Copertina
Autore Elena Cervellati
Titolo La danza in scena
SottotitoloStoria di un'arte dal Medioevo a oggi
EdizioneBruno Mondadori, Milano, 2009, Campus , pag. 196, ill., cop.fle., dim. 14,5x21x1,1 cm , Isbn 978-88-6159-106-6
LettoreElisabetta Cavalli, 2009
Classe storia dell'arte , storia sociale
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Indice

 IX Introduzione

    Parte prima


  3 1.  La nascita del balletto: tra Medioevo e Cinquecento

  3     1.1 Il Ballet comique de la reine (1581)
  7     1.2 La strada e la corte
 11     1.3 Maestri e trattati

 19 2.  La danza in teatro: il Seicento

 19     2.1 Le Triomphe de l'amour (1681)
 21     2.2 La nascita del professionismo
 28     2.3 Scene e musica nel Barocco italiano

 35 3.  Raccontare con il movimento: il Settecento

 35     3.1 Le Festin de pierre (1761)
 38     3.2 Tra ballet d'action e danza pantomima
 43     3.3 Un'arte senza confini

 53 4.  Rivoluzione e conservazione: 1789-1830

 53     4.1 La Fille mal gardée (1789)
 55     4.2 Danza e rivoluzione
 59     4.3 Neoclassico e classico

 67 5.  Il balletto romantico: 1830-1850

 67     5.1 Giselle (1841)
 71     5.2 Silfidi e lattaie
 77     5.3 Palcoscenico, platea e quinte

 87 6.  Fin de siècle: 1850-1900

 87     6.1 Schiaccianoci (1892)
 92     6.2 Danzare l'impero
 98     6.3 Automi, macchine, elettricità


    Parte seconda


107 7.  Ripensare il corpo

107     7.1 Lamentation (1930)
110     7.2 Rivoluzioni
115     7.3 Codifiche

123 8.  Rivivere la tradizione

123     8.1 Apollon musagète (1928)
127     8.2 I Ballets russes
133     8.3 Forma, narrazione, spettacolarità

141 9.  Cercare il nuovo

141     9.1 Points in Space (1986)
146     9.2 Danze di avanguardia
149     9.3 Scarpe da ginnastica

157 10. Moltiplicare le forme

157     10.1 Blaubart (1977)
162     10.2 Danza vs teatro?
169     10.3 L'era della molteplicità, oggi

173 Bibliografia essenziale
183 Indice dei nomi
191 Elenco delle illustrazioni

 

 

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Pagina IX

Introduzione


Il percorso della storia della danza teatrale — continuamente nutrita dalle danze popolari, dalle altre arti, dalla società, dalla vita — nel mondo occidentale ha le proprie origini nelle corti italiane rinascimentali e si precisa attraverso la professionalizzazione nel Seicento, la definizione delle modalità compositive e della struttura dello spettacolo nel Settecento, la codificazione e la cristallizzazione in un tutto coerente nella prima metà dell'Ottocento e il suo trionfo spettacolare alla fine dello stesso secolo. Il prorompere irrefrenabile di teorie e pratiche nel passaggio al Novecento è capace di intaccare una consolidata eredità attraverso elaborazioni creative e costruttive sistematizzazioni del "nuovo", fino all'esplosione moltiplicatoria che appartiene agli ultimi decenni del secolo scorso e al primo decennio di quello attuale.

Di fronte all'impegno di condensare in un manuale di storia della danza, agile ma al tempo stesso completo, vita e opere, rivoluzioni e tradizioni, poetiche e tecniche, incontri e percorsi di cui sono stati protagonisti artisti isolati, ristrette comunità o interi popoli, mi sono chiesta quale taglio privilegiare per un lavoro in cui una necessaria brevità, una indispensabile chiarezza e una inevitabile parzialità devono cogliere un tempo infinito, una complessità inestricabile e una completezza inafferrabile. Ho quindi scelto di suddividere diacronicamente l'andamento del discorso, di articolarlo in fasi temporali non strettamente coincidenti con i secoli e di svilupparlo intorno a eventi spettacolari e ad artisti di cui ho sottolineato, dove possibile, le connessioni con il contesto socioculturale in cui fioriscono. Ho deciso di sviluppare la descrizione di uno spettacolo esemplare per ognuna delle fasi temporali in cui ho scandito il testo, con l'obiettivo di offrire allo sguardo e all'osservazione un oggetto il più possibile "concreto" prima di tracciare le linee caratterizzanti la fase storica che ha prodotto quell'oggetto stesso. Ho preferito non eccedere con elenchi di nomi e di opere in un tentativo di inarrivabile esaustività, ma di praticare una selezione al fine di accompagnare i lettori nel mettere a fuoco alcuni snodi fondamentali senza perdersi in una nebulosa di personaggi pure importanti, ma a cui in queste pagine non è possibile dedicare un discorso dell'ampiezza adeguata. Ho scelto inoltre di non applicare una divisione eccessivamente rigida basate sui confini geografici, nella convinzione che la danza teatrale abbia ben presto sviluppato modalità transnazionali, cercando però di rivolgere un'attenzione particolare all'Italia.

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Pagina 12

Se fino alla metà del XV secolo siamo di fronte a un fatto per lo più di costume piuttosto che di spettacolo, in seguito «comincerà a delinearsi, accanto alla funzione sociale, anche una funzione spettacolare della danza», in direzione del balletto vero e proprio. Assume un'importanza considerevole la figura del "maestro di ballo", un cortigiano abile nel danzare, in grado di trasmettere competenze pratiche e conoscenze teoriche, creativo nell'invenzione di combinazioni nuove e dilettevoli, regolarmente pagato per i servizi prestati. Nel XV secolo i maestri di ballo sono apprezzati e ricercati e sono quindi piuttosto numerosi; tuttavia oggi la maggior parte di loro rimane senza nome, a eccezione di chi ha saputo lasciare parte del proprio sapere in un testo scritto. Fioriscono, infatti, i manuali che intendono facilitare l'apprendimento, la memorizzazione o il ricordo di passi e regole, e che si collocano con coerenza all'interno dell'intensa istanza precettistica, propria dell'Umanesimo, estesa a diversi campi del sapere. I più importanti trattati quattrocenteschi sono tre: De arte saltandi et choreas ducendi (ante 1455), di Domenico da Piacenza; Libro dell'arte del danzare (1455), di Antonio Cornazano; De pratica seu arte tripudii vulgare opusculum (1463), di Guglielmo Ebreo da Pesaro (poi Giovanni Ambrosio). Si tratta di manoscritti che, quando vengono redatti, sono impiegati come utili manuali e che oggi sono diventati documenti fondamentali per ricostruire e per comprendere la danza e la cultura dell'epoca. In ciascuno di essi si possono trovare annotazioni teoriche, descrizioni di danze e composizioni musicali, cosicché, nell'insieme, vanno a tratteggiare quello che lo stesso Guglielmo Ebreo definisce «ballare lombardo», una vera e propria moda che percorre la danza aulica del Quattrocento, imprimendole precise modalità stilistiche ed esecutive.

Domenico da Piacenza (? - ca. 1476), maestro sia di Antonio Cornazano sia di Guglielmo Ebreo, lavora presso gli Este e probabilmente presso gli Sforza; prima del 1455 compone il suo De arte saltandi et choreas ducendi, un testo di qualità letteraria non eccelsa, ma il cui contenuto fonda decisamente la teoria della danza dell'epoca, tanto da costituire un esplicito e ammirato punto di riferimento per gli studi successivi. Nella prima parte del trattato l'autore descrive le doti fisiche e intellettuali che un buon ballerino deve possedere, distingue i movimenti tra naturali e «accidentali», definisce i quattro passi fondamentali (bassadanza, quaternaria, saltarello e piva) e ne afferma la connessione intrinseca con la musica, anch'essa quadripartita (come, d'altra parte, quattro sono gli elementi che sostanziano l'intero universo). Nella seconda parte è raccolto un repertorio delle danze create da Domenico, distinte in balli e bassedanze, accuratamente descritte e integrate dalla notazione musicale, ancora opera dello stesso autore, e i cui titoli suggeriscono a volte un tema portante, come, per esempio, Belriguardo, Ingrata, Gelosia, Prigioniera, Belfiore, Anello, Mercanzia; di ognuna viene specificato il numero degli interpreti – generalmente da due a otto, a eccezione di alcune bassedanze che si fanno «in una fila in quanti si vole» – il loro sesso, in proporzione variabile ma con una costante compresenza di uomini e donne, la posizione che devono assumere prima di cominciare a danzare, i passi, le traiettorie e il tempo che devono seguire.

Antonio Cornazano (ca. 1431 - ca. 1484) non è un vero e proprio maestro di danza, ma è un colto umanista minore dai molteplici interessi che, dopo essere stato a servizio degli Este, succede a Domenico alla corte degli Sforza per poi passare a Venezia, presso il condottiero Bartolomeo Colleoni, e ritornare infine a Ferrara. Il suo Libro dell'arte del danzare viene scritto nel 1455 per Ippolita Sforza e comprende la descrizione delle danze più alla moda tra quelle già incluse nel trattato di Domenico, integrata da alcuni commenti originali, e tre bassedanze nuove, seppure non create da Cornazano. Il testo non si contraddistingue per un'originalità peraltro non cercata, ma è comunque un riferimento importante grazie a una chiarezza maggiore, rispetto a quella del maestro, nella descrizione di diverse danze (che fa da contraltare, talvolta, a una eccessiva semplificazione di alcuni passaggi), ad alcune interessanti considerazioni teoriche e all'uso finora inedito, e quindi storicamente rilevante, del termine "ballitto", con cui viene indicata una composizione costituita da movimenti e tempi eterogenei e fondata su un tema portante.

Anche Guglielmo Ebreo (ca. 1420 - post 1484) si dichiara allievo di Domenico e spesso si riferisce all'opera del maestro. Le corti degli Sforza, degli Aragonesi, dei Montefeltro, degli Este lo accolgono come apprezzato maestro di ballo, ma egli è anche un vero e proprio teorico di quest'arte. Nel suo De pratica seu arte tripudii, portato a termine nel 1463, l'ormai usuale articolazione in parte teorica e parte pratica è integrata da un proemio dove Guglielmo afferma che la musica, passando per l'udito, arriva al cuore causando un ardore da cui scaturisce la danza, che è perciò «una actione demostrativa di fuori di movimenti spirituali: li quali si hanno a concordare colle misurate et perfette consonanze d'essa harmonia». La danza, quindi, dipende dalla musica e, di conseguenza, è altrettanto nobile. Nella prima parte del trattato l'autore mette in chiaro i sei fondamenti della danza (misura, memoria, partire del terreno, aere, maniera, movimento corporeo), ampliando così un elenco già stilato da Domenico. Quindi descrive una serie di esercizi utili al ballerino per affinare le proprie capacità, per esempio nell'adattare la sequenza dei movimenti memorizzati allo spazio effettivamente disponibile per l'esecuzione (partire del terreno), nell'infondere alla danza una "presenza" leggera, ferma e consapevole (aere), nel padroneggiare appieno l'arte del danzare (movimento corporeo). Nella seconda parte, dopo un retorico dialogo con gli allievi grazie al quale approfondisce alcuni concetti già enunciati in precedenza, descrive bassedanze e balli composti da lui stesso o da Domenico.

Nel loro insieme, nonostante le rilevanti peculiarità di ciascuno, i tre trattati vanno a formare un corpus che costruisce e rende esplicita, anche attraverso esempi pratici, una teoria organizzata ed esteticamente indirizzata dell'arte della danza, intesa come un'arte liberale e moralmente apprezzabile nel suo essere un gradevole esercizio del corpo regolato dall'intelletto. Essi propongono infatti un repertorio di movimenti utilizzabili in contesti differenti; definiscono stili di movimento e di interpretazione; codificano regole di buon comportamento sociale e mettono alla berlina atteggiamenti considerati inadeguati, in particolare nelle donne; articolano un imprescindibile rapporto tra danza e musica; trasmettono un repertorio di balli e suggeriscono modalità di composizione coreografica; affermano una sorta di rudimentale proprietà intellettuale, attestando quindi la nascita della figura del compositore di danze, ovvero di quello che solo in seguito verrà chiamato "coreografo", capace di pensare e creare opere dell'ingegno identificate da un titolo. Si può persino affermare che tali opere pongono le basi della danza accademica, poiché definiscono concetti e norme relativi all'uso dello spazio, al portamento e alla grazia, all' aplomb (perpendicolarità), all' élévation (elevazione) e al radicarsi del movimento d'arte su uno strutturato sistema musicale. Senza dubbio parlano di danze la cui ben chiara funzione sociale si intreccia con una funzione spettacolare altrettanto importante, anche se non sempre presente, che informa e influenza la qualità del movimento di chi agisce nello spazio con la consapevolezza di essere sotto lo sguardo di chi invece si limita a osservare.

Il Rinascimento assiste al permanere di larga parte delle modalità coreiche e protocoreografiche fino a ora identificate, senza soluzione di continuità con il secolo precedente. Così la moresca, nata nel Medioevo per rappresentare la lotta tra cristiani e mori, trova ampia diffusione durante un secolo bellicoso come il Cinquecento mutando il nome ma non il senso di una danza che conserva le proprie origini guerresche nella contrapposizione di due schiere di ballerini. Altre danze in voga sono l'ormai tradizionale pavana, lenta e svolta in corteo da coppie l'una dietro l'altra, la gagliarda, danza alta nella quale il cavaliere mostra la propria brillante agilità, e il canario, abbastanza veloce e ricco di variazioni, con passi battuti e strisciati di ascendenza spagnoleggiante. Acquistano rilevanza sempre maggiore, rispetto all'evento complessivo in cui sono inseriti, gli intermezzi danzati, collocati anche all'interno della rappresentazione di commedie o tragedie pur non avendo necessariamente una precisa connessione con esse, ma andando anzi a formare, in definitiva, uno spettacolo indipendente e autonomo, spesso percorso da un proprio filo tematico unificante. È il caso, per esempio, della Calandria (1513) di Bernardo Dovizi detto Bibbiena, i cui intermezzi, secondo una descrizione lasciataci da Baldassarre Castiglione, sono «una cosa continuata e separata dalla commedia». L'intermezzo, più svincolato da strutturate prassi esecutive rispetto alla rappresentazione parlata che lo supporta e gli permette di esistere, è un luogo di sperimentazione per cantanti e scenografi (la cui arte primeggerà nel secolo seguente dando origine da un lato al melodramma, dall'altro alle invenzioni scenografiche del teatro barocco) e per maestri che trovano nella danza un mezzo a loro affine per raccontare vicende, esprimere emozioni, far passare concetti e pensieri, dilettare con gradevoli forme disegnate nello spazio.

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Pagina 107

7. Ripensare il corpo

7.1 Lamentation (1930)

Lamentation è un assolo creato da una donna e interpretato da una donna: l'americana Martha Graham (1894-1991). Debutta nel 1930 a New York, con musica di Zoltàn Kodàly, un costume disegnato dalla stessa Graham e una scenografia praticamente assente: nello spazio scenico c'è solo un piccolo sedile che serve da base di appoggio alla danzatrice. Lo spettacolo, che dura quattro minuti, comincia con l'interprete seduta su un basso panchetto, completamente avvolta in un lungo tubo di stoffa elastica di un colore tra il blu e il grigio. Con le ginocchia spalancate, quasi a bucare appuntite la stoffa che lascia scoperti i piedi nudi e che avvolge tutto il corpo ripiegato, fino a fasciare strettamente il capo grazie alle mani che ne afferrano il bordo, la donna dà inizio a un movimento estremo e spigoloso, fatto di linee a zigzag che vengono disegnate attraverso il tessuto dai bruschi e tesi movimenti di tutto il corpo, di cui si intuiscono le forme e che si muove pur rimanendo quasi sempre in posizione seduta, sollevandosi, lasciandosi cadere nuovamente con tutto il peso. I piedi poggiano con forza sul pavimento e premono facendo protendere il corpo verso l'alto in una invocazione muta ma quasi udibile, le mani si uniscono per poi condurre le braccia in una stretta intorno al busto, la schiena si curva in una contrazione guidata dal ventre per riallungarsi poi in tutta la sua estensione. Il costume, confine tra interiorità e mondo esterno, prigione limitante e mezzo per esprimersi, viene ideato dalla Graham «per sottolineare la tragedia che ossessiona il corpo, la sua capacità di tendersi entro i propri limiti per testimoniare e verificare i confini del dolore universale». La donna che vi è rinchiusa non descrive, non racconta una storia, ma è concentrata sulla propria forza interiore, sulle linee che la attraversano, sulla propria struttura muscolare e biologica: così facendo, riesce a comunicare un'emozione intensamente viva e lo spettacolo, che pure non ha uno svolgimento narrativo, è perfettamente comprensibile nel suo rendere visibile l'angoscioso lamento di dolore di un essere umano, o, meglio, dell'umanità tutta, tanto da scatenare nel pubblico reazioni emotive forti, pur se diversamente motivate.

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7.2 Rivoluzioni

Il trascorrere dall'Ottocento al Novecento segna un passaggio dal "vecchio" al "nuovo" che coinvolge tutte le arti. Per il teatro è l'epoca in cui espressioni come nascita della regia, regista, attore, spazio scenico, testo, corpo, tecniche di allenamento, ballerino, danzatore, coreografia, partitura musicale, pubblico entrano nell'uso, trovano relazioni insolite o assumono un significato inedito, poiché si consolidano o mutano i ruoli, i concetti e le pratiche che ne stanno alla base e che ne permettono l'esistenza. La danza teatrale trasloca da una tradizione ballettistica sentita da molti come polverosa e datata al fiammante splendore delle avanguardie e dei percorsi di ricerca, diventando un privilegiato laboratorio di elaborazione di un nuovo che si definisce nel contrasto con un passato da alcuni percepito come stretto nei confini di una visione monolitica e limitante. Si ripensa, così, un corpo che, da sempre ineludibile strumento d'arte, nonché opera d'arte esso stesso, viene posto al centro della riflessione e quindi della pratica di artisti coscienti delle innumerevoli possibilità percettive, espressive e dinamiche che esso può dispiegare. In particolare il corpo femminile, ormai liberato dai corsetti e dalle sottogonne, capace di pedalare a cavallo di una bicicletta e di fare un bagno in mare, è protagonista di una presa di coscienza che travasa con urgenza nelle palestre, nelle sale prova, sulle tavole del palcoscenico.

Martha Graham è figlia di una terra, l'America del Nord, che tra la fine di un secolo e l'inizio di un altro sta costruendo la propria identità di nazione giovane ed energica e che, per quanto riguarda le arti, si limita prevalentemente a raccogliere l'eco di ciò che avviene in Europa. Negli Stati Uniti arrivano ballerine italiane e francesi le quali portano spettacoli di danza classica che riscuotono un certo successo, ma che non si radicano in una cultura che non li ha prodotti. Hanno invece particolare seguito spettacoli musicali che includono canzoni, dialoghi, danza e che puntano su scene, costumi e musiche rutilanti: ne è un celebre esempio The Black Crook, che debutta nel 1866 per essere replicato continuativamente fino al 1903, interpretato anche da celebri ballerine straniere, come le italiane Maria Bonfanti o Rita Sangalli. Nei circuiti teatrali meno raffinati, intanto, si impongono i vaudevilles che includono danze di origine popolare come la maschile clogs dance (danza degli zoccoli), una sorta di tip tap caratterizzato dal battere dei piedi sul pavimento, e la femminile skirt dance (danza della gonna), in cui le lunghe gonne indossate dalle ballerine vengono decorativamente agitate con le mani o con vigorosi slanci delle gambe.

Parallelamente negli Stati Uniti si definiscono stili di vita adatti a una nazione in cui la natura ha ancora una potenza estrema, in cui l'uomo si colloca quasi da solo in vastità inquietanti ed esaltanti, in cui la società deve elaborare modalità di relazione che non possono essere semplicemente copiate da quelle europee, comunque ancora di riferimento, ma che devono necessariamente essere riadattate a condizioni di vita radicalmente differenti. Si sviluppa così un forte interesse per la salute del corpo, si elabora una spiritualità energica e positiva, si trova una collocazione lavorativa anche per le donne. In questo contesto ha quindi un considerevole successo un organico sistema di "ginnastica armonica" che l'attore Steele Mackaye, un allievo americano di François Delsarte, elabora a partire dall'insegnamento del maestro e diffonde in patria tramite conferenze, lezioni e pubblicazioni che promuovono esercizi per facilitare l'espressione delle emozioni tramite naturali posture del corpo. Tra gli anni settanta e gli anni novanta dell'Ottocento si afferma così una moda dal successo dilagante, legata addirittura all'ideazione e alla vendita di prodotti da toilette e di capi di abbigliamento, ma assimilata anche da attori e danzatori: il delsartismo è un fenomeno tutto americano che quindi non manca di influenzare la danza. Un'allieva di Mackaye trasmette l'insegnamento del maestro francese alla madre di Ruth St. Denis, una delle pioniere della modern dance americana il cui compagno d'arte oltre che di vita, Ted Shawn, li assorbe invece da un'altra allieva diretta di Delsarte, Henrietta Russel, apprezzata insegnante presso le signore della buona borghesia in cerca di vie per apprendere modi di comportamento raffinati. Geneviève Stebbins, allieva di Mackaye, integra i principi di Delsarte al proprio metodo di insegnamento della danza, unendoli alla ginnastica svedese e alla respirazione yoga, anticipando diverse scoperte poi sviluppate da Isadora Duncan e diffondendole tramite lezioni e spettacoli, a cui assiste, fra l'altro, una affascinata Ruth St. Denis.

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10.2 Danza vs teatro?

Il termine "teatrodanza", adottato con entusiasmo a partire dal successo di Pina Bausch negli anni settanta, è «un'etichetta forte, una parola generosa di indicazioni e di insidie». Secondo la storiografia della danza, comunque, identifica esplicitamente alcune coreografe (oltre a Pina Bausch, anche Reinhild Hoffmann e Susanne Linke) accomunate dalla medesima formazione presso la Folkwang Hochschule di Essen diretta da Kurt Jooss, che quindi attingono parte delle proprie energie creative dalla danza di espressione, sviluppatasi in Germania tra le due guerre mondiali, di cui Jooss è stato un esponente di primo piano. Vengono poi fatti rientrare nel teatrodanza anche altri coreografi tedeschi (Johann Kresnik e Gerhard Bohner) il cui lavoro matura a partire dalla fine degli anni sessanta, ugualmente segnato da un'epoca di profondo ripensamento delle relazioni tra individuo, società e istituzioni che in Germania investe con particolare compattezza diversi linguaggi artistici, dal cinema, alla musica colta e pop, alle arti visive, al teatro in generale, contribuendo alla ridefinizione della propria identità da parte di un popolo uscito dalla seconda guerra mondiale stravolto dalla inevitabile necessità di rifiutare radicalmente il proprio passato recente, segnato troppo pesantemente dal nazismo, e di riallacciarsi piuttosto a radici di matrice espressionista collocabili nell'epoca tra le due guerre.

Presenza della parola, attenzione al gesto quotidiano, utilizzo di oggetti di uso comune, fusione delle istanze personali in temi collettivi, abbandono di forme predefinite, oltre a una primaria centralità attribuita a un corpo mai omologato a un altro, reale o ideale che sia, accomunano artisti comunque connotati nelle peculiarità linguistiche, stilistiche e tematiche, che trovano tutti un valido sostegno economico nelle istituzioni, ottenendo residenze presso teatri statali o regionali in anni in cui in Italia, per esempio, prassi del genere non sono ancora neppure ipotizzate.

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10.3 L'era della molteplicità, oggi

Le esperienze e le visioni della danza teatrale che appartengono a un presente dagli elastici confini non si susseguono annullandosi in una catena di progressivo cambiamento verso un indefinibile "oggi", bensì si sommano l'una all'altra, in un processo evolutivo che vede alcune forme emergere come dominanti, rispetto ad altre che si ritirano sullo sfondo, o perché trovano condizioni di vita migliori o perché riescono ad avere numerosi eredi, andando a formare la realtà composita ed eterogenea in cui ora viviamo e siamo immersi, fatta di esperienze artistiche tutte singolari, autoriali, cangianti — insomma, inclassificabili — e di cui è forse impossibile dipingere un ritratto sintetico e strutturato.

Il desiderio e la necessità di tentare un discorso complessivo spingono tuttavia a rintracciare almeno un minimo denominatore comune che permetta una veduta d'insieme rapida e generale, quindi non dettagliata né tanto meno completa. Questo elemento connotante e accomunante risiede forse nella molteplicità, uno degli aspetti propri del nostro tempo, che trova infatti agevole riscontro nella danza, cioè in un'arte per propria natura connessa a una sommatoria di saperi, pratiche e persone, frammentata e molteplice come d'altra parte è frammentato e molteplice l'elemento da sempre posto al suo centro: l'essere umano; un'arte, quindi, che oggi ha assorbito e assimilato quella contaminazione di esperienze e di idee aperte dalle avanguardie storiche e rielaborate a tratti lungo tutto il XX secolo, fino al primo decennio del XXI, affiancandole, però, a una instancabile ricerca del "nuovo" e a una parallela permanenza di una tradizione mantenuta ancora forte e viva.

Parola, musica, spazio, arti visive, tecnologia, cultura, tecnica di movimento, metodo di composizione e di gestione del lavoro, rapporto con gli spettatori trovano nelle esperienze dei coreografi contemporanei conferme rassicuranti, ridefinizioni sottili, miscele dalle sfumature inedite. Ne sono un rapidissimo e succinto esempio la variegata declinazione della parola in una originale erede del teatrodanza tedesco come Sasha Waltz; il suono affannato del respiro che ritma i movimenti in alcune creazioni della canadese Marie Chouinard; l'istituzionalizzazione della "danza urbana" che si muove nei più disparati luoghi non deputati delle città; l'intrinseca presenza di quadri e sculture negli spettacoli danzati di Gisèle Vienne; l'unione di corpi e immagini virtuali messa a punto da n+n corsino; il melting pot culturale incarnato e messo in scena dall'indo-britannico Akram Kahn; il variegato allenamento corporeo che si mostra con chiarezza nella compresenza di balletti del repertorio classico-accademico eseguiti da interpreti straordinariamente formati e in performance che si definiscono di "non-danza"; la collettività della creazione e dell'organizzazione del lavoro dichiarata e praticata dagli italiani Kinkaleri; il privilegiato rapporto con un solo spettatore costruito da Boris Charmatz.

Il Novecento ha insomma aperto e realizzato una moltiplicazione dei presupposti, delle modalità compositive, della realizzazione e del significato dell'opera d'arte performativa in senso ampio. La filiera che attraversa la storia e la storia della cultura per arrivare alla storia del teatro e, possiamo aggiungere, della danza, colloca tale opera in una inevitabile connessione con la moltiplicazione che segna la percezione, l'elaborazione e la realtà del mondo proprie del secolo da poco trascorso (e di questo), su cui hanno riflettuto con ampiezza innumerevoli pensatori. Parallelamente, la molteplicità delle esperienze coreiche e dei presupposti teorici che le sostengono è in relazione pure con un ripensamento della ricerca storico-teorica sulla danza: anche i frutti di tale ricerca accolgono ormai la varietà del proprio oggetto di studio e l'attenzione alla pluralità dei campi di indagine possibili, alla specificità del punto di vista di chi riflette, alla relatività di categorizzazioni storiche e razziali che vengono oggi esplicitamente teorizzate e messe in atto.

Nella folta e ricca varietà difficilmente districabile dei linguaggi parlati dalla danza teatrale che proprio oggi si sta facendo sotto ai nostri occhi, così come nell'idea della danza teatrale del passato che viene oggi ricostruita e resa viva, è comunque sempre possibile riconoscere quella «danza del corpo vivente [che] possiede tuttavia il proprio significato e manifesta la propria realtà, una realtà che ha la medesima natura che ci viene rivelata da un trattato di logica, un tempio dorico, una fuga di Bach: il corpo danzante non ci offre che se stesso, ma tanto basta, ed è un mondo intero, infinitamente vasto, ricco e complesso».

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