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| << | < | > | >> |IndiceIndice Prologo p. 7 I. Gli artigiani d'Europa 15 II. I mandarini cinesi e «la campana che suona da sola» 63 Epilogo 89 Appendice 93 Bibliografia 99 |
| << | < | > | >> |Pagina 89L'orologio, così come ogni altra macchina, fu creato e sviluppato non solo ed in quanto una certa esigenza fu percepita, ma anche perché una specifica cultura condizionò in una data maniera sia la percezione di quell'esigenza che la risposta data all'esígenza stessa. La diffusione della tecnologia fu legata alle migrazioni dei tecnici, ma questa diffusione incontrò limiti in società lontane la cui cultura non permetteva di concepire il tipo di risposta tecnologica che l'orologio rappresentava. E là, l'orologio rimase un giocattolo divertente piuttosto che una macchina di utilità pratica.
D'altra parte là dove fu adottato, l'orologio, così come
ogni altra macchina, non si dimostrò elemento neutrale.
Nato da una concezione meccanicistica, accentuò fortemente i
tratti meccanicistici della cultura che l'aveva espresso.
Nato per misurare il tempo, impose successivamente agli
uomini misurazioni accurate di attività che prima o non
erano misurate o lo erano con vaga approssimazione. Così
facendo, se da un lato l'orologio soddisfece a certi
bisogni, d'altro lato ne creò dei nuovi producendo le
condizioni per la propria diffusione e proliferazione. La
macchina, scrisse Oscar Wilde, tende a fare dell'uomo una
macchina. Si può aggiungere che ogni macchina contribuisce
a creare le condizioni per la propria diffusione e la
produzione di altre macchine. Tutto ciò ha dei costi. Ma
ha anche dei benefici. Dalla pietra polita dei Neolitico
alla navetta spziale, ogni strumento ha aumentato le
potenzialità dell'uomo che, senza strumenti, è, nel regno
animale, tra gli esseri più deboli e vulnerabili. Il
nocciolo della questione però è etico. Perché tutto poi
dipende dall'uso cui l'uomo decide di destinare le macchine
da lui create: per il bene o per il male.
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