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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 7 I. Teorie multiculturali 1. Multiculturalismo quotidiano: la differenza come vincolo e come risorsa, di Enzo Colombo 15 1. Fare i conti con la differenza 15 2. Eccessi di eguaglianza, eccessi di identità 17 3. Eccessi di consistenza, eccessi di fluidità 20 4. La differenza come risorsa politica 24 5. Lo spazio del quotidiano 28 6. Una categoria di pratiche 31 7. Una categoria di analisi 34 2. Teorie multiculturali: approcci normativi, studi idiografici e l'ingombrante presenza del quotidiano, di Giovanni Semi 37 1. Introduzione 37 2. Pianificare la società multiculturale: gli approcci normativi 38 3. L'insostenibile leggerezza della norma 40 4. (Lo sgomento) Dinnanzi alla moltitudine: gli studi idiografici 49 5. E dunque? 55 II. Pratiche multiculturali 3. Lo spazio del multiculturalismo quotidiano, di Giovanni Semi 59 1. Introduzione 59 2. Lo spazio della differenza 60 3. La dialettica tra spazio fisico e interazione sociale 61 4. La differenza fra spazi 63 5. Conflitti multiculturali 65 6. L'incontro "spiacevole" con l'Altro 66 7. Conclusioni 75 4. La diversità religiosa come critica sociale? Un processo di convergenza tra giovani ebrei e musulmani, italiani ed europei, di Annalisa Frisina 77 1. Il multiculturalismo quotidiano e la diversità religiosa 77 2. Generazione post 11/9? 79 3. Laicità in discussione, a partire dalla scuola 82 4. Cittadini si diventa 90 5. Differenze religiose per convivere o per escludere? 96 5. L'estranea di casa: la relazione quotidiana tra datori di lavoro e badanti, di Enzo Colombo 99 1. Multiculturalismo quotidiano e potere 99 2. Il fenomeno "badanti" 100 3. Dislocazioni e ambivalenze 103 4. Dislocazioni di genere 105 5. La differenza come ammortizzatore delle dislocazioni di genere 111 6. Dislocazioni di potere 114 7. La differenza come ammortizzatore delle dislocazioni di potere 117 8. Strategie di controllo delle dislocazioni 119 9. Quando la differenza conta 125 6. Multiculturalismo quotidiano e solidarietà, di Ilenya Camozzi 128 1. Introduzione 128 2. Solidarietà e azione volontaria: le riflessioni sociologiche 131 3. Solidarietà atomistica? 135 4. Il paradosso della solidarietà 142 5. Discorsi e pratiche di solidarietà 150 Bibliografia 155 |
| << | < | > | >> |Pagina 7IntroduzioneQuesto lavoro nasce da una profonda insoddisfazione per l'attuale dibattito sul multiculturalismo. Da anni impegnati in campi di riflessione e ricerca che hanno a che fare con la cosiddetta differenza culturale, con la rappresentazione dell'alterità, con la produzione sociale di pratiche e significati che tracciano confini e distinzioni, producendo spazi di interazione e di esclusione, avvertiamo una crescente distanza tra i modelli principali di lettura e interpretazione della presenza della differenza nella società contemporanea e ciò che riusciamo a vedere, a sentire, a volte a condividere, nella ricerca sul campo. Ci conforta in questa insoddisfazione osservare come diversi autori, che riflettono altrettante prospettive intellettuali e ambienti accademici differenti, in tempi recenti si sono mossi verso direzioni simili, lamentando le complessive mancanze di teorie e lavori empirici (Baumann 1999; Beck 2003, 2004; Sarat 2002; Wise 2006). Il dibattito attuale sul multiculturalismo sembra infatti spesso assumere un carattere ideologico, orientato più a indicare come si vorrebbe che la realtà fosse, piuttosto che cercare di rappresentarla a partire dalle dinamiche, dalle tensioni, dalle intenzioni, dai significati di chi la produce nelle sue pratiche quotidiane. Per questo il dibattito sul multiculturalismo appare dominato da una preoccupazione normativa, che cerca di ricostruire le condizioni ideali per una rispettosa convivenza con la differenza, assumendo ciò che questo termine intende indicare come qualcosa di evidente, di preciso, di stabile. Ma così facendo, il multiculturalismo finisce per considerare le differenze come essenze e contribuisce a trasformarle in qualcosa di immodificabile, che si scontra necessariamente con altre differenze, altrettanto irriducibili e altrettanto immodificabili. La tendenza alla reificazione della differenza – che sembra caratterizzare, in modo più o meno consapevole e più o meno esplicito, il dibattito attuale su presunte difese o riscoperte delle proprie radici e delle proprie identità, su altrettanto presunti scontri di civiltà e di incompatibilità irriducibile di diverse visioni del mondo, determinando le agende e i modi di discussione di temi relativi a immigrazione, trasformazioni della cittadinanza e dei diritti sociali e politici, trasformazioni dei sistemi di rappresentanza e di gestione della sfera pubblica – è stata precocemente denunciata, ma la contromossa delle scienze sociali (teoria femminista, poststrutturalista, postcoloniale e cultural study in primo luogo) si è spesso limitata a decostruire il carattere essenziale attribuito alle differenze, delegittimando il discorso che, producendole, le esalta. L'effetto è spesso stato quello di una sterile ed empiricamente immotivata celebrazione dell'ibrido. La ricerca ha così continuamente visto contrapporsi chi cerca di costruire una coerente e definitiva teoria della giustizia, capace di coniugare eguaglianza del rispetto e delle opportunità con riconoscimento e promozione delle differenze, e chi cerca di decostruire ogni affermazione sociale di differenza, evidenziandone il carattere contingente, indefinito, instabile. Allo studio delle condizioni che rendono possibile una definizione normativa della convivenza multiculturale si affiancano una serie di ricerche idiografiche, spesso di carattere etnografico, che mostrano la variabilità e la mutevolezza delle definizioni di differenza quando le si analizza nelle pratiche minute dell'interazione quotidiana situata. Le prime ricerche hanno spesso ignorato la dimensione empirica, indugiando sulle dimensioni teoriche e formali di una società giusta, le seconde si sono spesso dimostrate incapaci di inserire le ricche osservazioni di campo in un contesto più ampio che consentisse di meglio interpretare il ruolo svolto dalla differenza culturale nella società contemporanea. Da questa insoddisfazione nasce l'esigenza di interrogarsi in modo più articolato e più attento sulle condizioni sociologiche di affermazione e di utilizzo della differenza. Il concetto di multiculturalismo quotidiano ci è sembrato un buon punto di partenza per cercare di ridefinire sociologicamente la differenza e le situazioni ricorrenti in cui viene costruita, invocata, mediata, trasformata, contestata o decostruita. In particolare, ricorrendo al concetto di multiculturalismo quotidiano si cerca di superare una serie di semplici dicotomie che vedono opporsi in modo meccanico e speculare la differenza all'eguaglianza, quindi alla disuguaglianza materiale per infine collassare nell'idea di identità. Al contrario, si cerca di ridare spessore sociologico alla differenza evidenziandone il carattere di risorsa politica, cioè di elemento centrale - che può agire come vincolo o come risorsa - nel quotidiano lavoro di definizione della realtà e della gestione dei confini sociali. Il carattere politico si riferisce alla capacità della differenza di risultare un elemento rilevante nella definizione della situazione e quindi nella lotta per la definizione di regole e criteri di interpretazione della realtà che assumono carattere vincolante, hanno, cioè, la capacità di presentarsi come legittimi e quindi di orientare e impegnare l'interpretazione e l'azione di altri. Politico si riferisce qui alle pratiche necessarie alla definizione di ciò che viene riconosciuto, almeno in forma temporanea, come comune, condiviso, obbligante, legittimo. L'idea di multiculturalismo quotidiano nasce all'interno di una prospettiva costruzionista e processuale che tende a evitare di considerare la differenza qualcosa di pre-sociale, di costitutivo e di fondamentale, capace di determinare – se non si tradisce il proprio profondo essere – il pensiero e le azioni degli attori sociali. Al contrario, è considerata una produzione situata, risultato di confronti e conflitti che hanno luogo in contesti caratterizzati da una distribuzione asimmetrica delle risorse e del potere, ma non di meno necessaria per attribuire senso alla realtà sociale e per organizzare l'agire in essa. Per questo, più che cercare di definire i contenuti o pesare la plausibilità e la fondatezza delle diverse differenze, l'interesse centrale si rivolge agli usi pratici della differenza in contesti di interazione quotidiana. In questo caso, si assume un approccio costruzionista che non si limita a constatare il carattere costruito della realtà sociale ma che si interroga sulle condizioni e sui modi di tale produzione. Un approccio costruzionista che non si lascia facilmente sedurre da un relativismo radicale che rende equivalente ogni tipo di possibile costruzione, ingabbiando in una banale impossibilità di giudizio e comparazione, ma che pur cogliendo il carattere sociale e quindi non necessario di ogni prodotto sociale ne avverte il carattere di "fatto sociale", la reale forza e il potere costitutivo nella definizione della realtà. Questa realtà, se pur costruita socialmente e non derivata da esigenze ontologiche di carattere naturale o trascendentale, costituisce il contesto unico e necessario dell'interazione e della vita individuale e sociale, senza possibilità di fuga o di esenzione. Questo volume riassume il percorso di riflessione sullo statuto sociologico della differenza nella società contemporanea che gli autori e le autrici che hanno contribuito alla sua realizzazione hanno svolto negli ultimi anni. Uniti dal comune interesse per le configurazioni contemporanee delle società multiculturali, gli autori che compaiono in questo volume hanno lavorato perciò in maniera autonoma ai testi qui presentati. Merita però di essere sottolineata l'affinità generale del testo, un'affinità costruita da ciascuno durante diversi incontri e condivisa da tutti. I primi due capitoli costituiscono uno sforzo nella direzione di una più precisa chiarificazione del concetto di multiculturalismo quotidiano, cercando di definirne le coordinate teoriche e di indicarne le principali implicazioni empiriche. Si cerca qui di collocare l'idea di multiculturalismo quotidiano all'interno della riflessione sociologica contemporanea indicando le direzioni verso cui dirigersi per provare a superare una serie di contrapposizioni che appaiono bloccare l'interpretazione della realtà sociale piuttosto che stimolarla. Si propone uno sguardo processuale, dinamico e costruzionista, che non si interroga sulla presunta sostanza della differenza, ma che si concentra sui contesti, le modalità, le tattiche e le strategie del suo utilizzo pratico. Alle posizioni che contrappongono la differenza a eguaglianza e disiguaglianza, alle dispute sul carattere di essenza o di continuo processo che la caratterizzerebbe, alla ricerca di soluzioni normative che assumano valore il più possibile universale o all'insistenza su analisi idiografiche interessate a cogliere l'unicità e la particolarità del singolo fenomeno empirico, si propone di sostituire una prospettiva che sappia prendere sul serio la differenza pur considerandola il risultato di continui processi di costruzione, situati in specifici scenari di potere. La domanda principale si sposta allora da questioni che riguardano la "sostanza" e la "natura" delle differenze per concentrarsi sulle pratiche situate del loro utilizzo. Ai due capitoli iniziali, segue una seconda parte in cui vengono presentati quattro lavori empirici che si richiamano, con modi e con stili diversi, all'idea di multiculturalismo quotidiano. Questi capitoli intendono costituire degli esempi di ricerca e cercano di concretizzare, evidenziandone le potenzialità e i limiti empirici, l'impostazione teorica presentata in precedenza, non intendono invece esaurire i possibili ambiti di ricerca a cui applicare la prospettiva del multiculturalismo quotidiano. Nel primo capitolo di questa seconda parte del volume, Semi illustra la dimensione urbana delle pratiche di rapporto con la differenza. Viene ribadita la rilevanza dello spazio in quanto dimensione costitutiva delle società. Per riproporre l'argomento spaziale, viene recuperato un approccio interazionista, che parte da Simmel per arrivare ad autori contemporanei come Goffman, de Certeau e Lofland, e che insiste sulla dialettica tra ambiente costruito e situazioni sociali, tra luoghi e spazi. Gli ordinamenti spaziali della società sono il teatro in cui si manifestano delle situazioni urbane e moderne tipiche, prima fra tutte il conflitto. Ricorrendo quindi a materiale etnografico prodotto in un quartiere centrale di Torino, Semi propone una descrizione densa di due eventi conflittuali tra di loro collegati, come una protesta contro la manifestazione commerciale di una forma di alterità percepita come radicale e una riunione infuocata di un comitato di quartiere. Due eventi che mostrano come la differenza sia oggetto di retoriche specifiche che, in quanto tali, possono però venire utilizzate in maniera creativa e paradossale, a seconda del posizionamento degli attori sociali, in un processo di interazione. Un quartiere si trasformerà dunque in un'arena pubblica difensiva contro alcuni stranieri dimostrando un certo grado di coesione ma potrà assumere le parvenze anche di uno spazio pubblico dinamico e frammentato al proprio interno a dimostrazione delle diffuse e molteplici competenze discorsive a disposizione delle persone. I contesti urbani appaiono quindi come sovrapposizioni di interazioni spazializzate e situate, dove il multiculturalismo non costituisce semplicemente un ideale normativo da seguire o un insieme di retoriche cui far riferimento in caso di necessità o di calcolo politico ma un vero e proprio frame che incide su pratiche e rappresentazioni degli attori sociali coinvolti. Nel quarto capitolo, Frisina insiste sul carattere ambivalente della differenza – in questo specifico caso, culturale e religiosa – che si dimostra capace di presentarsi sia come risorsa e opportunità di partecipazione, sia come vincolo e fattore di discriminazione. In particolare, si evidenzia come la differenza possa costituire un elemento di base per ridefinire il dato per scontato e i modelli di pensiero e di azione dominanti, aprendo un terreno per la critica sociale. Il rimando alle specifiche differenze consente infatti di rimettere in discussione la presunta "normalità" riaprendo la discussione — sollecitando la necessità di fornire argomentazioni plausibili e legittime — sullo status quo e sulle regole dominanti. Basandosi sull'osservazione partecipante di momenti di confronto tra giovani impegnati in differenti associazioni religiose che aspirano ad avere visibilità e ascolto sulla scena pubblica, Frisina evidenzia come questa élite di giovani — giovani che hanno elevato capitale sociale e che sono interessati all'attività politica — utilizzino le loro rispettive differenze sia per favorire fenomeni di "convergenza", che evidenzino il loro comune interesse verso una società capace di riconoscere e rispettare le differenze religiose, sia per evidenziare le rispettive specificità e per stigmatizzare le dimensioni discriminanti e di aperta tolleranza che si accusa caratterizzino, storicamente, le posizioni delle religioni diverse dalla propria. La differenza risulta così una risorsa strategica da utilizzare per favorire inclusioni e nuove alleanze — in questo caso per decostruire le immagini reificate su scala macro che rappresentano la fede religiosa come caratterizzata da atteggiamenti integralisti e ostili alla convivenza entro uno stato democratico –, ma anche una continua potenziale risorsa per rimettere in discussione la legittimità dei rapporti di forza attuali — per accusare i fedeli della religione dominante di essere complici delle azioni repressive e discriminanti della maggioranza, o di non denunciarle con sufficiente forza. Nel capitolo successivo, Colombo intende portare l'attenzione su un aspetto rilevante dell'interazione quotidiana con la differenza evidenziando il contenuto di potere che la caratterizza. Non tutti i soggetti hanno pari possibilità e pari capacità di nominare e stabilire una differenza in grado di creare differenza: molto spesso questa abilità sociale è distribuita in modo fortemente asimmetrico e diviene una risorsa fondamentale per escludere altri gruppi sociali dalla fruizione dei diritti e delle risorse di cui ci si ritiene legittimi fruitori, nonché per occultare e giustificare le discriminazioni prodotte. L'uso della differenza non è dunque qualcosa che riguarda esclusivamente o principalmente le "minoranze", ma uno strumento comune nella costruzione della realtà sociale, spesso risorsa per i più forti e i più privilegiati per garantirsi forme di chiusura sociale favorevoli. L'esperienza contemporanea di una differenza che è divenuta elemento costante delle relazioni quotidiane, di una differenza che "oggi c'è e domani rimane", che non può essere ignorata o evitata ma che deve essere dotata di senso, costringe a un continuo lavoro di costruzione di distinzioni e di confini che consentano di gestire le differenze di interesse e di potere e di salvaguardare i vantaggi acquisiti. Saldandosi alle dimensioni di genere e alle differenze nella disponibilità di risorse materiali, la differenza culturale, declinata nel registro etnico, diviene un elemento giustificativo, ritenuto evidente, comprensibile e legittimo, della situazione esistente. Ma tutto ciò deve essere fatto coniugando l'interesse alla chiusura con altri discorsi che considerano un valore irrinunciabile il rispetto, il riconoscimento e l'interesse per la differenza. Il multiculturalismo quotidiano si rivela così un processo continuo di gestione dell'ambiguità e dell'ambivalenza della differenza: elemento di identità e di solidarietà, di attrazione e di conflitto, strumento per l'identificazione e per il dominio. Nell'ultimo capitolo, Camozzi pone al centro della sua analisi le pratiche della solidarietà all'interno delle associazioni di volontariato. La solidarietà è vista come uno degli elementi strutturanti la società civile: nelle società contemporanee i fenomeni associativi legati alle pratiche solidali costituiscono un fondamentale tratto di unione tra la dimensione pubblica, statale — inefficace nel riconoscere e valorizzare le specificità e nel fornire risposte adeguate alle esigenze locali — e la dimensione individuale — inefficace nel trovare soluzioni a problemi sistemici e a garantire riconoscimento e stima. In questo "luogo interstiziale" la differenza agisce sia come necessario elemento unificante e capace di orientare la relazione solidaristica — in un contesto di solidarietà "organica", per rinviare alla distinzione durkheimiana — sia come indispensabile base per il riconoscimento reciproco, come fondamento per lo sviluppo di un'azione autonoma e autodiretta, perché rafforzata da autostima e inserita in una relazione di legittimazione reciproca. Il lavoro di Camozzi lascia emergere l'ambivalenza di un contesto – lo spazio di incontro e di azione delle associazioni di volontariato — in cui si ricerca un'eguaglianza che sappia annullare, o almeno mitigare, la disuguaglianza materiale e la discriminazione vissuta nei contesti lavorativi e di interazione quotidiana, ma che per rivelarsi efficace e per garantire riconoscimento e rispetto deve saper evidenziare la specificità, l'autonomia, la differenza. Passare dal codice dell'uguaglianza a quello del riconoscimento delle differenze provoca frizioni e interpretazioni differenziate, mettendo in luce le asimmetrie di potere. La differenza, costituendo un elemento centrale per la solidarietà, il riconoscimento e l'azione sociale autonoma consente di cogliere come il tema del multiculturalismo quotidiano trascenda la dimensione dell'interazione diretta per rappresentare una prospettiva utile all'analisi della struttura delle relazioni nello spazio pubblico. Qui, piano normativo e piano intersoggettivo si intersecano, favorendo nuove domande di inclusione e di partecipazione, ma rendendo esplicito il contenuto di potere che struttura i modelli e i confini dello spazio pubblico. | << | < | > | >> |Pagina 1353. Solidarietà atomistica?Tali precisazioni teoriche permettono ora di addentrarsi all'interno delle narrazioni dei volontari italiani impegnati all'interno delle associazioni di terzo settore. Molti volontari — soprattutto i giovani e i giovani adulti — dichiarano di aver cominciato a collaborare con tali gruppi "per curiosità" e "fascino verso gli stranieri" ribadendo l'estrema attualità della lettura simmeliana della figura dello straniero (Simmel, 1908). Maria e Laura, ad esempio, argomentano la decisione di impegnarsi su tale fronte attraverso le testimonianze di seguito riportate. L'una è stata catturata dalla lettura di un manifesto di propaganda e da parole chiave quali "integrazione, intercultura, scambio"; l'altra, dalla possibilità di lavorare con gli stranieri in un modo alternativo alla gestione istituzionale. Perché ne avevo visto i volantini relativi ad un cineforum che organizzava questa associazione... si parlava di integrazione, intercultura, scambio attraverso la visione di film a tema e poi da qualche tempo mi era venuta sta cosa di fare qualcosa con gli stranieri... ne ero molto affascinata! (Maria, 32 anni, impiegata). In parte per caso e poi perché potevo insegnare e lo volevo fare... penso che sia un settore con grandi prospettive, ci sono giovani persone... è un settore importante della società che si sta sviluppando e non seguito dalle istituzioni (Laura, 32 anni, educatrice). Altri soggetti, soprattutto i volontari più adulti, hanno aggiunto "la voglia di darsi da fare per gli altri" come sottolinea Carla, utilizzando delle competenze già acquisite legate alla propria attività lavorativa. In pensione da alcuni anni, Carla, ha cercato di coniugare la sua passione per l'insegnamento con la voglia di "rendersi utile con gli stranieri" di cui ha conosciuto le difficoltà materiali e simboliche di vita in un paese a loro estraneo. Perché sono insegnante... l'interesse per fare qualcosa l'insegnamento con adulti e quindi gioco-forza... negli umanisti dove ero prima sono venuta a contatto dei problemi delle persone straniere e quindi ho visto delle cose da fare... Per fare qualcosa vicino al lavoro ma soprattutto per rendermi utile con gli stranieri (Carla, 62 anni, pensionata). Giuliana, che in seguito ha lasciato insoddisfatta il contesto dell'associazionismo volontario e di cui si darà conto, ha letto il suo impegno come una sfida ai pregiudizi crescenti attorno ai processi migratori e allo straniero soprattutto tra gli amici. Lo stupore nel leggere tra questi ultimi la sensazione di essere minacciati dal "pericolo straniero", l'ha indotta ad esporsi in prima persona e vivere l'esperienza del rapporto quotidiano con lo straniero. Sentivo che nasceva il fenomeno e una certa ostilità, di pari passo, tra le persone, tra quelle chiuse d'accordo lo sapevo ma anche tra persone di cui non avrei mai detto... si sentivamo minacciati. Ero indecisa tra la Cgil e questa associazione, scelsi quest'ultima per comodità abitando vicina (Giuliana, 55 anni, pensionata). Filippo, insegnante di 51 anni, non è stato smentito rispetto alle impressioni di "vivacità" e "ricchezza" della relazione con gli stranieri e descrive quello che, anche dopo 3 anni di attività, è il lato positivo dell'attività. La sensazione di arricchimento personale che trae dal rapporto pressoché quotidiano con gli stranieri dell'associazione è strettamente legata alla riscoperta, a suo dire, del "sapore della semplicità" che la complessità del "noi" occidentale e italiano, nel caso specifico, ha dimenticato. Per la vivacità che aleggia... per la sensazione di ricchezza nel conoscere persone straniere. Molte situazioni positive. In cui ti senti arricchito... persone che vengono da lontano ti ridanno il sapore della semplicità che noi abbiamo perso (Filippo, 51 anni, insegnante). L'incontro con persone provenienti da molti paesi lontani e differenti genera l'entusiasmo di molti volontari, come testimoniano anche Marta e Cristina che insegnano italiano. E poi in generale tanta contentezza alle lezioni di italiano... ne esci svuotata ma felice... quando assisti ai loro (non di tutti) sforzi... il macello tra gente africana, albanese, filippina, cinese nel capirsi! (Marta, 22 anni, studentessa). Al corso avevo gente di ogni paese: un danese, un inglese, un cinese, un rumeno... che bella integrazione... uscivano insieme... Adesso sono nel coordinamento delle scuole di Milano e li vedo interessati quando gli racconto o chiedo delle cose intime delle loro esperienze... ti raccontano che sono arrivati con la scialuppa, del lavoro; mi confronto anche con le mie idee... provo piacere... si crea una relazione paritaria in cui tutti parlano di sé (Cristina, 27 anni, studentessa). La conoscenza di nuove soggettività con storie particolari e molto diverse rappresenta spesso una medaglia con un rovescio. Laura sottolinea, per esempio, che "la cosa più bella" dell'esperienza che sta vivendo è "entrare in contatto, in generale, con queste persone, con esperienze di vita importanti... ricche... con loro si può stabilire un rapporto intenso e scambio profondo... a livello umano proprio". Il rapporto con lo straniero non si legherebbe dunque a delle pure finalità materiali, organizzate attorno all'erogazione di servizi di sostegno a soggetti con difficoltà concrete, ma si struttura sulla base di una ricerca di contatto con le loro soggettività. Tuttavia l'approfondimento – ricercato e reciprocamente voluto – dei rapporti con i soggetti stranieri è al tempo stesso la modalità che svela una sorta di limite. Laura stessa sottolinea la difficoltà di creare un autentico contatto con gli stranieri, volontari e utenti dei servizi, legata ad un'appartenenza culturale che impedisce, a suo dire, di entrare in contatto con tali soggetti e che incide sulle pratiche sociali quotidiane. Mi accorgo che c'è lo scontro culturale e quello che è peggio è che spesso non è così evidente... sono dinamiche da capire, strane per noi e per loro... ci sono atteggiamenti, codici incomprensibili da ambo le parti... e con il contatto diretto e la conoscenza si tocca con mano questo aspetto (Laura, 32 anni, educatrice). Le difficoltà di relazione sia con gli stranieri che si appoggiano ai servizi delle associazioni ma anche con gli stranieri volontari sono numerose e hanno influito, in vario modo, sulla decisione di continuare l'esperienza. Alcuni soggetti sottolineano la necessità di una "totale solidarietà e sostegno" nonostante le fatiche di capirsi vicendevolmente a causa della lingua e delle "differenze culturali". Cercare di mettere in pratica la solidarietà, riferisce Angela, rappresenta "già qualcosa" soprattutto a fronte della presa di coscienza di una sorta di invisibilità degli stranieri (Bauman, 1993; 1995) all'interno della società italiana. È sempre molto difficile relazionarsi, comprendersi, individuare le aspettative a causa delle differenze ma la nostra attività è l'unica che può fare qualcosa... non si può mollare il colpo anche se siamo una goccia nel mare... è un impegno quotidiano di incontro e comprensione... loro vengono, ti chiedono lavoro e tu puoi fare poco... mi piacerebbe qualcosa di più concreto per loro... intanto essere solidali è già qualcosa (Angela, 45 anni, impiegata). Al concetto di solidarietà fa riferimento, in altro modo, anche Mauro che cerca di attribuire un significato al suo impegno in rapporto ai migranti. L'atteggiamento solidale — "la voglia di fare qualcosa con altri e in favore di altri" — permetterebbe, a suo dire, di produrre una reazione a catena e di generare una solidarietà che definisce "estesa". Si tratta di una solidarietà estesa... moltiplicativa... fai qualcosa con altri a favore di... e inneschi reazioni come l'onda... è impegno solidale... per uno che aveva nella mente di cambiare il mondo ti devi nutrire di un atteggiamento di solidarietà... di voglia di fare per altri (Mauro, 56 anni, insegnante). Il termine solidarietà non ha, d'altro canto, una definizione univoca nemmeno tra i vari volontari. In un caso – le associazioni cattoliche – essa si ispira direttamente ai valori cristiani di aiuto e sostegno al prossimo; nell'altro è fratellanza, uguaglianza, incontro con l'alterità. Emblematici in questo caso sono le due testimonianze che seguono. Per Valentina essere solidali significa essere "buoni cristiani" e aiutare il prossimo come gesto di reciprocità; per Giuliana, invece, la solidarietà è "fare qualcosa per altri... per il genere umano in generale" a prescindere da qualsiasi forma di contro-partita. Beh, l'insegnamento del Vangelo è fondamentale in questo... è necessario per essere buoni cristiani essere solidali e considerare tutti come fratelli. È necessario aiutare il tuo prossimo e riceverai in cambio... in questo caso i bisogni degli stranieri sono molti e sconfinati! (Valentina, 40 anni, impiegata). Fare volontariato, fare qualcosa per gli altri... dare tempo per gli altri manifesta un atteggiamento solidale verso il genere umano in generale. Poi lo fa chi ha risorse (culturali, per es.)... poi ho una base cattolica nelle mie radici nonostante le scelte laiche nei miei percorsi di sinistra. Do gratis però senza chiedere la conversione, come i cattolici (Giuliana, 55 anni, pensionata). Lo "scambio" solidale non è mai reciproco, secondo Laura, ma è la manifestazione di un'offerta di aiuto a chi ne ha bisogno in uno specifico momento. In tal senso, Laura sembra concordare con il significato di "solidarietà moltiplicativa" espressa da Mauro. La vedo così... io ti posso aiutare a fare qualcosa e qualcuno un giorno aiuterà me... non sei tu perché non puoi aiutarmi su una cosa di cui ho bisogno... lo scambio non è reciproco ma qualcuno aiuterà me. Non è reciproca la solidarietà, cioè tra le due stesse persone... una volta ho aiutato un ragazzo argentino... e lui mi ha detto renderò il favore a qualcun altro (Laura, 32 anni, educatrice). L'eterogeneità di percezione dei contenuti del termine solidarietà è sottolineato anche da Cristina, studentessa, 26 anni, che lo definisce "ambiguo". È ferma nel distinguere un'offerta di aiuto "da tua pari" a qualcuno che è in difficoltà, un amico, ad esempio, da un'azione di puro assistenzialismo". Cristina individua il cuore del problema ponendo in discussione l'azione solidale come auto-gratificazione e come reale forma empatica con un soggetto che chiede sostegno. Dipende dall'accezione... se è capire i tuoi problemi e aiutarti a venirne a capo ma come tua pari, sì... ad esempio ad un amico che si trova in difficoltà gli sono vicina. Visto come puro assistenzialismo no, non ha senso... solidarietà forse è soltanto una parola. Il termine è un po' ambiguo... fa pensare a qualcosa per cui sono a posto con me stessa e ti posso aiutare... ma così non mi piace (Cristina, 26 anni, studentessa). Su che cosa non è solidale sembra invece avere le idee chiare Maria che, dopo gli entusiasmi iniziali del suo impegno all'interno di un'associazione, evidenzia le difficoltà estreme nel rapporto con gli stranieri e accusa gli altri volontari italiani di incentivare e assecondare un certo tipo di atteggiamento. La narrazione di un episodio accaduto in occasione di una festa, costituisce il momento di presa di coscienza dell'esistenza di meccanismi distorti nei rapporti tra italiani e migranti. Appare sicura nel denunciare, da ambo i lati, aspettative e azioni non pienamente coincidenti per le stesse parti interessate. Mah, certi atteggiamenti degli stessi stranieri non li reggevo più... avevo la sensazione che molti venissero per succhiare il più possibile e nemmeno ti guardavano in faccia... forse ero io ad avere una visione idealizzata da "vogliamoci tutti bene e non riuscivo a capire che in fondo molti stranieri erano disperati, lavoravano 12 ore al giorno, vivevano in case con altre 20 persone e che non avevano tempo per guardarti in faccia. Boh, sono andata in crisi... non mi piaceva il tutto e poi mi sembrava che gli altri ragazzi italiani, i volontari, assecondassero e in un certo modo amplificassero questo rapporto... due anni fa alla festa di Natale avevamo richiesto che ogni studente portasse un succo, un dolce, 'ste cose per fare un brindisi e invece nulla... tavole imbandite da altre fonti (noi soprattutto e pochi stranieri) e alla fine il clou senza che se ne fosse parlato in riunione, tre volontarie hanno tirato fuori 50 quaderni e penne tipo regalo di Natale... la scena è stata terribile tipo da missionari in Africa e tutti loro che si scannavano, fra un po', per venire a prendersi il regalo... io lì non ci ho più visto! (Maria, 32 anni, impiegata). I gravi – a suo dire – episodi descritti hanno rappresentato il motivo per lasciare in seguito l'associazione. Tale spazio creerebbe, anche sulla base di uno scambio di vedute con alcuni volontari migranti, l'occasione per esercitare dinamiche di potere da parte degli italiani e non l'opportunità di "capirci qualcosa in più" creando un effettivo confronto reciproco. La sua testimonianza mette in luce i complessi conflitti che regolano lo spazio della quotidianità nell'incontro con l'alterità e che producono meccanismi e pratiche sempre in-divenire all'interno del multiculturalismo quotidiano. C'è stata una discussione a fine festa e molti mi hanno dato dietro... io questo lo reputo solo assistenzialismo e non ci vedo nulla di costruttivo... di questo tra l'altro mi sono anche trovata a discuterne con alcuni ragazzi stranieri che me lo hanno svelato... soprattutto quelli con più anni di esperienze, gente che faceva il volontario a sua volta... non gli va giù questo modo di gestire le cose... s' perché alla fine gestiamo noi anche se ci sono stranieri nel collettivo... e poi in una certa fascia di ragazzi simil-alternativi della sinistra milanese fa moda in questo momento entrare in associazioni per stranieri... ma mi sembra che non gliene freghi realmente niente a nessuno di capirci qualcosa in più... no così il volontariato non funziona... forse non funziona il volontariato in generale, non so... sono molto confusa l'unica certezza è che non voglio più saperne (Maria, 32 anni, impiegata). Il rapporto dei volontari italiani verso gli stranieri, nelle doppie vesti di beneficiari dei servizi e di volontari, sembra caratterizzarsi dalla testimonianza precedente, da impronte paternalistiche e da una forte frattura tra il noi e il loro. Tale atteggiamento potrebbe, d'altro canto, essere letto anche nelle parole di Mauro che da un lato sottolinea una certa incapacità da parte degli stranieri di capire realmente la situazione italiana e di individuare gli strumenti efficaci per modificarla positivamente. Dall'altro, riconosce che il problema delle relazioni tra soggetti italiani e stranieri "non dipende dal fuori ma dal dentro". Nel descrivere l'"incapacità" degli stranieri nel comprendere la "questione stranieri" all'interno della cosiddetta "società d'accoglienza" – soprattutto a livello istituzionale – e una conseguente inefficacia delle azioni intraprese da parte dei gruppi costituiti da soli stranieri, Mauro si pone nella prospettiva di chi, soltanto, può coordinare e organizzare atti finalizzati alla costruzione di "itinerari lunghi e di successo". In tal senso emergono, di nuovo, le ambivalenze degli attori coinvolti nel rapporto quotidiano con l'alterità e i tentativi di tracciare dei confini che vengono inevitabilmente varcati, decostruiti e poi un'altra volta eretti.
L'associazionismo si rivolge a stranieri senza permesso quindi sono pesanti
e difficili da gestire... è difficile proporre itinerari lunghi e di successo
perché sono stranieri e con la legge ora è molto dura... intendo dire che le
difficoltà sono maggiori... Ci sono stranieri che fanno esperienze con italiani
ma poi falliscono. Sono solo stranieri magari ma non interagiscono con italiani
e non smuovono le cose... non interagiscono con gli italiani sono
chiusi e se lo fanno c'è scontro... ci sono molte problematiche... ci sono
stranieri che non hanno mai fatto parte di gruppi politici e si trovano qui dove
è difficile farle... si attivano con entusiasmo, d'accordo ma vogliono correre,
non tengono presente la situazione italiana... si buttano ma non sanno
gestirsela e aumentano frustrazione e rabbia e scoppia il conflitto all'interno
alle associazioni. Non dipende dal fuori ma dal dentro... (Mauro, 56 anni,
insegnante).
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