Autore Ta-Nehisi Coates
Titolo Il danzatore dell'acqua
EdizioneEinaudi, Torino, 2020, Supercoralli , pag. 396, cop.rig.sov., dim. 14x22x2,6 cm , Isbn 978-88-06-24534-4
OriginaleThe Water Dancer
EdizioneRandom, New York, 2019
TraduttoreNorman Gobetti
LettoreAngela Razzini, 2021
Classe narrativa statunitense












 

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Pagina 5

Capitolo primo


E avrei potuto vederla solo lí sul ponte di pietra, una danzatrice avviluppata in un azzurro spettrale, perché da lí dovevano averla portata via quando ero piccolo, quando la terra della Virginia era ancora rossa come il mattone e rossa di vita, e sebbene ci fossero altri ponti sul fiume Goose, dovevano averla legata e trascinata attraverso quello, perché quello era il ponte che dava sulla strada a pedaggio che si snodava tra le verdi colline e giù per la valle prima di piegare in un'unica direzione, e quella direzione era il sud.

Avevo sempre evitato quel ponte, perché era imbrattato dal ricordo delle madri, degli zii e dei cugini andati verso Natchez. Ma conoscendo ora il portentoso potere della memoria, sapendo come possa aprire una porta azzurra fra un mondo e un altro, come possa spostarci dalle montagne ai prati, dai boschi verdi ai campi coperti di neve, sapendo ora che la memoria può piegare la terra come un panno, e sapendo, anche, che avevo relegato il ricordo di lei nel «laggiù» della mia mente, che avevo dimenticato ma non avevo dimenticato, ora so che questa storia, questa Conduzione, doveva cominciare lí su quel prodigioso ponte fra la terra dei vivi e la terra degli scomparsi.

E lei stava ballando la juba sul ponte, con una brocca di terracotta sulla testa, mentre una grande bruma si alzava dal fiume lambendole i talloni nudi che battevano sull'acciottolato facendo tremolare la sua collana di conchiglie. La brocca di terracotta non si muoveva; sembrava quasi parte di lei, cosí che, per quanto alzasse le ginocchia, per quanto si piegasse di lato e si chinasse in avanti, per quanto spalancasse le braccia, la brocca le restava fissa sulla testa come una corona. E assistendo a quell'incredibile impresa capii che quella donna che ballava la juba, quella donna avviluppata in un azzurro spettrale, era mia madre.

Nessun altro la vide - né Maynard, che in quel momento era seduto nel retro del suo nuovo calesse Millennium, né la meretrice che lo teneva avvinto con le sue malie, e neanche, cosa stranissima, il cavallo, sebbene a quanto mi risultava i cavalli abbiano fiuto per le cose che vengono da altri mondi e fanno capolino nel nostro. No, la vidi solo io, dal sedile del cocchiere, ed era proprio come me l'avevano descritta, proprio come dicevano fosse stata ai vecchi tempi quando saltellava in mezzo a un cerchio composto da tutta la mia gente - la zia Emma, il Giovane P, Honas e lo zio John - e loro applaudivano, battendosi il petto e dandosi manate sulle ginocchia, incitandola sempre piú veloci, e lei pestava forte i piedi per terra, come se schiacciasse sotto i talloni una creatura strisciante, e si piegava in due in un inchino, poi roteava e girava le ginocchia unite, all'unisono con le mani, e la brocca di terracotta restava sempre sulla testa. Mia madre era la miglior danzatrice di Lockless, cosí mi avevano detto, e io me ne ricordavo perché a me quel dono non l'aveva trasmesso, e me ne ricordavo anche perché era stata la danza a portarla all'attenzione di mio padre, e quindi a portare me all'esistenza, e ancor piú me ne ricordavo perché io ricordavo tutto - tutto, a quanto pare, tranne lei.

Adesso era autunno, la stagione in cui le corse arrivavano a sud. Quel pomeriggio Maynard aveva vinto con un purosangue dato perdente da tutti, e aveva pensato che cosí si sarebbe finalmente guadagnato la stima della Qualità della Virginia, a cui teneva tanto. Ma quando aveva fatto il giro della grande piazza, stravaccato sul sedile del calesse, con un gran sorriso stampato in faccia, gli uomini dell'alta società gli avevano voltato la schiena tirando dai sigari. Nessuno scambio di convenevoli. Lui era rimasto quel che sempre sarebbe stato: Maynard il Gonzo, Maynard lo Zotico, Maynard l'Idiota, la mela marcia caduta a molte miglia dall'albero. Ribolliva di rabbia, e si era fatto portare alla vecchia casa ai margini della nostra città, Starfall, dove aveva pagato per una notte con una meretrice e poi aveva avuto la brillante idea di portarsela alla grande casa a Lockless, e poi, scelta piú fatale di tutte, in un improvviso moto di vergogna aveva insistito perché evitassimo la strada che attraversava la città e prendessimo per Dumb Silk Road fino a dove si congiungeva con quella vecchia strada a pedaggio, il che ci aveva riportati sulla sponda del fiume Goose.

Cadeva una pioggia fredda e costante mentre guidavo il calesse, e l'acqua mi sgocciolava giú dalla tesa del cappello e formava piccole pozze sui pantaloni. Sentivo Maynard nel retro che faceva i suoi soliti giochetti, infliggendo alla meretrice le sue spacconerie carnali. Io spingevo il cavallo piú forte che potevo, perché l'unica cosa che desideravo era arrivare a casa e liberarmi della voce di Maynard, anche se, in questa vita, non avrei mai potuto liberarmi di lui. Maynard, colui che mi teneva alla catena. Maynard, il fratello di cui avevano fatto il mio padrone. E stavo cercando in ogni modo di non ascoltarlo, distraendomi col ricordo di quando spannocchiavamo il granturco o di quando giocavamo a moscacieca. Ma non ebbi il tempo di vagare con la mente, perché a un tratto calò un silenzio improvviso, che cancellò non solo la voce di Maynard, ma ogni minimo suono del mondo circostante. E ora, spulciando nell'archivio della mia mente, a comparire erano i ricordi degli scomparsi: uomini che tenevano duro la vigilia di Capodanno, e donne che facevano il loro ultimo giro dei meleti, zitelle che affidavano a qualcuno il proprio orto, vecchietti che maledicevano la grande casa di Lockless. Le legioni degli scomparsi, portati via attraverso quel ponte funesto, le legioni incarnate da mia madre che danzava.

Tirai le redini, ma era troppo tardi. Precipitammo, e quel che accadde dopo sconquassò per sempre il mio senso di un ordine cosmico. Ma ero lí e lo vidi accadere, e da allora ho visto moltissime cose che rivelano i limiti della nostra conoscenza, e quanto ci sia oltre quei limiti.

La strada sotto le ruote svaní di colpo, e l'intero ponte venne meno, e per un momento mi sentii galleggiare sulla, o nella, luce azzurra. E in quel momento sentii caldo, e ricordo quel breve calore perché, altrettanto all'improvviso, mi trovai nell'acqua, sotto l'acqua, e anche ora mentre ve lo racconto mi sento di nuovo lí, nella gelida morsa del fiume Goose, con l'acqua che mi entrava dentro a fiotti, e quella particolare bruciante sofferenza che prova solo chi sta per annegare.

Non esiste altra sensazione come quella di annegare, perché quel che si prova non è solo sofferenza, ma sbigottimento per una circostanza cosí incongrua. La mente crede che dovrebbe esserci aria, dato che l'aria c'è sempre, e l'impulso di respirare è cosí istintivo che bisogna sforzarsi per non eseguire quell'ordine. Se fossi saltato giù da quel ponte di mia volontà, sarei stato preparato ad accogliere quella situazione inedita. Anche se il calesse si fosse ribaltato avrei capito, perché sarebbe stata una cosa immaginabile. Ma era come se fossi stato spinto giú da una finestra e dritto nelle profondità del fiume senza alcun preavviso. Continuavo a cercare di respirare. Ricordo che per respirare spalancavo la bocca come se chiamassi aiuto, e ricordo la sofferenza della risposta che ricevevo, la sofferenza dell'acqua che mi entrava dentro a fiotti, e come reagivo a quella sofferenza ansimando, con l'unico risultato di far entrare altra acqua.

Ma in qualche modo riuscii a ragionare, in qualche modo riuscii a capire che tutto quel dibattermi non avrebbe fatto che accelerare la mia dipartita. E con quella nuova consapevolezza notai che in una direzione c'era luce e nell'altra buio, e ne dedussi che il buio era l'abisso e la luce no. Battei forte le gambe e allungai le braccia verso la luce spingendo sull'acqua finché, tossendo, rigurgitando, non mi ritrovai in superficie.

E quando, aprendomi un varco nell'acqua scura, riemersi nel diorama del mondo - nubi temporalesche appese a un filo invisibile, un sole rosso che si stagliava contro le nuvole e, sotto quel sole, colline ammantate d'erba - mi voltai a guardare il ponte di pietra, che ormai doveva essere, mio Dio, a mezzo miglio di distanza.

Sembrava che il ponte si allontanasse rapidissimo, perché la corrente mi trascinava via e, quando mi girai per nuotare verso la riva, quella corrente, o forse un invisibile gorgo sottostante, mi trascinò ancora piú a valle. Nessuna traccia della donna il cui tempo Maynard aveva acquistato con tanta avventatezza. Ma qualunque considerazione stessi facendo su di lei fu interrotta da mio fratello, che manifestò la sua presenza, come gli era abituale, con urla e strepiti, deciso ad andarsene da questo mondo nella stessa identica maniera in cui ci aveva vissuto. Era vicino, trascinato dalla stessa corrente che trascinava me. Si dibatteva, sbraitava, riusciva a restare a galla per un istante, poi spariva sott'acqua, quindi ricompariva qualche secondo dopo, ancora sbraitando, cercando di restare a galla, dibattendosi.

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- La donna è fatta per essere il completamento dell'uomo, - continuò. - Il nostro Padre ci ha creato a questo scopo. Ci congiungiamo in matrimonio e la costola torna al suo posto. Tu sei un ragazzo intelligente, lo sanno tutti. Tuo padre parla di te come si parlerebbe di un miracolo. Parla della tua genialità, dei tuoi trucchi, delle tue letture, ma non troppo forte, perché l'invidia rode gli uomini. Per invidia, Caino ha trucidato suo fratello. Per invidia, Giacobbe ha ingannato suo padre. Perciò la tua genialità dev'essere tenuta nascosta. Ma io so, io so.

Nel salotto la luce era bassa, e le tende mezze tirate. Riuscivo a vedere solo la silhouette del viso di Corrine e di Amy. Sotto le parole di Corrine c'era qualcosa che fremeva, dando l'impressione che a parlare fossero tre voci tremule in una, una sorta di perversa armonia prodotta da quel che di tenebroso, qualunque cosa fosse, si nascondeva sotto il velo del lutto.

E a suonare strano non era solo il tono della sua voce, ma la natura stessa del suo discorso. Adesso è difficile da spiegare, perché quella era un'altra epoca, con determinati rituali, coreografie e convenzioni fra le classi e sottoclassi della Qualità, della Servitú e della Feccia. C'erano cose che si potevano e non si potevano dire, e il modo in cui ti comportavi indicava qual era il tuo rango nella gerarchia. La Qualità, per esempio, non si faceva domande sul lavorio interiore della sua «gente». Sapevano come ci chiamavamo e sapevano chi erano i nostri genitori. Ma non ci conoscevano. Perché non conoscerci era essenziale per il loro potere. Per poter vendere un figlio strappandolo alla madre, quella madre la devi conoscere nel modo piú superficiale possibile. Per poter spogliare un uomo, condannarlo alla fustigazione, a essere scorticato vivo e poi cosparso d'acqua salata, non puoi provare verso di lui i sentimenti che provi verso i tuoi simili. Non puoi vedere te stesso in lui, altrimenti la tua mano si fermerebbe, e la tua mano non si deve mai fermare, perché in quel momento la Servitù vedrebbe che tu la vedi, e che quindi vedi te stesso. Un simile momento di profonda comprensione sarebbe la tua condanna, perché non potresti piú dominare come è necessario. Non potresti piú assicurarti che le montagnole di terra per il tabacco siano dell'altezza che hai richiesto, che le piantine vengano trapiantate in quelle montagnole al momento giusto, che le piante siano irrigate e sarchiate con diligenza, che al raccolto vengano tagliate le punte e il seme venga recuperato e conservato, che le foglie siano lasciate sul loro stelo, e gli steli appesi ai ganci alla distanza giusta in modo che né marciscano né si asciughino troppo, ma le foglie vengano essiccate, trasformandosi nell'oro della Virginia che permette al semplice mortale di ascendere al pantheon della Qualità. Ogni passo è essenziale e dev'essere eseguito col massimo scrupolo, ed esiste un unico sistema per assicurarsi che un uomo applichi quello scrupolo a un processo che a lui non frutta niente, e quel sistema è la tortura, è l'assassinio, la mutilazione, la sottrazione dei figli, il terrore.

Perciò sentire Corrine che si rivolgeva a me a quel modo, cercando di creare un legame umano, era bizzarro, e anche terrificante, perché ero sicuro che quel tentativo celasse un proposito piú tenebroso. E non potevo vederla in faccia, quindi non avevo alcun indizio di quale fosse quel proposito. Io so, aveva detto, io so. E ripensando alla versione che aveva raccontato Hawkins, e quel che invece mi era accaduto, mi chiesi cosa, con esattezza, lei sapesse.

Borbottai: - Maynard aveva le sue attrattive, signora, - e naturalmente fui rimbeccato.

- No, non aveva attrattive, - disse Corrine. - Era rozzo. Non negarlo. Non voglio sentire sviolinate.

- Certo che no, signora.

- Io lo conoscevo bene, - continuò. - Non aveva alcuno spirito di iniziativa. Non aveva alcun ingegno. Ma io lo amavo, perché io sono una guaritrice, Hiram.

A quel punto fece una pausa. Era mattina tardi. Il sole lampeggiava attraverso le veneziane verdi e c'era un silenzio innaturale nella casa, che di solito risuonava del lavoro della Servitú. Avrei tanto voluto tornare al capannone, a occuparmi dello scrittoio, o magari delle poltroncine angolari. Sentivo che era solo questione di istanti prima che sotto di me si spalancasse una botola.

- Ridevano di noi, lo sai? - disse lei. - Tutta l'alta società ridacchiava. Ci chiamavano «la duchessa e il buffone». Forse sai qualcosa dell'«alta società». Forse sai qualcosa degli uomini che nascondono i propri obiettivi mondani sotto la maschera della devozione e del lignaggio. Maynard non lo faceva. Lui non aveva alcuna attrattiva, alcuna scaltrezza. Non sapeva ballare. D'estate, nella stagione degli eventi mondani, si comportava da bifolco. Ma era un bifolco sincero, il mio bifolco.

Mentre diceva questo, la sua voce tremò in un altro modo ancora, da cui traspariva un dolore piú profondo.

- Sono distrutta, te lo garantisco, - disse. - Distrutta -. La sentii piangere piano sotto il velo del lutto, e allora mi venne da pensare che forse non c'era alcuno stratagemma, che forse lei era davvero quel che sembrava, una giovane vedova in lutto, e che quel suo impulso di avvicinarsi a me era solo il bisogno di entrare in contatto con qualcuno che fosse stato vicino a Maynard, e io ero stato il suo schiavo ma anche suo fratello, e quindi portavo con me qualcosa di lui.

- Credo che tu abbia un'idea di cosa significa sentirsi annichiliti, - continuò. - Tu eri il suo braccio destro, e mi chiedo cosa potrai fare dite stesso senza la sua guida e la sua protezione. Non voglio essere scortese. Dicono che tu mitigassi la sua impulsività e il suo agire sconsiderato. Che tu lo consigliassi nei momenti difficili. E che tu sia un ragazzo intelligente. E gli idioti disprezzano la saggezza e l'istruzione. E la tua istruzione veniva da lui, no? E ora il buon Howell Walker mi dice che ti si vede a vagare per la tenuta come un'anima in pena, cercando di fare qualcosa ma privo di ogni orientamento.

Anche tu, come me, cerchi di tenerti impegnato, di far passare il tempo con qualche attività, nella speranza di spostare i pensieri su qualcos'altro che non sia lui? Per noi donne non è molto diverso, sai? Ciascuno ha il proprio servizio. E allora mi chiedo se anche tu, come me, vedi lui in tutto quel che fai. Lui è tutt'attorno a me, Hiram. Vedo il suo volto nelle nubi, nella terra, nei sogni. Lo vedo smarrito sulle montagne. E lo vedo trascinato via da quel fiume, in quei suoi ultimi terribili momenti, nella sua nobile lotta con l'abisso. È andata cosí, non è vero, Hiram?

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- Non ero solo la sua cameriera. Io e Helen eravamo amiche. O almeno lo siamo state fino a un certo punto. Le volevo bene, sai. Credo di poterlo dire: le volevo bene, e quando penso a lei, penso solo ai momenti piú belli.

Aveva assunto un tono malinconico, e io sentivo di capire come andavano quelle cose per le ragazze come lei, che da bambine giocavano con quelle che un giorno sarebbero diventate le loro padrone, senza far caso al colore della pelle, e si sentivano dire che dovevano volergli bene come avrebbero voluto bene a qualunque altra compagna di giochi. Crescevano insieme, e poi, quando il tempo dei giochi finiva, il rituale cambiava. Venivano entrambe iniziate alla religione dell'alta società, dello schiavismo, che stabiliva, senza alcuna buona ragione, che una delle due avrebbe vissuto nel palazzo, mentre l'altra sarebbe stata relegata nelle segrete. È una crudeltà fare questo a delle bambine, crescerle come se fossero sorelle e poi metterle l'una contro l'altra, cosí che l'una diventerà una regina e l'altra un poggiapiedi.

- Prendevamo molto sul serio i nostri giochi, - continuò Sophia. - Ci mettevamo in ghingheri come le signore coi loro grandi abiti. Andavamo a giocare nei campi. Una volta sono caduta dritta in mezzo ai rovi. Devo aver strillato come una dannata. Ma lei è corsa subito a soccorrermi. Mi ha tirato su e mi ha riportato a casa. Me lo ricordo benissimo, Hi, e ora, quando vedo dei rovi, non penso al dolore, penso solo a lei.

Parlava tenendo gli occhi fissi sulla strada.

- Quello che sto dicendo è che siamo state l'una dell'altra prima di essere sue, - continuò. - E ora è tutto in fumo. L'uomo che lei amava voleva me. Non perché mi amasse, Hiram. Per lui ero un ornamento. E lo sapevo. Poi la mia Helen è morta, è morta di parto, e non puoi immaginare il dolore e il senso di colpa di cui sono caduta preda.

Tacque mentre continuavamo il nostro viaggio, e gli unici rumori erano quelli dei cavalli e delle ruote scricchiolanti sulla strada gelata. Avevo il sentore che fosse in arrivo una terribile rivelazione.

- Sai che la sogno ancora? - disse lei.

- Non mi stupisce, - replicai. - Io sogno Maynard, anche se devo dire che le mie reminiscenze su di lui non hanno neanche un briciolo della magia delle tue.

- Non si tratta di magia. A volte, Hi, a volte ho la sensazione che lei se ne sia andata di proposito, lasciandomi con...

Si girò verso di me, distogliendo lo sguardo dai boschi.

- Lui non mi lascerà perdere finché non mi avrà consumata, capisci? Poi mi manderà da qualche parte lontano dalla Elm County, e per il suo piacere si prenderà un'altra ragazza di colore. Davvero per loro non siamo altro che ornamenti. Questo l'ho sempre saputo, credo. Ma sto invecchiando, Hi, e sapere una cosa è molto diverso dall'accettarla.

- Ci vuole tempo, - dissi.

Lei di nuovo si zitti, e per qualche istante si udí solo il cloppete cloppete degli zoccoli sulla strada.

- Ti interroghi mai su dove andrà a parare la tua vita? - riprese. - Ti interroghi mai sui bambini? Sulle vite che potrebbero essere lí ad aspettarti?

- Ultimamente, - dissi, - mi interrogo su tutto.

- Io penso ai bambini in continuazione. Penso a cosa deve significare dare alla luce qualcuno, magari una femmina, in questa situazione. E so che un giorno succederà. Non è una cosa che dipenda da me. Succederà, Hiram, e dovrò vedere mia figlia che viene presa come sono stata presa io, e... sto cercando di dirti che tutto questo mi porta a interrogarmi su qualcos'altro, su un'altra vita, oltre il Goose, magari oltre quelle montagne, oltre...

Lasciò la frase in sospeso e si mise di nuovo a fissare il ciglio della strada, e ora penso che è cosí che spesso ha inizio la fuga, che prendi la decisione nel momento in cui capisci quanto è profondo il pericolo in cui ti trovi. Perché non sei alla mercé soltanto della schiavitú, ma di una sorta di impostura che ritrae i boia come guardiani che tengono a bada la barbarie africana, mentre sono loro a essere barbari, a essere Mordred, a essere l'Inferno travestito da Camelot. E in quel momento di rivelazione, di consapevolezza, scappare non è un pensiero, non è neanche un sogno, ma una necessità, come uscire da una casa in fiamme.

- Hiram, - disse. - Non so perché ti racconto queste cose. So solo che tu sei sempre stato uno che capiva di piú, che sapeva di più. E poi sei finito nel Goose. Pensavamo che fossi morto. Eri sulla soglia, e ti ho visto tornare indietro e mi sono chiesta come facesse un uomo a tornare fra noi e vedere il mondo allo stesso modo.

- So di cosa stai parlando, - dissi.

- Sto parlando di fatti.

- Stai parlando di addii. Ma per dove? Come faremmo a vivere là fuori?

Mi posò una mano sul braccio. - Come puoi essere riemerso dal Goose e accettare in un qualunque modo di vivere ancora qui? Sto parlando di fatti.

- Non riesci neanche a dirlo.

- Sí, riesco a dirlo, e anche a parlare di quel che verrà dopo. Potremmo andarcene insieme, Hi. Tu sei istruito, e conosci tante cose oltre Lockless e il Goose. Devi pur sentirne la necessità. Devi pur averlo sognato, esserti ripetutamente svegliato avvinto da quel sogno. Devi pur aver voglia di scoprire cosa potresti, cosa potremmo, diventare fuori da qui.

Non risposi. Eravamo arrivati all'altezza del grande varco lungo la strada da cui si accedeva alla tenuta di Nathaniel Walker. Superai il varco e svoltai in un viottolo laterale, che era la strada che percorrevamo abitualmente. Mi fermai al fondo del viottolo. Attraverso gli alberi si vedeva la grande casa in muratura di Nathaniel Walker. Restai a guardare mentre un uomo di servizio ben vestito ci veniva incontro. Vedendoci, fece un cenno del capo, poi senza dire una parola indicò a Sophia di seguirlo. Lei scese e si girò a guardarmi. In quel momento mi resi conto che non l'aveva mai fatto prima. Di solito se ne andava via subito con l'uomo venuto a prenderla. Ora invece indugiò per un istante e mi guardò, e quel che disse nel suo silenzio era qualcosa di risoluto, di sicuro. E allora, guardandola, seppi che dovevamo scappare.

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Non ricordo a quale lavoro mi dedicai nell'ora prima di quell'incontro. Passai tutto il tempo a pensare solo a Sophia. La schiavitú è un perpetuo desiderio insoddisfatto, significa trovarsi in un mondo di cibi proibiti e cose intoccabili: la terra che ti circonda, gli abiti a cui fai l'orlo, i biscotti che prepari. Ma quel desiderio lo soffochi, perché sai dove ti porterebbe. Ora però questo mio nuovo desiderio lasciava presagire un futuro diverso, un futuro in cui i miei figli, quali che fossero state le loro traversie, non sarebbero mai stati messi all'asta. E una volta intravisto quell'altro futuro, mio Dio, era come se per me il mondo fosse rinato. Ero diretto verso la libertà, e la libertà era nel mio cuore tanto quanto nelle paludi, e cosí non ero mai stato altrettanto distratto che nell'ora trascorsa ad attendere il nostro incontro. Me n'ero andato da Lockless prima ancora di essere scappato.

- Allora, come dovrebbe funzionare? - mi chiese. Eravamo nel vallone, e guardavamo i boschi oltre la distesa di erba selvatica.

- Non lo so di preciso, - dissi.

Mi rivolse uno sguardo perplesso.

- Non lo sai?

- Mi fido di Georgie. Solo questo.

- Georgie, eh?

- Sí, Georgie. Tante domande non gliele ho fatte... puoi immaginare perché. Questa cosa in cui Georgie è coinvolto, be', presumo che sia tenuto a non parlarne troppo. Quindi so solo questo: portiamo noi stessi, e nient'altro, all'ora e al luogo dell'appuntamento, e poi ce ne andiamo.

- Ce ne andiamo dove? - chiese lei.

La fissai per un momento, poi spostai di nuovo lo sguardo oltre il vallone.

- Nelle paludi, - dissi. - Laggiú hanno un loro mondo, un intero mondo sotterraneo, dove un uomo può vivere come dovrebbe vivere.

- E una donna?

- Lo so. Ci ho pensato. Forse non è il posto ideale per una signora...

M'interruppe e disse: - Te l'ho già detto una volta oggi, Hi. Non lo sono.

Annuii.

- Me la caverò, - disse. - Portami solo fuori di qui, e il resto lo vedrò da sola.

Quelle ultime due parole - da sola - restarono sospese nell'aria.

- Tutto da sola, eh? - chiesi.

Lei mi guardò senza sorridere.

- Senti, Hiram, devi capire una cosa. Tu mi piaci, davvero -. I suoi occhi erano fissi nei miei, ci scavavano dentro, e sentii che quello che mi stava dicendo proveniva dal luogo più profondo possibile. - Tu mi piaci, e non sono molti gli uomini che mi piacciono, e quando ti guardo vedo qualcosa di vecchio e familiare, qualcosa come quello che avevo col mio Mercury. Ma mi piacerai molto meno se il tuo piano è portarmi in quel mondo sotterraneo per diventare un altro Nathaniel. Quella per me non sarebbe libertà, lo capisci? Per una donna passare da un uomo bianco a uno di colore non è libertà.

Notai che la sua mano era sul mio braccio. E che lo stava stringendo forte.

- Se è questo che vuoi, se è questo che hai in mente, allora devi dirmelo subito. Se il tuo piano è tenermi prigioniera lí perché metta al mondo i tuoi rampolli, allora dimmelo subito e abbi la decenza di lasciare a me la scelta. Tu non sei come loro. Tu devi farmi la cortesia di concedermi la scelta. Quindi dimmelo. Dimmi subito quali sono le tue intenzioni.

Ricordo la sua veemenza in quel momento. Era una giornata cosí tranquilla. Era tardo pomeriggio e il sole stava tramontando in quella stagione di lunghe notti, la stagione perfetta, avrei presto imparato, per la fuga. Non si sentivano né uccelli né insetti né rami mossi dal vento, perciò i miei sensi erano completamente focalizzati sulle parole di Sophia, parole che, per la prima volta nella mia vita, non erano accompagnate da immagini, per ragioni che non riuscivo del tutto a capire. Quello che capivo era che Sophia era tremendamente spaventata da qualcosa, da qualcosa in me, e l'idea che io potessi, in qualche modo, essere per lei quello che era Nathaniel, che lei mi temesse come temeva lui, mi riempiva di spavento e vergogna.

- No, - dissi. - Non succederà mai, Sophia. Voglio che tu sia libera, e voglio che qualunque relazione fra noi, se mai ci sarà, sia frutto di una tua scelta.

Allentò la presa, cosí che la stretta della sua mano divenne solo un contatto.

- Non posso mentire, - continuai. - Spero che un giorno, prima o poi, tu là fuori sceglierai me. Lo confesso. Ho dei sogni. Sogni sfrenati.

- E cosa sogni? - mi chiese. Adesso la sua presa sul mio braccio era di nuovo stretta.

- Sogno uomini e donne in grado di lavare, nutrire e vestire se stessi. Sogno roseti i cui fiori vadano a chi li coltiva, - dissi. - E sogno di potermi rivolgere a una donna per cui provo dei sentimenti ed esprimere quei sentimenti, gridare quei sentimenti, senza pensare a cosa questo potrebbe significare per gli altri, ma solo per lei e me.

Restammo lí ancora un po', quindi risalimmo il vallone e giungemmo al limitare del bosco. A quel punto il sole stava tramontando su Lockless. Sostammo ai margini del bosco. Sophia disse: - Meglio se continuo da sola -. Annuii e la guardai allontanarsi e sparire. Poi uscii dalla foresta e mi diressi verso la casa, finché non vidi la galleria che portava nella Garenna. E lí nella galleria, in piedi a braccia conserte, c'era Thena.

Anche Thena era stata trasformata dal mio nuovo modo di vedere le cose. Io stavo per scappare, un giovane uomo insieme a una giovane donna, verso una nuova vita, la prima vera vita che avessimo mai avuto, una vita che quei vecchi uomini e donne di colore avevano paura di ricercare. Avevo sperato di salvarli, di salvare tutta Lockless, ma ormai era finita. Erano agnelli in attesa del macello. Gli anziani sapevano tutti cosa stava per succedere. Sapevano quel che sussurrava la terra, perché nessuno era più vicino alla terra di chi la lavorava. Di notte restavano svegli ad ascoltare i fantasmi gementi delle persone di servizio portate via. Sapevano cosa stava per succedere eppure restavano lí ad aspettare. E tutta questa improvvisa vergogna e rabbia, collera e acredine verso coloro che permettevano che ciò accadesse, che restavano stoicamente a guardare i figli che venivano portati via, tutto questo ora lo riversai su Thena, cosí che quando mi vide che uscivo dal bosco, e io vidi lei che mi aspettava a braccia conserte, e vidi la disapprovazione dipinta sul suo volto, provai una rabbia incredibile.

- 'Sera, - dissi. Lei replicò roteando gli occhi. Entrai nella galleria e mi avviai verso la mia stanza. Lei mi seguí. Quando fummo dentro, accese la lampada sulla mensola del camino e chiuse la porta. Poi si sedette su una sedia in un angolo e la fiamma della lampada cominciò a proiettarle ombre sul viso.

- Che ti prende, figliolo? - chiese.

- Non capisco cosa intendi.

- Hai ancora la febbre?

- Thena...

- In queste ultime settimane sei molto strano, molto molto strano. Cosa c'è? Cos'hai?

- Non capisco cosa intendi.

- Be', mettiamola cosí: come diavolo ti è saltato per la testa di gironzolare per Lockless insieme alla ragazza di Nathaniel Walker?

- Io non gironzolo con nessuno. Quella ragazza sceglie con chi accompagnarsi, e lo stesso faccio io.

- E cosí che la pensi, eh?

- Sí, è cosí che la penso.

- Allora sei scemo come sembri.

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