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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 9 1 Le scritture semitiche 12 1.1 La scrittura latina 16 1.2 La scrittura greca 22 1.3 La scrittura cirillica 24 1.4 La scrittura armena 26 1.5 La scrittura georgiana 28 1.6 La scrittura ebraica 30 1.7 La scrittura araba 34 1.8 La scrittura siriaca 38 1.9 La scrittura mongola 40 2 Le scritture indiane 42 2.1 La scrittura devanagari 46 2.2 La scrittura gujarati 50 2.3 La scrittura bengalese 54 2.4 La scrittura gurmukhi 58 2.5 La scrittura oriya 62 2.6 La scrittura tamil 66 2.7 La scrittura malayalam 70 2.8 La scrittura telugu 74 2.9 La scrittura kannada 78 2.10 La scrittura singalese 82 2.11 La scrittura tibetana 86 2.12 La scrittura birmana 90 2.13 La scrittura thailandese 94 2.14 La scrittura laotiana 98 2.15 La scrittura cambogiana 102 3 Le scritture orientali 106 3.1 La scrittura cinese 112 3.2 La scrittura kana 146 3.3 La scrittura hangul 150 4 Altre scritture 154 4.1 La scrittura etiopica 156 4.2 La scrittura tifinagh 160 4.3 La scrittura maldiviana 162 4.4 La scrittura yi 164 4.5 La scrittura cree 168 4.6 La scrittura cherokee 170 I numeri 172 La punteggiatura 178 Siete riusciti a leggere? 179 Nota bibliografica 191 |
| << | < | > | >> |Pagina 9IntroduzioneQuando un copista medievale, in un testo in latino, trovava una citazione in greco, anziché copiarla scriveva: "Græcum est, non legitur", cioè "È greco, non si può leggere". Con questa annotazione ammetteva non solo di non capire il greco ma addirittura di non conoscere le lettere dell'alfabeto di questa lingua. Nell'epoca di Internet e dei voli charter sono cambiate tante cose: troviamo normale avere vicini di casa marocchini o giapponesi, andare in vacanza in Grecia o in Thailandia, trovare nel manuale d'uso del frullatore la traduzione cinese o russa delle istruzioni. Eppure, se ci chiedessero di leggere o di copiare una scrittura diversa da quella latina, non sapremmo far altro che esclamare smarriti: "Non legitur!" Questo libro descrive i trentatré sistemi di scrittura usati oggi nel mondo. Ognuna delle centinaia di lingue letterarie oggi in uso si scrive con uno di questi sistemi di scrittura. Delle tante scritture inventate nel corso della storia umana, soprattutto tre hanno avuto successo, giungendo fino ai giorni nostri: quella fenicia, quella brahmi e quella cinese. Da queste tre capostipiti discendono le tre famiglie di scritture più diffuse. A queste famiglie di scritture sono dedicate le prime tre parti di questo libro. Dall'alfabeto fenicio (o, più propriamente, semitico settentrionale) derivano tutti gli alfabeti del Medio Oriente e dell'Europa, una decina dei quali sono tuttora in uso. Fra queste scritture, la latina, l'araba e la cirillica sono le più diffuse; ognuna di esse trascrive decine di lingue, fra le quali si annoverano alcune di quelle più parlate al mondo. Il brahmi, l'alfabeto sillabico dell'antica India, forse di origine semitica, è il capostipite della vastissima famiglia di scritture diffusa dall'India al Sud-Est asiatico. Ancor oggi si usano una ventina di scritture brahmi, quasi metà delle quali diffuse nella sola India. La scrittura cinese si differenzia dalle prime due per il fatto di essere logografica, cioè di avere un segno per ogni parola della lingua (o, più propriamente, per ogni morfema). I caratteri cinesi sono stati adattati a lingue diversissime dal cinese come il vietnamita, il mongolo, il giapponese e il coreano. Queste ultime due lingue usano ancor oggi i caratteri cinesi, in combinazione con i caratteri fonetici inventati localmente. La quarta parte del libro si occupa di tutte le scritture non riconducibili a queste tre grandi famiglie. Alcune di queste, come l'etiopica o la tifinagh, sono ciò che resta di antiche famiglie di scritture meno fortunate delle tre principali. Altre, come i sillabari dei nativi nordamericani, sono state ideate in tempi relativamente recenti. Ogni scrittura è trattata in un proprio capitolo dove si descrive in sintesi il funzionamento della scrittura in questione, con un elenco di tutte le lettere o segni che la compongono, del loro eventuale nome e della loro pronuncia. Nel caso della scrittura cinese, ovviamente, non si sono potuti elencare tutti i segni, ma ci si è limitati a una selezione basata sulla frequenza d'uso e sui programmi scolastici delle scuole elementari cinesi e giapponesi. La lista dei segni di ogni scrittura comprende anche i segni diacritici, cioè quei segni che, come gli accenti, si appongono sopra o sotto le lettere principali. Si è adottata la diffusa convenzione di apporre i segni diacritici sopra un cerchietto puntinato (O) che rappresenta la posizione dove si troverebbe la lettera che regge il segno. Per esempio, l'accento acuto di è si indica così Ò: il cerchietto indica la posizione dove normalmente si trova la lettera e , e aiuta a chiarire che il segno va posto sopra la lettera e non, per esempio, sotto di essa come la cediglia della ç. Segue un prospetto delle principali lingue scritte con ogni scrittura e del numero di parlanti di ogni lingua. I dati demografici per le lingue berbera, cherokee, cree, inuktitut, judezmo, siriaca, tibetana e yiddish sono tratti da Katzner, The Languages of the World; quelli per tutte le altre lingue sono tratti da Il libro dei fatti 2002 (edizione italiana di The World Almanac and Book of Facts), edito da Adnkronos Libri. Il capitolo relativo a ogni scrittura si conclude con una piccola sfida al lettore, intitolata "Riuscite a leggere?". In ognuna di queste sezioni si propongono una dozzina di parole, in una o più delle lingue scritte con la scrittura descritta nel capitolo, senza indicarne né la trascrizione né la traduzione. Il lettore è invitato, aiutandosi con le tabelle e le spiegazioni contenute nel capitolo, a tentare di leggerle e a indovinarne il significato. Si tratta, ove possibile, di termini internazionali, come per esempio: bazar, dharma, hôtel, soviet, spaghetti o ticket. Il lettore potrà verificare la correttezza delle proprie decifrazioni nel capitolo "Siete riusciti a leggere?". Completano il libro due brevi capitoli sui segni numerali e di punteggiatura e una essenziale bibliografia. Per ognuna delle scritture e delle lingue qui trattate sono in uso uno o più sistemi di trascrizione in lettere latine. Onde evitare di sommare alla complessità delle scritture anche quella dei relativi sistemi di trascrizione, in questo libro si adotta un sistema di trascrizione omogeneo per tutte le lingue. Si tratta di un sistema piuttosto semplice, se paragonato alle notazioni fonetiche in uso presso i linguisti, ma sufficiente a dare un'idea abbastanza chiara della pronuncia. La seguente tabella elenca i simboli fonetici usati nelle trascrizioni, con una spiegazione del loro suono basata, ove possibile, su esempi di parole italiane e con una trascrizione puramente indicativa in IPA (International Phonetic Alphabet, "alfabeto fonetico internazionale"). In taluni casi, questo sistema di trascrizione tanto approssimativo non riesce a esprimere tutte le sottigliezze fonetiche di alcune lingue; succede così che due suoni simili ma non identici si trovino trascritti con la stessa lettera. In questi casi, si è adottata la convenzione di sottolineare una delle due trascrizioni, per mettere in guardia il lettore sulla presenza di un'approssimazione poco scientifica. S'intende che i lettori con interessi linguistici o intenzionati a imparare le lingue a cui qui si accenna dovranno rivolgersi a opere più specifiche e approfondite. Quando una trascrizione fonetica appare nel corpo del testo, è solitamente inserita fra parentesi quadre: []. | << | < | > | >> |Pagina 121 Le scritture semiticheLa scrittura detta nord semitica o, semplicemente, alfabeto (da alpha-beta: la pronuncia alla greca dei nomi delle prime due lettere, ...) ci è nota nelle tre varietà ebraica antica, aramaica e fenicia (o cananea). L'alfabeto comparve più di 3.000 anni fa presso i popoli semitici stanziati, grosso modo, nell'area oggi occupata da Siria, Libano, Israele e Palestina. L'alfabeto comprendeva solo ventidue segni, ognuno dei quali indicava una diversa consonante. Le vocali non erano indicate nella scrittura e dovevano dunque essere intuite dal lettore, cosa molto meno difficile di quanto noi oggi possiamo immaginare in quanto, nelle lingue semitiche, la radice di una parola è identificata generalmente dalle sole consonanti (spesso in numero di tre). La qualità e la posizione delle vocali è solitamente prevedibile conoscendo la funzione grammaticale della parola. A ogni lettera era attribuito un nome, che era una parola di senso compiuto iniziante con la consonante che costituiva il valore fonetico della lettera. In molti casi sembra di riconoscere, nella forma della lettera, un disegno della cosa indicata dal nome. Per esempio, la lettera aleph, il cui nome significa "bue", ha la stessa forma triangolare della testa dell'animale visto di fronte e presenta due tratti sporgenti che ne ricordano le corna, come si nota ancor oggi capovolgendo la nostra lettera A; la lettera ayin, il cui nome significa "occhio" e da cui deriva la nostra lettera O, è un cerchio che, nella sua forma più antica, aveva all'interno un puntino (la pupilla). Queste apparenti corrispondenze fra nome e suono delle lettere parrebbero indicare un'origine acrofonica della scrittura nord semitica: si potrebbe cioè trattare di un piccolo gruppo di pittogrammi usati non tanto per indicare i concetti o le parole corrispondenti alle cose rappresentate quanto le consonanti iniziali di tali parole. Ogni lettera era inoltre caratterizzata da una sua ben precisa posizione nella lista dei segni. Non si sa se questo ordine alfabetico sia casuale o se avesse in origine un significato. Ammesso che il significato attribuito ai nomi delle lettere sia corretto, si nota che in alcuni casi lettere vicine hanno significati collegati: porta/finestra, mano/palmo, acqua/pesce, occhio/bocca. Da ricollegarsi probabilmente alla fissità dell'ordine alfabetico è il fatto che le lettere avevano anche dei valori numerici (p. 175), costituivano cioè anche un sistema di notazione dei numeri: le prime nove lettere rappresentavano le unità da 1 a 9, le successive nove le decine da 10 a 90 e le rimanenti le centinaia da 100 a 400. Per scrivere il numero 345, si scrivevano le tre lettere sin+mem+he, cioè 300+40+5. L'alfabeto nord semitico si scriveva generalmente da destra verso sinistra. Nella fase più antica, però, la direzione della scrittura non era ancora rigidamente definita ed era possibile anche scrivere da sinistra a destra, a patto di rovesciare specularmente le lettere. In alcuni testi, detti bustrofedici, la direzione di scrittura si invertiva a ogni nuova riga. La direzionalità da destra a sinistra è rimasta negli alfabeti del Medio Oriente, mentre quelli europei, dopo alcune oscillazioni (le iscrizioni etrusche, come le primissime iscrizioni latine, si leggono da destra a sinistra), hanno fissato la direzione da sinistra a destra.
Le origini della scrittura nord semitica sono controverse. Alcuni ipotizzano
che derivi da una più antica scrittura chiamata protosinaitica, di cui non ci
sono pervenute che rare iscrizioni presso alcune antiche miniere della penisola
del Sinai, appartenenti all'Egitto ma condotte da maestranze semitiche. I segni
protosinaitici derivano forse da geroglifici egiziani, reinterpretati secondo la
pronuncia semitica degli oggetti rappresentati dai pittogrammi. Un'altra
scrittura senz'altro in relazione con quella nord semitica (ma con cui non
necessariamente ha un rapporto di filiazione) è quella cuneiforme della città di
Ugarit, nella Siria settentrionale. Sebbene nella forma esteriore le
lettere ugaritiche somiglino ben poco alle corrispondenti lettere nord
semitiche, il loro numero e l'analoga disposizione nella sequenza alfabetica
denunciano chiaramente, come minimo, una forte influenza di una delle due
scritture sull'altra.
Gli alfabeti orientali Dall'alfabeto aramaico derivano i tre alfabeti semitici moderni: il siriaco, l'ebraico e l'arabo. Questi alfabeti si usano innanzi tutto per scrivere le omonime lingue semitiche, ma sono anche stati adattati per scrivere molte altre lingue. Queste tre scritture si sono mantenute abbastanza fedeli al carattere consonantico dell'alfabeto antico: si scrivono solo alcune delle vocali (in particolare, le vocali lunghe e la seconda vocale di un dittongo), per mezzo delle cosiddette matres lectionis (in latino, "madri della lettura") cioè lettere che, in determinati casi, perdono il loro usuale valore consonantico per assumerne uno vocalico. Tutti e tre gli alfabeti hanno sviluppato anche sistemi di vocalizzazione completi per mezzo di piccoli segni diacritici posti sopra o sotto le lettere. Questi segni vocalici, però, si usano solo per certi tipi di testi, quali la poesia, gli scritti sacri, i dizionari, le grammatiche e le pubblicazioni destinate ai bambini o a chi sta apprendendo la lingua. I moderni alfabeti semitici, come quelli antichi, si scrivono da destra a sinistra. In tutti e tre gli alfabeti, le lettere assumono forme diverse secondo la loro posizione nella parola: in fine di parola, le lettere presentano una sorta di "coda". Nelle scritture araba e siriaca, inoltre, ogni lettera di una parola è legata alla successiva, come avviene nella nostra scrittura corsiva manuale.
Le scritture di derivazione aramaica si sono diffuse sempre più verso
oriente, fino a lambire il mar del Giappone. Una di queste scritture, la
mongola-mancese, derivata dalla siriaca, si usa ancor oggi in Cina per
trascrivere la lingua mongola parlata nella provincia della Mongolia Interna.
Per influenza della scrittura cinese, il mongolo si scrive però in verticale, in
colonne che vanno da sinistra a destra: in pratica, dunque, in Estremo Oriente
la scrittura aramaica è stata ruotata di 90 gradi in senso antiorario.
Gli alfabeti occidentali Intorno ai 2.500 anni fa anche i greci, che avevano ormai abbandonato la scrittura sillabico-logografica da loro usata nell'epoca micenea, adottarono l'alfabeto dei fenici. La struttura fonetica del greco, lingua appartenente alla famiglia linguistica indoeuropea, era però estremamente diversa da quella del fenicio e delle altre lingue della famiglia semitica. Molte consonanti fenicie non avevano equivalenti in greco. [...] I greci trasmisero l'alfabeto così modificato a vari popoli del Mediterraneo antico, fra i quali gli etruschi, che lo passarono a loro volta ai latini. Dipendono proprio dall'intermediazione etrusca molte delle differenze oggi riscontrabili fra l'alfabeto latino e quello greco, come per esempio il fatto che la lettera latina C (l'antica gimel fenicia) abbia perso il suo originario suono [g] per assumere lo stesso suono [k] già più che efficacemente rappresentato dalle lettere K e Q (le antiche kap e qop fenicie): nella lingua etrusca, diversissima da greco e latino, mancava infatti il suono [g]. I romani dovettero rimediare a questo contrattempo aggiungendo la nuova lettera G, ottenuta aggiungendo un trattino alla C. La nuova lettera prese il posto della Z, eliminata in quanto rappresentava un suono inesistente in latino. Più tardi questa lettera venne reinserita per trascrivere le parole di origine greca che erano state accolte copiosamente nella lingua latina, e venne nuovamente aggiunta alla fine dell'alfabeto. Molti secoli più tardi, gli evangelizzatori cristiani adattarono l'alfabeto greco alla lingua degli antichi slavi; questa scrittura, detta "cirillico" perché l'invenzione fu erroneamente attribuita a san Cirillo di Tessalonica, è ancor oggi usata dai russi e da altri popoli dell'Europa dell'est e dell'ex Unione Sovietica.
Tutte le scritture occidentali presentano una doppia serie di lettere: le
maiuscole, che si usano per scrivere la lettera iniziale di alcune parole, e le
minuscole, che si usano in tutti gli altri casi. Le regole per l'uso delle
maiuscole variano da lingua a lingua: in tutte le lingue si scrivono con
iniziale maiuscola i nomi propri e la prima parola di una frase
ma, in alcune lingue, si scrivono maiuscole anche altre parole. Per esempio, in
tedesco si scrivono con iniziale maiuscola tutti i nomi sostantivi; in inglese
gli aggettivi derivati da nomi propri e i nomi di mesi e giorni della settimana.
È inoltre possibile enfatizzare intere parole o frasi scrivendole in TUTTO
MAIUSCOLO.
Gli alfabeti caucasici Anche gli alfabeti armeno e georgiano sono attribuiti a un evangelizzatore, il missionario Mesrop Mashtots (IV secolo d.C.), e anche in questo caso vi fu l'influenza del modello greco, quanto meno nell'ordine delle lettere. A differenza del cirillico, però, i due alfabeti del Caucaso non si possono considerare semplici adattamenti ma piuttosto invenzioni originali, solo parzialmente ispirate all'alfabeto greco. L'alfabeto armeno ha una doppia serie di lettere, maiuscole e minuscole, che si usano come nelle scritture occidentali. Nell'alfabeto georgiano si usano invece solo le lettere minuscole: le maiuscole non sono più parte della scrittura moderna e si trovano solo nei testi religiosi stampati in caratteri antichi. | << | < | > | >> |Pagina 172I numeriIn quasi tutto il mondo i numeri si scrivono abitualmente con il sistema decimale posizionale inventato in India e diffuso poi sia a Oriente sia a Occidente. Il funzionamento di questo sistema di numerazione è ben noto a chiunque: le cifre da "1" a "9" hanno valore numerico variabile secondo la loro posizione all'interno del numero. Quando stanno all'estrema destra della rappresentazione grafica di un numero, rappresentano le unità da uno a nove; quando occupano la seconda posizione partendo da destra, rappresentano le decine da dieci a novanta; quando occupano la terza posizione, rappresentano le centinaia da cento a novecento e così via, moltiplicando per dieci il loro valore numerico a ogni spostamento verso sinistra. Come ben noto, la chiave del funzionamento di questo sistema di numerazione è il simbolo "0" (detto "zero" in quanto, quando scritto a sé stante, rappresenta anche il numero zero), che serve a riempire le posizioni inutilizzate all'interno di un numero. Senza lo zero, sarebbe difficilissimo distinguere, per esempio, il numero milleventitré ("1 23") dal numero milleduecentotré ("12 3"), e sarebbe del tutto impossibile distinguere fra loro i numeri centoventitré, milleduecentotrenta, dodicimilatrecento, centoventitremila, eccetera, in quanto tutti questi numeri si scriverebbero "123". Riempiendo le posizioni vuote con altrettanti simboli "0", questi numeri diventano chiaramente distinguibili l'uno dall'altro: 1023, 1203, 123, 1230, 12300, 123000. Le cifre usate nei paesi europei sono comunemente dette "cifre arabe" in ricordo del fatto che Leonardo Fibonacci, il matematico italiano che le introdusse in Europa, non fece in realtà che adottare le cifre già in uso presso i matematici arabi, adattandole graficamente allo "stile" delle lettere latine. Nei paesi arabi si usano dei simboli leggermente diversi, che sono detti dagli arabi "cifre indiane", in ricordo del fatto che il matematico arabo Muhammad al-Khuwarizmi, il padre dell'algebra, le prese a sua volta dalla matematica indiana. In India (dove, in ultima analisi, questo sistema di numerazione fu inventato) e negli altri paesi che usano scritture di derivazione brahmi non esiste un unico insieme di simboli per le cifre decimali: ogni scrittura ha le proprie cifre. Nonostante la scrittura araba si scriva da destra a sinistra, i numeri si scrivono da sinistra a destra come in Europa e in India: in altre parole, anche per gli arabi la cifra che rappresenta le unità è quella più a destra. Molti paesi arabi, e in particolare quelli del Nord Africa, usano oggi preferibilmente le cifre europee (cioè quelle dette "arabe"!) al posto di quelle locali. Lo stesso avviene anche in India e nei paesi del Sud- Est asiatico, dove le cifre locali sono sempre più spesso sostituite da quelle europee, divenute ormai internazionali. Cinesi e giapponesi usano talvolta i logogrammi per i numeri dall'uno al nove come cifre decimali, completandole con il simbolo europeo per la cifra zero, allargato orizzontalmente per fargli assumere le stesse proporzioni dei caratteri cinesi. Questo modo di notare i numeri si usa solo nella scrittura verticale: in tal caso, la cifra delle unità è quella più in basso. Quando il cinese e il giapponese si scrivono in orizzontale, si usano invece quasi sempre le cifre europee. Anche in mongolo i numeri si scrivono dall'alto in basso (cioè la cifra delle unità è quella che sta più in basso), utilizzando le cifre locali, di derivazione tibetana, oppure quelle europee ruotate di 90° in senso orario. Prima della diffusione pressoché universale della numerazione decimale posizionale di derivazione indiana, si usavano sistemi di numerazione i cui simboli mantenevano il loro valore numerico indipendentemente dalla loro posizione. Molti popoli hanno mantenuto questi sistemi tradizionali di numerazione come alternativa ai numeri decimali. Questi numeri si usano quando, per qualsiasi ragione, si vogliono differenziare due diverse serie di numeri. Per esempio, spesso si utilizzano i numeri tradizionali per numerare i capitoli di un libro e le cifre decimali per numerare le pagine. In molte lingue, il sistema di numerazione tradizionale indica i numeri ordinali (primo, secondo, terzo...) mentre quello decimale posizionale indica i cardinali (uno, due, tre...). Il più noto di questi sistemi tradizionali di numerazione è quello romano, ancor oggi usato in tutta Europa. Questo sistema, usato a suo tempo anche dai greci e dagli etruschi (ma con simboli grafici diversi da quelli romani), si caratterizza per il fatto di avere simboli solo per il primo e il quinto elemento di ogni ordine di grandezza decimale (unità, decine, centinaia...): esistono quindi simboli solo per i numeri uno e cinque, dieci e cinquanta, cento e cinquecento, eccetera. Le altre unità, decine, centinaia si indicano scrivendo una combinazione dei due simboli di base la cui somma corrisponda al numero da scrivere. Per esempio, le nove unità si scrivono I, II, III, IIII, V, VI, VII, VIII e VIIII; le nove decine si scrivono X, XX, XXX, XXXX, L, LX, LXX, LXXX e LXXXX e così via. In una variante più recente, si evita di ripetere quattro volte i simboli utilizzando una notazione "sottrattiva" per il quarto e il nono elemento di ogni serie: in questa variante, i numeri quattro e nove si scrivono IV e IX, i numeri quaranta e novanta si scrivono XL e XC e così via. Numeri più complessi si scrivono concatenando numeri più semplici la cui somma è il numero da scrivere; per esempio, il numero 234 si scrive concatenando i simboli dei numeri 200, 30 e 4: CC + XXX + IIII = CCXXXIIII (o, nella variante "sottrattiva", CCXXXIV ). Nella scrittura cinese è in uso un sistema "moltiplicativo" che combina le cifre per le unità da uno a nove con simboli che rappresentano gli ordini di grandezza (decine, centinaia, migliat eccetera). I numeri "tondi" si scrivono abbinando una cifra con un ordine di grandezza: per esempio, "duecento" si scrive con il simbolo "due" seguito dal simbolo "cento". Numeri più complessi si scrivono, come per i numeri romani, concatenando numeri più semplici la cui somma sia il numero da scrivere; per esempio, il numero 234 si scrive concatenando i simboli "due-cento-tre-dieci-quattro". Questo sistema di numerazione non è altro che la fedele trascrizione delle locuzioni numerali del cinese parlato: in cinese, infatti, non esistono vocaboli equivalenti ai nostri "tredici" o "cinquanta": numeri come 13 o 50 si esprimono con espressioni che si traducono letteralmente "dieci-tre" (sï-san) e "cinque-dieci" (u-sï). Una caratteristica di alcuni logogrammi numerali cinesi che, in certi casi, può essere decisamente spiacevole è la loro grandissima semplicità grafica. Si noti, per esempio, quanto sia facile trasformare un "uno" in un "tre" semplicemente aggiungendo un paio di tratti orizzontali, o come un "dieci" si possa trasformare in un "mille" aggiungendo un tratto obliquo nella parte superiore. Questa caratteristica rende questi simboli decisamente inadatti per essere utilizzati su assegni, contratti o qualsiasi altro tipo di documento che non debba essere facilmente falsificabile. Su documenti di natura economica, i numeri (e in particolare gli importi monetari) sono scritti con simboli alternativi, che hanno la stessa pronuncia e lo stesso significato di quelli ordinari ma che sono graficamente assai più complessi e differenziati l'uno dall'altro. Nella scrittura tamil, l'unica dell'India a non utilizzare tradizionalmente le cifre decimali posizionali, si usa un sistema del tutto analogo a quello cinese. In molte scritture di derivazione semitica sono in uso sistemi di numerazione che attribuiscono valori numerici alle normali lettere alfabetiche. Le prime nove lettere rappresentano le unità da uno a nove, le successive nove le decine da dieci a novanta, e così via con le centinaia e le migliaia, fino a esaurimento dell'alfabeto. È probabile che l'ordine alfabetico si sia mantenuto tanto stabile nel corso dei millenni proprio a causa dell'esistenza di questi valori numerici delle lettere. I numeri complessi si formano combinando simboli la cui somma sia il numero da rappresentare. In greco, i numeri scritti con le lettere dell'alfabeto sono seguiti da un apice. In ebraico si usa un apice dopo (cioè a sinistra) dei numeri di una sola lettera e un doppio apice dopo la penultima lettera di numeri di più lettere. In greco, i numeri 6 e 90 si scrivevano con lettere digamma e koppa, corrispondenti alla F e alla Q latine, oggi scomparse dall'alfabeto; nell'uso moderno, queste lettere arcaiche sono sostituite con lettere minuscole. Il sistema di numerazione greco è stato adottato anche in Etiopia, attraverso la mediazione dei cristiani ortodossi egiziani, che scrivevano la loro lingua, il copto, con una versione modificata dell'alfabeto greco. Nel corso dei secoli, la forma dei numerali etiopici si è alterata a tal punto che oggi è quasi impossibile riconoscervi le lettere greche maiuscole da cui derivano. Il valore numerico delle lettere arabe si riferisce non all'ordine alfabetico attuale (frutto di una risistemazione medievale, che ha messo vicine le lettere di forma simile) ma a quello antico, che era del tutto simile a quello ebraico. Sistemi di numerazione analoghi sono stati adottati anche nel Caucaso, da armeni e georgiani. Un tempo, anche le lettere dell'alfabeto cirillico avevano un loro valore numerico, analogo a quello greco, ma oggi questo sistema di numerazione non è più in uso presso nessuno dei popoli slavi che adottano questo alfabeto. | << | < | |