Copertina
Autore Noam Chomsky
Titolo 11 settembre
SottotitoloLe ragioni di chi?
EdizioneMarco Tropea, Milano, 2001, I Tigli , pag. 128, dim. 125x190x14 mm , Isbn 978-88-438-0362-0
Originale9-11
LettoreRenato di Stefano, 2001
Classe politica
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Indice


Nota dell'editor americano                    9

l. Non succedeva dal 1812                    11

2. Si può vincere la guerra al terrorismo?   22

3. La campagna ideologica                    27

4. Crimini di stato                          36

5. La scelta dell'azione                     56

6. Civiltà in Oriente e in Occidente         68

7. Grande prudenza?                          90

Appendice A                                 119
Appendice B                                 125

 

 

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Pagina 11

1. Non succedeva dal 1812


(Versione integrale di un'intervista rilasciata
a Iaia Vantaggiato, apparsa su "il manifesto"
del 20 settembre 2001 con il titolo
"America, il prezzo del potere")



DOMANDA: Nessuna vittima accompagnò la caduta del muro di Berlino, eppure quell'evento modificò completamente lo scenario geopolitico mondiale. Ritiene che gli attentati dell'11 settembre possano produrre un cambiamento di uguale portata?

CHOMSKY: La caduta del muro di Berlino è stato un evento di grande importanza e ha certo modificato il quadro geopolitico, ma non come abitualmente si ritiene abbia fatto. Ho provato a spiegare le mie idee altrove, e non mi ci soffermerò ancora.

Le orribili atrocità dell'11 settembre rappresentano un fatto assolutamente nuovo per il mondo: non per le loro dimensioni né per la loro natura, ma per il loro obiettivo. È la prima volta - dalla guerra del 1812 - che il territorio nazionale degli Stati Uniti viene attaccato o anche solo minacciato. Molti commentatori hanno tracciato un'analogia con Pearl Harbor, ma è un paragone che porta fuori strada. Il 7 dicembre 1941 furono infatti attaccate le basi militari statunitensi di stanza in due colonie (questo erano le Hawaii, benché gli Stati Uniti preferissero definirle un "territorio"), non il territorio nazionale, che non fu mai neanche minacciato. Nel corso del tempo, gli Stati Uniti hanno sterminato popolazioni indigene (milioni di persone), hanno conquistato metà del Messico, sono intervenuti violentemente nelle regioni circostanti, hanno conquistato le Hawaii e le Filippine (uccidendo centinaia dì migliaia di filippini). E, nella seconda metà del Novecento, hanno esteso il ricorso alla forza in gran parte del mondo. Il numero delle vittime è incalcolabile. Ora, per la prima volta, le armi sono state rivolte contro di loro. Si tratta di un cambiamento drammatico che non riguarda solo gli Stati Uniti.

Pensiamo per esempio all'Europa che, nel passato, ha conquistato gran parte del mondo con altrettanta brutalità: salvo rare eccezioni, gli europei non sono mai stati attaccati dai paesi vittime del loro colonialismo. Certo, hanno patito stragi e distruzioni, ma sempre determinate da conflitti interni, da guerre tra stati europei. Per intenderci, l'Inghilterra non è mai stata attaccata dall'India, né il Belgio dal Congo, né l'Italìa dall'Etiopia, né la Francia dall'Algeria (anch'essa, tra l'altro, non considerata dai francesi come una colonia). Non stupisce, quindi, che l'Europa sia rimasta profondamente scioccata dagli attentati dell'11 settembre. E, di nuovo, non a causa delle loro dimensioni. Cosa questo sia destinato a provocare esattamente, nessuno può saperlo. Ma che si tratti di qualcosa di radicalmente nuovo mi sembra evidente.

Non crede che quegli attentatì possano essere spiegati anche con la fragile costituzione politica dell'"Impero", con l'esistenza di problemi legati all'esercizio dell'autorità politica e del potere?

Certamente. I probabili colpevoli rappresentano infatti una realtà autonoma ma, senza dubbio, traggono un supporto dall'accumulo di amarezza e rabbia nei confronti della politica degli Stati Uniti nella regione, erede di quella già attuata dai precedenti stati colonizzatori europei. Sull'onda degli attentati, il Wall Street Journal ha esaminato i pareri dei "musulmani benestanti" della regione: banchieri, professionisti, uomini d'affari. Tutti legati agli Stati Uniti, eppure tutti concordi nell'esprimere costernazione e rabbia per l'appoggio dato dagli USA agli stati più autoritari, per la politica di sostegno ai regimi oppressivi, per gli ostacoli frapposti alla possibilità di uno sviluppo autonomo e democratico. La loro principale preoccupazione, tuttavia, era un'altra e riguardava la politica di Washington nei confronti dell'Iraq e l'occupazione militare israeliana. Nella massa delle popolazioni più povere e sofferenti, questa amarezza è assai più profonda. Le stesse popolazioni non sono certo contente di vedere le ricchezze defluire verso l'occidente, verso le piccole élite filo-occidentali e verso i governanti corrotti e violenti spalleggiati dai poteri occidentali. È quindi senz'altro questione di esercizio dell'autorità politica e del potere. E gli Stati Uniti hanno affrontato questi problemi limitandosi a esasperarli.

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Pagina 22

2. Si può vincere la guerra al terrorismo?


(Da due interviste con Hartford Courant,
il 20 settembre 2001, e con David Barsamian,
il 21 settembre 2001)



DOMANDA: Si può vincere la cosiddetta "guerra al terrorismo"? Se sì, come? Altrimenti, che cosa dovrebbe fare l'amministrazione Bush per impedire attacchi come quelli che hanno colpito New York e Washington?

CHOMSKY: Se si vuole considerare la questione con serietà, si deve riconoscere che in gran parte del mondo gli Stati Uniti sono considerati uno dei principali stati terroristi, e con buone ragioni. Dovremmo ricordarci, per esempio, che nel 1986 gli USA sono stati condannati dalla Corte internazionale per "uso illegale della forza" (terrorismo internazionale) e hanno poi posto il veto a una risoluzione del Consiglio di sicurezza che chiedeva a tutti gli stati (sottintendendo gli Stati Uniti) di rispettare il diritto internazionale. E questo è solo uno degli innumerevoli esempi.

Ma, per attenerci alla domanda - il terrorismo di altri diretto contro di noi -, è piuttosto chiaro come il problema dovrebbe essere affrontato, se vogliamo ridurre la minaccia anziché amplificarla. Quando le bombe dell'IRA esplosero a Londra, nessuno invocò il bombardamento di West Belfast, o di Boston, che è la fonte di gran parte del sostegno finanziario all'IRA. Al contrario, ci si mosse per arrestare i criminali e si cercò di intervenire sulle motivazioni alla base del terrorismo. Quando un edificio federale fu fatto esplodere a Oklahoma City, vi fu chi chiese di bombardare il Medio Oriente, e sarebbe probabilmente accaduto se si fosse scoperto che da là provenivano gli attentatori. Quando si è invece appurato che si trattava di una questione interna, collegata alle milizie dell'estrema destra, nessuno ha pensato di cancellare dalla faccia della terra il Montana e l'Idaho. Al contrario, vi fu una caccia al colpevole, che è stato arrestato, processato, condannato, e vi furono tentativi di capire le rivendicazioni che erano all'origine di tali crimini e di affrontare il problema. Praticamente ogni crimine - una rapina in strada come una terribile atrocità - ha le sue ragioni, e in genere si scopre che alcune sono serie e che meriterebbero di essere prese in considerazione.

In caso di crimini, di qualsiasi entità essi siano, vi sono modi efficaci e legali di procedere. Ed esistono precedenti. Un esempio evidente è quello che ho appena menzionato, e che dovrebbe essere assolutamente incontrovertibile a causa della reazione delle più alte autorità internazionali.

Il Nicaragua negli anni ottanta era sottoposto a un violento attacco da parte degli Stati Uniti. Decine di migliaia di persone morirono. Il paese fu devastato, al punto da non potersi più riprendere. L'attacco terrorista esterno fu accompagnato da una feroce guerra economica, che un piccolo paese isolato da una superpotenza vendicativa e crudele poté sostenere solo con estrema fatica come i principali storici del Nicaragua, Thomas Walker per esempio, hanno documentato dettagliatamente. Gli effetti sul paese sono molto più pesanti persino della tragedia di New York dell'11 settembre. I nicaraguensi non risposero facendo esplodere bombe a Washington: si rivolsero alla Corte internazionale, che si espresse a loro favore, ordinando agli Stati Uniti di fermarsi e di pagare cospicue riparazioni. Gli Stati Uniti respinsero con disprezzo la sentenza della Corte, rispondendo con un'immediata intensificazione dell'attacco. Il Nicaragua si appellò allora al Consiglio di sicurezza, che discusse una risoluzione che chiedeva agli stati di obbedire al diritto internazionale. Gli Stati Uniti posero il veto. Allora il Nicaragua si rivolse all'Assemblea generale, dove ottenne una risoluzione simile che passò con l'opposizione di Stati Uniti e Israele per due anni di seguito (una volta insieme a El Salvador). È così che uno stato dovrebbe agire. Se il Nicaragua fosse stato abbastanza potente, avrebbe potuto istituire un altro tribunale con autorità su questi crimini. Queste sono le misure che gli USA dovrebbero cercare di attuare, e nessuno li fermerebbe. Questo è ciò che viene chiesto loro di fare da più parti, anche dai loro alleati.

Bisogna ricordare che i governi del Medio Oriente e del Nordafrica, come il governo terrorista dell'Algeria, che è uno dei peggiori, sarebbero felici di unirsi agli Stati Uniti nel fronteggiare le reti terroristiche che li stanno attaccando. Sono loro i principali bersagli. Ma chiedono qualche prova, e vogliono agire all'interno di un minimo di rispetto del diritto internazionale. La posizione dell'Egitto è più complessa. Fa parte del sistema che originariamente organizzò le forze islamiche radicali di cui l'organizzazione di Bin Laden era parte. E ne fu la prima vittima quando Sadat venne assassinato. Da allora è lo stato maggiormente colpito. Vorrebbe annientare i terroristi, ma solo dopo che qualche prova sia stata fornita sui colpevoli e operando secondo la Carta delle Nazioni unite, sotto l'egida del Consiglio di sicurezza.

Questo è ciò che si deve fare se si vuole ridurre il rischio di ulteriori atrocità. C'è anche un'altra via: reagire con estrema violenza, e aspettarsi allora un inasprimento della catena di violenze, con il rischio di atrocità ancora peggiori, come quella che ora ci sta incitando alla vendetta. Una dinamica senz'altro ben nota.

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