo conduttore di queste lezioni è costituito dall'individuazione esplicita dei conflitti. Più in generale, l'organizzazione economica che ogni società si dà rappresenta un insieme di regole per limitare e governare le occasioni di conflitto. La coscienza dell'esistenza del conflitto è un elemento chiave per comprendere il funzionamento dell'agire economico e il ruolo della politica economica.


1.2 I fini di un ente collettivo

Che cosa persegue un ente collettivo? Qual è la sua funzione obiettivo? L'ente collettivo è composto da diversi individui con obiettivi eterogenei e quindi potenziamente conflittuali. È del tutto fisiologico che in ogni ente costituito da più soggetti sia presente un conflitto tra gli obiettivi individuali dei soggetti che lo compongono.

La teoria delle scelte collettive studia questo punto, e cerca di stabilire come si individuano obiettivi di un corpo complesso a partire dagli obiettivi delle singole unità costituenti. Pertanto, la teoria delle scelte collettive costituisce una parte - la prima - della politica economica.

Soltanto su alcuni fini che l'ente può assumere come propri, ci può essere una convergenza non problematica di tutti gli individui. Un obiettivo di massima potrebbe essere quello di evitare le situazioni inefficienti in senso paretiano. Su questa finalità, tutti i soggetti dovrebbero essere d'accordo. Già però se proponessimo una diversa accezione di efficienza (come può essere l'efficienza statica, o l'efficienza dinamica) potrebbero esservi dei soggetti in disaccordo sul raggiungimento di tale obiettivo. In questo ambito - il conseguimento di efficienza - rientrano gli interventi che mirano a correggere gli esiti del mercato non efficienti (si pensi, per esempio, ai casi di monopolio, esternalità, oligopolio, beni pubblici ecc.).

Chi ha l'onere di rappresentare un ente composto da più unita costituenti, non sempre però riesce ad aggregare e rappresentarne - in modo appropriato - gli obiettivi, e talvolta anzi aggrega in modo non-neutrale gli obiettivi delle singole unità o addirittura persegue prioritariamente obiettivi propri. Ci può quindi essere un conflitto tra gli obiettivi individuali e l'obiettivo aggregato dell'ente collettivo.

Il conflitto sorge necessariamente, per esempio, tra obiettivi politici di natura redistributiva (la redistribuzione personale del reddito, ma anche la redistribuzione geografica, settoriale, sociale ecc.) e l'interesse degli specifici soggetti danneggiati dalla redistribuzione.

Generalmente l'ente collettivo si assegna una pluralità di obiettivi. Nulla, tuttavia, assicura che non possano sorgere conflitti tra gli obiettivi dicharati.

È bene da subito sottolineare che il conflitto tra gli obiettivi può riguardare anche quelli di una singola unità: a livello di studio del comportamento individuale, vi può essere, per esempio, un conflitto tra ragione e sentimento. La teoria assiomatica del consumatore, tuttavia, riesce a eliminare dalla rappresentazione teorica questi eventuali conflitti, imponendo assiomi di razionalità alla struttura di preferenze degli individui.

Nell'ambito delle scelte collettive, preoccuparsi che non emerga un conflitto fra gli obiettivi è, al tempo stesso, più difficile e forse meno utile, rispetto a quanto lo sia a livello di singolo individuo. È meno utile, perché, di fatto, sono molte le situazioni in cui enti complessi perseguono fini contraddittori. È più difficile (o comunque più problematico) cercare di evitare che possano essere individuati obiettivi contraddittori, inoltre, perché imporre assiomi di razionalità alle scelte collettive implica necessariamente il non rispettare assiomi relativi ad altri aspetti come, per esempio, la libertà degli individui.

La politica economica, pertanto, prima ancora di preoccuparsi di evitare che vengano selezionati obiettivi contraddittori, studia (e deve studiare) la gestione dei conflitti tra gli obiettivi che ci si è assegnati. Il conflitto fra obiettivi è un tipico tema della politica economica.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 68

6.3 Perché esistono i monopoli?

Perché esistano i monopoli è questione non semplice. Talvolta vi sono motivazioni di natura storica, generalmente rafforzati da interventi di natura legislativa (che determinano la presenza di barriere all'entrata per imprese che vogliano iniziare a produrre su un mercato). Altre volte i motivi sono di natura più squisitamente economica, come quando i comportamenti di un'impresa presente (incumbent) ostacolano e impediscono l'entrata di nuove imprese. Sono precisamente i comportamenti di questa natura che le legislazioni anti-monopolistiche intendono contrastare.

Un caso particolarmente interessante è quello in cui vi siano, sul mercato, condizioni di monopolio naturale, cioè, la presenza del monopolio non da addebitare al comportamento dell'impresa, ma alla configurazione oggettiva del mercato (cioè alla dimensione della domanda e dei costi di produzione) che rende impossibile che più di un'impresa possa ottenere profitti positivi. In modo più formale, si definisce monopolio naturale quella situazione nella quale, in corrispondenza della quantità che eguaglia il prezzo al costo marginale, il profitto d'impresa è negativo. Ciò succede, ovviamente, quando nel punto di perfetta concorrenza, il prezzo (pari al costo marginale) è inferiore al costo medio. Intuitivamente, ciò accade quando i costi fissi per ciascuna impresa che operi in quel mercato, sono particolarmente elevati e quindi la funzione di costo è sub-additiva (ossia, il costo totale di produzione per ogni possibile quantità è minore se la quantità è prodotta da una sola impresa, rispetto al caso in cui la medesima produzione fosse fra più imprese). Riprenderemo il monopolio naturale nel Paragrafo 6.5.


6.4 II monopolio è inefficiente anche in senso dinamico?

Sul fatto che il monopolio determini inefficienza allocativa, non vi sono dubbi. Tuttavia, c'è chi ritiene che il monopolio, pur deleterio in situazioni "statiche", possa essere efficiente quando si passi a valutare l'economia in termini dinamici.

A tale proposito ricordiamo la nozione di efficienza dinamica. Pur non essendovi un'unica accezione, in termini di prima approssimazione, possiamo parlare di una situazione efficiente in senso dinamico quando non è possibile aumentare l'indicatore di benessere di tutte le generazioni, presenti e future. In questo senso, il concetto di efficienza dinamica altro non è che un'estensione del concetto di Pareto-efficienza, nel caso in cui i molteplici soggetti presenti facciano parte di generazioni che vivono in periodi diversi.

Ora, vi è chi ritiene che non sia vero che il passaggio dal monopolio alla perfetta concorrenza comporta benefici per tutte le generazioni, attuali e future e ritiene, al contrario, che le generazioni attuali possano esserne beneficiate, ma che le generazioni future non lo saranno, in quanto il monopolio consente una più forte crescita dell'economia. In altre parole, la perfetta concorrenza consente che le generazioni attuali stiano meglio rispetto a una situazione di monopolio, ma che le generazioni future potrebbero stare peggio, in quanto la crescita economica associata a regimi di monopolio è più forte rispetto alla crescita economica associata a situazioni di concorrenza perfetta. Chi ha suggerito per primo questa eventualità è J. Schumpeter, nel 1942.

Illustriamo i motivi per i quali Schumpeter ritiene che il monopolio possa garantire una crescita economica più rapida rispetto alla perfetta concorrenza. Alla base del processo di crescita vi è, nella visione schumpeteriana, l'innovazione, che richiede investimenti rischiosi da parte delle imprese. Il finanziamento degli investimenti in ricerca è costoso e gli intermediari finanziari sono piuttosto restii a finanziare progetti il cui rendimento atteso è soggetto a grande rischio. Per questo motivo, il principale canale di finanziamento degli investimenti in ricerca è l'autofinanziamento. Ora, poiché le imprese in monopolio conseguono profitti più elevati rispetto a quelle in perfetta concorrenza, è ragionevole ritenere che possano impiegare risorse maggiori per finanziare la ricerca, e assicurino quindi maggiori scoperte e maggiori innovazioni, con ciò garantendo una crescita più veloce. Inoltre, ad avviso di Schumpeter, è proprio l'ambizione di poter costruire un monopolio e di godere delle rendite monopolistiche che spinge le imprese a fare ricerca. Se le imprese sapessero che le rendite monopolistiche sono brevi, non intraprenderebbero gli sforzi in ricerca e sviluppo e non si innescherebbe il processo di crescita. La presenza di monopoli, perciò, è benefica per la crescita di lungo periodo, sia perché spinge le imprese a investire in ricerca, sia perché consente alle imprese di poter contare su adeguate risorse per finanziare la ricerca.

Alle idee di Schumpeter si è soliti contrapporre l'opposta visione di Arrow, che, in un articolo del 1962, contestò l'idea che i monopoli potessero essere efficienti in senso dinamico e cercò di argomentare che la concorrenza non solo garantisce l'efficienza statica, ma garantisce anche un tasso di crescita economica più elevato rispetto a quello associato a situazioni di monopolio. L'idea di base di Arrow può essere sintetizzata in due semplici proposizioni: chi gode di rendite monopolistiche non ha incentivo a compiere ricerca e sviluppo (e quindi non genera crescita); inoltre, i monopoli sono tipicamente associati a situazioni nelle quali le informazioni sulla tecnologia sono protette da brevetti e quindi circolano in modo difficoltoso, rallentando il processo di crescita che invece si basa sulla possibilità di usare, conoscere e migliorare le tecnologie disponibili.

Queste opposte posizioni hanno dato vita a un lungo dibattito (noto come il "conflitto Schumpeter contro Arrow"), nel quale il problema centrale è divenuto quello di stabilire se si effettuino maggiori sforzi in ricerca e sviluppo (cioè se si investa di più) in quei settori in cui prevalgono situazioni di monopolio (come riteneva Schumpeter) oppure in quelli dove prevalgono condizioni concorrenziali (come riteneva Arrow).

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 415

26

Le politiche di crescita e di sviluppo


26.1 Introduzione

Anche se per molti aspetti la distinzione tra "teoria della crescita" e "teoria dello sviluppo" è da ritenersi superata, per consuetudine definiamo questi due concetti separatamente.

Con il concetto "crescita economica" intendiamo indicare quel fenomeno per il quale i redditi pro-capite aumentano nel tempo. Alla base dell'aumento del reddito pro-capite risiedono molte e diverse cause. La spiegazione del processo di crescita economica è uno dei temi centrali nel pensiero economico, fin dalle sue origini; le spiegazioni teoriche offerte per questo fenomeno sono molteplici e spesso tra loro conflittuali.

Con il concetto "sviluppo economico" intendiamo riferirci a un insieme di fenomeni dei quali la crescita è soltanto una parte. Più specificamente, con il termine "sviluppo" intendiamo riferirci a tutti quei fenomeni economici, sociali e culturali che si accompagnano alla crescita del reddito pro-capite.

Pertanto, la crescita del reddito pro-capite è soltanto il primo (benché essenziale) ingrediente dello sviluppo economico. Come secondo ingrediente possiamo indicare il complesso di mutamenti strutturali dell'economia, di quei cambiamenti, cioè, che avvengono nella composizione della struttura del sistema economico e che si accompagnano alla crescita: per esempio, il peso via via minore dell'agricoltura e il peso via via crescente dell'industria, oppure (nell'esperienza più recente dei Paesi industrializzati) il peso via via minore dell'industria in favore dei servizi. Mentre la teoria della crescita (intesa in senso stretto) non si preoccupa di dare conto dei mutamenti strutturali, tali mutamenti rivestono un'importanza centrale nelle teorie dello sviluppo. Un terzo ingrediente dello sviluppo è rappresentato dalla riduzione della povertà (sia in senso assoluto, sia in senso relativo). Infatti, al processo di crescita si accompagnano anche mutazioni nella distribuzione del reddito e quindi nella diffusione (sperabilmente in diminuzione) dei fenomeni di povertà.

Più in generale, rappresentano componenti del processo di sviluppo diversi cambiamenti in svariati ambiti, che contribuiscono a determinare un miglioramento delle condizioni di benessere individuale: le condizioni sanitarie e l'aspettativa di vita; i comportamenti relativi all'offerta di lavoro (in particolare, l'aumento del tasso di partecipazione lavorativa); le decisioni di procreazione; le decisioni di istruzione e formazione; l'evoluzione delle istituzioni. Tutti questi aspetti, tralasciati per semplicità dalle teorie della crescita (intesa in senso stretto), rappresentano ingredienti fondamentali quando si parla di sviluppo, e argomenti centrali nelle teorie dello sviluppo.

Da un punto di vista teorico, sarebbe possibile registrare un processo di crescita senza che vi sia sviluppo, cioè è immaginabile che abbiano luogo episodi di crescita del reddito pro-capite che però non siano accompagnati da altri fenomeni sociali, economici e culturali. Di fatto, questa è più un'ipotesi accademica, che una regolarità osservabile nella realtà: nel mondo reale, infatti, fenomeni di crescita prolungata si sono sempre accompagnati a mutazioni profonde nelle sfere economiche, sociali e politiche. Inoltre, anche se alcuni autori segnalano che la crescita economica potrebbe accompagnarsi a un peggioramento delle condizioni di vita di alcuni strati di popolazione (e quindi a un processo opposto allo sviluppo), questi evenienza sembra essere relegata a episodiche eccezioni.

Circa l'evoluzione nel pensiero economico, vale la pena segnalare come il tema della crescita e dello sviluppo sia sempre stato al centro del discorso economico.

In questa sede siamo interessati soprattutto a valutare quali siano stati gli orientamenti in materia di politiche economiche atte a favorire la crescita e lo sviluppo economico. Tuttavia, poiché le teorie avanzate per spiegare i suddetti fenomeni sono state molteplici, e spesso in conflitto tra loro, e le prescrizioni di politica economica, coerentemente, hanno presentato numerosi punti di conflittualità, preferiamo presentare una rassegna di teorie ripercorrendo un sentiero ordinato cronologicamente. Nel fare ciò, limiteremo la nostra attenzione a quanto è stato dibattuto dal secondo dopoguerra a oggi.


26.2 Una panoramica di recenti modelli di crescita e sviluppo

Nel seguito del presente capitolo verranno illustrati, nell'ordine:

1) Il modello di Lewis (1954): è un modello detto "classico", poiché recupera tutti gli ingredienti presenti nella visione classica (Smith, Ricardo, Marx). Sulla base di questi ingredienti, si propone un'interpretazione del processo di sviluppo e una "ricetta" di politica economica, che ha avuto importanza notevolissima nell'esperienza storica di molte aree in via di sviluppo, nei decenni successivi.

2) Il modello keynesiano, rappresentato dagli articoli di Harrod (1939) e di Domar (1946); a scopo didattico si parla di modello di Harrod-Domar: vi si propone una versione di lungo periodo della teoria keynesiana. Avremo modo di notare come il modello di Harrod-Domar dia luogo a una implicazione del tutto coerente con la visione keynesiana, ma problematica per altri aspetti: il punto centrale, infatti, è rappresentato dal fatto che non vi è alcun motivo per cui il tasso di crescita che garantisce l'equilibrio macroeconomico debba coincidere con quello che garantisce il pieno impiego. Così come nel breve periodo vi può essere equilibrio macroeconomico di sottoccupazione, anche nel lungo periodo la crescita (di equilibrio macroeconomico) può non assicurare il pieno impiego, e non vi è alcun meccanismo automatico che porti questi due tassi a eguagliarsi.

3) Il modello neoclassico di Solow (1956): mentre la funzione di produzione nel modello di Harrod-Domar è a coefficienti costanti, Solow ipotizza che capitale e lavoro siano sostituibili. Da questa ipotesi derivano risultati squisitamente neo-classici: si recupera la stabilità dell'equilibrio di lungo periodo, al quale si converge, a prescindere dall'intervento dell'Autorità di politica economica. Il modello di Solow fornisce predizioni molto precise e rappresenta tuttora un contributo fondamentale nella teoria della crescita e per le prescrizioni di politica economica. Tuttavia presenta anche notevoli elementi di insoddisfazione, per chi debba fare politica economica: infatti, il tasso di crescita della produttività del lavoro risulta essere esogeno, e pertanto non è spiegato all'interno del modello. Di conseguenza, il modello non è in grado di fornire prescrizioni di comportamento utili per chi sia chiamato ad attuare politiche in grado di influenzare il processo di crescita. Questa considerazione ha suggerito la necessità di sviluppare modelli nei quali il tasso di crescita sia spiegato endogenamente.

4) I modelli di crescita endogena (o "nuova teoria della crescita"): sono modelli che utilizzano strumenti di analisi neoclassici, recuperando però alcune idee classiche e spiegano, endogenizzandolo, il tasso di crescita economica. Essi suggeriscono una molteplicità di politiche efficaci nell'influenzare i tassi di crescita di lungo periodo e godono, attualmente, di ampia popolarità presso i policy-maker di molti Paesi e istituzioni internazionali.

| << |  <  |