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| << | < | > | >> |IndicePrefazione, di Brunello Mantelli IX Introduzione 1 L'universo concentrazionario nazista 7 Auschwitz e lo sterminio degli ebrei, di Fabio Maria Pace 29 Buchenwald 71 Dachau 91 Flossenbürg 111 Fossoli 127 Mauthausen 145 Neuengamme 175 Ravensbrück 191 La Risiera di San Sabba 211 Sachsenhausen 229 Glossario 249 Scheda sintetica sui campi non trattati 255 Bibliografia e sitografia 259 Indice dei nomi 265 |
| << | < | > | >> |Pagina IXLa galassia concentrazionaria creata dal regime nazionalsocialista si è lentamente ma progressivamente imposta, con il trascorrere dei decenni che ci separano dalla Seconda guerra mondiale, come uno dei passaggi cruciali che hanno scandito la storia del secolo Ventesimo, e come una caratteristica tanto fondante quanto strutturale del fascismo radicale giunto al potere il 30 gennaio 1933, allorché il suo leader Adolf Hitler fu nominato cancelliere tedesco dal presidente della Repubblica, il vecchio generale, monarchico e conservatore, Paul von Hindenburg. I luoghi dove sorsero i Lager, termine generico diventato nel corso del tempo sinonimo, come vedremo, di realtà concentrazionarie anche molto diverse tra di loro, e dove ora operano i Musei della Memoria (Gedenkstätten) sono così diventati meta di un incessante pellegrinaggio, quasi nuove cattedrali della modernità visitate dalle generazioni postbelliche desiderose di comprendere e ricavare senso.
Grazie all'iniziativa di molteplici istituzioni, dalle associazioni
dei sopravvissuti (l'ANED in primo luogo) a non poche Regioni,
Province, Comuni, nonché alla sensibilità di parecchi docenti degli
istituti superiori, le visite ai
Lager,
o — per meglio dire — a quanto di loro rimane, si sono negli ultimi vent'anni
moltiplicate, coinvolgendo, va da sé, gruppi di giovani nati in anni sempre più
distanti dagli eventi alle cui tracce fisiche si avvicinavano. Il progressivo
crescere della distanza temporale ha del resto indotto le direzioni di
quasi tutte le
Gedenkstätten
a procedere a ristrutturazioni ed ammodernamenti delle sezioni museali e delle
esposizioni destinate al pubblico, a cui è necessario offrire e una maggior
contestualizzazione e una più approfondita analisi degli eventi.
Tanto più utile, perciò, risulta una guida aggiornata dei campi di concentramento e di sterminio nazisti quale quella che qui si introduce, dovuta all'impegno su molteplici fronti di Alessandra Chiappano, ad un tempo docente impegnata, organizzatrice culturale, attenta lettrice di un gran numero di opere su questo o quell'aspetto della realtà concentrazionaria nazionalsocialista, ed infaticabile visitatrice delle Gedenkstätten stesse, nella convinzione, pienamente condivisa da chi scrive, che solo la percezione fisica dei luoghi, delle estensioni, degli spazi renda possibile una comprensione un po' più precisa di ciò che vi si svolse. Prezioso, si diceva, questo testo per più di un motivo: prima di tutto perché offre una panoramica di tutti i principali Konzentrationslager, indipendentemente dalla loro collocazione geografica. È noto, infatti, che per motivi tanto logistici (la distanza fisica dai luoghi), quanto legati alle specificità della deportazione dall'Italia, l'assoluta maggioranza dei viaggi di studio e delle visite private ha come meta Mauthausen e Dachau, mentre un flusso più ridotto ma comunque significativo si spinge fino ad Auschwitz. Assai meno visitati, ad esempio Buchenwald, Sachsenhausen, Flossenbürg, Ravensbrück, e pressoché del tutto ignorate realtà come Neuengamme, Stutthof, Grossrosen e così via. Risulta perciò assai utile per il visitatore un testo che gli fornisca non solo informazioni sul campo che sta visitando ma altresì su tutti gli altri.
In secondo luogo, è quanto mai opportuno spiegare come si
stia visitando non il
Lager
così come era allora, ma soltanto una serie di tracce, segnali, rovine coeve e
manufatti successivi, un «luogo della memoria», insomma, per comprendere il
quale occorre far reagire la concretezza della percezione visuale e fisica dei
resti e delle successive inserzioni con la profondità che solo la narrazione
storica può dare.
Ci sono perciò molti buoni motivi perché quest'opera abbia successo, e finisca in gran parte, come è nelle speranze dell'autrice, nelle mani di lettori non professionali ma semplicemente desiderosi di comprendere meglio e ciò che stanno vedendo, e le radici di uno spaventoso meccanismo che travolse alcuni milioni di esseri umani; proprio per questo mi pare opportuno approfittare dello spazio di questa introduzione per cercare di dissipare alcuni tra i più tenaci luoghi comuni che sui Lager nazisti continuano a persistere. Esprimerò per brevità in forma di tesi, ciascuna accompagnata da un sintetico commento, alcune questioni a mio giudizio essenziali. a) Il sistema dei KL non sorge allo scopo di perseguitare gli ebrei; fermo restando che quest'ultimi erano fin dalla chiamata al potere di Hitler vittime designate del regime, si deve parlare di due ben distinti sistemi persecutori, che solo ad un certo momento (nel 1938) si intersecano. I KL vengono creati allo scopo di colpire gli oppositori politici, gli antinazisti delle più diverse tendenze. Se prima del 1938 degli ebrei vengono imprigionati in KL, ciò accade perché essi sono accusati di far parte dell'opposizione. Sono cioè colpiti «per quello che fanno», non «per quello che sono», distinzione a mio giudizio fondamentale per comprendere l'articolarsi delle persecuzioni hitleriane. Dal 1933 al 1938 la persecuzione degli ebrei in quanto tali passa per altre vie, dalle norme discriminatorie al boicottaggio all'emarginazione, senza trascurare violenze di piazza quali quelle che si verificheranno nel 1938 e che porteranno, come si è detto, alla detenzione nei KL anche di ebrei, questa volta arrestati in quanto tali. b) Per il Terzo Reich il concetto di «oppositore» si dilatò progressivamente: se fino al 1936 erano giudicati tali soltanto coloro che facevano parte di gruppi politici organizzati, di matrice prevalentemente comunista, socialdemocratica e sindacale, da allora in poi la repressione prese di mira anche i cosiddetti «oppositori sociali», coloro cioè che non si comportavano secondo i dettami del «buon tedesco» così come erano definiti dal regime: vagabondi, persone senza fissa dimora, zingari e così via. Dal 1939, poi, vennero coinvolti nelle deportazioni in KL anche persone residenti nei territori progressivamente occupati dalla Germania nazista e la cui attività, politica o d'altro genere, fosse considerata pericolosa dai rappresentanti locali delle autorità di Berlino. c) I KL non erano finalizzati fin dal primo giorno alla messa di disposizione del regime di manodopera schiava: per una prima, lunga, fase il lavoro forzato nei Lager aveva un carattere meramente punitivo ed afflittivo; serviva cioè a stroncare la capacità di resistenza del prigioniero ed a umiliarlo; nella seconda metà degli anni Trenta l'apparato SS avrebbe poi cercato di servirsene per costruire una propria rete di imprese, ma ripetuti tentativi in tal senso sarebbero falliti per la netta opposizione delle imprese private. Fu solo dalla primavera del 1942, in seguito all'inaspettato prolungarsi del conflitto sul fronte orientale, che i deportati in KL, il cui numero era assai cresciuto proprio per lo svilupparsi dei movimenti di Resistenza ed il connesso estendersi delle repressioni nell'Europa occupata dalla Wehrmacht, vennero organicamente presi in considerazione come manodopera schiava ed il loro ruolo divenne significativo per l'economia di guerra del Terzo Reich. d) Non furono i KL le installazioni tramite cui il Terzo Reich realizzò la distruzione degli ebrei d'Europa (la Shoah): avviata, come è noto, nell'estate del 1941, in coincidenza con l'aggressione all'URSS, che assunse ben presto i caratteri di una vera e propria guerra di annientamento, la distruzione degli ebrei d'Europa raggiunse il suo acme nel biennio 1942-43; lo sterminio avvenne tramite più modalità, dalla carestia e dalle epidemie indotte nei ghetti in cui gli ebrei dell'Europa orientale erano stati rinchiusi poco dopo l'arrivo delle truppe tedesche, ai massacri attuati, nelle retrovie del fronte orientale, da unità speciali di polizia e della SS (Einsatzgruppen; ma un apporto significativo venne anche da reparti delle Waffen SS, della Wehrmacht, e delle milizie collaborazioniste attive nei territori occupati) alle uccisioni di massa tramite l'uso di camere a gas in apposite installazioni anch'esse concentrazionarie e dipendenti dall'apparato SS ma del tutto distinte, sul piano dell'organizzazione e dell'amministrazione dai KL, tanto che la storiografia postbellica ha convenuto di denominarle Vernichtungslager (campi di sterminio immediato, abbreviati in VL); si tratta di strutture i cui nomi, con un'importante eccezione che vedremo fra poco, sono assai meno noti al grande pubblico: Belzec, Chelmno, Maly Trostinec, Sajmiste, Sobibór, Treblinka. Situati i primi e gli ultimi due nella Polonia orientale, il quarto in Serbia ed il terzo in Bielorussia, aree tutte occupate dalle forze del Terzo Reich, per uccidere vi si fece uso dei gas di scarico emanati da potenti motori diesel e fatti affluire in stanzoni preventivamente resi stagni, per l'appunto le camere a gas, nonché dei cosiddetti «Gaswagen», autocarri modificati affinché i gas di scarico penetrassero nel cassone, ermeticamente chiuso, dove erano stati precedentemente ammassati esseri umani. Dal 1942 al 1943 i VL funzionarono senza posa, uccidendo senza discriminazione alcuna adulti e bambini, giovani e vecchi, uomini e donne. Poi, nel corso del 1943 (in qualche caso con prolungamenti fino al 1944), questi campi di morte immediata vennero chiusi, in parte perché l'obiettivo era stato in parte notevole raggiunto: gran parte delle comunità ebraiche dell'Europa centro-orientale era stata distrutta, in parte perché l'andamento della guerra, non favorevole alla Germania nazista ed ai suoi alleati, costringeva a porre in primo piano, come già si è detto per i KL, la questione della manodopera. Alla chiusura seguì uno smantellamento radicale: per questo nei luoghi dove quei VL erano sorti non è rimasto praticamente più nulla, se si escludono i monumenti commemorativi fatti costruire in seguito. Non per questo la Shoah ebbe fine: si sarebbe semplicemente passati dal massacro indiscriminato alla «scrematura» (selezione) di coloro che, giovani adulti, potessero essere utili come schiavi. Venne quindi al centro un campo che già dal 1942 aveva rappresentato una sorta di saldatura, di punto di congiunzione tra sistema dei KL e sistema dei VL: Auschwitz, in Slesia, il cui nome sarebbe in seguito diventato il simbolo di tutta quanta la macchina concentrazionaria e sterminatrice nazionalsocialista. Lo sterminio degli ebrei d'Europa sarebbe proseguito, nella forma appena ricordata e fino al 27 gennaio 1945, proprio lì, e per qualche tempo nel 1944 anche nell'analoga installazione ad un tempo concentrazionaria e sterminatoria di Majdanek, nei pressi di Lublino. e) Auschwitz rappresenta pertanto l'incrocio di due distinti sistemi repressivi ed oppressivi: il sistema dei campi di concentramento e quello della «soluzione finale»; nato come KL, il grande campo slesiano rimase tale nel suo più antico insediamento, chiamato Auschwitz I, mentre la successiva, gigantesca, estensione di Birkenau (Auschwitz II) riassunse in sé sia la funzione di KL che quella di VL. L'assoluta maggioranza degli ebrei dell'Europa occidentale fu deportata colà; nei casi italiano ed ungherese, dove la Shoah prese avvio solo dopo rispettivamente il settembre 1943 e il marzo 1944, ciò vale per la totalità dei deportati membri delle due comunità ebraiche. Quanto è stato appena sottolineato non è contraddetto dalla presenza di ebrei in KL nella fase conclusiva della guerra; una quota non irrilevante di ebrei ungheresi, giudicati abili al lavoro, fu infatti trasportata nel corso del 1944 in territorio tedesco, nonostante pochi mesi prima il Reich fosse stato ufficialmente dichiarato «judenfrei» (totalmente liberato dagli ebrei), ma sull'ideologia ufficiale avrebbero fatto premio, di lì a poco, le esigenze della produzione di guerra; altri deportati ebrei sarebbero giunti nei KL dopo l'evacuazione di Auschwitz di fronte all'avanzare dell'esercito sovietico, altri ancora (un gruppo particolarmente ridotto, quest'ultimo, composto in parte di deportati catturati nella fase finale del conflitto) sarebbero finiti in KL per scelte specifiche compiute dalle autorità germaniche, che intendevano servirsene come merce di scambio. f) I KL furono sicuramente luoghi di morte di massa, ma - a differenza dei VL! - non di sterminio tramite camere a gas: nel corso della guerra in alcuni KL vennero costruite e talvolta utilizzate camere a gas, destinate specificamente all'eliminazione fisica di quei deportati non più in grado di lavorare per esaurimento, denutrizione e malattie, ma la stragrande maggioranza delle vittime perì, in percentuali tragicamente alte (si tenga conto che si trattava in prevalenza di uomini e donne nel fiore degli anni!), per fame, deperimento, morbi in quelle condizioni micidiali come il tifo o la dissenteria. g) Ben lungi da rappresentare l'unico tipo di campo di concentramento utilizzato dalla Germania nazista, i KL vennero affiancati da analoghe, anche se meno conosciute, strutture destinate a creare negli strati meno controllabili della popolazione un clima di terrore: un esempio significativo è quello della rete degli Arbeitserziehungslager (campi di rieducazione al lavoro, abbreviati in AEL), direttamente controllata dalla polizia politica (Gestapo) e destinati ad accogliere lavoratori, in prevalenza giovani, che si dimostrassero riottosi alle norme imposte dal regime. La detenzione in AEL, dove si era inviati, così come avveniva per la deportazione in KL, su decisione autonoma della Gestapo stessa, era di norma a tempo determinato e durava poche settimane, ma le condizioni avevano poco da invidiare a quelle vigenti nei KL. h) Non furono i KL ad accogliere i militari italiani disarmati e catturati dopo l'8 settembre 1943, gli «Internati militari italiani» (IMI), come furono definiti per decisione delle autorità politiche e militari di Berlino; essi finirono in specifici campi di prigionia controllati dall'apparato militare germanico, i cosiddetti «Oflag» (campi per gli ufficiali) e «Stalag» (campi per sottufficiali e truppa); ciò non era di per sé contrario al diritto internazionale, che però fu gravemente violato (come in precedenza lo era stato dallo spaventoso trattamento inflitto dai tedeschi ai militari sovietici catturati nel corso della guerra sul fronte orientale) sia per il mancato riconoscimento agli italiani della qualifica di «prigionieri di guerra», privandoli così della tutela da parte della Croce Rossa Internazionale di Ginevra, sia per il loro impiego come manodopera coatta in mansioni proibite dalle convenzioni internazionali, sia infine per le durissime condizioni di vita con cui gli IMI furono costretti a fare i conti. Ovviamente ciò non esclude che una certa percentuale di IMI sia stata deportata in KL, ma, con una sola eccezione che riguarda il KL di Dora, dove un gruppo di IMI provenienti dai Balcani fu inviato senza tappe intermedie, di solito si trattò di una misura punitiva che sanzionava comportamenti non conformi alle norme draconiane stabilite dalle autorità nazionalsocialiste.
i) Analogamente, non furono i KL ad accogliere persone rastrellate in Italia
dopo l'8 settembre ed inviate in Germania per essere impiegate come lavoratori
coatti;
esse furono in genere acquartierate in campi ed installazioni sorvegliate, di
solito, dalla polizia di fabbrica dell'azienda che si serviva di loro, ma
che non avevano nulla a che fare con i KL veri e proprii. Ancora
una volta, ciò non esclude che lavoratori coatti, singolarmente
od in gruppi, siano stati deportati in qualche KL, ma anche in
questo caso ciò va interpretato come una misura punitiva verso
irregolarità, che potevano andare dal tentativo di fuga al cercare
di fingersi ammalati e financo al rifiuto delle mansioni assegnate.
Come ogni tipologia, anche quella che propongo ha in qualche misura un valore idealtipico ed un'intrinseca staticità; nel corso del tempo, infatti, ed in particolare con l'evolversi degli eventi bellici, il quadro mutò, come ho cercato di accennare, in maniera significativa. Va da sé che le distinzioni che ho introdotto non cambiano in alcun modo un giudizio di natura etica che non può non rimanere pesantemente negativo, tuttavia, come ha scritto ormai parecchi anni fa Tim Mason, storico dei fascismi immaturamente scomparso, per combattere a fondo un nemico bisogna conoscerlo bene. Ed il nazionalsocialismo un nemico dell'umanità lo è stato senz'ombra di dubbio. Torino, 7 ottobre 2006 Brunello Mantelli | << | < | > | >> |Pagina 1Questo volume è nato dall'esperienza di questi ultimi anni nell'ambito dell'organizzazione dei viaggi della memoria, che stanno diventando sempre più numerosi anche nel nostro paese. Non si tratta ovviamente di una monografia esaustiva sui campi, vuole semplicemente offrire ad insegnanti, studenti, educatori, operatori un ausilio per comprendere la realtà concentrazionaria. Infatti molte persone si recano ogni anno a visitare i luoghi della memoria, ma spesso non dispongono delle conoscenze di base per capire il luogo che si accingono a visitare. Eppure in un'epoca in cui i testimoni si avviano a scomparire, i luoghi necessariamente acquistano una importanza sempre più consistente, ma non sempre essi si prestano ad una lettura facile. Occorre tenere presente che essi non solo hanno subito le trasformazioni imposte dal passare inesorabile del tempo, ma sono stati oggetto dell'interpretazione che il potere politico vi ha impresso, funzionale alla sua lettura della storia; così molti Lager che si trovavano nell'ex-DDR mostrano, ancora oggi, le tracce di una lettura che privilegiava la lotta eroica compiuta dall'Armata Rossa e dai resistenti comunisti contro il nazismo: tutte le altre categorie di vittime erano trascurate o ignorate. L'attenzione nei confronti dei luoghi della memoria comincia a crescere soprattutto negli anni Ottanta, ma si tratta di una riflessione che coinvolge soprattutto gli studiosi e le organizzazioni che presiedono alla gestione e alla conservazione dei differenti luoghi. Nel corso degli anni Novanta, soprattutto in Germania e in Austria, si assiste ad un intenso lavoro che porterà alla trasformazione di numerosi memoriali, che vengono sottoposti a importanti lavori di riqualificazione e alla creazione di allestimenti museali che permettano una migliore comprensione dei luoghi e più in generale della realtà concentrazionaria nazista. Si tratta di un processo evolutivo che è tuttora in atto e che ha dato risultati diversi da campo a campo. Parallelamente nasce una didattica dei luoghi; essa si afferma partendo dalla constatazione che dalla visita al luogo, così come dall'incontro con i testimoni, gli studenti sembrano sviluppare una maggiore attenzione nei confronti della deportazione e della realtà concentrazionaria. Su questi temi specifici sono stati organizzati numerosi seminari internazionali anche in Italia e attraverso le riflessioni degli insegnanti, che si sono confrontati con le guide che operano nei campi e con gli studiosi, è emersa l'importanza di una preparazione seria della visita ad un luogo di memoria: molte volte gli studenti, ma anche gli adulti, pensano ai campi avendo in mente le pagine della memorialistica, senza riflettere quanto il passare del tempo e gli interventi umani abbiano, di fatto, modificato il luogo. Occorre dunque avvicinarsi ai luoghi della memoria con grande attenzione, immergersi nel luogo e lasciare che i testimoni di pietra diventino testimoni parlanti.
Questo volume non offre una sintesi e una descrizione di tutti i
luoghi della memoria, si è voluto restringere il campo ai
Lager
nazisti e ci si è soffermati soprattutto su quelli che hanno registrato una
notevole presenza di deportati italiani, che costituiscono poi la meta
dei viaggi organizzati delle scuole o da differenti enti locali italiani,
spesso in collaborazione con le associazioni di ex-deportati.
Dopo un capitolo introduttivo in cui si analizza nel suo complesso la struttura concentrazionaria nazista, che era un elemento costitutivo del regime e che ha conosciuto una sua evoluzione nel tempo, è stato dedicato un capitolo ad ogni campo. Oltre ad una breve storia del Lager stesso ci sono una serie di riferimenti sia sullo stato del campo oggi, sia sulle mostre allestite a cura delle diverse fondazioni. Si tenga conto che accanto a fondazioni, che hanno compiuto un reale sforzo per divenire luoghi importanti non solo per le vestigia del passato, ma anche come centri di formazione e di riflessione sulla storia, altre devono ancora compiere questo cammino. In questi casi è più accentuato l'aspetto commemorativo, ma risulta spesso carente quello didattico-esplicativo. Un discorso a parte va fatto anche per i campi situati in Polonia. Auschwitz-Birkenau è il più grande Lager nazista, oggi simbolo dello sterminio di milioni di persone e della barbarie del regime nazista. Eppure la mostra allestita nelle baracche di Auschwitz I appare oggi antiquata e poco rispondente alle esigenze di un pubblico di visitatori sempre più vasto e variegato, così come appaiono poco efficaci alcune delle mostre nazionali allestite nelle baracche. Degli altri campi situati in Polonia, dove furono sterminati in prevalenza gli ebrei polacchi, ci sono oggi pochissimi resti perché essi furono distrutti dagli stessi nazisti, tuttavia in anni recentissimi sono state collocate delle lapidi commemorative che rendono almeno riconoscibili i luoghi e alcuni scavi «archeologici» sono stati effettuati a Belzec ed è possibile visitare un piccolo museo a Sobibor. Per l'Italia l'analisi si è concentrata su Fossoli e la Risiera di San Sabba, che rappresentano, insieme a Bolzano, i luoghi più emblematici per le deportazioni. Entrambi hanno conosciuto profonde modificazioni che rendono non sempre facile la visita, soprattutto per quel che riguarda Fossoli: il campo originario è stato completamente distrutto dopo la guerra e utilizzato variamente. Oggi però, sia presso la Risiera sia presso la Fondazione Fossoli sono stati attivati dei centri didattici che si prefiggono di far comprendere ai visitatori quello che è accaduto in questi luoghi sessant'anni fa. | << | < | > | >> |Pagina 7Cenni sulla storia dei campi Il 30 gennaio 1933 Adolf Hitler divenne cancelliere. Il suo era un governo di coalizione, ma ben presto gli istituti democratici su cui si reggeva la Repubblica di Weimar furono distrutti e prese avvio la dittatura hitleriana. In realtà, già dal 1930, i governi che si succedettero, rispettivamente quelli del cattolico Heinrich Brüning, (1930-1932) dell'aristocratico cattolico Franz von Papen (1932) e quello del generale Kurt von Schleicher (1932-1933) erano privi di una maggioranza parlamentare e si ressero grazie all'articolo 48 della Costituzione di Weimar, che permetteva al cancelliere di governare mediante decreti legge avallati dal Presidente della Repubblica. Va ricordato, in questo contesto, che von Papen il 20 luglio 1932 dichiarò decaduto il governo a guida socialdemocratica della Prussia, uno dei Länder territorialmente più vasti, assumendo in prima persona il ruolo di Commissario: si trattava di un autentico colpo di stato che tuttavia non incontrò praticamente alcuna opposizione. Nelle elezioni che si succedettero, dal 1928 al novembre del 1932, la NSDAP registrò una serie di successi: in quelle del 1930, ottenne 107 seggi, diventando il secondo partito tedesco dopo quello socialdemocratico, nel luglio 1932 arrivò a 230 seggi: Hitler aveva ottenuto il 37,4 dei consensi. Nelle elezioni che si tennero nel novembre 1932, per l'impossibilità di von Papen di gestire una situazione politica sempre più incandescente, la NSDAP subì invece una lieve flessione. In questa situazione, anche grazie alle pressioni di una parte della finanza e dell'imprenditoria tedesca, l'ormai anziano presidente Hindenburg, dopo il fallimento del governo Schleicher, affidò a Hitler l'incarico di formare un nuovo governo. L'avvenimento che permise ai nazisti di avviare una politica repressiva nei confronti degli oppositori e di eliminare la democrazia fu l'incendio del Reichstag, il parlamento tedesco, avvenuta nella notte del 27 febbraio 1933; Hitler accusò i comunisti di aver ordito l'incendio, anche se probabilmente fu soltanto opera di Marinus van der Lubbe, un comunista olandese, e ne approfittò per far votare una serie di leggi liberticide. Infatti subito, il 28 febbraio stesso, venne emanato un decreto presidenziale per la difesa del popolo e dello stato: le limitazioni alla libertà personale erano le basi per il consolidamento della dittatura. Il 5 marzo 1933 si tennero nuove elezioni e in un clima di violenze e intimidazioni, il partito nazista ottenne il 43,9% dei consensi: la NSDAP non riuscì ad ottenere la maggioranza assoluta, ma si consolidò ulteriormente. Il 22 marzo venne aperto il primo campo di concentramento a Dachau. A tappe ravvicinate, il 23 e 24 marzo 1933, fu votata all'unanimità, con la sola opposizione dei socialdemocratici e in assenza dei deputati comunisti, che si trovavano o in carcere o erano alla macchia, avallata dal Zentrum, il partito cattolico che mirava in questo modo ad ottenere il Concordato con il Vaticano (effettivamente ratificato il 20 luglio 1933), la legge speciale che garantiva a Hitler il potere assoluto, (Ermächtigungsgesetz). | << | < | > | >> |Pagina 29Premessa Nella coscienza dell'umanità Auschwitz rappresenta il simbolo più potente della barbarie nazista, il paradigma assoluto della brutalità e della violenza del regime hitleriano. L'ingresso di Birkenau, con la torre e il binario, il cancello dello Stammlager, con la sua cinica iscrizione, sono le immagini che ognuno collega alla tragedia della deportazione e dello sterminio, anzi alla realtà del Lager in quanto tale. Lo stesso nome del campo è diventato quasi sinonimo del nazismo e della guerra, venendo a indicare il radicale spartiacque della storia e della cultura che essi rappresentano: si parla così di un «prima» e di un «dopo Auschwitz» come di due fasi separate della civiltà. Un punto di non ritorno, dunque, e una frattura nel corso millenario della storia. Tutto ciò è comprensibile e giustificato: Auschwitz fu il Lager più grande, quello che provocò il maggior numero di vittime, la più spaventosa macchina di morte che l'umanità abbia conosciuto; e proprio da Auschwitz si sono levate le voci più alte della testimonianza e della riflessione, voci che tutti conoscono e che sono patrimonio condiviso della nostra cultura, da Primo Levi a Elie Wiesel , da Viktor Frankl a Jean Améry. Si è così arrivati, almeno nella percezione comune, a identificare Auschwitz con il Lager e ogni Lager con Auschwitz, in una sintesi estrema, tanto efficace sul piano simbolico quanto ingannevole su quello storico e quindi potenzialmente fuorviante per chi voglia accostarsi alla conoscenza di questo luogo in modo corretto. Auschwitz, in realtà, è un campo diverso da tutti gli altri e non solo per le dimensioni o il numero delle vittime, ma per la complessa vicenda storica che ne ha plasmato la struttura, sia durante la guerra sia, per altri versi, dopo. È quindi nella storia che occorre «leggere» il campo, rinunciando alle omologazioni sbrigative e, fin dove possibile, sottraendosi alle suggestioni, pur importanti, che letterati, artisti, filosofi e teologi hanno alimentato. E l'analisi storica impone un primo dato fondamentale: Auschwitz è il luogo dove sono stati sterminati gli ebrei dell'Europa occidentale (e, in parte, della Polonia), è il luogo dell'assassinio di massa del popolo ebraico. Lo documenta con tragica evidenza il dato delle vittime: secondo stime recenti, esse sono 1.000.000-1.200.000, di cui 1.000.000-1.100.000 ebrei, una percentuale che supera il 90 per cento. Non si vuole con questo proporre una macabra contabilità della morte né un'assurda gerarchia del dolore, ma indicare il dato storico fondamentale, alla luce del quale dev'essere considerata l'intera storia del campo (che pure, come si vedrà, non si esaurisce nella prospettiva del genocidio ebraico). Per comprendere Auschwitz è dunque indispensabile collocarne la vicenda nel quadro della persecuzione nazista degli ebrei, analizzando le tappe che condussero al genocidio del popolo ebraico. | << | < | > | >> |Pagina 127Generalmente, quando si pensa ai campi di concentramento, il riferimento immediato va alla Germania nazista. In realtà, come hanno evidenziato studi molto recenti, anche l'Italia fascista ha avuto i suoi campi, tuttavia si tratta di una realtà poco conosciuta, anche a causa di una politica della memoria che ha sempre teso a sminuire le responsabilità del fascismo e a sottolineare la brutalità del regime nazista. Anche in Italia furono creati, come diretta conseguenza della guerra, dei campi per prigionieri di guerra e campi di internamento per ebrei stranieri e per gli slavi, il più noto è quello di Ferramonti di Tarsia, presso Cosenza, dove furono rinchiusi per lo più ebrei stranieri. A partire dal 30 novembre 1943, quando divenne operativo l'ordine di polizia numero 5, emanato dalla Repubblica di Salò, ebbe inizio la cattura e la deportazione di ebrei. L'ordine di Buffarini Guidi, ministro dell'Interno della Repubblica fondata da Mussolini sul lago di Garda, era di riunire gli ebrei in campi di concentramento provinciali in attesa di essere riuniti in campi di concentramento speciali appositamente attrezzati. Infatti, secondo quanto era stato stabilito nella Carta di Verona, gli ebrei erano considerati nemici e pertanto dovevano essere internati in appositi campi. Furono quindi allestiti numerosi campi di polizia provinciali, da cui gli ebrei rastrellati venivano poi inviati essenzialmente verso due luoghi, deputati alla loro raccolta, prima che si raggiungesse un numero sufficiente per il trasferimento in Polonia o in Germania: Fossoli presso Carpi e la Risiera di San Sabba presso Trieste. Nell'ultima parte della guerra fu in funzione il campo di Bolzano-Gries. Questi campi non furono utilizzati soltanto come luoghi di internamento per gli ebrei, ma anche per coloro che venivano arrestati come oppositori politici, anch'essi destinati alla deportazione nei territori del Reich. Tuttavia, occorre ricordare che, mentre la Risiera era collocata in un territorio posto sotto la diretta amministrazione dei tedeschi, Fossoli, almeno all'inizio dipendeva dalla RSI. Fossoli e la Risiera, insieme al campo di Bolzano-Gries, costituiscono forse i luoghi più emblematici per la storia della deportazione dall'Italia. Infatti il campo di Fossoli fu costruito nel 1942 come campo per prigionieri di guerra n. 73. La zona venne scelta perché lontana da grossi centri, ma ben collegata da un punto di vista ferroviario. Individuata la località nel maggio 1942, ebbero subito inizio i lavori per costruire delle baracche in muratura; quando nel luglio cominciarono ad affluire i primi prigionieri di guerra, per lo più inglesi, si fece ricorso alle tende. Nel novembre del 1942 quello che sarà conosciuto come Campo vecchio era pronto: era composto da 93 edifici, 46 baracche per prigionieri, mentre le altre furono utilizzate come strutture di servizio: infermeria, uffici, magazzini. I prigionieri passarono così nelle baracche in muratura e si diede subito inizio ai lavori di costruzione di quello che verrà definito Campo nuovo, composto da 15 baracche. Complessivamente il campo era in grado di accogliere fino a 5.000 prigionieri, mentre il personale del campo arrivava alle 500 unità. Il campo per prigionieri n. 73 era gestito dall'esercito. Va ricordato che in base alla Convenzione internazionale dell'Aja del 1899, sottoscritta anche dall'Italia, i prigionieri godevano di un regime di vita accettabile. Infatti erano autorizzati ad organizzare partite di calcio, a ricevere pacchi contenenti vestiario e cibo e furono regolarmente visitati da funzionari della Croce Rossa. Dopo l'annuncio dell'armistizio, nella notte tra l'8 e il 9 settembre, le truppe tedesche circondarono il campo e se ne impadronirono. A partire dal 14 settembre i prigionieri inglesi vennero condotti alla stazione di Carpi e tradotti in Germania. Alcuni di essi grazie alla solidarietà della popolazione locale riuscirono a sottrarsi alla deportazione e a darsi alla macchia. I soldati tedeschi alla fine di settembre abbandonarono il campo, ma come diretta conseguenza dell'Ordine di Polizia n. 5 si decise di utilizzare la struttura di Fossoli come campo di concentramento speciale per gli ebrei arrestati. Si trattò in realtà di un campo di transito: un luogo dove gli ebrei, così come i politici, sostarono prima di partire per ignota destinazione. Ufficialmente il campo venne aperto il 5 dicembre 1943 fu posto alle dipendenze della Prefettura di Modena. Ci è giunto un documento della Questura di Modena, redatto in data 29 dicembre 1943, indirizzato al Direttore del Campo di Fossoli, in cui si annunciava l'arrivo al campo di 827 ebrei provenienti da diverse località. I primi internati furono alloggiati nel Campo Vecchio, mentre le baracche del Campo Nuovo furono ristrutturate per poter ospitare anche nuclei famigliari. Dei vettovagliamenti doveva farsi carico il Comune di Carpi. I prigionieri aumentarono rapidamente in conseguenza delle numerose retate che i nazisti, con i loro alleati saloini, compirono in tutta Italia, tuttavia il campo non era ermeticamente chiuso e grazie ai lavoratori civili, che giravano per il campo e al parroco di Carpi, i prigionieri poterono inviare notizie ai famigliari e comperare del cibo aggiuntivo. Dal gennaio 1944 cominciarono ad affluire a Fossoli anche le persone che erano state arrestate per motivi politici: essi prima di essere inviati a Fossoli furono rinchiusi nelle strutture carcerarie delle rispettive città e da lì tradotti nel campo. A febbraio il campo fu visitato da Friedrich Bosshammer, che si occupava dalla sua sede di Verona, della deportazione degli ebrei dall'Italia. Il 19 febbraio partì da Fossoli il primo treno diretto a Bergen Belsen, il 22 febbraio ne partì un secondo con destinazione Auschwitz: con questo convoglio partì anche Primo Levi, arrestato come prigioniero politico e che dichiarò alle autorità la sua origine ebraica, sperando di ottenere un trattamento migliore. A partire dal 15 marzo 1944 il campo passò direttamente alle dipendenze dei tedeschi e alla direzione italiana fu imposto di trasferirsi nella zona del cosiddetto Campo Vecchio. Alla deportazione degli ebrei e dei politici, internati in zone separate dal Campo Nuovo, sovrintendeva l'Ufficio IV della Gestapo, nelle sue diverse articolazioni, per l'Italia il responsabile per i politici era Fritz Kranebitter, per gli ebrei Friedrich Bosshammer. | << | < | > | >> |Pagina 211La storia della Risiera di San Sabba appare decisamente più complicata di quella di altri luoghi di detenzione e di transito istituiti dai nazisti in Italia. Il campo della Risiera, situato all'estrema periferia di Trieste, si colloca all'interno delle complesse vicende che hanno interessato la zona del litorale adriatico. All'indomani dello sganciamento italiano dalla guerra nel 1943 i tedeschi occuparono direttamente due porzioni del territorio italiano che sottrassero alla giurisdizione saloina: l' Adriatisches Küstenland e lo Alpenvorland. L' Adriatisches Küstenland comprendeva le province di Trieste, Gorizia, Udine, Fiume e Pola, mentre l' Alpenvorland i territori di Belluno, Trento e Bolzano. Il Gauleiter della Carinzia, Friedrich Rainer, estese la sua giurisdizione sul territorio dell' Adriatisches Küstenland, così come Franz Hofer, già Gauleiter del Tirolo, sull' Alpenvorland. Non è agevole capire quali siano state le motivazioni che spinsero i nazisti ad amministrare direttamente al Reich questi territori, se perché avevano in animo di farli diventare parte della Germania, a guerra ultimata, o se sia stata una misura dettata da considerazioni meramente militari: nella zona del litorale adriatico era particolarmente attiva la guerra partigiana; si sa inoltre che i nazisti avevano in animo di organizzare una sorta di guerriglia contro gli Alleati proprio nelle zone alpine, per cui era strategicamente importante avere sotto controllo le province di Trento, Bolzano e Belluno. Quali che siano state le motivazioni e le intenzioni dei nazisti, è fuor di dubbio che questi territori furono sottoposti ad un durissimo regime di occupazione diretta, in cui furono riprese le modalità che avevano contrassegnato la guerra di sterminio applicata ai territori dell'Europa orientale. Rientra in questo quadro il fatto che a Trieste furono inviati, tra il 1943 e il 1944 numerosi appartenenti alle SS che avevano fatto parte delle unità speciali che si erano contraddistinte nello sterminio degli ebrei. Nell'ambito della decisione dell'eliminazione fisica degli ebrei d'Europa fu creata l' Aktion Reinhard, così chiamata per ricordare Reinhard Heydrich, il capo dello SD ucciso dai partigiani cechi nel 1942. Con questo nome in codice si intendeva l'eliminazione dell'ebraismo polacco. A capo dell' Aktion Reinhard fu posto Odilo Globocnik; ne facevano parte fra gli altri Christian Wirth, Franz Stangl, Dietrich Allers, Joseph Oberhauser, Kurt Franz, Otto Stadie. Tutti costoro avevano precedentemente fatto parte della cosiddetta azione T4 nome in codice per indicare l'eliminazione dei malati di mente, avviata in Germania nel 1939 e in parte sospesa nel 1941. Essi avevano già grande esperienza di eliminazioni per mezzo del gas. E in effetti nei campi dell' Aktion Reinhard gli ebrei furono uccisi nelle camere a gas messe a punto dagli esperti della T4, utilizzando il monossido di carbonio. È singolare il fatto che buona parte di costoro siano stati trasferiti a Trieste nella fase finale della guerra, una volta portato a termine lo sterminio degli ebrei polacchi. Il primo ad arrivare a Trieste fu Christian Wirth. La decisione di chiamare a Trieste i componenti dell' Aktion Reinhard pare sia stata presa su suggerimento del Gauleiter Rainer. Val la pena di richiamare il fatto che sia Globocnik che Rainer erano nelle grazie di Himmler e potevano contare sul suo appoggio. Essi avevano il compito di spazzare via la guerriglia partigiana particolarmente attiva nella zona di confine tra Italia e Jugoslavia, ma furono anche attivi nella gestione della Risiera, l'unico Polizeihaftlager dell'Europa occidentale dotato di un forno crematorio. La Risiera era originariamente un grande stabilimento per la pilatura del riso, costruito nel 1913 nel rione periferico di San Sabba presso Trieste. Dopo l'8 settembre 1943 i tedeschi lo utilizzarono per rinchiudervi i soldati italiani catturati. A partire dalla fine di ottobre assunse la denominazione di campo di polizia. Qui confluivano i prigionieri, sia politici sia ebrei, destinati alla deportazione verso i campi situati in Germania o in Polonia. Appena entrati, sulla sinistra, c'era la cosiddetta cella della morte: qui erano rinchiusi i prigionieri destinati ad essere uccisi nel giro di poche ore. Proseguendo c'era un edificio a tre piani: al pianterreno si trovavano le 17 celle dove erano rinchiusi fino a sei prigionieri ebrei o politici in attesa delle esecuzioni. Le pareti e le porte di queste celle erano ricoperte di graffiti e scritte, che purtroppo non si sono conservate, se non in minima parte. In questo stesso edificio si trovavano i laboratori di sartoria e di calzoleria, dove lavoravano i prigionieri, e i dormitori per le SS. C'era poi un altro edificio a quattro piani: qui venivano rinchiusi in ampie camerate gli ebrei e i politici destinati alla deportazione. Nel cortile interno, c'era l'edificio destinato alle eliminazioni, con il forno crematorio. Questo impianto era stato costruito da Erwin Lambert, uno degli esperti del campo di Treblinka, in Polonia. Il crematorio poteva bruciare fino a 70-80 cadaveri. Ora, nel luogo dove sorgeva la ciminiera del camino si vede una statua che raffigura la Pietà. Il crematorio fu distrutto dai tedeschi in fuga nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1945. Sul tipo di uccisioni perpetrate nella Risiera ci sono soltanto ipotesi, formulate sulla base di racconti di testimoni: molti prigionieri furono uccisi mediante fucilazione, altri dopo essere stati colpiti da una potente mazza, ritrovata tra le macerie, esposta nel Museo, trafugata nel 1981. Essi venivano poi gettati nel crematorio, altri pare siano stati uccisi utilizzando camion nei quali veniva fatto rifluire il gas di scarico. Tuttavia tutte le esecuzioni avvenivano di notte per cui le testimonianze sono a questo proposito non sempre chiare. Inoltre le grida dei condannati erano coperte da musiche, latrati di cani e rumori vari. Occorre ricordare però che sebbene assai minimizzate le azioni omicide, anche quelle avvenute per mezzo del gas venefico, furono confermate dai nazisti durante le rogatorie avvenute in Germania alla fine degli anni Sessanta, che permisero di aprire una istruttoria anche in Italia. L'edificio più grande di 6 piani ospitava i reparti delle SS tedesche, ucraine e italiane e le cucine e la mensa per i tedeschi e i loro accoliti. Infine c'era l'autorimessa delle SS, oggi luogo di culto. All'esterno c'erano altri due edifici: uno ospitava il corpo di guardia e l'appartamento del comandante, l'altro le donne ucraine, venute al seguito delle guardie.
È difficile stabilire il numero esatto delle vittime della Risiera.
Basandosi sulle testimonianze si pensa che vi siano state uccise
dalle tremila alle cinquemila persone. Moltissime vi sono transitate
per poi partire verso i KL in Germania o in Polonia.
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