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| << | < | > | >> |Indice9 Introduzione 17 Capitolo primo La centralità dei media nella società contemporanea 19 1. Dal provincialismo al cosmopolitismo 20 2. Comunicazione e globalizzazione 24 3. Conclusioni 27 Capitolo secondo Gli effetti collaterali dei media (e come difendersene) 28 1. Effetti doppiamente collaterali 30 2. La finzione è in parte reale 37 Capitolo terzo Gli effetti emozionali 41 1. Intossicazione emozionale 1.1. L'intossicazione emozionale e la violenza nei media, 44 52 2. Indigestione emozionale 56 3. Information anxiety o sindrome ansiosa da cattive notizie 62 4. La sindrome di impotenza 66 5. I media come generatori o rafforzatori di stress 70 6. Gli effetti dei media sulla sessualità 6.1. Ipereccitazione e mentalizzazione, 70 6.2. Bellezza esteriore e omologazione dei gusti, 73 6.3. Abbinamento sessualità-paura, 75 6.4. Volgarizzazione e mercificazione della sessualità, 77 78 7. Tecniche di "pronto soccorso" emozionale 7.1. Tecniche per rigettare contenuti o emozioni indesiderate, 79 7.2. Tecniche per facilitare la "digestione" di contenuti o emozioni pesanti, 81 89 Capitolo quarto Gli effetti sull'identità 89 1. I media e la ricerca di identità 91 2. Pubblicità, identità, consumismo 96 3. Influenze sugli stili di vita e sulle mode 101 Capitolo quinto Gli effetti cognitivi 101 1. Il giornalismo e i suoi effetti collaterali a medio e lungo termine 1.1. La realtà è in parte finzione, 102 1.2. La manipolazione delle coscienze, 106 1.3. L'orientamento delle opinioni politiche e delle scelte elettorali, 108 1.4. Disfunzione narcotizzante, ovvero l'illusione che informarsi equivalga a partecipare alla vita sociale e politica, 113 1.5. Passivizzazione (disabitudine ad agire e a pensare attivamente), 115 1.6. L'intelligente stupidità, 116 117 2. I media pacificano o accentuano la conflittualità? 118 3. Distrazione: la droga elettronica? 3.1. Spettacolarízzazione a ogni costo, 122 125 Capitolo sesto Come migliorare la nostra dieta mediale 125 1. Alcuni suggerimenti generali 127 2. Farsi una dieta personalizzata 2.1. Affinare la capacità di sentire, 129 2.2. Sentire gli effetti dei media nel corpo, nelle emozioni e nella mente, 132 133 3.Trovare valide alternative ai media 3.1. Quali bisogni soddisfano i media?, 133 142 4. Cambiare in meglio le proprie abitudini 143 5. Come affinare la consapevolezza e il sentire interiore 5.4. Migliorare la qualità della fruizione, 150 153 Capitolo settimo Bambini e media 154 1. La baby-sitter elettronica 158 2. La tv quale strumento per conoscere il mondo 2.1. Comprendere emozioni e sentimenti, 161 2.1.1. Tra paure e violenza, 161 2.2. Imparare come comportarsi imitando personaggi ed eroi, 165 2.3. Trovare soluzioni ai problemi, 169 171 3. I videogiochi e i computer games 173 4. Come scegliere 175 5. Responsabilizzare il bambino 175 6. Esercizi e giochi di media education per i bambini 6.1. Esercizi per bambini più grandi (9-10 anni e più), 177 181 Capitolo ottavo Conclusioni 183 Appendice La ricerca scientifica sull'influenza dei media 183 1. Comunicazione e persuasione 185 2. Le prime ricerche e teorie sugli effetti dei media 188 3. Le attuali teorie sugli effetti cumulativi 3.1. La teoria dell'agenda setting, 190 3.2. La spirale del silenzio, 191 3.3. La teoria della coltivazione, 192 194 4. I media e la costruzione sociale della realtà 4.1. La programmazione socioculturale della mente, 195 201 Bibliografia |
| << | < | > | >> |Pagina 9I media sono ormai dei partner onnipresenti per tutti noi, tant'è che molti autori definiscono l'epoca attuale come "la società della comunicazione". In meno di un secolo siamo passati dalle veglie loquaci attorno al focolare al rito silenzioso della tv, dai libri e dai giornali su carta agli ipertesti via internet, dai teatri ai videotape e ai dvd, dai concerti dal vivo alla radio e ai cd. Insomma, i media sono entrati a far parte, nel bene e nel male, della nostra vita quotidiana, al punto che non ci facciamo più caso e che non riusciamo neppure a farne a meno. A partire dagli anni Venti del secolo scorso, studiosi e intellettuali hanno iniziato a interrogarsi sui rischi sociali e individuali derivanti dai mass media, un problema ancora aperto e anzi sempre più pregnante, vista la diffusione capillare che tali mezzi hanno poi avuto. La domanda cruciale, oggi come allora, è la seguente: i media fanno bene o male? I loro effetti sono positivi o negativi per gli individui e per la società nel complesso? Alcuni studiosi dicono che va tutto bene, che non c'è da preoccuparsi, che non esiste evidenza scientifica che i media producano effetti negativi, mentre molte sarebbero le influenze positive; altri autori stigmatizzano invece il loro notevole potere e i rischi derivanti da un uso inconsapevole e acritico. Chi ha ragione? Forse tutti e nessuno, per il semplice motivo che la questione non può essere risolta con risposte semplicistiche. I media rappresentano certamente un fattore evolutivo positivo per rapporti umani più aperti e collaborativi e per una società che traduca in concreto i principi democratici della libertà, della autodeterminazione, della cooperazione. Essi iniettano nei molti e diversificati popoli del pianeta il potente "farmaco" della comunicazione e vari suoi derivati: conoscenza, apertura, relativismo, cosmopolitismo, tolleranza e via dicendo. Grazie anche a tali "farmaci psicosociali" alcune perniciose "malattie" che hanno afflitto per millenni l'umanità — la chiusura, la paura dell'altro e del diverso, la prevaricazione, l'ideologia, il senso di separazione dalla natura e dagli altri, l'antagonismo tra maschile e femminile, la violenza come mezzo per risolvere le controversie — stanno sensibilmente migliorando. Tuttavia, come accade per ogni farmaco, specie se potente, si verificano in questo processo anche molti effetti collaterali e così, mentre contribuiscono a guarire certe patologie, i media ne creano o accentuano indirettamente altre. Pertanto è necessaria una grande attenzione ai contenuti che i media trasmettono sia da parte di operatori ed editori, sia soprattutto da parte degli utenti. Come insegna la farmacologia, certe sostanze, terapeutiche se assunte in piccole dosi, possono in dosi più alte risultare tossiche e finanche mortali. Lo stesso insegnamento lo troviamo nelle scienze dell'alimentazione, che evidenziano l'importanza di una dieta giornaliera in cui siano presenti tutti i princìpi nutritivi in proporzione equilibrata, senza eccedere ma neppure limitare troppo le quantità. Per molti versi i media possono essere considerati come dei grandi "self service" per la mente e dunque, nell'utilizzarli, dovremmo seguire princìpi analoghi a quelli appena ricordati. Dovremmo inoltre tenere presente che non è solo il dosaggio di un alimento o di un farmaco a determinarne l'effetto, ma sono anche le modalità dí assunzione. Ciò è particolamente importante nel caso dei bambini: alcuni genitori li lasciano per ore davanti alla tv, senza curarsi minimamente della scelta dei programmi, altri demonizzano il video e non tengono nemmeno un televisore in casa, e altri ancora accompagnano i figli nel loro uso dei media e li aiutano a comprendere con senso critico ciò che vedono. Qual è dunque l'atteggiamento migliore? Proseguendo l'analogia con i cibi, la risposta offerta da questo libro è che vadano evitati sia i comportamenti irresponsabili sia quelli troppo rigidi e radicali; occorre invece dosare correttamente la quantità e la qualità dei diversi "cibi" mediatici per la mente, imparando a "masticarli" bene e a prendere consapevolezza degli effetti che essi producono su di noi, evitando di ingurgitare troppo spesso immagini, storie, notizie di cui potremmo poi risentire negativamente. La proposta è, insomma, quella di fare un uso moderato e consapevole dei media, valorizzando al meglio quel che di buono essi propongono ed evitando contenuti manipolati e immagini di difficile "digestione" o, ancor peggio, "tossiche". I media potrebbero, se usati bene, essere strumenti formidabili per stimolare la consapevolezza delle persone. Purtroppo il livello qualitativo dei contenuti da essi proposti non è sempre adeguato e così pure l'obbiettività. La gran parte dei media ha puntato finora più agli indici di ascolto che a quelli di gradimento, alla tiratura invece che alla qualità, privilegiando il tornaconto economico o politico rispetto all'utilità sociale e operando scelte assai discutibili sul piano dell'offerta culturale, spesso imperniata su ingredienti dai sapori forti ma di scarsa qualità: violenza, paura, sessualità morbosa, competizione esasperata e via dicendo. Che fare allora? Esprimere le proprie rimostranze e battersi per una più elevata qualità dell'offerta mediatica? Rassegnarsi e prendere quel che passa il convento, turandosi il naso? Ribellarsi e fare a meno dei media, isolandosi dal mondo? In qualità di studioso e docente universitario, in questo settore ho cercato fin dagli anni Ottanta, come anche altri colleghi, di sensibilizzare in vari modi il mondo dei media e della politica circa l'esigenza di una più elevata qualità dell'offerta culturale e informativa, senza però riscontrare alcun miglioramento, anzi, casomai un graduale, sensibile peggioramento. Ho allora percorso l'altra strada, quella della ribellione silenziosa, dello sciopero bianco, evitando per un lungo periodo ogni fruizione dei media: niente tv, né radio né giornali. È stata un'esperienza utile, di profonda disintossicazione, che mi ha fornito alcune importanti chiavi per scrivere questo libro; tuttavia ho anche capito che se si vuole vivere attivamente nel mondo non si può fare a meno dei media, e non si deve troppo semplicisticamente demonizzarli, poiché svolgono un'insostituibile funzione sociale i cui benefici sono spesso maggiori degli svantaggi. Come sostiene Alberto Melucci, l'influenza della società sugli individui è incomparabile rispetto al passato. Ognuno di noi riceve così tanti stimoli, informazioni, messaggi che potremmo supporre che la nostra personalità tutta intera sia modellata dalla società. Potremmo vederci come piccoli ingranaggi di questa grande macchina mossa da meccanismi che nessuno di noi controlla. Immagini drammatiche del dominio della società sugli individui come quelle di 1984 di Orwell mettono in guardia contro dei rischi reali, ma possono farci sottovalutare che mentre si estende l'influenza della società sugli individui, questi ricevono anche una grande autonomia, strumenti per pensare, scegliere, decidere. Sono quindi tornato a fruire i media come utente e a occuparmene come studioso, dedicandomi a sviluppare una terza via: invece di escluderli dalla propria vita o aspettare che migliorino l'offerta, si può imparare a utilizzarli in modo più attivo e consapevole, senza più abbandonarsi passivamente a menu prestabiliti da altri, ma anzi scegliendo accuratamente i programmi e le "dosi" con cui assumerli. Certo, questa terza opzione è un po' più impegnativa e faticosa, ma è anche quella che meglio può conciliare le nostre diverse esigenze. Come vedremo, nessuna azione nasce dal nulla, ma deriva piuttosto da una qualche esigenza che desideriamo soddisfare: se dedichiamo del tempo ai media è perché essi soddisfano, in qualche misura, dei nostri bisogni. Mettere a fuoco tali bisogni è il primo passo per porsi in modo più consapevole nei confronti degli stessi strumenti, imparando a usarli meglio e talvolta meno, trovando modi alternativi per soddisfare le nostre esigenze. Il secondo passo consiste nel rendersi conto di quali siano gli effetti che un certo programma televisivo, articolo giornalistico o testo web produce sul nostro stato psicofisico. Il predetto periodo di "astinenza" dai media affinò molto la mia sensibilità in proposito, così che, quando tornai a guardare un po' di tv o a leggere qualche giornale, mi accorsi che riuscivo a sentire più nitidamente quale effetto essi esercitavano su di me e come certi programmi o notizie mutavano il mio stato fisico e soprattutto emozionale, quali conseguenze avevano sulla qualità del mio sonno, sul mio umore immediato o del giorno seguente, sul mio modo di relazionarmi agli altri ecc. Riuscii a cogliere, nella mia esperienza personale di fruitore, tutta una serie di "piccoli effetti" che in precedenza non avevo potuto notare e che in molti casi non erano neppure riportati dalla letteratura scientifica in materia. Svolsi accurate ricerche per vedere se vi fossero libri o articoli che affrontassero in qualche modo l'argomento, trovando, sì, alcuni riferimenti, ma piuttosto esigui e assai poco sistematizzati. Cominciai allora a osservare con maggiore cura e continuità le mie reazioni, iniziando anche a tenere una sorta di diario, per cogliere spunti che dalla mia esperienza soggettiva potessero essere generalizzati e tornare utili anche ad altre persone. Con la stessa attenzione presi a osservare mio figlio e le sue reazioni a certi programmi tv, nonché le reazioni dei suoi amici, cugini, compagni di scuola e infine svolsi anche alcuni test su gruppi di studenti universitari. Scoprii, ad esempio, che dopo aver visto film con scene di violenza si dorme spesso un sonno più agitato, con sogni sgradevoli, e ci si alza la mattina seguente mal riposati. Mi resi anche conto di quanta tensione allo stomaco producessero certi tg, con quel tono di voce incalzante degli speaker da "bollettino di guerra", e quella lunga sfilza di brutte notizie quasi mai bilanciate da buone. Una tensione tanto più nociva se si verifica durante i pasti o subito dopo, quando molti di noi sono soliti guardare i notiziari. Mi meravigliai inoltre di come certi programmi o notizie potessero far sorgere nello spettatore determinate emozioni indipendentemente dalle sue opinioni – ad esempio a seguito di una notizia di un tg si può provare commozione o ammirazione per un certo personaggio pur sapendo razionalmente che non le merita affatto, oppure sentire disprezzo per temi e personaggi che invece solitamente si apprezzano. E non accadeva solo a me ma anche a molti dei soggetti da me studiati. Come è possibile che la parte emozionale della nostra mente provi simpatia per qualcosa o qualcuno che razionalmente si disprezza o viceversa? Credevo che fosse sufficiente un atteggiamento critico per proteggersi dai condizionamenti dei media, ma mi resi conto che perfino uno come me, che li conosceva a fondo, era sostanzialmente indifeso di fronte a certi effetti. E se tutto questo accadeva a me, che cosa poteva accadere a tutti coloro che non avevano le mie conoscenze e i miei strumenti? Ecco allora nascere l'idea di questo libro, che non pretende di fornire risposte o ricette definitive ma intende piuttosto mettere in guardia il lettore, stimolandone la consapevolezza e fornendogli indicazioni ed esercizi che gli consentano di rendersi conto in prima persona di come stanno le cose e confezionarsi la sua propria dieta mediatica personalizzata, evitando il più possibile spiacevoli e talvolta subdoli effetti collaterali. Pur volendo impostare il discorso in modo scientifico, basandomi in larga misura su ricerche e teorie accreditate, ho ritenuto utile includere anche elementi e considerazioni tratti dalle mie personali esperienze o da quelle di altri che, come me, hanno maturato osservazioni in proposito, non sempre corredate da un impianto scientifico, ma comunque ampiamente verificabili. È vero che le osservazioni soggettive, se relative a poche persone, non possono essere generalizzate, ma hanno ciò non di meno una loro validità nei singoli casi. Per sapere se un certo genere di programmi o letture può avere effetti negativi diffusi nella popolazione, è necessario realizzare opportune indagini scientifiche ed elaborazioni statistiche, ma per sapere se può far del male a voi non c'è alcun bisogno di grandi ricerche: è sufficiente che vi "ascoltiate" con attenzione prima e dopo la fruizione, che cioè prendiate coscienza di come il vostro stato interiore – fisico, emozionale e mentale – è mutato. E ovviamente, se dopo state peggio, siete autorizzati a sospettare che quel tipo di programma o lettura non sia benefico per voi. Se poi l'effetto si ripete, il sospetto diviene certezza e si devono prendere opportune precauzioni, come quelle suggerite nel libro.
Pur essendo rivolto soprattutto agli utenti, auspico che questo lavoro venga
letto anche da qualche operatore e gestore
dei media, e contribuisca almeno un po' a innalzare la qualità
dell'offerta mediatica e a ridurne la nocività. Ho fiducia nella
natura umana e ritengo che la maggior parte degli operatori agisca in buona fede
e contribuisca a produrre certi effetti
nocivi senza rendersene conto; spero quindi che una miglior
conoscenza delle conseguenze che il loro agire può provocare
li stimoli a programmare e produrre con maggiore attenzione i
contenuti trasmessi dai media in cui lavorano.
E adesso illustriamo brevemente il piano dell'opera. Nel primo capitolo affronteremo alcune tematiche di inquadramento generale, quali la crescente centralità della comunicazione nella società contemporanea, il ruolo evolutivo dei media e i contributi della ricerca scientifica sui loro effetti sociali e individuali. Dal secondo al quinto capitolo entreremo nel vivo dell'argomento, esaminando i principali effetti che i media possono produrre su adulti e bambini, suddividendoli in tre categorie: gli effetti emozionali; gli effetti sull'identità; gli effetti cognitivi. Per ciascuna tipologia di effetti proporremo anche utili suggerimenti, strategie ed esercizi per prevenirli o "curarli", nonché alcune tecniche di "pronto soccorso" per i casi più gravi e improvvisi. Nel sesto capitolo vedremo come migliorare il nostro uso dei media: partiremo con esercizi e tecniche per affinare la nostra sensibilità e capire da soli che cosa è positivo per noi e che cosa invece non lo è; poi useremo questa nuova abilità per migliorare la nostra dieta, eliminando o riducendo ciò che ci fa male e incrementando quello che, oltre a piacerci e/o interessarci, ci fa stare bene. Cercheremo inoltre possibili alternative ai media, partendo dall'assunto che essi soddisfano certi nostri bisogni e che quindi un'alternativa è davvero valida solo se riesce a soddisfarli altrettanto bene, o perfino meglio, ma con minori effetti negativi. Proporremo anche in questo caso alcuni semplici esercizi per mettere a fuoco i propri bisogni reali e per trovare o ideare creativamente attività alternative utili a soddisfarli. Nel settimo capitolo, infine, ci occuperemo specificamente dei bambini: non tanto di come proteggerli, poiché questo aspetto sarà stato già affrontato nel capitolo secondo, ma piuttosto di come renderli più consapevoli e responsabili nell'uso dei media, di come educarli a ragionare criticamente, a liberarsi da schemi rigidi prestabiliti, a distinguere tra realtà e finzione. Capitolo primo La centralità dei media nella società contemporanea Oggi si parla correntemente di mercato globale, di globalizza- zione culturale, di governo mondiale, si viaggia da una parte all'altra del pianeta in poche ore, si telefona con pochi cen- tesimi da Roma a New York, si può chattare via internet con persone che abitano in altri continenti, si possono acquistare azioni sulla borsa di Hong Kong o di Tokyo e si può partecipa- re così all'economia di Paesi che magari neppure conosciamo. Dobbiamo però tener presente che tutte queste cose, che oggi appaiono normali e scontate, rappresentano una vera e propria rivoluzione rispetto al passato, quando per la stragrande mag- gioranza delle persone il mondo iniziava e finiva nel raggio di pochi chilometri dal luogo in cui vivevano, e tutto ciò che si trovava oltre era completamente ignoto e per lo più temuto. Fino a meno di un secolo fa le persone nascevano, vivevano e morivano all'interno di sistemi socioculturali isolati o quasi, in cui le stesse idee, gli stessi valori, le stesse credenze si tra- mandavano immutati da secoli, non sospettando neppure che esistessero altri "mondi", altre consuetudini e tradizioni, altri modi di vedere la realtà. Il raro contatto con persone di altri paesi era per lo più contrassegnato da paura, rifiuto e conflitto. Il forestiero, lo sconosciuto, il diverso erano guardati con timo- re e sospetto; le diversità – nelle idee, nei comportamenti, nella religioni – non erano tollerate, anzi erano fonte di scherno, di scontro e perfino di guerra. La vita di relazione si svolgeva secondo regole e schemi ferrei, cui dovevano conformarsi tutti i membri di una data comunità; non era pensabile percorrere 16 17 | << | < | > | >> |Pagina 101In questo capitolo parleremo degli effetti che i media possono produrre sui nostri valori, credenze, opinioni, modelli di comportamento, influenzando la nostra visione della realtà, le nostre scelte politiche, il nostro modo di affrontare le relazioni sociali e di vivere la vita.
Trattandosi di effetti cognitivi, risulta ovviamente centrale il
ruolo del giornalismo, della divulgazione e di tutti quei generi mediali che
riferiscono eventi e problematiche del mondo
reale; tuttavia anche la fiction — pur essendo esplicitamente finzione — svolge
un ruolo non trascurabile nel plasmare la nostra
visione del mondo e le nostre opinioni, anche quelle politiche,
poiché la distinzione tra verità e finzione non è, specie nei
media, così netta come si potrebbe pensare.
1. Il giornalismo e i suoi effetti collaterali a medio e lungo termine Abbiamo visto al capitolo primo che la finzione è in parte vera (nel senso che può produrre effetti emozionali come se si trattasse di eventi reali); eccoci adesso arrivati a un ulteriore paradosso dei media, che rappresenta l'altra faccia della medaglia: la realtà è in parte finta, nel senso che le storie e gli eventi riferiti dai giornali, dai tg, dai gr non sono del tutto reali, ma piuttosto racconti di eventi reali. Un racconto è reale e irreale al tempo stesso, e anche quando si tratta di un servizio giornalistico il più possibile obiettivo e fedele ai fatti non siamo comunque a contatto con l'evento vero e proprio, ma con un racconto di quell'evento fatto da quel certo giornalista di quella certa testata, e il raccontare comporta sempre un filtrare, modificare, interpretare, anche involontariamente, quanto accaduto. Dunque il giornalismo produce racconti e questi racconti si chiamano notizie; esse nascono, sì, da fatti veri, ma questo avviene anche per molti romanzi; ebbene, forse non è eccessivo dire che il giornalismo ci offre una versione inevitabilmente un po' romanzata della realtà. Ogni notizia viene confezionata in funzione di molteplici fattori: le caratteristiche tecniche del medium (stampa, radio, tv ecc.); lo stile narrativo del giornalista; la sua visione del mondo; le finalità culturali e politiche della sua testata; le logiche del linguaggio giornalistico, che portano a esporre i fatti in un certo ordine e a dare risalto a quegli aspetti che si ritiene facciano più notizia.
Mentre tra gli studiosi vi è un sostanziale accordo su quanto
sopra accennato, non tutti i giornalisti accettano questa concezione della loro
professione, preferendo continuare a considerarsi come coloro che si limitano a
trasmettere le informazioni
e i fatti tali e quali sono accaduti, senza aggiungere o modificare alcunché.
Non si vuole qui né criticare né sminuire questa
importantissima professione, ma stimolare semmai una visione
critica di essa, che aiuti i giornalisti a svolgere meglio il loro
delicato ruolo sociale e gli utenti a rapportarsi a essi e ai loro
prodotti in modo più consapevole.
1.1. La realtà è in parte finzione Tra i vari tipi di giornale, quelli televisivi (i tg) sembrano i più realistici, grazie soprattutto all'uso di filmati, che danno la sensazione di essere presenti ai fatti. Certo, una testimonianza quale un servizio filmato è forse la migliore dimostrazione che degli eventi sono realmente accaduti, ma non sempre è altrettanto attendibile nel dirci come si sono realmente svolti i fatti e ancor meno nel chiarire quali siano stati i moventi che li hanno prodotti. Filmando gli eventi in un modo invece che in un altro si può cambiare anche di molto il significato che essi assumono agli occhi degli spettatori e lo stesso si può ottenere montando le scene del filmato in un modo o in un altro, tagliandone alcune ed enfatizzandone altre; analogamente, fotografare o raccontare certi particolari e ometterne altri, o inquadrare i fatti in una certa cornice interpretativa può distanziare anche di molto il prodotto finale (la notizia) dall'evento originale (il fatto). | << | < | > | >> |Pagina 1061.2. La manipolazione delle coscienzeCiò su cui si appuntano i rilievi critici di alcuni studiosi non è tanto l'inevitabile distanza tra la realtà e il racconto di essa fornito dai media, quanto il fatto che talvolta sembra mancare da parte dei media una sincera ricerca di obiettività e la realtà viene raccontata in modo ideologico o intenzionalmente distorto. Alcuni autori sostengono addirittura che sarebbe in atto, in particolari casi, un uso strumentale dei media a opera di alcuni centri di potere economico e politico, volti a legittimare credenze e valori che avvantaggiano i loro interessi particolari ma non quelli della collettività. Molti sono gli aspetti della realtà che i media distorcono profondamente e con continuità. Per esempio, nonostante si parli spessissimo di criminalità, sia nella cronaca che nella fiction, si evita quasi sempre di interpretare il fenomeno in chiave socioculturale. Benché i criminali appartengano spesso a minoranze sociali o etniche svantaggiate, è molto raro che i loro atti siano contestualizzati nel quadro di povertà, emarginazione, sfruttamento che li caratterizza; al contrario, tali atti sono quasi sempre presentati come iniziative individuali, nelle loro manifestazioni e nelle loro origini, senza alcun riferimento al conflitto sociale a essi sottostante. Quanto sopra è applicabile in buona approssimazione anche alla situazione italiana attuale: sia nella cronaca che nella fiction la criminalità organizzata viene infatti rappresentata secondo una prospettiva stereotipata, dando risalto solo al ruolo dell'apparato deterrente e repressivo (forze dell'ordine e magistratura) ed evitando quasi ogni riferimento al ruolo che potrebbero svolgere idonee misure sociali di prevenzione, volte a migliorare le condizioni materiali, sociali e culturali delle persone appartenenti alle classi meno abbienti, al cui interno la malavita arruola la propria manovalanza. Un'ulteriore distorsione della realtà operata dai media risiede nella tendenza a rafforzare e legittimare idee, soggetti e personaggi già affermati, piuttosto che a dare spazio a nuovi punti di vista, a nuove proposte e a nuovi personaggi; insomma, i media opererebbero complessivamente più per il mantenimento dello status quo che per il cambiamento sociale. Ciò può essere dovuto a vari motivi: in primo luogo al fatto che coloro che controllano i media si trovano già, nella gran parte dei casi, in situazioni economicamente e socialmente privilegiate, e hanno quindi più interesse a difenderle che non a introdurre nella società fattori di effettivo rinnovamento; in secondo luogo, alla tendenza a massimizzare gli indici di ascolto (o le vendite), che porta a preferire argomenti, personaggi e punti di vista già collaudati e che vadano mediamente bene per tutti, senza suscitare troppe perplessità. Ciò nonostante, vi sono anche processi di mutamento che vengono innescati o favoriti dai media: si pensi allo scandalo Watergate negli anni Settanta o al fenomeno "mani pulite" all'inizio degli anni Novanta, alle campagne di sensibilizzazione ecologica degli anni Ottanta o alle manifestazioni per la pace del 2003. Non bisogna poi dimenticare l'importante contributo fornito dai media sul piano del cosmopolitismo e del relativismo di cui si è parlato al capitolo secondo. Pertanto è indubbio che, pur con alcuni limiti e distorsioni, i media rappresentino un insostituibile fattore evolutivo per la nostra civiltà. Questo per dire che bisogna assumere una certa cautela e non schierarsi troppo estremisticamente né tra gli apocalittici né tra gli integrati. | << | < | > | >> |Pagina 1131.4. Disfunzione narcotizzante, ovvero l'illusione che informarsi equivalga a partecipare alla vita sociale e politicaVi sono persone che leggono uno o più quotidiani al giorno, guardano i tg o ascoltano i gr e si tengono informate con costanza su quello che accade nel loro Paese e nel mondo e sull'andamento del dibattito politico. In questo modo si sentono partecipi di quanto avviene e credono che questo loro impegno nel tenersi informate sia socialmente e politicamente molto utile. Si sentono cittadini diversi e più responsabili rispetto a coloro che leggono poco o niente i giornali, che non si interessano alle vicende politiche e sociali, che al massimo guardano di sfuggita un telegiornale ogni tanto, che usano i media solo per divertimento e distrazione. In effetti sono senz'altro più sensibili e responsabili, ma purtroppo – e mi spiace davvero disilluderli – se si limitano al solo informarsi non incidono minimamente nell'orientare le scelte politiche ed economiche, non solo della nazione ma neppure del comune o del quartiere in cui vivono. Da solo, infatti, l'atto di sapere non ha alcun peso in termini di partecipazione sociale e politica e non influenza affatto né le decisioni che verranno prese, né l'opinione pubblica, né la coscienza collettiva. Se oltre a informarsi non si agisce in qualche modo concreto – ad esempio spedendo fax o e-mail di richiesta o di protesta, raccogliendo firme, scrivendo lettere ai giornali, aderendo a gruppi di attivismo sociale o a movimenti politici, partecipando a manifestazioni ecc. – nessuno si accorgerà di noi e di come la pensiamo e tutto il nostro arricchimento informativo non avrà alcuna influenza sulla società. Può sembrare una visione cinica, ma purtroppo è la realtà. Furono Paul Lazarsfeld e Robert K. Merton (1948) a definire questo fenomeno «disfunzione narcotizzante»: disfunzione poiché ricade nella categoria degli effetti negativi dei media; narcotizzante perché certi modi di fare informazione (che preciseremo nel paragrafo successivo) tendono a impigrire e addormentare le persone, spingendole a dedicare tutto il loro tempo di potenziale impegno sociale a guardare i tg o a leggere i giornali invece di impiegarne almeno una parte a una qualche effettiva forma di partecipazione attiva alla vita sociale e politica: nel volontariato, in qualche movimento di opinione o anche in un partito. Questa tesi, alquanto criticata a suo tempo, è stata in seguito rivalutata da numerosi autori: Paletz e Entman (1981) rilevano ad esempio come negli Stati Uniti «i media diminuiscano la capacità e l'inclinazione degli americani – la cittadinanza di massa – a partecipare con efficacia in politica. [...] Se tentassero di partecipare di più [...] si renderebbero conto della propria impotenza». Putnam (2000) rileva che lo stato di teledipendenza in cui gran parte degli individui si trova sia incompatibile con un impegno significativo nella vita politica. Franklin (1994) afferma poi che «nella democrazia mediatica la politica, alla pari del calcio, è diventata un'attività da poltrona: assistere alla gara seduti comodamente in soggiorno ha sostituito la necessità di giocare sul campo. La partecipazione nella democrazia mediatica è essenzialmente un surrogato». La disfunzione narcotizzante è molto pericolosa poiché influenza proprio la parte migliore della società: quella che comprende le persone più sensibili e responsabili, che potrebbero fare molto per migliorare le cose, se solo non si illudessero che sia sufficiente tenersi informati per dare il proprio prezioso contributo. Insomma, informarsi è socialmente utile se viene inteso come strumento per agire più avvedutamente e responsabilmente, ma non come attività fine a se stessa. | << | < | > | >> |Pagina 1582. La tv quale strumento per conoscere il mondoAbbiamo visto che le principali motivazioni che spingono gli adulti all'uso dei media sono l'intrattenimento/distrazione e l'informazione, ma sono le stesse anche per i bambini? La risposta, secondo molti studiosi, è no, o per lo meno non del tutto. Il bisogno di informazione intesa come attualità, che porta molti adulti a leggere i giornali o a vedere/ascoltare tg e gr è del tutto assente nei bambini, specie al di sotto dei nove-dieci anni; il bisogno di divertirsi è invece presente, ma in modo diverso rispetto a quello degli adulti: mentre questi ultimi vedono spesso nei media, e in particolare nella tv, un diversivo al lavoro e alla routine giornaliera, un modo per "distrarsi" dalle preoccupazioni e dallo stress, per i bambini non c'è una netta separazione tra vita quotidiana e divertimento, tra lavoro e distrazione: tutto può essere divertente, tutto può essere istruttivo. Il gioco, ad esempio, è per il bambino una forma importantissima di apprendimento: giocare a papà e mamma o giocare a venditore e cliente non è solo divertente ma è un modo per imparare a vivere nel mondo, per apprendere i ruoli sociali e le regole di comportamento della società in cui si vive. Così come per il gioco, anche nel guardare la tv divertimento e apprendimento non sono separati ma compresenti: attraverso cartoni, film e altri programmi, il bambino cerca di capire il mondo. Un tempo la casa era un piccolo mondo con tanti personaggi diversi e molti piccoli eventi quotidiani che il bambino osservava attentamente e da cui imparava; parimenti, trascorrendo molto tempo all'aria aperta, aveva modo di osservare la natura, le piante, gli animali e imparare da essi. Oggi invece non c'è quasi mai nessuno in casa e il tempo che il bambino trascorre all'aperto è poco, specie se vive in una città, e così deve imparare come funziona il mondo osservando le realtà virtuali dei media, soprattutto quelle proposte dalla tv. Tutto ciò comporta però alcune conseguenze rilevanti e in qualche caso preoccupanti: per prima cosa, i mondi virtuali non sono affatto una copia esatta della realtà, e questo il bambino non lo sa. Abbiamo visto nel capitolo terzo come anche per gli adulti la finzione abbia, sul piano emozionale, effetti spesso comparabili alla realtà; sul piano cognitivo, invece, un adulto sa bene quando si tratta di finzione e quando di realtà. Per un bambino non è così: egli si trova a vivere in un mondo che gli risulta in gran parte sconosciuto e che desidera conoscere e capire; di questo mondo fa parte una strana scatola magica che mostra immagini in movimento di personaggi umani e non, che talvolta fanno cose normalissime che si vedono fare anche in casa o a scuola e altre volte compiono imprese straordinarie – animali disegnati che parlano, auto che volano, uomini che cadono da altezze vertiginose e si rialzano appena storditi ecc. Esistono davvero, da qualche parte, personaggi del genere? È veramente possibile compiere certe azioni uscendone indenni? Ci sono realmente esseri con superpoteri? Gli umani si dividono in totalmente buoni e totalmente malvagi? È proprio così facile risolvere certi problemi? È allora indispensabile una mediazione continua degli adulti, per spiegare al bambino la differenza tra realtà e finzione, per fargli, capire, ad esempio, che gli animali veri non parlano come quelli dei cartoni, non in quel modo per lo meno; che le persone vere, come noi, se cadono da quelle altezze si fanno molto male o muoiono addirittura; che certi scherzi possono avere gravi conseguenze e via dicendo. Alla scuola materna, e quando avviene il primo incontro fra i bambini e i media, si potrebbero prevedere due obiettivi: parlare della televisione, lottare contro la violenza della televisione. Della televisione si potrebbe parlare in classe, la si potrebbe guardare insieme, magari una trasmissione del giorno prima, e poi aprire un dibattito, in modo da far uscire tutti i bambini dalla situazione di creduloni amorfi. Ogni immagine si esprime come un pugno su di un cervello senza difesa. La scuola deve garantire la possibilità di dire, di indicare ciò che fa ridere, di dare un nome a ciò che non conosciamo, di raccontare ciò che fa paura... . È importante che il bambino possa disporre di altre "finestre" sul mondo oltre alla televisione, ad esempio libri, cd, fumetti e soprattutto finestre reali, cioè un contatto diretto con la natura, le persone, i luoghi, gli oggetti. È indispensabile che possa giocare con i coetanei, con gli animali veri, con le mille situazioni che la vita reale può offrire. I bambini trovano nella tv, esplicitamente o in forma implicita, quasi ogni genere di informazioni: sulla natura, sulla cultura, sulla società, sulla scienza, sui sentimenti, sulle relazioni interpersonali, sulla risoluzione dei problemi, insomma tutto ciò che occorre per le loro esigenze di maturazione. Dobbiamo però porci alcuni rilevanti interrogativi: a) se tali informazioni siano o meno attendibili; b) se siano imparziali; c) se siano espresse in una forma adatta all'età del bambino; d) se il bambino abbia gli strumenti cognitivi per ricavare dei quadri minimamente coerenti da questa moltitudine di frammenti raccolti qua e là; e) se siano compatibili con la visione etica dei genitori;
f) se per la loro forma espressiva comportino eventuali effetti
collaterali nocivi.
Partendo da questi interrogativi prendiamo adesso in esame tre
delle aree tematiche più rilevanti e nevralgiche per lo sviluppo
del bambino: 1) emozioni e sentimenti; 2) identità e modelli di
comportamento; 3) risoluzione di problemi.
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