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| << | < | > | >> |Pagina 9"Mio padre è un uomo odioso: autoritario, insolente, egocentrico, prevaricatore, pieno di sé, incurante dei diritti altrui, attento solo alle proprie necessità; un despota, un padrone. Per gran parte della mia vita sono riuscita a evitare ogni contatto con lui pur sapendo che presto o tardi avrei dovuto dedicargli la mia attenzione, il mio tempo, le mie energie. Avendo sempre previsto il mio futuro non mi sorprende di dovermi occupare di lui che ormai ha quasi cent'anni e gode ottima salute, mentre io devo già fare i conti con diversi acciacchi."Questa l'autodifesa che Adriana immaginava di opporre a chiunque intendesse accusarla di non fare abbastanza per suo padre, rimasto solo dopo la morte della seconda moglie. Sempre, tornando a Milano e rimettendo piede nella propria casa dopo aver trascorso qualche giorno con lui, avrebbe voluto poterne dimenticare l'esistenza: era stanca e affamata, faceva tostare qualche fetta di pane su cui strofinava del pomodoro fresco spolverato di sale, vi faceva colare un filo d'olio e trangugiava tutto in fretta bevendoci sopra un bicchiere di vino; poi telefonava a Delia, certa com'era che attendeva i suoi resoconti, li stimolava, a volte addirittura sembrava pretenderli. Discutevano, come sempre, nella diversità stava il nucleo del reciproco interesse: raramente condividevano le ragioni e le scelte l'una dell'altra; eppure, per il bisogno di analizzare ogni gesto, ogni frase, scavavano, soprattutto Delia, cercando di arrivare al fondo. Di suo padre, nel corso di una lunga amicizia, Adriana le aveva parlato pochissimo: da più d'un ventennio Fosco s'era ritirato con la moglie in un paesotto tra la montagna e il lago, sopra Bergamo. Da quel momento, per uno stupido malinteso, i rapporti tra padre e figlia s'erano interrotti e né lui né lei avevano cercato di ricomporre la frattura. Adriana lo aveva quasi dimenticato, viveva la propria vita senza rimpianti né rimorsi, per quanto lo riguardava. Una lettera di Fosco, assolutamente inaspettata, giunse a rimettere tutto in gioco; poche righe, scritte con la mancanza di sensibilità che sua figlia ricordava bene: «Cara Adriana, da tanto non so più niente di te, neppure se sei viva e abiti ancora allo stesso indirizzo. Ti scrivo perché è morto il mio cane. Non puoi immaginare che cosa significhi perdere una bestia che ti è stata accanto per anni: è molto più doloroso che perdere un figlio». | << | < | > | >> |Pagina 19Si può nascondere a chi ci conosce bene uno stato di disperazione rabbiosa? Secondo Delia, il fatto che Adriana avesse cambiato pettinatura da quando si occupava del padre era chiaramente un segnale: aveva cominciato spazzolando i capelli all'indietro e fissandoli con un cerchietto, in modo che non le ricadessero sulla fronte; gradualmente, come se non avesse più tempo da dedicare a se stessa, aveva ritardato il momento di fare la tinta lasciando sopravanzare il bianco all'attaccatura; infine aveva preso a raccoglierli sulla nuca con mollette e mollettoni. Con questo nuovo modo di porsi sembrava voler comunicare a tutti che la sua vita finiva lì, costretta com'era a dedicarsi a un uomo che aveva sempre odiato. S'era arresa, s'era assoggettata. Faceva quello che riteneva il proprio dovere, in silenzio, senza obiettare né replicare, qualsiasi cosa lui dicesse, anche che era cattiva, anzi, "mostruosamente cattiva". Se accennava una risposta lui faceva un gesto con la mano come per scacciarla o le torceva le labbra gridando: - Tu sei come il Maso, vorresti uccidermi a bastonate -. Adriana non rispondeva, in che modo avrebbe potuto difendersi? Perché era vero che lo odiava, e forse, anche se credeva il contrario, ammetteva parlandone a Delia, in quei momenti emanava ondate di odio che lui sicuramente percepiva. Dell'odio si faceva uno scudo che la rendeva impermeabile ai sentimenti, nell'odio vedeva l'unica possibilità di superare intatta quel momento; ma per riuscirci doveva dimenticare la telefonata di Maria e con la stessa il progetto espresso da suo padre.Delia obiettò: - Il verbo odiare è molto duro. Perché lo odì tanto? Potrei capirlo soltanto se lui ti avesse fatto qualcosa di terribile, per esempio se avesse abusato di te quand'eri bambina e non potevi difenderti. Adriana si inalberò: - Mai! Assolutamente mai, lo escludo! - Potresti averlo rimosso conservandone però un sentimento di rifiuto. - Se ti dico di no! Lo odio perché lo ritengo responsabile della morte di mia madre: per il suo disamore, per la sua egoistica indifferenza. Sicuramente non l'ha resa felice, molte volte l'ho vista piangere. Ricordo che aveva sempre mal di stomaco. Mio padre non c'era mai, dopo il lavoro andava al Circolo a giocare a bocce. Certe sere lei e io andavamo al cinema di quartiere, era l'epoca dei telefoni bianchi, i film raccontavano storie d'amore all'acqua di rose; la mamma usciva di casa con la boule dell'acqua calda e la teneva stretta al petto durante tutta la proiezione. È morta a trentasei anni, io l'ho vista morire. Ancora oggi non posso parlarne, sto male. Ero felice con lei, tra noi c'era una complicità che probabilmente a lui dava fastidio, lo manifestava con frasi sprezzanti: "State sempre appiccicate, come il francobollo alla busta, come la noce al guscio" -. Adriana, ricordando, vibrava di rancore: - Non ho mai sopportato il suo tono, sembrava sottintendere "voi due cretine". Se dovessi descrivere l'atteggiamento di mio padre, così come lo ricordo dalla primissima infanzia, lo definirei ringhioso: non gli ho mai sentito dire una parola gentile, ha sempre avuto l'orribile abitudine di bestemmiare, ogni sua frase si concludeva con una bestemmia. Delia, che aveva ascoltato in silenzio, azzardò: - Non pensi che fosse geloso della vostra intesa, che si sentisse in qualche modo escluso? - Ma via! Non era certo quello il modo per farsi amare! Mia madre stava male, la sua malattia è durata cinque anni, e lui non ha mai trovato di meglio da dire che: "Tutte balle, tutte balle! Le donne sono isteriche!" Gli ho sempre sentito dire che la mamma era morta di cancro, invece la nonna e lo zio sostenevano che si trattava di un'ulcera perforata di cui i medici non s'erano resi conto: forse a quel tempo non c'erano le apparecchiature sofisticate di oggi. Mio padre, certamente, non la spingeva ad approfondire... Anzi, sono convinta che l'abbia ostacolata. Quante volte li ho sentiti discutere, se non litigare, lui con quel suo odioso "tutte balle, tutte balle!". | << | < | > | >> |Pagina 54A mezzogiorno in punto, a casa di Fosco, ci si doveva mettere a tavola: lui apparecchiava soltanto per sé e non sopportava nulla attorno che non gli servisse al momento, né sale, né olio, né vino. Li usava e subito li rimetteva nell'armadietto alle proprie spalle, come se Adriana non esistesse; lo faceva con un movimento automatico, senza alzarsi né voltarsi. Per lei, che gli sedeva di fronte, era come se suo padre erigesse una barriera difensiva per superare la quale avrebbe dovuto farlo alzare, fargli spostare la sedia o, in qualche modo scavalcarlo.- Anche se avessi desiderato aggiungere olio o sale ne avrei fatto a meno. Che mi importava? Mangiare le riusciva impossibile i primi tempi: tutto le ripugnava, per non restare digiuna e per far passare il tempo si preparava un tè che beveva sbocconcellando un po' di pane. Nel pomeriggio, nei limiti del possibile, puliva la casa: il bagno era sporco in modo disarmante, ma se Fosco la sorprendeva a usare detersivi imprecava e bestemmiava. Sul fondo della vasca lui lasciava sempre due dita d'acqua, la cui utilità non era chiara, ma che le era vietato sostituire con altra pulita. A questi divieti, a cui Adriana non osava opporre nulla e che Delia definiva assurdi e prevaricatori, si aggiungeva la proibizione di chiudercisi a chiave: Fosco sosteneva che la porta si sarebbe bloccata con la conseguenza di dover chiamare un fabbro o un falegname. Per maggiore chiarezza aggiungeva che a casa propria voleva sentirsi libero di andare "al gabinetto" per qualsiasi urgente necessità, in qualsiasi momento. Per risolvere il problema Adriana s'era fatta amica della padrona d'un bar non troppo lontano; ordinava un cappuccino poi chiedeva di poter usare la toilette che fortunatamente era sempre pulita e dove non era vietato mettere il chiavistello. Ma non era facile sgattaiolare di casa ogni mattina senza dare spiegazioni, ed era imbarazzante approfittare a lungo di una gentilezza. Per cena Adriana faceva lessare qualche patata, un piatto di riso o di pasta che Fosco cospargeva di grandi quantità di formaggio grattugiato. Accadde che una sera la formaggera si rovesciasse sul pavimento, non certo immacolato, e che suo padre raccogliesse il contenuto con la paletta per l'immondizia e lo spargesse tranquillamente sulla pasta. I piatti li puliva lui con il fazzoletto con cui si soffiava il naso, non permetteva che venissero lavati, non era chiaro se per risparmiare acqua o per qualche balzana idea. Non ammetteva che si cucinasse lì, tranne quelle poche cose: l'arrosto o lo stracotto li preparava Adriana a Milano, glieli portava già affettati e divisi in porzioni separate in modo che potesse conservarli nel freezer e prenderne giorno per giorno quanto gliene serviva. Gli preparava grandi quantità di caffè, perfino due litri per volta, e lo travasava in bottiglie di vetro: Fosco amava, di tanto in tanto, cenare con una scodella di caffellatte che riempiva di fette di pane fino a renderlo quasi asciutto. Anche a lei non dispiaceva mettere "qualcosa di caldo nello stomaco", non le andava di mangiare quella carne gelata, dato che suo padre la toglieva dal freezer all'ultimo istante. Erano tante le cose che non le andavano e a cui, per qualche ragione che a Delia appariva incomprensibile, si adeguava. - Come puoi accettare, da una persona che dici di odiare, imposizioni che ti pesano tanto? - Forse non riesco a farmi capire: faccio le cose che faccio e sopporto tutto perché lo ritengo mio dovere, il fatto che io lo odi non mi esenta. - Hai deciso di guadagnarti il paradiso? - Che sciocchezza! Però mi sono resa conto che l'essere umano si abitua a tutto: mi sono perfino abituata a vedere la sua dentiera sul tavolo, durante i pasti, quando accade che qualche granellino si insinui tra la protesi e la gengiva, se la toglie tranquillamente e l'appoggia accanto al piatto. - Non puoi fargli notare che ti ripugna? - Ma no, lascio perdere, tutti i vecchi sono così. Delia replicava: - Non è vero! Mia madre, vissuta fin quasi a novant'anni, aveva un grande pudore. Penso che sia una questione di rispetto di sé e delicatezza verso gli altri. - D'accordo, ma se lui è così che cosa posso farci? Una volta capìto che non lo fa per spregio ma per abitudine, dovrei mettermi a discutere, a litigare? Preferisco lasciar perdere. | << | < | > | >> |Pagina 107- Tuo padre, politicamente, da che parte sta?- Che ne so? So che a lui non sta mai bene niente: non gli piace il sistema, non gli piacciono le istituzioni pubbliche, non gli piacciono i giovani, non gli piace la musica, non gli piace la televisione, non gli piace la radio. A lui non piace niente. NIENTE! E non piacendogli niente gli sale dentro la rabbia, perché è costretto a subire la vita come tutti: deve andare in banca a depositare i soldi o prelevarli, deve andare nei negozi secondo orari d'apertura che non ha deciso lui, deve pagare l'Ici, andando personalmente o mandando qualcuno; non può esimersi. E allora gli monta la rabbia, perché deve adeguarsi, sottostare. Questo è! - Bene, questo è l'oggi, però mi domando, e scusa l'intrusione, perché non cerchi di capire chi è lui veramente, al di là di un giudizio infantile mai modificato? Stai facendo tanto per lui e ti rifiuti di accertare se la tua verità è la verità. Hai l'opportunità di capire chi è veramente l'uomo che ti ha messa al mondo; l'uomo che odi, e di capire perché lo odi. Mi domando perché rifiuti un sentimento così umano, l'affetto, una giustificazione migliore che non il dovere. Parli di pietas ma poi dici che se lui non s'interessa alla tua vita tu non sei interessata alla sua -. Delia tacque per riprendere con improvvisa indignazione: - La vita ti sta offrendo una splendida occasione per sciogliere un rancore che potrebbe anche essere immotivato; ma tu preferisci aiutare quest'uomo a lavarsi il culo, sentirlo parlare delle sue emorroidi! Perché è più facile? Perché ti sgrava la coscienza senza metterti in discussione? Ripeto: perché non provi a fargli qualche domanda diretta? Che cos'hai da perdere? Se ti risponderà con una bugia saprai che conto farne. Improvvisamente esasperata Adriana gridò: - Perché dovrei farlo?! Tanto lui racconta sempre palle che possono assomigliare alle mie, dirai tu, un tipo di palle a suo uso e consumo: se non ha voglia di fare una cosa, e per qualche motivo l'ha già detto e non gli hanno dato ascolto, o non ha voglia di discutere, e gli sembra che l'altro avrebbe da obiettare, come fai tu con me continuamente, a un certo punto perde la pazienza e racconta una palla grossa: "Mi hanno tagliato via una gamba, non posso venire." L'altro non può dire più niente, capisci? Ecco. Ci assomigliamo molto, in questo. Adriana si infiammava, alla minima obiezione si agitava gridando: - Racconta sempre palle, sempre, sempre! Tutte le volte che fa un gemito o un lamento, in realtà non ha niente, sta benissimo -. Le argomentazioni di Delia non la convincevano e le sembravano irrealizzabili, perlomeno nell'immediato: avrebbe dovuto poter restare con lui giornate intere, aspettare il momento opportuno per fargli qualche domanda, certo non in presenza di Duccio o di chiunque altro. Rimuginava tra sé: "Delia crede possibile dipanare una matassa piena di nodi, e sa benissimo che a mano a mano che li incontri sono proprio questi che vanno sciolti, altrimenti non s'arriverà alla fine. Mi domando: perché dovrei affrontare questo travaglio che può rivelarsi doloroso, che può compromettere la tregua che si è instaurata tra noi? È vero che il mio giudizio su di lui è fermo all'infanzia e, peggio ancora, alla primissima giovinezza; ma se sono cresciuta con la convinzione che lui non mi amasse, qualcosa l'avrà pur motivata, questa convinzione. Se il padre non ti dà tenerezza, se ti ignora, se ti rimbrotta soltanto, vuol dire quantomeno che è un anaffettivo. Lo odiavo perché trattava male mia mamma: solo recentemente con Delia abbiamo ipotizzato che fosse geloso del legame tra me e lei, che se ne sentisse escluso; ma ritengo toccasse a lui, persona adulta, cercar di superare il problema, non certo a me che ero una bambina! Poi s'è aggiunto il mio rancore perché lui m'ha voluta mandare in collegio; la mamma non voleva e lui s'è messo a urlare che in casa sua decideva lui. Ho cominciato allora a respingerlo, non prima. Lo sentivo come il padrone mio e di mia mamma. Poi, quando mi ha fatto lasciare la scuola, il dissidio è diventato evidente: lui mi faceva una villania e io gli tenevo il broncio, lui mi detestava e io lo ricambiavo. Malintesi su malintesi, con l'andar del tempo i rapporti si guastano definitivamente. Probabilmente sono poco analitica, soltanto ora riesco a pensare che forse con la mia nascita mia madre gli si è dedicata di meno, il nocciolo del loro disaccordo poteva essere questo." | << | < | > | >> |Pagina 139L'arrivo di Adriana scortata da figlia e genero aveva stimolato la curiosità dei signori Zucchi, la coppia che abitava al secondo piano. - Probabilmente - raccontò poi Adriana, - ci hanno visti dalla finestra mentre salivamo, sai come sono nei paesi! È sceso solamente il marito, forse con l'idea di farsi presentare. Che male c'è? In tanti anni non hanno mai visto altri che me. Ma subito mio padre l'ha aggredito: "Lei viene sempre quando io non ho bisogno! Quando io ho qui gente lei viene giù! Che cosa viene a fare quando io non ho bisogno?" L'altro, poveretto, c'è rimasto male: "Ma signor Barra, sono venuto a vedere come sta!" E lui, in crescendo: "E come vuole che stia?! Io sto bene, sto sempre bene! Lei deve venir giù solo quando glielo dico io!" Secondo mio padre - riprese Adriana animatamente, - quel signore dovrebbe scendere tutte le mattine, all'ora che sta bene a lui, per chiedergli se ha bisogno di avvitare una lampadina. Un esempio: lo manda a pagare la bolletta del telefono, che magari scade dopo un mese; il poveretto si precipita; se torna dopo un'ora con la ricevuta va bene, ma se ritarda un giorno o due per mio padre è un cretino, un ignorante, uno che non capisce niente: se gli dà una commissione è perché vuole che venga fatta subito! Gli ha rinfacciato di avergli dato diecimila lire, e anche una sterlina d'oro, perché lui non chiede niente gratis, e ha continuato così, alzando sempre più la voce e a mano a mano eccitandosi: "Sono cinque anni che san qui da solo e da lei non ho mai ottenuto niente!" L'altro è rimasto interdetto: "Signor Barra! Sono cinque anni che non faccio niente per lei?!" E mio padre, rincarando: "Certo! Sono cinque anni che non fa niente!" Il povero signore ha alzato gli occhi al cielo e se n'è andato. Io credo che mio padre non si sarebbe comportato così se non avesse avuto il suo pubblico; magari sarebbe stato scortese come lo è sempre, ma non fino a quel punto. Poi, con noi, ha tentato di farsi dare ragione. Gianni era ammutolito: s'è ancor più ammutolito quando, dopo mangiato, ho detto che salivo dalla signora a consegnarle un regalino che avevo portato per lei dalla Grecia e mio padre m'è corso dietro strattonandomi per farsi ascoltare: "Tu adesso vai su e gli dici: 'Sa, il mio papà, in un momento di rabbia... lei non deve dare ascolto.' Devi dirgli: 'Il mio papà è dispiaciuto.'" Capisci, Delia? La cosa che mi disgusta di lui, e te l'ho detto fin dall'inizio, è che usa le persone senza nessun riguardo: quando si comporta come si è comportato con quel signore e poi mi rincorre per chiedermi d'andare a baciargli le mani, mi sale dentro una rabbia... Quel poveretto, dopo essere stato mortificato davanti a noi, gli ha regalato una scatola di cioccolatini per il suo compleanno! Vuoi sapere la reazione di mio padre? Appena entrata mi ha mostrato la scatola: "Hai visto come strisciano le persone, a trattarle male?" In quel momento gli avrei sparato in faccia! Ho sentito salire in me un odio terribile, viscerale!| << | < | |