Autore Charb
Titolo Ridete, per Dio
EdizionePiemme, Milano, 2015 , pag. 136, cop.rig.sov., dim. 13,4x22x1,6 cm , Isbn 978-88-566-5063-1
OriginaleLes fatwas de Charb [2014]
PrefazioneErri de Luca
TraduttoreGianna Re
LettoreCristina Lupo, 2016
Classe satira , umorismo , paesi: Francia












 

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Indice


Prefazione di Erri de Luca                               5

A morte la pallina di gelato alla vaniglia!             13
A morte i teorici della risata!                         15
A morte le cene nel bicchiere!                          17
A morte il mese di gennaio!                             19
A morte le multisale!                                   21
A morte Vuitton!                                        23
A morte i genitori degli alunni!                        25
A morte i passeggeri che ritirano i bagagli
        all'aeroporto!                                  27
A morte i concerti!                                     29
A morte le valigie con le rotelle!                      31

A morte i vetri oscurati!                               33
A morte il 3D!                                          35
A morte i termometri!                                   37
A morte i tartufi!                                      39
A morte Marrakech!                                      41
A morte i treni che arrivano puntuali!                  44
A morte i buongustai etnici!                            47
A morte i ciarlatani del politicamente scorretto!       50
A morte i teatri deliziosi!                             53
A morte gli atti di nonnismo dagli esiti nefasti!       56

A morte i «non molliamo»!                               59
A morte i surfisti!                                     62
A morte í ristoratori broccofobi!                       65
A morte i "bimbo a bordo"!                              68
A morte Brassens!                                       71
A morte le citazioni di Audiard!                        74
A morte l'offuscamento dei capezzoli!                   76
A morte lo champagne obbligatorio!                      79
A morte oggi come oggi!                                 82
A morte le coppie con figli!                            85

A morte i miscredenti devoti!                           88
A morte il berretto di Babbo Natale!                    91
A morte l'emozione dei familiari degli ostaggi!         94
A morte le presentatrici di calcio!                     96
A morte il dna!                                         98
A morte i maestri di preservativo!                     101
A morte i sorrisi in metropolitana!                    103
A morte i detti!                                       105
A morte le agende pubblicitarie!                       107
A morte gli arbitri di calcio!                         109

A morte la mozzarella!                                 111
A morte il verbo "impattare"!                          113
A morte i soffiatori di foglie morte!                  115
A morte i falsi anarchici!                             117
A morte il gilet "benvenuto"!                          120
A morte i trentenni!                                   123
A morte í calvi col parrucchino!                       125
A morte i coglioni!                                    127
A morte la paura dell'islam!                           129


 

 

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Pagina 29

A MORTE I CONCERTI!



I concerti si assomigliano tutti. Il pubblico scalpita, le birre traboccano, si urla il nome del complesso che si sta facendo aspettare. E tutto d'un tratto i proiettori emanano tanto calore quanto la bomba di Hiroshima. Un grido, l'estasi: in un lampo di luce il gruppo è apparso sul palco. Il leader afferra il microfono, e sbraita: «Tutto bene, Parigi?» (siamo a Parigi). La folla entusiasta mugghia qualcosa. Con ogni probabilità, un sì. L'altro ripete: «Tutto bene, Parigi?». Stessa risposta. E si va avanti così. Due balle. «Tutto bene, Parigi?». Andrebbe sicuramente meglio, coglione, se tu cominciassi a fare quello per cui sei pagato! Taci e canta! «Tutto bene, Parigi?» Pare di essere in colonia, quando l'accompagnatore ci obbligava a cantare il ritornello imbecille di una canzonetta di marcia. Sapete quelle canzonette create per farvi dimenticare che avete dei piedi e che finiscono per farvi dimenticare che avete un cervello, che è estate e che la vita è bella. «Tutto bene, Parigi?» No, adesso basta. Il cantante inizia a capire che la metà degli spettatori si sta augurando che uno dei faretti gli cada sulla testa e gliela spacchi in due. E inizia a cantare. Ma alla fine del primo pezzo: «Tutto bene, Parigi?». E così fino alla fine del concerto. Non è più un concerto, è una punizione. Che te ne frega di come sta Parigi? Sei un medico, razza di burattino?

Se togliamo da un concerto tutti i «Tutto bene, Parigi?», lo spettacolo dura un quarto d'ora. Abbiamo sborsato 30, 60, 80 euro, qualche volta anche di più, per sentire un rapper o un rocchettaro ripetere all'infinito una frase che non ha nemmeno composto lui. Chissà la SIAE a chi paga i diritti d'autore di «Tutto bene, Parigi?». Di sicuro, il primo furbetto che deposita «Tutto bene, Parigi?» si fa dei bei soldi. Mah, mi dicono che i diritti di «Tutto bene, Parigi?» vanno a Elton John. Adesso si spiega la sua ricchezza.

Credo che converrete con me, bisogna che torturatori specializzati della CIA interroghino a morte i cantanti senza fantasia chiedendo loro se va tutto bene. Amen.

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Pagina 37

A MORTE I TERMOMETRI!



Le agenzie di rating che pretendono di governare il mondo a colpi di tre A sono governate da triplici coglioni. È così. Ma i coglioni che dirigono le agenzie di rating sono dei maledetti spilorci. Che si facciano pagare caro e salato da capi di Stato masochisti che adorano farsi declassare in pubblico, passi. Ma dove finisce il denaro? Sicuramente non in propaganda a loro favore.

Quando si presentano in pubblico, i difensori delle agenzie di rating ripetono un'unica frase per rispondere a tutti quelli che criticano la legittimità dei Moody's e dei vari Standard & Poor's: «Le agenzie di rating sono soltanto dei termometri». Quanto avranno pagato il creativo che ha inventato questo stupido slogan? Parliamoci chiaro: se un qualsiasi pubblicitario dotato di un cervello riuscisse a convincerci che le agenzie di rating sono termometri, chiederemmo di rompere tutti i fottuti strumenti di misura nel culo di questo venditore di fumo. Per principio. Ma non ci capiterà mai di dover fare una cosa del genere.

Le agenzie di rating non sono un termometro che misura la febbre e indica la presenza di una malattia: sono la malattia. Non sono i termometri ficcati nel retto dei paesi indebitati fino al collo, sono la canna del fucile che cinici stronzi tengono puntata alla tempia di popoli rovinati dai governanti. Non è con un termometro che le banche tengono in pugno uno Stato!

Chi oserebbe dire che uno stupratore seriale non rappresenta un rischio per la società? Ma no! Non è un pericolo, è solo un sintomo... Più precisamente, signori e signore della giuria, è solo un termometro! Rivelatore di una malattia! Lasciategli fare il suo mestiere di termometro! Aprite le chiappe!

Il numero del termometro i sostenitori pon-pon del Fronte nazionale ce lo rifilano in continuazione. Il Fronte Nazionale non è il problema, è soltanto lo strumento rilevatore del problema. Eh sì! Il Fronte Nazionale non è la mazza da baseball che spezzerà le gambe della democrazia, è solo un termometro che ci dice che la democrazia deve fare a meno dei voti degli immigrati se non vuole peggiorare la situazione... Ma avete visto in che mani è il termometro! Avete visto che faccia ha l'infermiera!

Congratulazioni a quel ciarlatano di creativo che è riuscito a vendere lo stesso merdoso termometro alle agenzie di rating e al Fronte Nazionale. E senza disinfettarlo.

Credo che converrete con me, bisogna misurare la febbre a uno dei padroni delle agenzie di rating con un saldatore alla massima temperatura. Amen.

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Pagina 47

A MORTE I BUONGUSTAI ETNICI!



Sabato sera. Il momento più difficile della settimana. Il momento in cui consumiamo tutto il credito telefonico per discutere dove andare a mangiare. Le trattative sulla scelta del ristorante sono state così lunghe che la cena del sabato sera sta per trasformarsi nel pranzo della domenica. Quando tutti gli allergici, i vegetariani, i vegani, i carnivori, gli insettivori e i mangiatori di caccole del naso si sono finalmente messi d'accordo su un ristorante, ecco che salta fuori qualcuno che manda tutto a monte.

Quando la maggioranza ha scelto democraticamente di andare a mangiare giapponese, il rompiballe di turno se ne esce con: «Eh sì, ma il giapponese, non è un vero giapponese». Cosa? Il giapponese non è un vero giapponese? L'insegna riporta chiaramente RISTORANTE GIAPPONESE e il menu propone piatti giapponesi... «Eh sì, ma i proprietari del ristorante non sono giapponesi.» E quindi? «Sono cinesi...» E quindi? Quindi è risaputo che i cinesi non sanno cucinare giapponese. Già quando cucinano cinese, non siamo mica certi che sia cinese... La prova? Quanti cinesi mangiano nei ristoranti cinesi? Ne avete mai visti? Eh?

Un'obiezione di questo tipo non sarebbe mai stata sollevata se la scelta del gruppo fosse caduta su una creperie? No di certo, nessuno avrebbe mai sottolineato che la creperie bretone non è tenuta da bretoni. L'unico problema della creperie è che uno degli amici è allergico al glutine. E il ristorante tex-mex? Sarà forse gestito da bastardi texani e messicani, il ristorante tex-mex? No, sono bretoni. A parte il fatto che uno di noi si riempie di bolle non appena assaggia il guacamole, nessuno ha mai messo in dubbio l'abilità dei cuochi bretoni nel preparare i tacos. Solo i cinesi suscitano tutta questa diffidenza. Un bar di tapas gestito da un belga? Nessun problema. E se la sangria fa schifo, ci limiteremo a osservare che la sangria fa schifo senza insistere sul fatto che non poteva essere altrimenti visto che il gestore è belga. Una trattoria corsa gestita da un algerino? Tutti ordinano a colpo sicuro salsiccia d'asino (eccezion fatta per colui la cui religione impedisce di mangiare salsiccia d'asino). Una pizzeria gestita da indiani? La mozzarella di bufala è stata sostituita dai formaggini. Sorprendente, ma non male...

È giunto il momento che coloro che fanno tanto i sofistici sui gestori dei ristoranti giapponesi si rendano conto che il 95% dei cuochi schiavizzati nei ristoranti sono pachistani. Qualsiasi sia la specialità annunciata sulla porta del locale.

Credo che converrete con me, il razzista anticinese deve essere affettato sottilmente e venduto come sushi al tonno rosso in un ristorante nel Sud della Francia. Amen.

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Pagina 50

A MORTE I CIARLATANI DEL POLITICAMENTE SCORRETTO!



Reazionari, buzzurri, mentecatti di destra hanno una formula magica per far tacere chiunque osi contraddirli: «Tu sei politicamente corretto!». Lasciando intendere che il politicamente corretto equivale a rinunciatario, cagasotto, conformista. È divertente. Quelli che ieri difendevano la censura in Francia si presentano oggi come i più accaniti nemici del politicamente corretto. La destra, che tiene ancora in mano tutte le leve del potere (e non le ha mai lasciate andare, nemmeno per andare a pisciare) cerca di convincerci che sta dalla parte dei ribelli e dei progressisti perché fustiga l'oppressione del politicamente corretto. «Non si può più dire niente!» sbuffano í ministri ogni volta che qualcuno entra nel merito delle loro becere argomentazioni. «Non si può più dire niente!» e così dicendo, non perdono l'occasione per dirci tutte le loro stronzate.

È certamente più difficile per i razzisti «dire tutto» dopo l'entrata in vigore della legge Gayssot [Approvata il 13 luglio 1990 in Francia, la «legge Gayssot» proibisce e sanziona penalmente le tesi revisioniste.]. Ma questo impedisce forse al governo di condurre una politica razzista? Assolutamente no. Impedisce forse al Fronte Nazionale di raccattare punti nei sondaggi? Ma no. Essere razzisti o strumentalizzare il razzismo non basta alla destra. Lei non vuole solo portare avanti una politica razzista, vuole che nessuno glielo rinfacci. Vorrebbe che una bella grassa risata coprisse tutte le sue azioni schifose.

Proprio come con le checche. Non le si può più insultare per strada senza suscitare critiche... Fino a ieri, la checca di casa teneva il becco chiuso quando qualcuno a tavola si metteva a insultare i froci. Oggi, dato che la checca osa rispondere allo zio di andare a prenderselo in culo, si becca del reazionario. Se l'omosessualità fosse davvero politicamente corretta, gli omosessuali da tempo avrebbero il diritto di sposarsi e di adottare dei figli.

E difendere la pensione a 60 anni, è chiaramente politicamente corretto! Tuttavia, non ci sarà più nessuna pensione a 60 anni. Mai più! Qui si misura l'influenza delirante del politicamente corretto... Il politicamente corretto guida il mondo!

Far credere che l'oppresso è l'oppressore, che il debole è il potente, è questa la tattica di chi si professa politicamente scorretto. Il ciarlatano del politicamente scorretto non rovescia l'ordine costituito, lo incarna!

Credo che converrete con me, bisogna mandare alla ghigliottina il politicamente scorretto immediatamente dopo avergli spiegato che ribellarsi alla pena di morte è davvero troppo lezioso. Amen.

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Pagina 96

A MORTE LE PRESENTATRICI DI CALCIO!



Un tempo, le trasmissioni di calcio erano un tavolo con alcuni anziani signori tutt'intorno. Vecchi paonazzi, il culo appesantito dal colesterolo, che si accanivano per stabilire se il calcio d'angolo del 38° minuto della partita Lyon-Bordeaux doveva essere fischiato o no. Oggi, è lo stesso. Ma la maggior parte delle trasmissioni hanno aggiunto una donna al quartetto di beoti panciuti. La bella e le bestie. Perché, naturalmente, la signorina è del genere bella ragazza. E, a confronto dei vecchi tromboni che la circondano, è una gran figa. Ecco il gadget in più che i canali televisivi hanno deciso di offrire ai tifosi che sorseggiano la birra della domenica sdraiati sul divano: la sega. Battute da bar pronunciate da una specie di Barbie che neanche per un attimo pensiamo possa trascinare la sua borsetta Gucci in uno stadio stracolmo di tifosi, è questo che glielo fa rizzare agli amanti del pallone. Magia del contrasto, non c'è dubbio. E poi, diciamolo, quello che manca di più ai teletifosi di calcio, sono proprio le donne. Almeno una che accetti di guardare con loro il commento delle partite della settimana. Soli, una bottiglia in una mano, un pezzo di pizza nell'altra, si scoglionavano, fino a quando non gli si è data in pastura la femmina gadget. Da quel momento, hanno sostituito la pizza con il pisello molle. Lo agitano un po' quando la telecamera sfiora le labbra tumide della signora. Fa bene al cuore: fanno un po' di sport. Com'è che la ragazza ha accettato di prendersi il ruolo del dolce in vetrina? O quello o la fabbrica. O mestieri di cui i genitori si sarebbero vergognati. Ma via! Quale mestiere potrebbe essere più degradante che mettersi a livello di un commentatore sportivo? Non prostituisce il suo corpo, la ragazza della tele prostituisce anche la sua intelligenza. E nessuna puttana è mai stata costretta a parlare di calcio. Nessuna. Lo statuto della professione parla chiaro!

Credo che converrete con me, bisogna obbligare le presentatrici di calcio a leggere Simone de Beauvoir con un pallone in equilibrio sulla testa. Amen.

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Pagina 125

A MORTE I CALVI COL PARRUCCHINO!



Prima di sbraitare contro la natura che vi ha fatti brutti, riflettete due secondi. La natura non produce niente di bello e niente di brutto, la natura, bontà sua, produce. È l'uomo che decide, in funzione a criteri che possono variare a seconda del suo umore e delle epoche, ciò che è bello o brutto. Se è la natura che ci fa cadere i capelli (a meno che non si tratti di un trattamento chemioterapico), è la società che decide che siamo calvi. La vergogna che certi calvi provano nel non avere granché sulla crapa nasce dal fatto che il mondo nel quale vivono ha deciso che chi perde i capelli è brutto, vecchio e sfigato. I calvi stessi, con la loro vergogna, non fanno che rafforzare i pregiudizi a loro discapito. Il calvo vergognoso è complice della sua sfortuna e ne soffre. A tal punto che talvolta il calvo decide di comprarsi un parrucchino. Ed è la fine. Mentre prima nessuno notava la sua calvizie (quando ne vediamo uno, non è che diciamo «Guarda, un calvo»), tutti si girano a guardare il toupet. L'ammasso di peli troppo radi che si è incollato al cranio, invece di nascondere ciò che lui pensa essere una tara, rivela a tutti il suo complesso. La parrucca fa del calvo un calvo al quadrato. Questo posticcio di capelli finti troppo ben pettinati, senza volume, che rimbalza sulla nuca è roba da pagliacci. E cosa fa un umano ben educato quando vede un pagliaccio? Ride. Un tipo che se ne andasse in giro con un cartello SONO CALVO non sarebbe così appariscente come un calvo col parrucchino. Non si può leggere nel pensiero di un calvo, ma si può leggere nel pensiero di un calvo col parrucchino. Vi si leggono le angosce, il malessere, le frustrazioni, la vergogna ingiustificata, la disperazione trattenuta. Il calvo col parrucchino non ha alcun pudore. Il calvo col parrucchino è ripugnante.

Credo che converrete con me, bisogna scalpare il calvo col parrucchino sino all'osso e fare una coda di cavallo con i suoi peli del culo. Amen.

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Pagina 129

A MORTE LA PAURA DELL'ISLAM!



Non sono niente, ma fanno paura. Sono una manciata, ma li si vede dappertutto. L'islam, in Francia, è lui: l'uomo dalla barba irsuta vestito da tubetto del dentifricio. Quanti ce ne sono di questi spaventapasseri pronti a roteare occhi da pazzo non appena vedono una telecamera? Cento? Duecento? In Francia ci sono molte più telecamere che musulmani estremisti. Ci sono anche più canali Tv che tarati dalla barba lunga che nella lingua del Profeta sputacchiano che bisogna sgozzare gli ebrei. È proprio quello che dicevano l'altro giorno al Trocadero. Ma fanno paura, e lo sanno. La nostra paura è la loro ragione di vita. La nostra paura è la loro vera religione. La nostra paura li nutre. Bevono il nostro sudore freddo come i vampiri bevono il sangue delle loro vittime. La nostra paura è complice di questi bastardi.

La vecchina che porta fuori il cane ha paura che l'orco islamico sgozzi Kiki. Bisogna dire che Kiki ha una permanente che sembra un montone. Non è Parkinson quello che fa tremare la nonnina, è paura. E la soubrette dello show business di cultura musulmana (sì, proprio tu) che nascosta dietro le quinte racconta di aver paura di dire che è atea è peggio di un estremista religioso. Ha un'audience che è mille volte quella dell'estremista, un potere che è mille volte il suo, ma si fa prendere dalla tremarella. E perché? Per paura di essere scelta come bersaglio dai Babbi Natale dell'Apocalisse? Se tutte le stronzette lagnose uscissero allo scoperto per dichiarare il loro ateismo, o quanto meno la loro laicità, si renderebbero conto che il rapporto di forza è a loro favore. I credenti pregano invano il Signore da millenni perché dia loro un cervello, mentre sarebbe sufficiente che gli atei pronunciassero la formula «sono ateo e tu mi fai una pippa» per far sparire l'islam della morte dalla faccia della Terra. Magia! Provate!

È stato trovato un altro parolone per fare paura: "salafita". L'espressione "estremista religioso" ormai era troppa consueta, non spaventava più a sufficienza. Ma "salafita", questo sì che fa paura! Suona come una cosa a metà tra una malattia incurabile e una inconfessabile pratica sessuale. Sembra quasi che oggi in Francia sia sufficiente alzare un sasso per veder brulicare un nido di salafiti. Ad alcuni piace sentirsi esistere nello sguardo terrorizzato dei borghesi francesi di Francia, e per questo si travestono da salafiti. Non vanno alla moschea, non pregano, non credono e trincano niente male, ma si vestono in modo da garantirsi spazio sul marciapiede. Vero! Alcuni si vestivano da punk negli '80 per ottenere lo stesso risultato. Nell'intimità della camera, ascoltavano Claude François come tutti...

Una volta scremati i finti credenti, resta solo una manciata di veri pazzi. I veri pazzi possono essere pericolosi, ma da questi bisogna ancora togliere gli incapaci, i buoni a nulla, gli sbruffoni, i piscia sotto e i casinari. Se i sorci che restano prendono d'assalto l'elefantiaca Repubblica e quest'ultima fugge chiamando la mamma, avremo perso. La laicità ha il culo abbastanza grosso per sedersi su questi parassiti e sterminarli.

La paura dà importanza a questi patetici squadristi, il ridicolo, contrariamente a quanto recita l'adagio, li uccide.

Credo che converrete con me, bisogna prendere a schiaffi con sufficiente forza tutti coloro che hanno paura dell'ombra della barba di un salafita in modo da svegliarli dall'incubo. Amen.

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