Autore Michael Connelly
Titolo La caduta
EdizionePiemme, Milano, 2015 [2014], NumeriPrimi , pag. 346, cop.fle., dim. 14x21,5x2,6 cm , Isbn 978-88-6621-631-5
OriginaleThe Drop [2011]
TraduttoreMariagiulia Castagnone
LettoreAngela Razzini, 2015
Classe gialli , thriller












 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 7

1



NATALE VENIVA UNA VOLTA AL MESE all'Unità Casi Irrisolti: quando il tenente, in veste di Santa Claus, faceva il giro della stanza assegnando i casi come se fossero regali alle sei squadre di detective. I cosiddetti "casi freddi", avvenuti in passato e rimasti senza soluzione, erano la linfa vitale dell'Unità Casi Irrisolti. Lì gli agenti non si aspettavano di essere chiamati a presentarsi immediatamente sulla scena di un crimine, quello che si aspettavano era di vedersi aggiudicare un caso freddo.

L'Unità era specializzata nelle indagini su delitti che risalivano fino a cinquant'anni prima. Era composta da dodici detective, una segretaria, un supervisore, abitualmente chiamato "la frusta", e dal tenente. I casi che non avevano ancora trovato soluzione erano diecimila. Gli anni venivano divisi a blocchi di dieci tra le prime cinque squadre, il cui compito era quello di tirar fuori dagli archivi i fascicoli dei delitti verificatisi nel periodo di loro competenza, di valutarli e di sottoporre le prove, ormai vecchie e dimenticate, a ulteriori analisi sulla base delle nuove tecnologie. Tutti gli esami del dna erano effettuati nel nuovo laboratorio regionale dell'Università della California. Quando il dna rilevato in un vecchio caso coincideva con quello di un individuo il cui profilo genetico era contenuto in uno dei database della nazione, l'evento veniva festeggiato come un successo. Alla fine di ogni mese il laboratorio spediva per posta i referti delle analisi, che un paio di giorni dopo approdavano alla sede amministrativa della polizia, nel centro di Los Angeles. In quelle occasioni, alle otto del mattino il tenente apriva la porta del suo ufficio ed entrava nella sala detective. In mano teneva le buste gialle delle risposte, una per ogni caso. Di solito le buste venivano affidate alla squadra responsabile del caso, ma a volte capitava che gli esiti fossero troppo numerosi, o che gli agenti che dovevano occuparsene fossero in tribunale, oppure in vacanza, o in congedo. Altre volte gli esami rivelavano circostanze che richiedevano grande delicatezza o una particolare esperienza. Era a questo punto che interveniva la sesta squadra, nelle persone dei detective Harry Bosch e David Chu. A loro erano affidati i casi in soprannumero e le indagini speciali.

La mattina di lunedì 3 ottobre il tenente Gail Duvall uscì dal suo ufficio ed entrò nella sala detective, portando con lei tre buste gialle. Harry Bosch trattenne a stento un sospiro: con quelle poche risposte, era ben difficile che fosse affidato proprio a lui un nuovo caso.

Era tornato nell'unità da quasi un anno, dopo i due che aveva passato alla Speciale Omicidi. Era il suo secondo incarico alla Casi Irrisolti e non ci aveva messo molto a riadattarsi ai ritmi della squadra, non certo frenetici. Nessuno che si precipitasse fuori dalla porta per raggiungere la scena del crimine, anzi, la scena del crimine non esisteva proprio, c'erano solo dossier e scatole in cui era contenuto il materiale d'archivio. Le giornate lì dentro erano scandite da una routine da ufficio, con un orario dalle otto alle cinque e una particolarità rispetto alle altre divisioni, e cioè che si viaggiava di più. I criminali che erano riusciti a farla franca tendevano a non rimanere in zona. Si trasferivano in altre località, con il risultato che i detective dell'UCI erano costretti a spostarsi per andare a prelevarli.

Il momento cruciale della vita delle squadre era rappresentato dall'arrivo delle buste gialle, culmine di un ciclo mensile in cui attendere era la prassi. A volte Bosch trovava difficile dormire nelle notti che precedevano il Natale. Non si prendeva mai un giorno libero nella prima settimana del mese e non arrivava mai tardi al lavoro se c'era la possibilità di ricevere le buste. Persino sua figlia, che era ormai un'adolescente, si era accorta di questo alternarsi mensile di agitazione e attesa e lo aveva paragonato al ciclo mestruale. Bosch non lo aveva trovato affatto divertente e si imbarazzava di fronte alle allusioni della ragazza.

La sua delusione alla vista dell'esiguo pacchetto nelle mani della donna fu qualcosa di palpabile, che si manifestò con una sorta di nodo alla gola. Voleva un nuovo caso. Aveva bisogno di un nuovo caso. Aveva bisogno di vedere l'espressione sul viso dell'assassino quando avrebbe bussato alla sua porta e gli avrebbe mostrato il tesserino, simbolo di una giustizia inattesa che reclamava il suo credito dopo tanti anni. Era una sorta di dipendenza, una bramosia che non gli dava tregua.

Il tenente porse la prima busta a Rick Jackson. Lui e il suo partner, Rich Bengtson, erano investigatori di grande affidabilità, che lavoravano all'unità sin dai suoi esordi. Bosch non aveva elementi per lamentarsi in questo caso. La busta successiva fu depositata sulla scrivania vuota appartenente a Teddy Baker. Lei e il suo partner, Greg Kehoe, stavano tornando da Tampa, dove erano stati a prelevare un criminale, un pilota che, grazie alle impronte, era stato collegato all'omicidio per strangolamento di un assistente di volo, avvenuto nel 1991 a Marina del Rey. Bosch stava per suggerire al tenente che Baker e Kehoe dovevano già avere il loro bel daffare con il caso di Marina del Rey e che quindi la busta avrebbe dovuto essere assegnata a un'altra squadra, più precisamente la sua, quando Gail Duvall lo guardò, facendogli cenno di seguirla nel suo ufficio.

«Ti dispiace entrare per un attimo? Anche tu, Tim.»

Tim Marcia era la "frusta" dell'ufficio, l'agente che aveva compiti di supervisione e gestiva le sostituzioni all'interno della squadra. Addestrava le reclute e si assicurava che i detective più anziani non si impigrissero. Comunque, visto che Jackson e Bosch erano gli unici due rappresentanti di quest'ultima categoria, Marcia aveva ben poco da preoccuparsi su questo fronte. Entrambi erano stati assegnati all'unità per la loro determinazione a venire a capo dei casi che non avevano ancora trovato soluzione.

Bosch si alzò prima ancora che il tenente finisse di parlare e si diresse verso il suo ufficio, con Chu e Marcia al seguito.

«Chiudete la porta e sedetevi» disse Duvall.

L'ufficio era una stanza d'angolo con le finestre che guardavano su Spring Street e la sede del «Los Angeles Times». Il tenente Duvall, ossessionata che i cronisti potessero sbirciare all'interno, teneva le veneziane perennemente abbassate, con il risultato che sembrava di essere in una grotta. Bosch e Chu si accomodarono sulle due sedie di fronte alla scrivania, Marcia invece si piazzò di lato, appoggiandosi contro una vecchia cassaforte che conteneva le prove.

«Voglio che vi occupiate voi di questa faccenda» disse, porgendo a Bosch la busta gialla. «C'è qualcosa che non va, ma vi chiedo la massima discrezione finché non scoprirete che cosa è successo. Tenete Tim al corrente dei vostri progressi, ma non parlatene con nessun altro.»

La busta era già stata aperta. Chu si protese a guardare, mentre Harry sollevava il lembo posteriore ed estraeva il rapporto relativo al caso, su cui erano riportati il numero della pratica, oltre al nome, alla data di nascita, all'ultimo domicilio conosciuto e alla storia criminale della persona il cui profilo genetico corrispondeva al dna che era stato sottoposto a esame. Bosch notò come prima cosa che il numero del caso iniziava con l'89, il che significava che l'evento risaliva al 1989. Il crimine non veniva descritto, ma Bosch sapeva che i casi relativi a quell'anno erano stati assegnati alla squadra formata da Ross Shuler e Adriana Dolan. Lo sapeva perché il 1989 era stato un anno molto impegnativo per lui, quando lavorava alla Speciale Omicidi, e recentemente, quando era andato a controllare uno dei casi irrisolti di cui si era occupato, aveva scoperto che l'intero periodo era passato sotto la giurisdizione dei due colleghi. All'unità venivano chiamati «i ragazzi». Erano giovani, appassionati e molto abili, ma tra loro avevano appena otto anni di esperienza nel settore. Quindi, se un caso presentava degli aspetti insoliti non c'era da sorprendersi che il tenente lo assegnasse a Bosch, il quale aveva al suo attivo un'esperienza pluriennale, superiore a quella di chiunque altro. A parte Jackson, naturalmente, che era nel campo da sempre.

Il nome sul rapporto era Clayton S. Pell. A Bosch non diceva niente. Ma i precedenti di Pell comprendevano numerosi arresti e tre condanne, una per atti osceni e le altre rispettivamente per sequestro di persona e stupro. Aveva passato sei anni in prigione per quest'ultimo crimine ed era stato rilasciato da diciotto mesi. Ora era in libertà condizionata e l'ultimo domicilio conosciuto era quello registrato presso la commissione di controllo. Abitava in un centro di reinserimento per responsabili di criminí a sfondo sessuale, a Panorama City.

Tenendo conto del passato di Pell, Bosch era convinto che anche l'omicidio commesso nel 1989 avesse implicazioni di tipo sessuale. Sentiva montare la tensione: avrebbe preso Clayton Pell e l'avrebbe portato davanti a un giudice.

«Hai notato?» gli chiese Duvall.

«A cosa alludi?» disse Bosch. «Al fatto che siamo di fronte a un crimine sessuale? Questo tizio ha il classico profilo del predatore.»

«No, mi riferivo alla data di nascita» ínsisté il tenente.

Bosch tornò con lo sguardo al foglio che aveva in mano, mentre Chu si avvicinava ulteriormente per guardare.

«Eccola qui. 9 novembre 1981. Scusa, ma cosa c'entra?»

«Era troppo giovane» intervenne Chu.

Bosch lo guardò, poi posò di nuovo gli occhi sul foglio. All'improvviso capì. Clayton Pell era nato nel 1981, quindi aveva solo otto anni al momento dell'omicidio.

«Esatto» disse Duvall. «Quindi voglio che vi facciate dare la documentazione da Shuler e Dolan e che cerchiate di capire cos'è successo. Il tutto con la massima discrezione. Speriamo che non abbiano scambiato i dati con quelli di un altro caso.»

Bosch sapeva che, se i due avevano spedito il materiale genetico appartenente al vecchio caso attribuendolo a uno più recente, entrambi i casi erano segnati al di là di ogni possibile recupero.

«Come stavi dicendo,» continuò il tenente «l'indiziato è indubbiamente un predatore, ma non credo che possa aver commesso un omicidio quando aveva solo otto anni. Quindi c'è qualcosa che non quadra. Scopritelo e riferite a me, prima di prendere qualsiasi altra iniziativa. Se Shuler e Dolan hanno sbagliato e riusciamo a correggere l'errore, tanto meglio. Eviteremo di coinvolgere gli Affari Interni e il disguido resterà tra noi.»

Poteva sembrare che volesse difendere la squadra dalla scure del Dipartimento Affari Interni, ma in realtà stava proteggendo se stessa. Non c'erano grandi possibilità di carriera per un tenente a capo di un'unità coinvolta in uno scandalo riguardante il trattamento delle prove.

«Quali sono gli altri anni assegnati a Shuler e Dolan?» chiese Bosch.

«Quelli più recenti sono il 1997 e il 2000» disse Marcia. «Il guaio può essere nato da un caso appartenente a uno di questi due anni.»

Bosch annuì. Lo scenario gli appariva chiaro. La mancanza di precisione nella gestione di un caso non poteva non interferire con quella di un altro, con il risultato di inquinarli entrambi e creare uno scandalo che avrebbe gettato una pessima luce su tutti quelli che vi erano anche remotamente coinvolti.

«Che cosa diciamo a Shuler e Dolan?» chiese Chu. «Come spieghiamo il fatto che gli stiamo portando via il caso?»

Duvall guardò Marcia in attesa di una risposta.

«Hanno un processo tra poco. La selezione della giuria inizia giovedì.»

Duvall annuì.

«Preferisco che non abbiano altri impegni, ecco cosa dirò.»

«E se insistessero per tenere il caso?» chiese Chu. «Se sostenessero di essere in grado di occuparsene?»

«Ci penserò io a sistemarli» disse. «C'è dell'altro?»

Bosch la guardò.

«Ci occuperemo del caso, tenente, e scopriremo com'è nato tutto il pasticcio. Ma non ho intenzione di indagare sui miei colleghi.»

«Non c'è problema. Non è quello che ti ho chiesto. Voglio capire com'è possibile che il dna sia stato attribuito a un ragazzino di otto anni, tutto qui.»

Bosch annuì e fece per alzarsi.

«Ricordati soltanto di riferire a me prima di prendere qualsiasi iniziativa, d'accordo?» aggiunse Duvall.

«D'accordo.»

Stavano per uscire quando il tenente disse: «Harry, ti dispiace fermarti ancora un attimo?».

Bosch guardò Chu con aria interrogativa. Non aveva la minima idea del perché il tenente gli avesse chiesto di trattenersi. Duvall girò attorno alla scrivania e andò a chiudere la porta. Poi, restando in piedi, lo guardò con aria professionale.

«Volevo informarti che la tua richiesta di posticipare la pensione è stata accettata. Ti hanno concesso quattro anni con effetto retroattivo.»

Bosch la guardò mentre faceva i conti mentalmente, poi le rivolse un cenno di assenso. Aveva chiesto il massimo, cinque anni senza retroattività, ma avrebbe preso quello che gli veniva concesso. Avrebbe concluso più o meno in concomitanza con la fine della scuola superiore di sua figlia, ma era meglio di niente.

«Sono contenta» aggiunse Duvall. «Hai ancora trentanove mesi da passare con noi.»

Il suo tono lasciava capire che si era accorta di quanto Bosch fosse deluso.

«Sono contento anch'io» si precipitò a dire. «Stavo solo pensando a come si incastrerà questo periodo con gli impegni di mia figlia. Ma va tutto bene, davvero.»

«D'accordo.»

Era il suo modo di comunicargli che il loro breve colloquio era finito. Bosch la ringraziò e lasciò l'ufficio. Tornato nella sala detective si guardò attorno, abbracciando con gli occhi la distesa di scrivanie, divisori e armadi per archivio. Era casa sua e vi sarebbe rimasto, almeno per un po'.

| << |  <  |