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| << | < | > | >> |Indice3 Il cane 9 Racconto 17 Vanità 23 Quando una donna invecchia 45 La vecchia e i gatti 65 Bugie 71 Mattatoio di vetro |
| << | < | > | >> |Pagina 3Il caneLa scritta sul cancello dice Chien méchant, e il cane di certo è méchant. Ogni volta che lei passa di lí si avventa contro il cancello, ululando dalla voglia di saltarle addosso e farla a pezzi. È un cane grosso, un cane vero, una specie di pastore tedesco o di Rottweiler (lei non s'intende di razze canine). Nei suoi occhi gialli brilla un odio puro che la investe. Dopo, quando la casa col chien méchant è alle sue spalle, lei rimugina su quell'odio. Sa che non ce l'ha proprio con lei: è diretto a chiunque si avvicini al cancello, chiunque passi di lí a piedi o in bicicletta. Ma fin dove arriva quell'odio? È come una corrente elettrica che si accende quando compare qualcuno e si spegne non appena quello ha girato l'angolo? Gli spasmi dell'odio continuano a scuoterlo quando è di nuovo solo o la rabbia si placa immediatamente, e il cane ritorna a uno stato di tranquillità? Lei passa di li in bicicletta due volte al giorno, una volta andando all'ospedale dove lavora e un'altra quando ha finito il suo turno. I suoi orari sono cosí regolari che il cane sa quando aspettarla: e ancora prima che lei compaia è lí che ansima davanti al cancello, impaziente di attaccarla. Poiché la casa è su un pendio, la strada al mattino è in salita e lei procede lentamente; ma la sera per fortuna sfreccia giú in picchiata. Benché non sappia niente di razze canine, le è ben chiara la soddisfazione che l'animale ricava da quegli incontri. La soddisfazione di dominarla, la soddisfazione di essere temuto. Il cane è maschio, non castrato per quanto può vedere. Se sappia o meno che lei è femmina e se ai suoi occhi un essere umano debba appartenere a uno dei due generi corrispondenti a quelli dei cani, e dunque se provi due tipi di soddisfazione insieme - quella di un animale che domina un altro animale e quella di un maschio che domina una femmina -, non ne ha idea. Come fa il cane a sapere che lei, benché non lo dia a vedere, lo teme? Lo sa perché da lei emana l'odore della paura, e non lo può nascondere. Ogni volta che il cane le si avventa contro, un brivido freddo le corre lungo la schiena e una zaffata di odore si spande dalla sua pelle, un odore che il cane coglie subito. Un odore che gli provoca estasi di furore, l'afrore della paura di quell'essere dall'altra parte del cancello. Lei lo teme e lui lo sa. E due volte al giorno aspetta con ansia il passaggio di quest'essere che ha paura di lui e che non può mascherare la sua paura. Che emana l'odore della paura come una cagna emana quello del sesso. Ha letto sant'Agostino. Sant'Agostino dice che la prova piú evidente del peccato originale sta nel fatto che non possiamo controllare i movimenti del nostro corpo. E in particolare l'uomo non può controllare quelli del suo membro, che si comporta come fosse dotato di volontà autonoma; forse si comporta addirittura come fosse posseduto da una volontà estranea. Lei pensa a sant'Agostino mentre arriva ai piedi della collina dove si trova la casa, la casa col cane. Riuscirà a controllarsi questa volta? Riuscirà ad avere la forza di volontà necessaria per bloccare l'umiliante odore della paura? E ogni volta che lo sente ringhiare e pensa che in quella gola potrebbe fremere la rabbia o la bramosia, ogni volta che sente il colpo sordo di quel corpo contro il cancello, scopre la risposta: Oggi no. | << | < | > | >> |Pagina 23Quando una donna invecchiaÈ venuta a trovare sua figlia a Nizza, per la prima volta dopo anni. Suo figlio arriverà dagli Stati Uniti per passare qualche giorno con loro, e poi proseguire verso questo o quel convegno. E strana questa coincidenza di date. Si chiede se non ci sia dietro un qualche accordo, se quei due non abbiano in testa qualcosa, una di quelle proposte che i figli fanno a un genitore che pensano non possa più badare a se stesso. È cosí cocciuta, si saranno detti: cosí cocciuta, cosí testarda, cosí ostinata - come faremo a spuntarla se non ci lavoriamo insieme? Naturalmente le vogliono bene, altrimenti non starebbero lí a programmarle la vita. Eppure lei si sente proprio come uno di quei nobili romani in attesa della pozione fatale, in attesa che qualcuno le dica nel modo piú fiducioso, piú comprensivo, che per il bene di tutti deve buttarla giú senza tante storie. I suoi figli sono e sono sempre stati bravi e rispettosi, per come possono esserlo i figli. Se lei è stata altrettanto brava e rispettosa come madre è un altro discorso. Ma in questa vita non sempre ci tocca quello che meritiamo. I suoi figli dovranno aspettare un'altra vita, un'altra incarnazione, se vogliono pareggiare i conti. Sua figlia dirige una galleria d'arte a Nizza. Ormai è francese a tutti gli effetti. Suo figlio, con la moglie americana e i figli americani, presto sarà, a tutti gli effetti, americano. Una volta lasciato il nido, sono andati lontano. A non sapere come stanno le cose, si potrebbe persino pensare che se ne siano andati per allontanarsi da lei.
Qualsiasi proposta vogliano farle, sarà certamente piena di ambiguità: amore
e sollecitudine da un lato, brusca efficienza e desiderio di sbarazzarsi di lei
dall'altro. Certo, non saranno le ambiguità a turbarla. Si guadagna da vivere
con le ambiguità. Che fine farebbe l'arte del romanzo senza i doppi sensi? Come
sarebbe la vita se ci fossero solo teste e code senza niente in mezzo?
- Quello che piú mi sconcerta via via che invecchio, - dice a suo figlio, - è che mi sento uscire dalle labbra parole che un tempo sentivo dire ai vecchi e che avevo giurato di non dire mai. Cose del tipo dove-sta-andando-il-mondo. Per esempio: Sembra che nessuno piú ricordi che esiste il congiuntivo passato - dove sta andando il mondo? La gente cammina per strada mentre mangia la pizza e parla al cellulare - dove sta andando il mondo? Lui è a Nizza da un giorno, lei da tre. È una giornata di giugno tersa e calda, di quelle che da sempre attirano su questo tratto di costa la gente ricca e annoiata dall'Inghilterra. Ed eccoli qua, loro due, lungo la promenade des Anglais proprio come facevano gli inglesi cent'anni prima con i loro ombrellini e i cappelli di paglia, che passeggiavano deplorando l'ultima fatica di Thomas Hardy, deplorando i boeri. - Deplorare, - dice lei: - un termine che non si sente piú tanto al giorno d'oggi. Nessuno che abbia un po' di buonsenso deplora, a meno che non si voglia far ridere dietro. Una parola vietata, un'attività vietata. E allora che fare? Bisogna tenersele tutte dentro, le cose che deploriamo, finché non ci troviamo in compagnia di altri vecchi e ci sentiamo liberi di snocciolarle tutte insieme? - Con me puoi deplorare tutto quello che ti pare, mamma, - dice John, iI suo bravo e rispettoso figliolo. - Assentirò con un cenno del capo senza prenderti in giro. Cos'altro vorresti deplorare oggi oltre alla pizza? - Non si tratta della pizza, che va benissimo al suo posto, ma di camminare mangiando e parlando, tutto contemporaneamente, è questo che mi sembra cosí volgare. - Sono d'accordo. È volgare o perlomeno poco raffinato. Che altro? - Basta cosí. Quello che deploro non è di per sé tanto interessante. Ma è interessante che anni fa avevo giurato che non l'avrei mai fatto, ed eccomi qua a farlo. Perché ho ceduto? Deploro dove sta andando il mondo. Deploro il corso della storia. Lo deploro con tutto il cuore. Eppure quando mi ascolto che cosa sento? Sento mia madre che deplorava la minigonna, che deplorava la chitarra elettrica. E ricordo quanto mi esasperava. «Sí, mamma», dicevo, e stringevo i denti sperando che la facesse finita. E cosí... | << | < | > | >> |Pagina 78Tre.Mette via il diario e sfoglia gli altri documenti, che in gran parte sembrano recensioni di libri o saggi su vari scrittori. Il piú breve è intitolato Heidegger. Lui non ha mai letto Heidegger ma ha sentito dire che è difficile, impenetrabile. Che cosa ha da dire sua madre su Heidegger? «Sugli animali, Heidegger osserva che il loro accesso al mondo è limitato o svantaggiato: la parola tedesca che usa è arm, povero. Il loro accesso non è povero solo in paragone al nostro, lo è in assoluto. Anche se fa quella considerazione sugli animali in generale, è ragionevole credere che quando ha fatto quell'osservazione avesse in mente animali tipo le pulci o le zecche. Con povero sembra intendere che l'esperienza del mondo dell'animale sia limitata in relazione alla nostra perché l'animale non può agire in modo autonomo ma solo rispondere a stimoli. I sensi della zecca possono essere svegli, ma lo sono solo in relazione a determinati stimoli, per esempio l'odore nell'aria o un tremore nella terra che rivela l'approccio di una creatura a sangue caldo. Rispetto al resto del mondo la zecca può essere anche cieca e sorda. È per questo che, nella lingua di Heidegger, la zecca è weltarm, povera di mondo. E quanto a me? Posso calarmi nell'anima di un cane, o almeno credo; ma in quella di una zecca? Posso condividere l'intensità della sua percezione, quando i suoi sensi si sforzano di fiutare o udire l'avvicinarsi del desiderio? Voglio davvero seguire Heidegger e misurare l'intensità eccitata e risoluta della percezione della zecca rispetto alla mia dispersiva coscienza umana che passa continuamente da un oggetto all'altro? Qual è migliore? Quale preferirei? Quale avrebbe preferito Heidegger stesso? Heidegger ha avuto una relazione famosa, o famigerata, con Hannah Arendt quando era sua allieva. Nelle lettere che le scrive, quelle che sono rimaste, non fa parola della loro intimità. E tuttavia mi chiedo: Cosa cercava Heidegger attraverso Hannah, o attraverso una qualunque delle sue amanti, se non quel momento in cui la coscienza si concentra nell'eccitante, risoluta intensità prima di spegnersi? Cerco di essere giusta con Heidegger. Cerco di imparare da lui. Cerco di afferrare le sue difficili parole tedesche, i suoi difficili pensieri tedeschi. Heidegger dice che per l'animale (ad esempio per la zecca) il mondo consiste, da una parte, in certi stimoli (odori, suoni), e dall'altra in tutto ciò che non è uno stimolo e che dunque potrebbe anche non esistere. Per questo possiamo pensare all'animale (alla zecca) come asservito - asservito non agli odori e ai suoni stessi ma a un appetito di sangue, che gli viene segnalato da odori e suoni. L'asservimento totale a un appetito evidentemente non è vero per gli animali superiori, che mostrano una curiosità per il mondo che li circonda che va ben oltre gli oggetti del loro appetito. Ma non voglio parlare di animali superiori e inferiori. Voglio capire quest'uomo: Heidegger, verso il quale come un ragno lancio la rete della mia curiosità. Poiché è asservito ai suoi appetiti, dice Heidegger, l'animale non può agire nel mondo e sul mondo, in senso stretto: può solo comportarsi, e inoltre può farlo solo all'interno del mondo definito dalle dimensioni, e dai confini, dei suoi sensi. L'animale non può comprendere l'altro in sé e per sé; l'altro non può mai rivelarsi all'animale per quello che è. Perché ogni volta che cerco di afferrare Heidegger e protendo la mia mente verso di lui (come un ragno) lo vedo a letto con la sua focosa studentessa, tutti e due nudi sotto uno di quei gonfi piumini tedeschi, un piovoso giovedì pomeriggio nel Württemberg? Dopo il coito, giacciono uno accanto all'altra: lei lo ascolta e lui continua a parlare dell'animale per il quale il mondo è uno stimolo, un tremore nella terra, una zaffata di sudore, oppure nulla, vuoto, inesistenza. Lui parla, lei ascolta, cercando di capirlo, piena di buona volontà nei confronti del suo professore-amante. Solo a noi, le dice, il mondo si rivela per quello che è. Lei si volta verso di lui e lo tocca, e all'improvviso lui è di nuovo gonfio di desiderio; non si sazia mai di lei, il suo appetito è inestinguibile». Tutto qui. Cosí s'interrompe bruscamente lo scritto di sua madre su Heidegger, tre pagine. Lui cerca fra le carte ma non c'è una quarta pagina. D'impulso le telefona. - Ho letto il tuo pezzo su Heidegger. L'ho trovato interessante, ma cos'è? Il brano di un romanzo? Il frammento di un lavoro abbandonato? Come lo devo interpretare? - Penso tu lo possa definire un lavoro abbandonato, - risponde sua madre. - È cominciato seriamente, e poi è cambiato. Questo è il problema di quasi tutto quello che scrivo oramai. Comincia in un modo e finisce in un altro. - Mamma, - le dice, - io non sono uno scrittore, come tu sai bene, e nemmeno un esperto di Heidegger. Se mi hai mandato il tuo racconto su di lui sperando che ti dicessi cosa farne, mi dispiace dirti che non ti posso aiutare. - Ma non pensi che ci sia il germe di qualcosa lí? L'uomo che pensa che l'esperienza del mondo della zecca sia svantaggiata, o peggio, che pensa che la zecca non abbia percezione del mondo al di là del suo permanente fiutare l'aria in attesa che arrivi la fonte di sangue e che tuttavia ha fame, lui stesso, di quei momenti di estasi in cui la sua percezione del mondo si annulla e lui si perde nell'irrazionale trasporto sensuale...? Non vedi il paradosso? - Sí, lo vedo, mamma. Vedo il paradosso. Ma l'argomento che vuoi sostenere non ti sembra banale? Lascia che lo dica io per te. A differenza degli insetti, noi umani abbiamo una natura divisa. Abbiamo appetiti animali ma abbiamo anche la ragione. Vorremmo vivere la vita della ragione - Heidegger vorrebbe vivere una vita razionale, Hannah Arendt vorrebbe vivere una vita razionale - ma qualche volta non ci riusciamo perché siamo vinti dai nostri appetiti. Siamo vinti e cediamo, ci arrendiamo. Poi, quando i nostri appetiti sono soddisfatti, torniamo alla vita razionale. Che possiamo dire oltre a questo? - Dipende, figlio mio, dipende. Possiamo parlare come persone adulte, io e te? Possiamo parlare come se fossimo due persone che sanno cosa s'intende per vita dei sensi? - Continua. - Pensa al momento in questione, al momento in cui sei solo con la persona davvero amata, davvero desiderata. Pensa al momento dell'atto. Dov'è ciò che chiami ragione in quel momento? Non è forse totalmente cancellata, e noi non siamo forse del tutto indistinguibili in quel momento dalla zecca gonfia di sangue? Oppure dietro a tutto ciò la scintilla della ragione ancora brilla, non spenta, e attende il suo momento per divampare di nuovo, aspetta l'attimo in cui ti separi dal corpo amato e riprendi la tua vita? E in quest'ultimo caso, che faceva quella scintilla di ragione mentre il corpo si allontanava, mentre godeva? Aspettava pazientemente di tornare ad affermarsi o al contrario era piena di malinconia, desiderosa solo di spegnersi, di morire, ma senza sapere come fare? Perché - parlando tra adulti - non è forse questo a inibire i nostri atti sessuali - quella persistente tenue fiammella di ragione, di razionalità? Vorremmo dissolverci nella nostra natura animale ma non possiamo. - E allora? - E allora penso a quell'uomo, a quel Martin Heidegger che vuole essere fiero di essere un uomo, ein Mensch, che ci dice come crea un mondo intorno a sé, weltbildend, come possiamo essere simili a lui, anche noi weltbildend, ma che di fatto non è del tutto sicuro, in fondo, di voler essere ein Mensch, che in certi momenti si chiede se, in una prospettiva piú vasta, non sia meglio essere un cane o una pulce e arrendersi al torrente dell'essere. - Il torrente dell'essere. Non ti seguo. Che cos'è? Spiega. - Il torrente. La piena. Heidegger ha delle premonizioni di come potrebbe essere una simile esperienza, l'esperienza del torrente dell'essere, ma le resiste. Invece la definisce un'esperienza impoverita di essere. La chiama impoverita perché sempre uguale. Ridicolo. Lui seduto alla sua scrivania non fa che scrivere. Das Tier benimmt sich in einer Umgebung, aber nie in einer Welt: l'animale agisce (o si comporta) in un ambiente ma mai in un mondo. Solleva la penna, bussano alla porta. Aspettava quei colpi da quando si è messo a scrivere, i sensi in allerta. Hannah! L'amata! Mette giú la penna. È venuta! Ecco il suo desiderio! - E? - Fine. Non sono riuscita a continuare. Tutto quello che ti ho mandato è così. Non riesco ad andare avanti. Qualcosa mi manca. Un tempo ero in grado di portare avanti le cose, procedere alla fase successiva, ma mi sembra di non esserne piú capace. Gli ingranaggi si bloccano, le luci si spengono. Il meccanismo su cui contavo per procedere alla fase successiva non funziona piú. Non ti spaventare. È la natura - la natura che mi dice che è ora di tornare a casa. Questa è un'altra esperienza su cui Martin Heidegger non era preparato a riflettere: l'esperienza di essere morto. L'esperienza di non essere presente nel mondo. È un'esperienza a pieno titolo. Gliene potrei parlare se fosse qui... almeno delle sue prime manifestazioni. | << | < | > | >> |Pagina 90Sei.Ha finito di leggere. Adesso da lui è l'una di notte, le sei dall'altra parte. Sua madre molto probabilmente ancora dorme. E tuttavia prende il telefono. Si è preparato il discorso. - Grazie per avermi mandato il pacco di documenti, mamma. Li ho letti quasi tutti, e credo di aver capito quello che vorresti che io facessi. Vorresti che dessi forma a questa miscellanea di scritti per farli funzionare insieme, in qualche modo. Ma sai bene quanto me che non sono portato per questo genere di cose. Allora dimmi, qual è il senso di tutto ciò? Cos'è che hai paura di dirmi? Lo so che è l'alba e ti chiedo scusa, ma ti prego di non tacermi niente. C'è qualcosa che non va? Segue un lungo silenzio. Quando alla fine parla, la voce di sua madre è perfettamente chiara. Lucida. - D'accordo. Te lo dico. Io non sono io, John. Qualcosa sta succedendo in me, nella mia mente. Dimentico tutto. Non riesco a concentrarmi. Sono andata dal medico. Vuole che vada in città per fare esami e ho preso appuntamento con un neurologo. Ma nel frattempo cerco di mettere ordine nella mia vita, per ogni eventualità. Non posso nemmeno cominciare a dirti lo stato della mia scrivania. Quello che ti ho spedito è solo una piccola parte. Se mi succede qualcosa la donna delle pulizie butterà tutto nella spazzatura. Che forse è quello che merita. Ma con la mia vanità umana continuo a credere che se ne possa fare qualcosa di buono. Ho risposto alla tua domanda? - Cos'è che pensi che non vada in te? - Non lo so bene. Come dicevo, dimentico le cose. Dimentico me stessa. Mi ritrovo in strada ma non so perché né come ci sono arrivata. Qualche volta dimentico perfino chi sono. Un'esperienza inquietante. Mi sembra di stare perdendo la testa. Cosa del resto prevedibile. Il cervello, poiché è materia, si deteriora, e poiché la mente non è scissa dal cervello, anche la mente si deteriora. Cosí stanno le cose per me, in sintesi. Non riesco a lavorare, non riesco a pensare su un piano piú vasto. Se decidi di non poter fare niente con quelle carte, non ti preoccupare, mettile solo al sicuro. Ma già che ci siamo, lascia che ti racconti quello che è successo ieri sera. In televisione c'era un programma sugli allevamenti su scala industriale. In genere non guardo quella roba, ma ieri sera per qualche motivo non ho spento. Il programma presentava un'incubatrice industriale per polli - un luogo dove fecondano le uova in massa, le fanno schiudere artificialmente e ne definiscono il sesso. La routine è la seguente: il secondo giorno di vita, quando riescono a stare sulle loro zampe, i pulcini vengono messi su un nastro trasportatore che li fa scorrere lentamente fra gli operai il cui compito è determinarne il sesso. Se sei femmina vieni messa in una cassa per essere trasferita a deporre uova in un'azienda avicola, dove passerai la tua vita riproduttiva a fare uova. Se sei maschio rimani sul nastro trasportatore. Alla fine del percorso precipiti lungo un piano inclinato, in fondo al quale un paio di ruote dentate ti riducono a una poltiglia che viene poi sterilizzata e trasformata in mangime o fertilizzante. Ieri sera la telecamera ha seguito un pulcino e il suo avanzamento lungo il nastro trasportatore. Lo vedevi che si diceva: Allora questa è la vita! Confusa, ma non troppo impegnativa per ora. Un paio di mani lo hanno sollevato, hanno scostato la lanugine fra le sue cosce e lo hanno rimesso sul nastro. Quanti esami!, si è detto lui. Questo però mi sa che l'ho superato. Il nastro ha continuato a scorrere. E lui lo ha cavalcato coraggiosamente, affrontando il futuro e tutto quello che il futuro gli riservava. Non riesco a levarmelo dalla testa, John. Tutti quei miliardi di pulcini che nascono in questo mondo meraviglioso e a cui concediamo la grazia di vivere un giorno prima di essere ridotti in poltiglia perché sono del sesso sbagliato, perché non rientrano nel piano commerciale. In generale non so piú bene a cosa credo. Quello in cui credevo sembra essere stato ingoiato dalla nebbia e dalla confusione che ho in testa. E tuttavia mi aggrappo a un'ultima convinzione: che quel pulcino che mi è apparso sullo schermo ieri sera sia apparso per un motivo, lui e gli altri esseri insignificanti che ho incrociato sulla mia strada mentre andavano a morire.
È per loro che scrivo. Quelle vite cosí brevi, cosí
facili da dimenticare. Sono l'unico essere nell'universo che ancora se li
ricorda, a parte Dio. Quando non ci sarò piú rimarrà solo il vuoto. Sarà come se
non fossero mai esistiti. È per questo che ho scritto di loro, per
questo che volevo leggessi di loro. Per tramandartene la memoria. Tutto qui.
2016-2017.
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