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| << | < | > | >> |Pagina 7Si riversarono fuori dal pullman come densa melassa da una bottiglia. Erano in ventidue, per lo più donne grasse, di mezza età, con qualche raro signore anziano. Sostarono in gruppo, guardando a bocca aperta il Duomo, le sue centotrentacinque guglie e le sue duemiladuecentoquarantacinque statue, con un'espressione poco più intelligente di quella di un gregge di pecore. Si sarebbe potuto individuare a prima vista chi, in quel gruppo, fosse inglese e chi americano. I turisti inglesi inalberavano la tipica spocchia: anche nel loro paese avevano edifici altrettanto antichi e magnificenti. Invece gli americani erano addirittura stupefatti e, senza il minimo ritegno, si davano un gran daffare a esibire, con ansia febbrile, le macchine fotografiche. "Ecco il mio gruppo: il mio Getsemani" sospirò Umberto sottovoce. "Che branco di burini! Ancor prima di aver ripiazzato il sedere sul pullman si saranno scordati di ogni mia parola. Entro domani non si ricorderanno nemmeno come è fatto il Duomo." "Hai tutta la mia comprensione" commentai. "Un uomo della tua intelligenza non dovrebbe perdere tempo con questi imbecilli. E per provarti che sono un vero amico, me li accollerò io." "Tu?" replicò Umberto con disprezzo. "E che ne sai tu del Duomo? Fammi il piacere di toglierti di mezzo. Anzi, vuoi proprio rendermi felice? Allora spaccati una gamba!" Si aggiustò il berretto su cui stava scritto "Guida autorizzata", si raddrizzò la cravatta consunta e si avviò verso il gruppo di turisti, con un sorrisetto ipocrita sul volto affilato, nascondendo con la sinistra una grossa macchia d'unto che spiccava sulla giacca. Un altro pullman si fermò nel parcheggio, e ne scese un secondo gruppo di turisti. "E questo è mio" disse Filippo, spegnendo la sigaretta e riponendo con cura la cicca nel risvolto del berretto. Mi sorrise. "Guarda un po' che collezione di scherzi di natura, senza un briciolo di cervello! Ho intenzione di seviziarli con una mezz'ora di splendida noia! Se quello scemo di Umberto non si dà una mossa, dovrò competere col suo gracchiare." Gli afferrai il braccio. "Senti, aspetta un momento. Stamani non hai una bella cera. Noi due, Filippo, siamo sempre stati amici. Perché non ti fai un riposino all'ombra e lasci che sia io a portare questi deficienti al Duomo al posto tuo? Sarò lieto di risparmiarti la seccatura per la miserabile somma di cinquecento lire, e naturalmente tutte le mance saranno tue." "Ma fila via, ladro" replicò Filippo, liberando il braccio con uno strattone. "Fammi la cortesia di tagliarti la gola. Credimi, è la cura migliore contro l'invidia." "E perché dovrei invidiarti?" chiesi, con aria torva. "Ma guardati un po'. Hai la camicia sporca, e un buco nella giacca. Sembri un accattone. Credi davvero di poter suscitare invidia?" "Meglio avere la camicia sporca che non averla affatto" replicò Filippo, sorridendo, "ed è certamente meglio avere un buco nella giacca che averlo nei pantaloni. Guardati bene, prima di criticare gli altri." Lo osservai mentre prendeva in consegna il suo gruppo e poi, furtivamente, ispezionai i polsini della mia camicia. Erano puliti, ma un po' lisi. Le scarpe mi preoccupavano più degli abiti. Quella mattina avevo ricavato un paio di suole da un pezzo di robusto cartone sottratto alla mia padrona di casa. Ma sapevo bene che la prima giornata di pioggia mi avrebbe costretto a restare al chiuso, riducendo ulteriormente le mie già misere fonti di sostentamento. Chissà quando avrei potuto permettermi un paio di scarpe nuove, a meno di chiedere un altro prestito. Se fossi stato italiano, e non americano, non avrei avuto difficoltà a diventare una guida autorizzata. Ma la mia nazionalità mi impediva di ottenere la necessaria licenza. La differenza tra una guida autorizzata e una abusiva è notevole. Le cose vanno in questo modo: le agenzie turistiche dispongono di un loro addetto che accompagna i pullman di turisti, col compito di portarli nelle diverse città, occuparsi del conto degli alberghi, organizzare i pasti e rendersi utile nelle diverse circostanze. Non è però tenuto a conoscere i particolari storici delle chiese o dei monumenti importanti, quindi fa in modo che in ogni città una guida autorizzata aspetti il pullman nei pressi dei luoghi più interessanti, e si occupi del gruppo. L'addetto paga la guida per il suo lavoro, e si mette d'accordo perché si tenga a disposizione del gruppo che arriverà la settimana seguente. Così una guida autorizzata ha un incarico regolare, e può contare su un introito fisso. Una guida abusiva, come ero io, deve invece accontentarsi dei turisti che viaggiano per conto proprio: turisti che di solito sono a corto di quattrini a causa delle restrizioni dei cambi, e che quasi sempre devono essere convinti a servirsi di una guida. Il disagio è aumentato dal fatto che un abusivo non può indossare un bracciale o un berretto che lo identifichi come guida, e quindi viene scrutato con sospetto, ogni volta che offre i suoi servigi. Ma fare la guida, anche in posizione non ufficiale, è un metodo comodo per guadagnarsi da vivere. Nel mio caso era l'unico metodo, visto che risiedevo a Milano senza il permesso di soggiorno. Quel mattino, in particolare, non era stato molto proficuo. Da due ore aspettavo pazientemente un cliente. Cominciavo a innervosirmi, perché non avevo una lira, e di lì a mezz'ora avrei dovuto mangiare. Avevo fame, e cominciai a domandarmi se non fosse il caso di andaré a cercare Torchi, uno dei più abili borsaioli della zona del Duomo, e chiedergli in prestito un centinaio di lire prima che tornasse a casa a mangiare. Potevo sempre contare su Torchi per un piccolo prestito ma, visto che gli dovevo già duecento lire, mi seccava chiedergliene ancora. Stavo cercando di decidere se fosse meglio saltare il pranzo o andare a cercare Torchi, quando vidi una ragazza che mi veniva incontro sotto il sole cocente, avanzando con grazia e disinvoltura. Era tra i venticinque e i trent'anni, ben fatta; indossava una gonna di lino color tortora e una blusa di seta verde smeraldo, aperta sul collo. I capelli corti e ondulati avevano il colore del rame antico, gli occhi erano grandi e distanti, e la bocca una macchia lucida di vivido scarlatto. Non era bella nel vero senso della parola, ma attirava l'attenzione come una insegna al neon solitaria in una strada buia. Si fermò a pochi passi da me e aprì la borsetta. Ne trasse una copia della Guide Bleu dell'Italia e cominciò a sfogliarla con la fronte aggrottata, concentrata. Prima ancora che riuscissi a distogliere lo sguardo dalle gambe lunghe e sottili fasciate in calze di seta scintillante, e che mi mettessi all'opera, altre due guide abusive si stavano già dirigendo verso di lei. La raggiunsi in due passi. Le altre guide si ritrassero, borbottando e lanciandomi delle occhiatacce. "Mi scusi, signora" esordii con un elaborato inchino. "Le interesserebbe forse una guida? Ci sono molte cose di grande interesse che la Guide Bleu non descrive, e sarei felicissimo di mostrargliele." Alzò lo sguardo e i suoi occhi incontrarono i miei, con un'espressione che mi fece sobbalzare. Poi mi resi conto che sotto quella blusa verde smeraldo c'erano forme capaci di far impazzire un uomo. Stava sorridendo. Aveva grandi denti regolari, di un bianco abbagliante, e mi accorsi che i suoi occhi erano del color delle viole, con ciglia lunghe e nere. "Di quali nozioni dispone, per poter competere con la Guide Bleu?" "Sono una vera autorità in fatto di architettura gotica, esperto di cattedrali italiane in genere, signora" le dissi. "L'anno scorso ho mostrato il Duomo a non meno di millecentoventitré persone, e neppure una lamentela." Chiuse il libro. "Santo cielo! Così tanti? Lei non è una guida autorizzata?" "Le basterebbe vederne una per essere felice che io non lo sia. Ecco, guardi là, vicino al portale: quel signore con le venuzze azzurre sul naso e quella magnifica dentiera." Ridacchiò e guardò Giuseppe, uno dei miei migliori amici, anche se non è precisamente uno splendore da guardare e si ubriaca ogni sera. "Capisco cosa intende." La ragazza si sfiorò i riccioli sulla nuca. "Sì, non credo che sarebbe molto divertente affidarmi a lui. Ma lei non sarà troppo caro?" "Sono la guida migliore e più a buon mercato di tutta Milano, signora." Sollevò il viso. "Le darò mille lire, ma non un soldo di più." "Per mille lire, signora, le mostrerò anche l'Ultima Cena di Leonardo, al Cenacolo Vinciano. Dovremo prendere un taxi, ma lo pagherò io." "L'ho già vista" replicò. "Lei è americano?" "Un compatriota, già." Mi guardò con aria interessata. "Credevo che il mio accento italiano fosse impeccabile." "Infatti è così, ma lei ha l'aspetto di una americana." Rise. "Davvero? Bene, visto che lei è la mia guida, vogliamo entrare nel Duomo?" "Con piacere, signora." Ci avviammo fianco a fianco lungo le vaste navate del Duomo, fiocamente illuminate, dove Umberto stava ammanendo la sua concione con un gran gesticolare di mani, nel vano tentativo di non perdere l'attenzione del suo gruppo di turisti. Quando mi scorse con la ragazza a fianco, il suo automatico flusso di parole ebbe un tentennamento, e dovette battersi col dito sulla fronte per rammentare quel che stava dicendo. "Oggi il Duomo è singolarmente gremito" dissi, sorpassando il gruppo di Filippo e dei suoi turisti da strapazzo. Filippo fissò la ragazza con aria vorace, poi mi fece il broncio. "Suggerirei di andare a vedere il corpo di San Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, che morì nel 1596 e che, almeno fino a un anno fa, era abbastanza gradevole da guardare. Ora, sfortunatamente, la carne si è staccata dal volto, e non è più il bel ragazzo di un tempo. Ma è comunque interessante vederlo esattamente nella stessa posizione in cui fu inumato, più di trecento e sessanta anni fa. Vedrà che più tardi la folla sarà diminuita." "Non sapevo che fosse sepolto qui. Ho visto spesso quella sua enorme statua, sul lago Maggiore. Come mai è così mastodontica?" "I suoi amici temevano che la gente finisse col dimenticarlo. Pensarono che una statua alta una ventina di metri avrebbe impresso il suo ricordo nella mente di tutti. Dunque lei conosce il lago Maggiore, signora?" "Ho una villa laggiù." "Splendido luogo. Lei è molto fortunata." Ci fermammo in cima alle scale che conducevano alla cappella sotterranea dove l'arcivescovo è sepolto in pompa magna. "Posso chiederle una cosa, tanto per evitare imbarazzi?" Mi guardò. Eravamo soli nella semioscurità, vicini, e dovetti trattenermi dal prenderla tra le braccia. Un impulso imbarazzante e sorprendente perché, di solito, sono molto controllato, in compagnia di una donna. "Di che si tratta?" "Il frate che le mostrerà la tomba dell'arcivescovo si aspetta una mancia per il disturbo. Sfortunatamente, al momento non ho spiccioli. Le sarei grato se gli volesse dare cento lire. Le dedurrò dalla mia tariffa al termine della visita." "Intende dire che non ha neppure un soldo?" chiese. "Una difficoltà momentanea." Aprì la borsetta e mi diede duecento lire. "Non deve guadagnare molto, come guida." "Questo non significa che non sia una buona guida. Prova solo che sto attraversando un periodo poco fortunato." "Credo che lei sia un'ottima guida" disse, sorridendomi. "Se mi vuole scusare..." Con un balzo agguantai Torchi, che stava cercando di svignarsela. Trattenendolo con forza per un braccio, lo condussi accanto alla ragazza. "Signora, mi permetta di presentarle il signor Torchi, il più rinomato borsaiolo del Duomo. Torchi, sii così gentile da restituire alla signora quello che le hai appena rubato." Torchi, un omettino con la faccia tonda e gioviale, mi scoccò un gran sorriso e cominciò a frugarsi le tasche. "Stavo solo tenendomi in esercizio, niente altro, signor David" mi assicurò, porgendo alla ragazza una spilla di brillanti, l'orologio da polso, il portasigarette e un fazzolettino di merletto che portava infilato nel taschino della blusa. "Sa bene che non molesterei mai i suoi clienti. Avrei restituito ogni cosa." "Fila via, farabutto!" esclamai. "Se ci riprovi te la farò vedere io, razza di ladro!" "Ma che linguaggio, qui, nel Duomo!" disse Torchi, sinceramente scandalizzato. "Si ricordi, siamo nella casa di Dio." Alzai il pugno con aria minacciosa, e Torchi se la filò in tutta fretta, sparendo nell'ombra. "Spiacente" dissi. La ragazza rimise gli oggetti nella borsetta. "È stato molto abile. Ma come diavolo ha fatto?" Risi. "Un gioco da ragazzi. Il suo capolavoro è stato il furto di un reggicalze, sottratto a una ragazza incontrata per strada. Se ne è accorta solo quando le calze hanno cominciato a scendere. Ancor oggi Torchi tiene quel reggicalze appeso a capo del letto." "Ma non mi dica!" "Torchi è un grande artista, ma non è il solo. Il Duomo è sempre gremito di esperti borsaioli. Guadagnano bene con i turisti. Fortunatamente, li conosco quasi tutti, e di solito lasciano in pace i miei clienti. Temo però che la spilla di diamanti fosse una tentazione troppo forte." "Non avrei dovuto metterla." Si voltò a guardare con aria dubbiosa i gradini poco illuminati. "Posso prenderle il braccio? Questi scalini sembrano pericolosi." "Stavo per proporglielo." Cominciammo a scendere, e la ragazza si appoggiò leggermente al mio braccio. A metà strada, inciampò e sarebe caduta, se non l'avessi trattenuta. L'attirai contro me perché riprendesse l'equilibrio. "Colpa di questi maledetti tacchi alti" disse lei, con affanno. "Proprio così. Gli scalini sono normalissimi." Il suo seno mi premeva contro il braccio. La guardai. Il suo volto era a non più di dieci centimetri dal mio. Nella luce fioca i suoi occhi scintillavano come quelli di un gatto. Mi chinai e la baciai sulla bocca. Sentii il suo corpo abbandonarsi leggermente contro di me. Restammo così per un breve istante, poi si scostò, senza però allontanarsi. "Non avremmo dovuto farlo" disse, guardandomi. "No" replicai, e col braccio le circondai la vita, stringendola forte. La baciai ancora, e lei ricambiò il bacio. "No, la prego..." La lasciai andare, respirando affannosamente. "Mi spiace" dissi. "Mi spiace davvero. Non so cosa mi abbia preso." Lei si sfiorò le labbra con la punta delle dita, alzando lo sguardo su di me.
"Non dica così. Non c'è nulla di cui dispiacersi. Credo
che mi sia piaciuto. Ma ora andiamocene da questo posto
così lugubre, va bene?"
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