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| << | < | > | >> |Indice7 Introduzione 21 1. Il ritorno degli idoli della semplificazione Dai due blocchi alle due semplificazioni "Dio è morto!", ma anche il "demone" di Laplace è morto Il primo martellatore del mito dell'onniscienza "Da Copernico in poi l'uomo rotola dal centro verso una x...": la complessità! 45 2. Profeti, scienziati, filosofi della complessità: la rivoluzione silenziosa del Novecento Prendere commiato da Cartesio Dalla vita alla scienza, dalla scienza alla vita Una "razionalità allargata" Il "sovrano sotterraneo" "Adiunge et impera!": dalla recinzione all'agorà dei saperi 77 3. "Siamo al centro di un'incommensurabile tragedia" Recalcitranti o miopi di fronte alla nuova awentura La talpa della complessità Il "Muro" del semplicismo non è caduto 93 4. Liberismo, populismo, sovranismo: fanno rima con semplicismo! Il Grande Rifiuto della complessità "Tenere la rotta": errori e limiti dell'ideologia neoliberale L'individuazione non è l'individualismo La slavina dell'antipolitica Il populismo è una semplificazione del progetto democratico Complessificare la democrazia Vivere un tempo asincrono 127 5. Il coraggio di essere moderni, per la seconda volta L'"autosoppressione della semplificazione" Lo spettro dell'uomo semplificato La sete inestinguibile di Homo complexus Curare, educare, governare "Manca il fine. Manca la risposta al 'perché?'"... È così? Un risveglio dell'immaginario 163 Indice analitico dei nomi |
| << | < | > | >> |Pagina 7INTRODUZIONEUnico e comune è il mondo per coloro che sono desti, mentre nel sonno ciascuno si rinchiude in un mondo suo proprio e particolare. Eraclito A margine dell'allerta sociale e del panico suscitati dall'emergenza del Coronavirus, il filosofo e sociologo della complessità Edgar Morin ha scritto: "L'enorme policrisi allo stesso tempo planetaria, nazionale, locale, esistenziale lega in modi molteplici, continuamente e profondamente il pianeta, la nazione, i nostri vicini al nostro Io singolare". A sua volta, la massmediologa Chiara Simonigh ha commentato: "Un virus microscopico rende macroscopica la complessità, l'interdipendenza, la multidimensionalità, l'incertezza dei problemi e della comunità di destino umana". Dal canto suo, lo scrittore e fisico Paolo Giordano ha osservato: "Non abbiamo anticorpi contro Covid-19, ma ne abbiamo contro tutto ciò che ci sconcerta. È un paradosso del nostro tempo: mentre la realtà diventa sempre più complessa, noi diventiamo sempre più refrattari alla complessità". "Complessità" è parola-rivelazione del nostro tempo e, contestualmente, parola controtempo. Forse dovremmo dire, ancora meglio, parola "inattuale", nel senso che Nietzsche attribuiva al termine nelle sue Considerazioni inattuali. L'idea, cioè, di una realtà o di una causa che meglio di altre descrive la contemporaneità, afferra il proprio tempo, ma che è percepita come "inattuale" da chi è legato a convinzioni radicate, che si vorrebbero continuamente riconfermare seppure anacronistiche. Innanzitutto, la convinzione secondo la quale il mondo è alla base semplice e basta cercare questo semplice invisibile dietro la complessità dei fenomeni, giudicata solo apparente. La semplificazione è stata la via regia per realizzare l'ideale dell'onniscienza, costitutivo della tradizione moderna: giungere gradualmente e progressivamente alla conoscenza definitiva e in linea di principio completa, che avrebbe reso il mondo sicuro, dominabile, prevedibile. Oggi, invece, sono l'incerto, l'inafferrabile, l'improbabile a guadagnare terreno e ad avvilupparci. L'ideale dell'onniscienza, con i suoi corollari epistemologici e metodologici, da Cartesio in poi, ha disciplinato le conoscenze e le azioni umane, e probabilmente si è radicato più profondamente nelle dinamiche emisferiche del nostro cervello, forgiando attitudini cognitive ed emotive, di tipo analitico, rinforzate peraltro dalla pedagogia moderna. Ora, per converso, la complessificazione del mondo esige un'attitudine al pensiero complesso. La globalizzazione esige un'attitudine al pensiero globale. Globalizzazione e complessificazione appaiono i due processi intorno ai quali vorticano tutti i nostri problemi, tutte le incognite del futuro, di breve, medio e lungo termine. Per tre secoli almeno, abbiamo pensato di trovarci sempre di fronte a realtà o sistemi, più o meno, complicati, da dover semplificare per scoprirne l'intelligibilità (lo abbiamo cominciato a fare con l'universo e con il sistema solare). Dai primi decenni del secolo scorso, con i nuovi sviluppi delle scienze fisiche, chimiche, biologiche, abbiamo preso coscienza di trovarci, invece, di fronte a realtà o sistemi complessi, da modellare per costruirne l'intelligibilità. Di conseguenza, si è preso coscienza del fatto che, semplificando un sistema complesso, si finisce per mutilarlo e per inficiarne a priori l'intelligibilità, con il risultato, in ambito tecnico-pratico, di pregiudicare la definizione e la soluzione dei problemi, e pertanto l'efficacia delle decisioni. L'immagine di una natura instabile e segnata dal tempo è subentrata all'immagine classica della natura certa, reversibile e deterministica. Alla fine del secolo scorso, il Premio Nobel per la chimica Ilya Prigogine poteva sostenere che ci trovavamo "al punto di partenza di una nuova razionalità, che non identifica più scienza e certezza, probabilità e ignoranza". Per quanto riguarda il mondo umano, viviamo processi nuovi e vertiginosi così profondi sul piano geopolitico, economico, tecnologico, antropologico che stentiamo a capire se si tratta di mutazioni, metamorfosi o regressioni. E scienze ibride come l'ecologia ci fanno comprendere meglio la trama fitta e complessa delle interconnessioni uomo-natura. Valga l'esempio di un sistema complesso con cui ormai l'opinione pubblica mondiale ha familiarizzato: il clima. La metamorfosi climatica sta trasformando l'ambiente circostante, dove viviamo, in un habitat inesplorato, facendoci esclamare: "Non ci sono più stagioni!". Constatiamo che le condizioni di abitabilità della Terra si stanno deteriorando e che, così, ci esponiamo a possibili crisi o catastrofi alimentari e sanitarie non del tutto prevedibili per la loro entità e i loro effetti. Dopo secoli di appropriazione del mondo, garantiti dalla Modernità, dallo scientismo, dalla rivoluzione industriale, cominciamo con ansietà crescente a "perderlo", il mondo, e a dipendere da ciò che prima dipendeva da noi. Fatto il suo ingresso nella Storia, ora la Natura attende di essere accolta nella Politica, come contraente di diritti che comportino l'assunzione di nuovi obblighi "legali", e non solo morali, da parte degli uomini. La sorte di beni umani come la salute e la giustizia sociale si legherà al senso di giustizia verso i non-umani: l'acqua, l'aria, i frutti e così via. Scopriamo che la qualità della vita, la produzione e lo scambio di beni e servizi, persino l'ordine sociale e la nostra sopravvivenza dipendono sempre più tanto dall'infosfera quanto dalla biosfera, nella misura in cui i sistemi informatici di sicurezza sono "hackerabili" e l'ambiente e il clima si possono alterare irrimediabilmente. A livello individuale, poi, cresce il sentimento dell'"esser-gettati" in situazioni quotidiane, professionali, interpersonali, pubbliche e collettive più intricate, variabili, dilemmatiche. Di essere investiti da un diluvio di informazioni, senza il tempo di riuscire, se mai fosse possibile, a elaborarle tutte, risucchiati come siamo nel vortice di una vita accelerata. Sempre meno "a casa nostra" e sempre più spaesati, in un mondo dove "la porta del paradiso rimane sigillata dalla parola 'rischio'" e "il rischio di evitare il rischio resta sempre un rischio". Eppure, le ritrosie di fronte alla complessità, le fughe dalla complessità si moltiplicano. Il rifugio nella semplificazione persiste come una tentazione ancora irrefrenabile e spesso risolutiva di stati d'angoscia. Speriamo di poter tutto semplificare, programmare, anticipare con calcoli. Tendiamo a prefissare scopi a breve termine, a circoscrivere il fattore onniesplicativo di ciò che ci accade intorno, a trovare sempre una "logica" (il vero cavallo di battaglia del semplicismo!), nella speranza di scartare o escludere ciò che è contraddittorio, imprevisto, irrilevante, ambiguo. Nella speranza di poter sempre distinguere con nettezza il vero dal falso, il bene dal male. Nella sfera morale, sociale, politica, improntata per secoli agli schemi cognitivi e ai concetti della razionalità scientifica moderna, la refrattarietà al "pensiero complesso" sembra più accentuata. Miti e idoli del passato appaiono più duri a tramontare, quasi interiorizzati al pari di riflessi condizionati. La controprova immediata si ha all'indomani di un evento periodizzante come la caduta del Muro di Berlino. Dai santuari accademici dell'unica superpotenza rimasta in gioco sulla scena mondiale non si resiste alla tentazione di proclamare solennemente la "verità semplice" che quell'evento renderebbe inconfutabile e indubitabile: la società capitalistica e democratico-liberale è la migliore delle società possibili, segnerebbe addirittura "la fine della storia", come teorizzato dal politologo Francis Fukuyama. Non resta che attenderne o favorirne l'estensione generalizzata al pianeta e considerare la competizione globale come il nuovo ambiente cui la specie umana dovrà adattarsi, per pervenire al suo grado evolutivo ottimale. Questi sono in nuce i principi del neoliberalismo, che sarebbe divenuto, negli anni successivi, l'ethos e l'ideologia dominante delle élite tecnocratiche e politiche di gran parte del mondo, recando con sé nuove cecità e nuovi errori, dopo quelli che avevano funestato il cosiddetto "secolo breve". E con effetti che scontiamo nel presente: la controreazione dei populismi. Come ha detto bene il filosofo Slavoj Žižek , puntando l'indice principalmente contro quelle élite, il populismo "è sempre sorretto dall'esasperazione frustrata delle persone comuni, dal grido: 'Non so cosa stia accadendo, so solo che ne ho abbastanza! Non può continuare! Deve finire!' - un'esplosione impaziente, un rifiuto di comprendere, un'esasperazione nei confronti della complessità, e la conseguente convinzione che ci deve essere un responsabile per tutto il disordine, motivo per il quale si va alla ricerca di qualcuno che stia agendo dietro le quinte e che costituisca la spiegazione di tutto". Una reazione viscerale che risponde a un problema effettivo, quello di una "complessità" falsa e truffaldina - un'ipercomplicazione e non un'autentica complessità - utilizzata a piene mani dalle élite, che si avvantaggiano della "fine della storia" del liberismo capitalistico globalizzato per imporre la loro semplificazione propagandistica, la loro ideologia del guadagno come unico fine dell'uomo, Ma a una semplificazione che copre la complessità dei legami e delle interdipendenze, e che di fatto è piuttosto complicatezza degli interessi e delle manovre di potere, si reagisce con una manovra simmetrica e inversa, che copre altri e analoghi giochi, per mascherarli da facili slogan e con la verbalizzazione demagogica dell'odio. All'indomani delle elezioni presidenziali americane del 2016 - con la vittoria a sorpresa di Donald Trump - e del cataclisma elettorale italiano del marzo 2018, fa eco al filosofo sloveno lo scrittore e giornalista Michele Serra: "Nessuno ha il tempo di sopportarla, la complessità: se bastano pochi secondi per ottenere una risposta, nel giochino mondiale del web, perché diamine devo rompermi la testa in qualche maledetta analisi o ragionamento? L'egemonia culturale della destra, la nuova destra popolar-sovranista, sta tutta nella sua grande capacità di semplificare qualunque argomento". Serra conclude dichiarandosi fiducioso che "la complessità, alla fine, vincerà, e la semplificazione (anche quella razziale) sarà spazzata via". Ma il modo manicheo con cui l'onda populista cerca di reimpostare la dialettica politica, che il neoliberalismo vorrebbe uniformare ai vincoli insuperabili e "naturali" del mercato mondiale, ha l'effetto, a sua volta, di camuffare, involontariamente o irresponsabilmente, il rischio e l'incertezza dell'azione politica. Al realismo triviale, che predica l'adattamento all'immediato o a presunte "leggi naturali" delle vicende umane, si contrappone così l'irrealismo triviale, che si sottrae ai vincoli della realtà e sottovaluta i rischi. Si tengono fuori dalla porta, come ospiti inquietanti, gli sforzi di comprendere l'incertezza e di considerare la possibilità del nuovo, con la probabilità che le pulsioni securitarie spianino la strada a forme di neoautoritarismo e all'erosione dello Stato di diritto. E, in vari continenti del mondo, difatti, la democrazia attraversa un momento pericoloso, due volte insidiata: dai condizionamenti del mercato e della finanza e dal corrivo appello alle piazze facendo leva sul malcontento, sulla confusione, sulla rabbia sterile. Giungiamo, così, al possibile nodo gordiano del futuro: senza democrazia non possiamo operare la riforma di pensiero necessaria a governare la complessità; senza la riforma di pensiero necessaria a governare la complessità non possiamo preservare e rigenerare la democrazia. Né va dimenticato che la via della semplificazione e del semplicismo è lastricata (storicamente lo è stata) di astrazioni, generalizzazioni, "purificazioni" e potenzialmente di pregiudizi violenti, di lotte mortali, di errori e orrori. Diventa comodo placare le proprie paure, la minaccia di un pericolo e i propri istinti aggressivi proiettandoli sull' altro, pensato come radicalmente diverso, e assecondare, per questa via, pulsioni arcaiche e sacrificali. Il che è accaduto anche in occasione dell'epidemia del Coronavirus: la riluttanza ad accettare la possibilità dell'improbabile e l'idea che l'ignoto è inseparabile dai progressi della conoscenza ha fatto sì che subito si insinuasse nelle menti il pregiudizio, chiaramente inconsistente, che una precisa etnia fosse portatrice congenita del virus oppure il pregiudizio, in Europa, secondo cui precise nazionalità fossero per definizione colpevoli di comportamenti indisciplinati e irresponsabili. O quando, dopo gli attacchi terroristici a "Charlie Hebdo" e al Bataclan, è circolato in Europa il refrain: "I musulmani sono terroristi". Per secoli, si sono divisi tra loro non soltanto i saperi e le scienze, ma anche i gruppi etnici, religiosi, politici, gli Stati: tra loro e al loro interno. Si sono ridisegnati, negoziati e fortificati confini, con o senza guerre. A volte, ci si è inabissati nella violenza reciproca più efferata e abominevole. Quella violenza incredibilmente e inaspettatamente ricomparsa, nel recente passato, a Srebrenica, come, più recentemente, nei conflitti esplosi in Libia e in Siria per una micidiale miscela di interessi geopolitici ed economici e di odi interetnici e tribali. Ecco perché raccogliere la sfida della complessità è una necessità del pensiero e soprattutto un imperativo etico, un imperativo di sopravvivenza. O vinciamo insieme, o perdiamo insieme... Tutto è connesso. Tutto è in relazione. Siamo tutti sulla stessa barca. | << | < | > | >> |Pagina 452.PROFETI, SCIENZIATI, FILOSOFI DELLA COMPLESSITÀ:
LA RIVOLUZIONE SILENZIOSA DEL NOVECENTO
[...] cercò per tutta la sua vita di rappresentare il mondo come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo, di rappresentarlo senza attenuarne affatto l'inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni evento. Italo Calvino La scienza d'ispirazione cartesiana compiva un movimento logicamente coerente dal complesso al semplice, ed è indubbiamente servita a inaugurare il corso della scienza moderna, distaccandola dai precedenti quadri metafisici e religiosi, ma rimanendo esposta al rischio di assolutizzazione unilaterale che poi avrebbe preso piede nei secoli successivi. Ma all'interno del paradigma apparentemente monolitico della scienza moderna, con la sua episteme meccanicistica e riduzionistica, si è fatta strada già durante il XIX secolo una crisi interna dei suoi assiomi, a cominciare dalla messa in discussione dei fondamenti della matematica classica fino ad arrivare alla rivoluzione avvenuta nella fisica agli inizi del XX secolo con la scoperta della radioattività da parte dei coniugi Curie , il primo modello di composizione dell'atomo di Rutherford, l'elaborazione della teoria della relatività di Einstein , la formulazione della teoria quantistica di Bohr ... La stessa rivoluzione apportata dalla teoria dell'evoluzione di Darwin , nel 1859 con L'origine delle specie e nel 1871 con L'origine dell'uomo e la selezione sessuale, inizialmente esaltata dai sostenitori di una visione positivistica della vita e dell'uomo, avrebbe sprigionato tutte le sue potenzialità con la nascita di una nuova scienza biologica, la genetica, e la graduale acquisizione della sorprendente complessità del mondo della vita. Prende forma un nuovo pensiero scientifico, che reagisce alle immagini unilaterali e semplificate della scienza di tipo cartesiano e che si pone con consapevolezza crescente il problema di leggere la complessità del reale sotto l'apparenza semplice dei fenomeni. I progressi della fisica nel campo dell'infinitamente piccolo e in quello dell'infinitamente grande mettono di fronte alla complessità delle particelle subatomiche e del loro funzionamento quantistico, mentre la nuova visione relativistica dell'universo ne rivela aspetti sorprendenti e anti-intuitivi, che mostrano il tempo come quarta dimensione di uno spazio topologico incurvato dai campi gravitazionali; dal canto loro, i progressi della biologia, con le esplorazioni del codice genetico e dei suoi processi di mutazione e invarianza, non smettono di porci di fronte al nodo inestricabile di autonomia e dipendenza che connota tutto ciò che è vivente. Improvvisamente, lo sviluppo delle conoscenze scientifiche mette in crisi il modello assoluto di scientificità e l'ideale di onniscienza che lo aveva promosso. | << | < | > | >> |Pagina 64Ai principi dell' ordine, della disgiunzione e della riduzione, Edgar Morin contrappone un cantiere aperto di principi alternativi. Principi che costituiscono la trama di un nuovo paradigma - il paradigma della complessità, appunto - che, in parte, estrapola dai cibernetici e matematici ( Norbert Wiener , John von Neumann , Heinz von Foerster ), dai chimici e fisici ( Ilya Prigogine , Isabelle Stengers ), dai biologi ( Humberto Maturana , Francisco Varela ), dai biofisici ( Henri Atlan ) e dai filosofi ( Cornelius Castoriadis ) e, in parte, elabora originalmente: il principio sistemico o organizzazionale (è impossibile conoscere le parti senza conoscere il tutto, così come conoscere il tutto senza conoscere precisamente le parti; le proprietà dei sistemi complessi non sono direttamente deducibili dalle singole parti che le compongono, ma ne costituiscono emergenze); il principio ologrammatico (non solo la parte è nel tutto, ma il tutto è inscritto nella parte); il principio dell'anello retroattivo (rompe con la causalità lineare: la causa agisce sull'effetto e l'effetto agisce sulla causa, con inter-retroazioni, ritardi, garbugli, sinergie, deviazioni, riorientamenti); il principio dell'anello ricorsivo (è una causalità circolare: i prodotti e gli effetti sono essi stessi produttori e cause di ciò che li produce); il principio di auto-eco-organizzazione (l'oggetto o essere si può distinguere, ma non disgiungere dal suo ambiente; la conoscenza di ogni organizzazione fisica o biologica richiama la conoscenza delle sue interazioni con il suo ambiente o eco-sistema); il principio dialogico (occorre legare in maniera complementare nozioni eventualmente antagoniste ma riconducibili a un'unica realtà); il principio di reintroduzione del conoscente in ogni conoscenza (per esempio, la necessità d'introdurre il soggetto umano, situato e determinato culturalmente, sociologicamente, storicamente, in ogni studio antropologico o sociologico).Il pensiero complesso si delinea come pensiero che consente di trattare l'incertezza e approntare strategie per affrontarla. Collega, contestualizza, globalizza, ma riconosce nel contempo il singolare, l'individuale, il concreto. Soprattutto, è un potente e indispensabile antidoto al veleno più insidioso che iI vecchio paradigma secerne, al suo fumo più inebriante e accecante: il riduzionismo, quando, da metodo, è ipostatizzato a rivelatore di un'ontologia. Il riduzionismo va inteso sia in senso metodologico, cioè la spiegazione di un fenomeno attraverso la sua riduzione alle manifestazioni di un ambito della realtà già noto (per esempio, il calore descritto dalla termodinamica e spiegato con l'agitazione molecolare descritta dalla meccanica), sia in senso ontologico, cioè la spiegazione di tutti i fenomeni attraverso la loro riduzione a una realtà ultima (come l'atomo, i geni, il neurone o la pulsione). Il pensiero complesso è il pensiero della "distinzione-congiunzione", in alternativa alla tendenza a semplificare arbitrariamente la complessità privilegiandone alcuni aspetti ed escludendone altri, tipica del pensiero disgiuntivo e binario. Esso invita a distinguere logiche differenti e ad articolarle le une con le altre in riferimento a una logica superiore, a un metalivello, che integra le loro specificità, i loro antagonismi, senza ridurle e senza separarle dalla problematica globale cui appartengono. | << | < | > | >> |Pagina 79Il nostro è un tempo materialmente dominato, sconvolto, accelerato dalla scienza e dallo sviluppo tecnico, economico e sociale. Eppure, è un tempo così lontano, nelle sue condotte, dalla scienza. La scienza, infatti, si è mostrata, in molti isole del suo arcipelago, più rapida nel cambiare metodi, problemi, visione di sé e ha messo a disposizione nuove conoscenze per creare un mondo artificiale e intellettuale capace di emulare in complessità la natura. E, tuttavia, è rimasta opaca, nel suo progresso, alla società e ancora troppo frazionata nelle sue divisioni accademiche e professionali.Questo fatto rilevante concorre a "un'incommensurabile tragedia": il divario tra un mondo più integrato, interdipendente e complesso, da una parte, e, dall'altra, il pensiero politico, che risponde all'ambiguità, all'incertezza e alla contraddizione con la semplificazione, il manicheismo, l'esorcismo. | << | < | > | >> |Pagina 97A metà degli anni Novanta, Ralf Dahrendorf è tra i primi a diagnosticare l'incipiente epidemia del virus del populismo nelle democrazie europee e l'effetto di traino che ha sul campo politico delle destre radicali nel momento in cui incrocia i temi che esse privilegiano: la sicurezza e l'immigrazione. Una decina di anni dopo, questa ibridazione dà corpo a una nuova destra di tipo autoritario, distinta dalle destre tradizionali di tipo conservatore o liberista.La cultura politica della destra populista e autoritaria si alimenta rinforzando la percezione di condizioni che minacciano il mantenimento dell'integrità dell'ordine morale e sociale e, conseguentemente, fomentando atteggiamenti di intolleranza verso ogni differenza - razziale, politica o morale -, nonché la predisposizione psicologica a invocare autorità forti per ristabilire, tutelare e massimizzare l'omogeneità culturale e sociale. Secondo il sociologo tedesco, a denotare il populismo è proprio un "rifiuto" della complessità e il suo spumeggiare sull'onda della semplificazione: Il populismo è semplice, la democrazia è complessa; questo, alla fine, è forse il più importante carattere discriminante fra le due forme di riferimento al popolo. Diciamolo più chiaramente. Il populismo poggia sul consapevole tentativo di semplificare dei problemi. In questo sta il suo stimolo e la sua ricetta di successo. La delinquenza aumenta? Dobbiamo intervenire con durezza. Arrivano troppi rifugiati nel paese? Bisogna bloccarne l'accesso. Il capitalismo globale ci rende poveri? Si devono tagliare le ali ai suoi protagonisti. È semplice. Ma, per l'appunto, non è affatto semplice. Quando i populisti vanno al governo, se ne accorgono. Allora restano perplessi davanti alla complessità. Prendono ancora un paio di decisioni simboliche - un rafforzamento della polizia, una prigione per immigrati illegali, un discorso a Porto Alegre e non a Davos -, ma tutto si ferma lì. Il groviglio dei problemi rimane, una boscaglia senza piste, un compito per figure più solide dei demagoghi. Imparare a vivere con la complessità - questo è forse il compito più grande dell'educazione politica democratica. Nelle democrazie mature gli elettori sanno che non tutti i rosei sogni dei politici possono maturare [...], La vita è sempre complessa, e qualche passo nella giusta direzione è spesso l'unica cosa che possiamo seriamente fare. Per i politici non populisti ciò significa un compito che è esso stesso complesso. Devono evitare le grandi semplificazioni e tuttavia rendere comprensibile la complessità delle cose. | << | < | > | >> |Pagina 117Complessificare la democraziaComplessificare la democrazia non è solo la risposta ai populismi, che immaginano una democrazia semplificata. È anche la risposta a coloro che propongono di "minimizzare" la democrazia, in conseguenza della sua presunta incompatibilità o inadeguatezza al nostro tempo. Governare la complessità, infatti, non significa prendere congedo dalla democrazia (l'autogoverno dei cittadini, del demos) e aprire le porte al governo dei competenti (epistocrazia) o al governo dei tecnici (tecnocrazia). Entrambe le alternative alla democrazia sono scorciatoie e fughe in avanti che, di fatto, eludono surrettiziamente la sfida della complessità e finiscono per riproporre le consuete dinamiche semplificatorie e a uso di pochi happy few. | << | < | > | >> |Pagina 124Si conferma, così, che viviamo tra un passato che non passa e un presente carico di futuro: in un tempo asincrono, per dirla con Ernst Bloch. Siamo sicuramente approdati nel tempo della complessità, e la complessità è la nostra condizione attuale. Ma non tutti ne hanno esperienza allo stesso modo e non tutti vivono nello stesso tempo degli altri. Alcuni sono ambasciatori, nel presente, di un tempo anteriore, che ne inibisce la tensione, seppure opaca, verso il futuro. È calzante a questo proposito il concetto proposto da Bloch di contraddizioni non contemporanee. Per i nostri scopi lo utilizziamo così: l'influenza del paradigma della semplificazione si manifesta come persistenza, come passato non ancora esaurito, cosicché, nell'attuale tempo della complessità, siamo in presenza di una "contraddizione oggettivamente non contemporanea"; nella misura in cui essa si manifesta, invece, attraverso la paura dell'incertezza e della non prevedibilità, con il lutto non elaborato per la perdita dell'universo determinista e del mito del progresso e della perfettibilità indefinita dell'umanità, e attraverso l'angoscia dell'indisponibilità del mondo, si può considerare una "contraddizione soggettivamente non contemporanea".La contemporaneità, invece, coincide con l'alba di una seconda modernità, con l'alba della cultura e della coscienza della complessità. Con l'accettare, cioè, l'idea che, lasciandosi alle spalle la chimera di un mondo certo e prevedibile o di un compimento della storia, ci si può aprire alla creazione intelligente, permanente e responsabile di nuove possibilità di vita e di costruzione sociale, all'altezza delle sfide gigantesche poste oggi dalla nuova fase dell'era planetaria, che è stata inaugurata con l'età moderna. | << | < | > | >> |Pagina 138La sete inestinguibile di Homo complexusAl di là delle prospettive del postumano e dell'intelligenza artificiale, in ogni caso, siamo di fronte a un'eccezionale estensione delle capacità di intervento e manipolazione tecnologica alle più intime strutture biologiche della specie umana: biotecnologie, manipolazione genetica, nuove tecniche di riproduzione, nuovi sistemi di trapianto, ingegneria genetica, terapie geniche, donazione... Così, oggi, la controversia più profonda non è fra chi apprezza e chi teme la tecnologia. Piuttosto, è fra chi pensa che il corpo, la storia, la memoria siano residui del passato, da cui liberarsi, e chi, al contrario, li considera il cuore stesso dell'esperienza umana. E, quindi, è fra chi pensa che il nostro patrimonio umano debba essere investito in una corsa verso ritmi unilateralmente accelerati e meccanizzati, assunti come unica pietra di paragone di un'età nuova, e chi, al contrario, ritiene che il corpo, la storia, la memoria, l'individualità stessa siano filtri, criteri, vincoli irrinunciabili per attivare e canalizzare gli sviluppi tecnologici. Sono, i primi, quelli che più che mai vivono ancora nella suggestione e nelle illusioni del pensiero semplificante e riduzionista. E anche essenzialista. Infatti, i discorsi che parlano di postumano, ovvero di estensioni artificiali dell'umano, presuppongono in primo luogo che possa esistere un' essenza dell'identità umana, intesa come un confine preciso che separa ciò che è umano da ciò che non lo è. In secondo luogo, presuppongono anche che il "pezzo" aggiunto a questa essenza continui a restare isolabile e separabile e che sia in qualche modo possibile tornare indietro, come se l'uomo fosse assimilabile ab origine a un sistema meccanico. Tutto ciò stride con la principale singolarità di Homo sapiens, che emerge dalla storia evolutiva e adattativa dell'intero genere Homo nei suoi molteplici "progetti di speciazione", ciascuno legato ad avventurose vicende di cui ancora poco sappiamo e che hanno visto la più imprevedibile e inclassificabile interazione tra la sfera del vivente e la nuova emersione della dimensione simbolica e culturale: la sua costitutiva incompiutezza, che nasce dall'imprevedibile e si arricchisce sempre di nuovi aspetti e dimensioni. Il nostro patrimonio biologico e mentale non ci stabilizza in un ambito di possibilità fisso e limitato, come avviene per la condizione animale. Al contrario, il nostro patrimonio biologico e mentale apre l'accesso a uno spettro di possibilità eterogenee, molteplici, disparate, di cui non si scorge alcun indizio di prossimo esaurimento. Come recitano i versi del poeta argentino Miguel Espejo, "Abbiamo scoperto nella tecnica / una sorgente gigantesca / che non è riuscita a soddisfare la nostra sete". La tecnica è in fondo un modo di "chiudere" l'estensione di un ambito operativo, con abbinamenti rigidi, funzionanti, ripetibili. Non riesce ad appagare la "sete" dell'uomo, che è Homo complexus: razionale e delirante, lavoratore e giocatore, empirico e immaginario, economo e dilapidatore, prosaico e poetico.
[...]
Curare, educare, governare
È la sfida di un nuovo umanesimo planetario, generato da una "cultura della complessità", che deve diventare cultura dell'educazione libera e aperta, della condivisione delle responsabilità e delle conoscenze, della democrazia intesa come progettazione solidale globale. La sfida della complessità induce, infatti, a ridisegnare profondamente i contorni dell'etica, dell'educazione, della politica, vale a dire, più in generale, delle attività essenziali alla formazione dell'umano, così come è emerso nel corso della sua evoluzione e della sua storia. Si tratta delle attività che, in un celebre saggio del 1937, Freud considerava "impossibili": curare, educare, governare".
[...]
L'
educare
s'impernia sull'insegnamento
della capacità di apprendere e di collegare conoscenze, di distinguere e
articolare logiche differenti, di promuovere l'attitudine della mente umana a
contestualizzare e a globalizzare, concependo i confini tra
le discipline non più come confini lineari
di netta separazione, ma piuttosto come
aree di interazione, spazi intermedi dove
nascono i problemi più interessanti, gli
approcci più originali. La scuola, in particolare, deve raccogliere oggi la
sfida di insegnare la nuova condizione umana nel
tempo della globalizzazione. In questa
prospettiva, deve insegnare a concepire
l'unità nella diversità umana e la diversità nell'unità umana, aiutare
l'individuo a percepirsi come un'identità multipla, aiutandolo nel contempo a
percepire gli altri individui come identità altrettanto multiple. Inoltre, la
scuola non è solo luogo di "istruzione": è un luogo di cura dell'anima, di
socialità, di esercizio all'attenzione,
di sviluppo vocazionale, di fioritura della
personalità nel rapporto solidale con gli
altri, di dialogo tra generazioni, di ibridazione di culture, esperienze,
valori, di viatico alla vita personale e civile.
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