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| << | < | > | >> |IndiceCapitolo 1 Spazio geografico e spazio economico (Giuseppe Dematteis, Carla Lanza) 3 1.1 Le relazioni geografico-spaziali 5 1.2 Struttura e organizzazione del territorio 9 1.3 L'ordine spaziale come valore economico 11 1.4 Le economie esterne 13 1.5 Le infrastrutture e la socializzazione capitalistica della produzione 15 1.6 La posizione come valore di mercato 16 1.7 Locale e globale 17 1.8 Forme e squilibri della globalizzazione 20 Letture di approfondimento 21 Siti consigliati Capitolo 2 La regione geografica (Giuseppe Dematteis, Carla Lanza) 22 2.1 L'organizzazione regionale 23 2.2 Tipi tematici di regione 25 2.3 Le regioni economiche formali e funzionali 28 2.4 Strutture regionali gerarchiche e polarizzate 31 2.5 Deconcentrazione e nuove strutture regionali a rete 33 2.6 I sistemi territoriali locali 35 2.7 Reti globali e sistemi locali nei processi di sviluppo 37 2.8 Le regioni periferiche e la destrutturazione territoriale nel Sud del mondo 38 Letture di approfondimento Capitolo 3 Economia e ambiente naturale (Carla Lanza) 40 3.1 L'ambiente, gli ecosistemi, il geosistema 41 3.2 Il problema ecologico 46 3.3 Le cause economiche del problema: produttività del fattore terra e del fattore lavoro 48 3.4 Le alterazioni dell'ecosistema 50 3.5 L'impronta ecologica 53 3.6 L'effetto serra e il cambiamento climatico globale 54 3.7 Lo sviluppo sostenibile 56 3.8 Le forme della sostenibilità 60 3.9 L'industria «ecologica» 61 3.10 Sostenibilità: interventi a livello globale e locale 63 Letture di approfondimento e siti consultabili 64 Siti consigliati Capitolo 4 La popolazione (Carla Lanza) 65 4.1 L'esplosione demografica 68 4.2 La transizione demografica 69 4.3 La distribuzione geografica della popolazione 71 4.4 Le migrazioni 76 4.5 La popolazione come risorsa economica 77 4.6 La sanità e l'istruzione 80 Letture di approfondimento 80 Siti consigliati Capitolo 5 L'organizzazione territoriale degli spazi agricoli (Sergio Conti) 81 5.1 Premessa 82 5.2 Le condizioni ecologico-ambientali 87 5.3 Sistemi colturali e società rurali 5.3.1 La formazione dell'agricoltura moderna, p. 87 5.3.2 I fattori tecnici, p. 88 92 5.4 I fattori sociali, demografici e politico-economici 5.4.1 Grandi e piccoli strutture fondiarie, p. 92 5.4.2 Le riforme agrarie, p. 93 5.4.3 Le politiche agrarie, p. 98 102 5.5 Consumi e commercializzazione dei prodotti agricoli 5.5.1 I regimi alimentari, p. 102 5.5.2 Gli scambi commerciali, p. 103 107 5.6 I grandi sistemi di produzione 111 5.7 Le strutture territoriali dell'agricoltura contemporanea 5.7.1 I sistemi agricoli di sussistenza, p. 111 5.7.2 Le forme agricole commerciali contadine, p. 113 5.7.3 L'agricoltura speculativa di piantagione, p. 115 5.7.4 L'agricoltura capitalistica dei grandi spazi, p. 120 122 Letture di approfondimento 122 Siti consigliati Capitolo 6 La produzione mineraria ed energetica (Sergio Conti) 123 6.1 Premessa 124 6.2 I concetti utilizzati 6.2.1 Le materie prime minerarie, p. 124 6.2.2 Fonti e forme energetiche, p. 126 128 6.3 Prospezione, esaurimento e risparmio delle risorse minerarie ed energetiche 6.3.1 Materie prime minerarie, p. 128 134 6.4 Regioni di produzione e di consumo minerario 138 6.5 Gli spazi energetici 6.5.1 L'energia idroelettrica, p. 138 6.5.2 L'energia da carbone, p. 139 6.5.3 L'energia da idrocarburi, p. 140 6.5.4 L'energia nucleare, p. 145 147 6.6 La geografia mineraria 6.6.1 I fattori localizzativi, p. 147 6.6.2 La riduzione dei costi di trasporto, p. 148 6.6.3 Attività estrattiva e organizzazione territoriale, p. 149 152 6.7 Prezzi, mercati, manovre speculative 155 Letture di approfondimento 156 Siti consigliati Capitolo 1 L'industria manifatturiera (Sergio Conti) 157 7.1 Concetti generali 7.1.1 Il processo produttivo, p. 157 7.1.2 I rapporti funzionali, p. 159 7.1.3 Le origini dell'industria manifatturiera, p. 162 7.1.4 Economie di agglomerazione e di urbanizzazione, p. 162 7.1.5 Decentramento e processi diffusivi, p. 166 170 7.2 I soggetti industriali 7.2.1 Grandi e piccole imprese, p. 170 7.2.2 La grande impresa nell'economia moderna, p. 171 7.2.3 Le imprese industriali multinazionali, p. 174 7.2.4 L'impresa globale, p. 180 183 7.3 Innovazione tecnologica e trasformazioni dello spazio industriale 7.3.1 Il mondo del fordismo, p. 183 7.3.2 Il paradigma dell'informazione, p. 186 191 7.4 La globalizzazione dell'economia 7.4.1 Internazionalizzazione e globalizzazione, p. 191 7.4.2 La scala globale del sistema industriale, p. 195 196 7.5 Lo spazio industriale contemporaneo 7.5.1 La «nuova» economia mondiale, p. 197 7.5.2 La Triade globale, p. 198 7.5.3 Piccole imprese e nuovi spazi industriali, p. 202 7.5.4 Imprese innovative e spazi della tecnologia, p. 205 209 Letture di approfondimento 209 Siti consigliati Capitolo 8 Servizi e territorio (Ferruccio Nano) 210 8.1 La terziarizzazione dell'economia 213 8.2 La classificazione funzionale delle attività terziarie 215 8.3 I servizi per le famiglie 217 8.4 I servizi per la collettività 220 8.5 I servizi per le imprese 223 8.6 Le attività quaternarie 225 8.7 La distribuzione dei servizi sul territorio 227 8.8 La diffusione dei servizi per le imprese 229 Letture di approfondimento 229 Siti consigliati Capitolo 9 I trasporti e le comunicazioni (Ferruccio Nano) 230 9.1 Trasporti e territorio 232 9.2 Lo sviluppo dei trasporti nel XX secolo 235 9.3 Le grandi direttrici del traffico e le reti di trasporto mondiali 238 9.4 Nodi e organizzazione del territorio: porti, hub e piattaforme di interconnessione 242 9.5 Logistica e territorio 244 9.6 Le telecomunicazioni e il digital divide 251 9.7 Le politiche dei trasporti 253 Letture di approfondimento 254 Siti consigliati Capitolo 10 Il turismo (Ferruccio Nano) 255 10.1 Concetti generali ed evoluzione storica 256 10.2 Sviluppo economico e mobilità turistica 258 10.3 I fattori dell'offerta turistica 261 10.4 Il turismo sostenibile 263 10.5 La geografia del turismo 267 10.6 Le regioni turistiche dei paesi sviluppati e del Sud del mondo 269 Letture di approfondimento 269 Siti consigliati Capitolo 11 I flussi commerciali e finanziari (Ferruccio Nano) 270 11.1 L'interdipendenza commerciale 273 11.2 Globalizzazione e regionalizzazione del commercio internazionale 276 11.3 La distribuzione geografica degli scambi 279 11.4 Il Sud del mondo nel commercio mondiale 281 11.5 La finanziarizzazione dell'economia 284 11.6 Flussi e poli finanziari 288 Letture di approfondimento 289 Siti consigliati Capitolo 12 Il sistema mondo (Carla Lanza) 290 12.1 Centri e periferie nell'economia mondiale 293 12.2 La povertà 295 12.3 Il problema alimentare 297 12.4 L'indice di sviluppo umano 299 12.5 Il debito del Sud del mondo 301 12.6 Il dominio culturale 304 12.7 La divisione del mondo attuale 308 12.8 Le potenze geopolitiche 311 12.9 Le nuove frontiere: i mari e lo spazio 314 Letture di approfondimento 314 Siti consigliati 314 Statistiche mondiali 315 Indice analitico |
| << | < | > | >> |Pagina 31.1 Le relazioni geografico-spaziali La geografia non si occupa tanto di singoli oggetti (fiumi, città, prodotti ecc.) quanto delle relazioni che legano tra di loro tali oggetti sulla superficie della Terra. Quindi, ad esempio, né la posizione astronomica (latitudine e longitudine) né il numero di abitanti di una città hanno di per sé significato geografico; cominciano ad averlo quando si considera la posizione che una città occupa rispetto al mare, alle altre città, al tipo di organizzazione economica del paese, alla rete delle comunicazioni ecc. L'insieme di questi rapporti è ciò che viene detto spazio geografico. Lo spazio geografico è ovviamente un'astrazione, un artificio mentale per permetterci di rappresentare insieme cose tanto diverse tra loro e di dare a queste rappresentazioni un certo ordine e un significato: di farne uno strumento per interpretare e comprendere il mondo. Se dallo «spazio geografico» isoliamo le «relazioni spaziali» che riguardano l'economia, otteniamo quella modalità di rappresentazione dei fatti ancora più astratta e convenzionale detta spazio economico. Che si tratti di un'astrazione è evidente se si pensa che l'attività economica non si svolge in uno spazio indifferenziato, ma in uno spazio-ambiente già di per sé differenziato da una molteplicità di altri fatti e rapporti. La spiegazione economica dei fenomeni, pertanto, riguarda soltanto una parte delle relazioni che costituiscono lo «spazio geografico». Si tratta in particolare di tutte le relazioni che intercorrono tra i soggetti economici, e quindi tra i diversi luoghi della Terra in quanto sedi di soggetti diversi. Tali sono le relazioni di scambio e di circolazione (di merci, lavoro, denaro, informazioni, servizi, decisioni, flussi migratori) e la rete delle localizzazioni di impianti che ne derivano. Queste relazioni geografico-spaziali vengono dette relazioni orizzontali o interazioni spaziali e hanno come funzione principale appunto la comunicazione e lo scambio. Ma la geografia si occupa anche di un altro tipo di relazioni, che servono per produrre. Esse comprendono tutte le operazioni che vanno dal rapporto diretto con la natura al prodotto finito. Tali relazioni vengono dette verticali o ecologiche e connettono i soggetti economici (gli insediamenti, gli impianti ecc.) con le caratteristiche proprie dei diversi luoghi: tipo di clima, ricchezze minerarie, caratteri storico-culturali ecc. Nella geografia economica questi due tipi di relazioni sono sempre contemporaneamente presenti: la produzione, infatti, richiede comunicazione e la comunicazione ha la sua prima ragione d'essere nella produzione. L'articolazione geografica dell'economia dipende sempre da molteplici condizioni mutevoli nel tempo. Alcune di esse sono date dalle caratteristiche naturali o storico-culturali proprie di ogni luogo, sono cioè condizioni ambientali che si legano tramite relazioni verticali all'ambiente di ogni luogo. Altre invece sono di carattere più vasto e generale e riguardano i rapporti orizzontali di interazione: scambi, movimenti di persone, informazioni, capitali, che si stabiliscono tra luoghi diversi. Ad esempio, affinché un porto si sviluppi non basta che la località costiera sia naturalmente dotata (relazioni verticali), ma dev'essere prossima a regioni di arrivo e/o partenza di forti traffici (relazioni orizzontali). D'altra parte le relazioni verticali sono pur sempre importanti: se prendiamo, ad esempio, due porti come Marsiglia-Fos e Genova, entrambi in situazione favorevole in termini di relazioni orizzontali, vediamo che il primo è decisamente avvantaggiato dalla presenza di un vasto entroterra pianeggiante, che manca al secondo. | << | < | > | >> |Pagina 171.8 Forme e squilibri della globalizzazioneLa globalizzazione del XXI secolo si caratterizza anzitutto per la varietà e l'interdipendenza reciproca delle sue manifestazioni. In particolare la globalizzazione della tecnologia e dell'economia ha funzionato come acceleratore delle altre forme di mondializzazione: ambientale, culturale, politica. La globalizzazione tecnologico-economica riguarda ormai tutte le fasi del circuito economico: dall'assunzione e combinazione dei fattori produttivi – terra (= risorse naturali), lavoro e capitale (fisso e finanziario) – alle fasi della trasformazione manifatturiera, a quelle della distribuzione e del consumo finale. In particolare, si ha una globalizzazione dei capitali finanziari, sul cui mercato agiscono in tempo reale operatori sparsi in tutto il mondo, collegati per via telematica alle principali «piazze» mondiali (si vedano paragrafi 11.5 e 11.6). Ogni giorno si effettuano così in media transazioni in titoli e valute per un valore di 1.500 miliardi di dollari, cioè ogni 5 giorni viene scambiato l'equivalente del prodotto interno lordo (PIL) degli Stati Uniti. Come si vede le dimensioni del fenomeno sono tali che nessun operatore economico e nessuno Stato sono in grado di controllarlo. Si spiega così come certe fluttuazioni del mercato finanziario mondiale possano produrre effetti a catena, anch'essi globali, capaci di far crollare in pochi giorni l'economia di interi paesi (come è capitato nel 1998 per i paesi dell'Asia orientale e nel 2002 per l'Argentina) e di minacciare la stabilità delle stesse economie più forti. Secondo il magnate della finanza George Soros, non riuscendo a controllare il mercato finanziario, l'economia globale odierna è continuamente esposta al rischio di una crisi peggiore di quella degli anni Trenta. Perciò egli arriva ad affermare che il principio dell'assoluta libertà di mercato è oggi un pericolo maggiore di quello rappresentato dalle ideologie totalitarie. Gran parte di questo vertiginoso movimento di capitali è puramente speculativo, mentre una parte percentualmente piccola (10%), ma consistente in valore assoluto, riguarda investimenti in attività economiche, che avvengono anch'essi a scala mondiale, in quanto i capitali accumulati e disponibili in un qualunque paese possono trovare impiego in attività localizzate in qualsiasi altro paese. Questi flussi di investimenti transnazionali sono resi sempre più facili dalla globalizzazione delle imprese. L'ONU ha censito circa 37.000 imprese, che, con 170.000 filiali possiedono e gestiscono direttamente impianti in più paesi (imprese multinazionali). Ma ancor maggiore è il numero delle imprese di paesi diversi che stabiliscono accordi tra loro più o meno duraturi (joint venture), consorzi, associazioni e simili allo scopo di sviluppare insieme programmi di ricerca, di produzione e distribuzione commerciale. Si formano così reti globali d'imprese che, cooperando a scala mondiale, connettono tra loro le migliaia di luoghi in cui sono insediate. In tal modo la globalizzazione finanziaria porta con sé quella della produzione (ad esempio automobili, televisori, computer ecc. derivano dall'assemblaggio di componenti fabbricate in tanti paesi diversi) dei servizi e del commercio. La globalizzazione commerciale, attraverso l'opera di organizzazioni internazionali come l'organizzazione mondiale per il commercio (WTO si veda paragrafo 11.2), tende non solo alla libera circolazione delle merci, ma anche degli investimenti diretti, per cui si è creato un mercato globale delle localizzazioni, che mette in potenziale concorrenza tra loro tutti i luoghi della Terra, per attrarre gli investitori globali. È nata così una nuova attività commerciale detta marketing territoriale o marketing urbano quando riguarda l'offerta di localizzazioni urbane. La globalizzazione dell'economia non sarebbe stata possibile senza un'applicazione su scala mondiale delle più moderne tecnologie dei trasporti e delle telecomunicazioni, che, combinate con l'elaborazione informatica dei dati, consentono di svolgere operazioni finanziarie, commerciali e produttive in sedi molto lontane tra loro, come se queste si trovassero nello stesso luogo. La globalizzazione è quindi anche il risultato di quella contrazione del tempo e dello spazio, che negli ultimi decenni ha praticamente ridotto di alcune centinaia di volte le dimensioni del pianeta. Le conseguenze di questa rapida trasformazione non si limitano al settore economico, ma si estendono all'insieme delle attività umane, con effetti di ritorno sull'economia stessa. Un caso evidente è dato dalla globalizzazione del sapere scientifico-tecnologico. Come si approfondirà nei capitoli dedicati all'industria e al terziario la competizione economica è sempre più dipendente dalle innovazioni tecnologiche. Ma la base scientifica di queste ultime non può più essere controllata e gestita da singoli paesi o singole imprese. Essa è ormai il frutto di una cooperazione internazionale che si avvale di una rete globale di centri di ricerca. Si forma così un sapere tecnologico-scientifico globale a cui ogni impresa o rete di imprese attingerà per realizzare «localmente» quei prodotti e quei processi innovativi che la renderanno competitiva. Si può anche parlare di una globalizzazione ambientale nota anche come global change (vedi capitolo 3). La sua manifestazione più macroscopica è l'«effetto serra» che porta all'innalzamento della temperatura media dell'atmosfera e a vari squilibri climatici, come conseguenza delle emissioni di CO2, metano e altre. Ma la globalizzazione agisce anche direttamente sulla biosfera, accelerando la scomparsa di specie vegetali e animali e minacciando così la biodiversità, oppure riducendo la diffusione di certe malattie e creando condizioni favorevoli per lo sviluppo di altre, in specie quelle da virus, oppure ancora manipolando il patrimonio genetico delle specie vegetali e animali ecc. Qualcosa di analogo avviene con la globalizzazione culturale, nel cui ambito si assiste a fenomeni di omologazione, dovuti da un lato alla mondializzazione dei media (TV satellitari, Internet, film, musica ecc.) e dall'altro alla scomparsa dei modi di vita e di produzione locali, che porta alla perdita di tradizioni, lingue, dialetti ecc. Se il patrimonio della biodiversità consiste nella varietà del genoma, quello culturale consiste nella varietà dei caratteri culturali specifici delle diverse società, che si formano, si conservano e si trasmettono grazie a una certa stabilità dei rapporti che esse hanno con i loro territori. Più questi sistemi socio-territoriali sono numerosi, più le interazioni con l'ambiente sono geograficamente differenziate, più sarà ricco il patrimonio culturale dell'umanità. La globalizzazione, almeno nella sua forma attuale dominata dalla componente economico-finanziaria, tende a ridurre questa varietà a un'unica cultura, derivante da un unico sistema di interazioni con il territorio globale del pianeta. Un indicatore sensibile di questo impoverimento è quello delle lingue parlate, il cui numero si va ora riducendo a ritmo accelerato. La riduzione della diversità culturale è una minaccia molto più prossima ed allarmante di quella della biodiversità, di cui giustamente tanti si preoccupano. Infatti un eventuale crollo del sistema socio-culturale globalizzato – per cause interne, o ecologiche esterne, o per una combinazione delle due – darebbe luogo a una situazione del tutto nuova, perché la distruzione del potenziale di variabilità culturale a scala planetaria, conseguente alla fase di omologazione precedente (quella che ora viviamo), comporterebbe una riduzione della plasticità evolutiva umana quale non si era mai verificata nel passato. Infine si ha una globalizzazione geopolitica e geostrategica che consiste nella crescente e immediata interdipendenza delle decisioni e degli avvenimenti politici dei diversi paesi, nel crescente controllo di alcuni di essi sugli altri (si veda capitolo 12) – tramite anche l'azione di certe organizzazioni internazionali – e nella capacità delle grandi potenze (soprattutto gli Stati Uniti) di intervenire militarmente in qualunque momento in ogni parte del pianeta. Per contro si assiste a un moltiplicarsi di conflitti «locali» e alla proliferazione degli armamenti (anche nucleari), che rende problematico un effettivo controllo del sistema mondiale. Le ripercussioni di tutto ciò a scala globale sono sovente imprevedibili e ingovernabili. Questi rischi, così come quelli derivanti dalle speculazioni finanziarie e dagli squilibri ambientali, ci avvertono che il processo di globalizzazione è molto avanzato in certi settori e carente in altri. Tra questi ultimi va ricordata la debolissima globalizzazione delle istituzioni. Gli organismi politici mondiali esistenti (ONU e altri: si veda capitolo 12) hanno una capacità molto limitata di regolare i conflitti, di imporre norme, di esercitare poteri giurisdizionali. Ciò impedisce, tra l'altro, che si realizzi un'effettiva globalizzazione del mercato del lavoro. Le grandi diversità che la tutela del lavoro (in termini di età, orario, prevenzione, previdenze sociali ecc.) riceve nei vari paesi, rende il costo del fattore lavoro enormemente variabile e dipendente da condizioni locali. D'altro lato, le legislazioni nazionali restrittive in termini di immigrazione impediscono la libera circolazione della merce lavoro e quindi il riequilibrio del suo prezzo in un mercato che è globale solo per limitati segmenti di attività molto specializzate. | << | < | > | >> |Pagina 29012.1 Centri e periferie nell'economia mondiale Come si è già visto, la fase più recente della globalizzazione ha reso le relazioni economiche tra i vari Stati all'interno del sistema mondo sempre più intense e interdipendenti tra loro. Tuttavia, come in passato permangono profonde differenze tra le aree economicamente forti, che essendo localizzate in prevalenza nell'emisfero settentrionale, vengono anche dette Nord del mondo, e quelle deboli, che essendo situate prevalentemente nell'emisfero meridionale, vengono dette Sud del mondo, cioè tra centri e le periferie. Il primo indicatore di tali differenze è il Prodotto Interno Lordo (PIL), che può essere indicato in valore assoluto (PIL nazionale) o relativo agli abitanti (PIL pro capite = PIL nazionale diviso il numero di abitanti del paese). In base al PIL pro capite i singoli paesi sono stati classificati nel 2003 dalla Banca Mondiale in 4 gruppi: – $765 o meno: a basso reddito; – $766 – $3.035: a medio-basso reddito; – $3,036 – $9,385: a medio-alto reeddito; - $9,386 o più: ad alto reddito. La figura 12.1 mette in evidenza le notevoli differenze tra alti valori del PIL dell'America Settentrionale, dell'Europa e dell'Australia e quelli molto bassi delle aree più economicamente depresse dell'Africa sub-sahariana e di parte dell'Asia meridionale. Molti di questi ultimi paesi sono quelli che non possiedono risorse naturali strategiche (come petrolio, uranio ecc.) tutti hanno tassi di analfabetismo elevatissimi, forte crescita demografica e la maggioranza della popolazione attiva dedita a un'agricoltura su terre troppo limitate per soddisfare le esigenze alimentari minime; la loro industria manifatturiera è insignificante e il loro commercio interno è largamente basato su scambi non monetari. Il commercio con l'estero li vede esportatori di merci poco redditizie (alimentari, minerali, legname ecc.), in buona parte controllate da società multinazionali estere, e importatori di manufatti e servizi a costi elevati, secondo lo schema dello scambio ineguale illustrato nel capitolo 11 e alcuni di essi sono devastati da guerre o conflitti interni. Essi si trovano, oltre che nell'Africa a sud del Sahara, che appare sotto ogni aspetto la regione oggi economicamente più arretrata della Terra, anche in Asia (Yemen, Afghanistan, India, Nepal, Mongolia, Buthan, Birmania, Bangladesh, Laos e Cambogia), mentre in Oceania lo stato di povertà accomuna un certo numero di piccolissimi Stati insulari e Papua Nuova Guinea e in America Latina una parte dei piccoli paesi dell'America Centrale (Belize, Guatemala, Honduras, Nicaragua, Haiti) e alcuni Stati dell'America Meridionale (Bolivia, Trinidad e Tobago). Tuttavia dall'esame della figura 12.2 emerge come alcuni paesi con PIL pro capite basso, siano in una fase di crescita economica maggiore di altri più ricchi. I casi più evidenti sono quelli della Corea del Sud e della Cina con un tasso di crescita che supera quello degli Stati Uniti e di gran parte dei paesi europei. | << | < | > | >> |Pagina 29312.2 La povertàGli squilibri economici a livello mondiale appaiono in tutta la loro gravità se si prende in considerazione la popolazione che vive con un reddito inferiore a 2 dollari al giorno, cifra che rappresenta, nei paesi a basso reddito, il minimo vitale al di sotto del quale vi è lo stato di povertà. La distribuzione geografica della povertà, che interessa ben il 52% della popolazione mondiale, mette in evidenza forti sperequazioni, tra i paesi ricchi dell'Europa e dell'America settentrionale e quelli dell'Africa sub-sahariana e l'Asia meridionale dove oltre il 76% della popolazione vive con meno di 2 dollari. È stato calcolato che attualmente più di due miliardi di persone vivono con meno di 2 $ al giorno, cioè in condizione di assoluta povertà. Nel 2001 la stima di quanti vivevano al di sotto di tale reddito raggiungeva i 2,73 milioni, pari alla metà della popolazione dei paesi ricchi (Tabella 12.1). Bisogna inoltre considerare che i paesi più poveri sono anche quelli in cui permangono le maggiori diversità di reddito, per cui accanto a pochi privilegiati con redditi alti, esiste una classe media generalmente poco numerosa, per lo più rappresentata dai funzionari statali, e infine una massa di persone che vivono al limite della sussistenza. È stato calcolato che nella maggior parte dei paesi del Sud del mondo, dal 60 al 70% della popolazione guadagni meno del reddito medio del proprio paese, e ovunque il quinto delle famiglie più povere non ha a disposizione che 1/10 del reddito nazionale, mentre il quinto più ricco ne riceve la metà. Il livello di sperequazioni varia da paese a paese, per cui può capitare che in un paese a reddito basso i poveri vivano meglio che in un altro a reddito medio più alto: ad esempio, nel 1989 il reddito pro capite dell'Egitto era circa la metà di quello del Perù, ma gli egiziani poveri guadagnavano un terzo di più di quelli peruviani, perché nel primo paese c'era più equità nella distribuzione della ricchezza. Tuttavia, secondo le stime della Banca Mondiale nel prossimo decennio, se il numero di quanti vivono con meno di 2 $ al giorno continuerà ad aumentare nel Medio oriente, nell'Africa settentrionale e in quella Sub-sahariana, vi sarà invece un miglioramento nell'Asia orientale e nell'area del Pacifico. Sempre secondo la Banca Mondiale se l'andamento attuale continua nel 2015 il numero dei poveri sarà ridotto di circa il 20% rispetto al 1990 (vedi figura 12.3). | << | < | > | >> |Pagina 29712.4 L'indice di sviluppo umanoPer misurare la qualità della vita, mettendone a confronto il livello nei diversi paesi, è stato introdotto un indice, l'indice di sviluppo umano ISU (o Human Development Index, HDI). Si tratta di un indice complesso che viene calcolato annualmente da parte di una commissione preposta dell'ONU e pubblicato nel Human Development Report. Ha valori che vanno da 1 (massimo) a 0 (minimo) ed è il risultato dell'integrazione di tre dati: — la speranza di vita alla nascita (dato che riflette le condizioni sanitarie e alimentari; — l' alfabetizzazione degli adulti (dato legato alla diffusione dell'istruzione);
— il
PIL pro capite reale
(cioè valutato in base al potere di acquisto locale) per abitante.
------------------------------------------------------------- Tab. 12.2 — I 10 paesi con I'ISU più basso, i 10 con l'ISU più alto, e l'Italia - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Paese ISU Posto in graduatoria ISU - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Sierra Leone 0,273 177 Niger 0,292 176 Burkina Faso 0,302 175 Mali 0,326 174 Burundi 0,339 173 Guinea Bissau 0,350 172 Mozambico 0,354 171 Etiopia 0,359 170 Repubblica Centrafricana 0,361 169 Congo, Rep. Democratica 0,365 168 Norvegia 0,956 1 Svezia 0,946 2 Australia 0,946 3 Canada 0,943 4 Paesi Bassi 0,942 5 Belgio 0,942 6 Islanda 0,941 7 Stati Uniti 0,939 8 Giappone 0,938 9 Irlanda 0,936 10 Italia 0,920 21 ------------------------------------------------------------- Ciascuno dei tre dati è calcolato in funzione dello scarto tra il massimo e il minimo mondiale. Ad esempio, per quanto riguarda la speranza di vita alla nascita, il valore massimo mondiale è 85, il minimo 25, quindi lo scarto è di 60. Ciascun anno al disopra dei 25 ha un valore di 1/60: pertanto un paese in cui la speranza di vita è di 45 anni avrà un punteggio pari a 1/60 x (45 - 25) = 0,3. Per quanto riguarda l'alfabetizzazione si va da un massimo di 100% a un minimo di 0: un tasso del 50% dà pertanto 1/100 x 50 = 0,5. Infine, il PIL per abitante, va da un minimo di 200 a un massimo di 40.000; per il calcolo si procede in un modo analogo, poi vengono considerati tre livelli: alto al di sopra di 0,8, medio tra 0,799 e 0,5, debole sotto lo 0,5. L'importanza di questo tipo di indici complessi consiste nel fatto che essi utilizzano più variabili, combinandole tra di loro. Solo così si possono rappresentare numericamente, con una buona approssimazione, fenomeni molto complessi, quali quello dello sviluppo umano, che dipendono da fattori sia economici che sociali. | << | < | > | >> |Pagina 30112.6 Il dominio culturaleNel mondo contemporaneo il potere di una nazione non è legato soltanto all'estensione della sua influenza politica o al suo potenziale bellico, ma anche al dominio culturale. Con questa espressione si indica il prevalere di una forma di cultura, con la sua lingua, la sua religione, i suoi modi di vita, il suo tipo di struttura politico-sociale. Dominare culturalmente un paese vuol dire imporgli i propri modelli e i propri valori, uniformando così il comportamento dei suoi abitanti alle proprie esigenze. Attualmente, in questo campo nessun paese come gli Stati Uniti riesce ad esercitare un'influenza planetaria. In primo luogo con la dominazione linguistica; la diffusione dell'inglese e dell'americano è spesso vista come mezzo per superare le differenze etniche e culturali all'interno dei singoli Stati (ad esempio nell'India, dove l'inglese è lingua ufficiale insieme all'indi) o per favorire l'integrazione internazionale dei piccoli Stati o etnie, che lo hanno adottato come lingua diplomatica. Nello stesso tempo, tuttavia, la diffusione della lingua inglese rappresenta uno dei fattori chiave dell'espansione economica dei paesi anglosassoni. Attualmente questa lingua è utilizzata su scala mondiale ed essendo stata adottata come lingua ufficiale di Internet la sua diffusione aumenterà ancora. Sul piano diplomatico quasi tutti i trattati internazionali sono in inglese, così come in campo commerciale le transazioni si fanno in quella lingua. Anche le pubblicazioni scientifiche vengono in gran parte redatte o tradotte in inglese, tanto che persino l'Istituto Pasteur in Francia ha preso la decisione di pubblicare tutti i suoi risultati in questa lingua. In molti paesi ex coloniali si sono avuti tentativi di rivendicazione della propria cultura, attraverso molteplici vie; ad esempio, mediante il cambiamento dei nomi imposti dai colonizzatori con altri tradizionali (in Africa l'Alto Volta ha cambiato la sua denominazione in Burkina Faso, in Asia Ceylon l'ha mutata in Sri Lanka, la Birmania in Myanmar ecc.) o mediante l'insegnamento nelle scuole della lingua locale. Il dominio culturale passa principalmente attraverso i mass media, e in questo campo sono gli Stati Uniti ad esercitare l'influenza maggiore. La televisione e il cinema sono i principali veicoli di diffusione di valori e di modi di vita e cultura in genere. Anche in questo campo sono ben pochi i paesi nei quali la produzione nazionale supera per quantità i prodotti di importazione; sono gli Stati Uniti, la Russia, il Giappone, l'India e la Cina. Tutti gli altri paesi proiettano in prevalenza film stranieri e in particolare statunitensi. Un altro importante mezzo di diffusione di cultura, di mode e persino della lingua è la musica. I generi musicali più amati dai giovani provengono quasi essenzialmente dai paesi anglosassoni in generale e dagli Stai Uniti in particolare: dall'hard rock, nato in Gran Bretagna a metà degli anni Settanta, ma giunto a noi attraverso gli Stati Unti, al rap, musica di protesta dei ghetti neri americani, nato negli anni Settanta e diffusosi da noi alla fine degli anni Ottanta, fino al grunge degli anni Novanta, nato a Seattle, città della costa pacifica degli Stati Uniti che «fa tendenza» (basti pensare ai numerosi film che vi sono stati girati) e alla techno music (nata in Gran Bretagna come house music) suonata nelle discoteche di tutta l'Europa. I gruppi musicali americani più famosi e amati dai giovani, che ai loro concerti richiamano migliaia di spettatori, hanno contribuito a diffondere la cultura (abbigliamento, acconciature, modi di vita) e la lingua americana assai più che decine di corsi di lingue e «cultura» straniera. La diffusione della conoscenza di una lingua amplia anche il mercato librario, dei giornali ecc., in un processo cumulativo che tende a creare sempre maggior squilibrio tra la cultura dominante e quelle periferiche. Una fortissima concentrazione si ha anche nel campo dell' informazione. Pochi sono i giornali che possono avere loro corrispondenti o inviati nelle varie parti del mondo. Per lo più si utilizzano a tal scopo le agenzie di stampa internazionali. Quattro di queste, la AP e la UPL statunitensi, la AFP francese e la Reuter inglese diffondono da sole circa il 95% delle informazioni. Più di metà delle notizie distribuite in tutto il mondo si riferisce a fatti relativi a Stati Uniti, Canada e Europa occidentale, dove vive poco più del 10% della popolazione mondiale. Un altro settore di importanza vitale per esercitare un dominio culturale sono le telecomunicazioni. Anche in questo campo il predominio americano è notevole. Già oggi le più potenti società di telecomunicazioni, che gestiscono telefonia, televisione via cavo e reti telematiche, sono americane (la AT &T, che domina la telefonia planetaria, la Bell, seconda compagnia americana, la Sprint, che opera sulle lunghe distanze ecc.) e la tendenza è a una sempre maggior concentrazione. Il mercato delle telecomunicazioni rappresenta infatti la maggiore fonte di profitto per il futuro e gli attuali attori principali non intendono lasciarselo sfuggire. Per quanto riguarda le banche dati, le più vecchie, che si sono sviluppate di pari passo con l'informatica, appartengono agli Stati Uniti: pertanto, gran parte delle informazioni necessarie per svolgere ricerche o per la produzione vengono richieste a queste ultime, in quanto per gli altri paesi (specialmente quelli più arretrati) costa meno pagare questo servizio a banche estere che allestirne di proprie. Nonostante gli sforzi più recenti dei paesi europei e soprattutto del Giappone, l'egemonia americana rischia di creare una situazione quasi monopolistica in un campo così importante come quello dell'informazione. Lo sviluppo delle reti di trasmissione dati, che non soltanto rappresentano il supporto più adatto alle strutture territoriali a rete, ma teoricamente permettono l'accesso all'informazione da qualsiasi punto del pianeta, ha fatto credere per un certo periodo alla possibilità di ridurre le differenze culturali. La principale rete di trasmissione telematica, che copre praticamente l'intero pianeta e che negli ultimi decenni ha rivoluzionato completamente il concetto di distanza, è Internet. Il numero di connessioni a Internet è aumentato ad un ritmo vertiginoso: in dieci anni, dal 1991 al 2001 si è passati da 4,4 milioni di utenti a 502 milioni e le stime per il 2003 sono di 665 milioni (International Telecommunication Union). Una così larga e rapida diffusione di un mezzo di trasmissione dell'informazione aperto a tutti può far pensare a una organizzazione dello spazio di tipo reticolare dell'intero pianeta, nel quale ciascuno può accedere all'informazione, per accrescere le proprie conoscenze e le proprie possibilità. Nella realtà la struttura reticolare non è così uniforme. In primo luogo per accedere a Internet è necessaria una linea telefonica: ma nel 1995 il 15% della popolazione mondiale possedeva i tre quarti delle linee telefoniche, oltre metà degli abitanti della Terra non aveva mai usato il telefono e in 47 paesi il numero degli utenti telefonici era inferiore all'1% della popolazione.
Nel 2000 dei 94 milioni di provider Internet esistenti nel mondo il 95,6%
era localizzato nei paesi industrializzati, del 4,4% restante la maggior parte
era ubicata in Cina, Taipei, Singapore e Israele e oggi ci sono più collegamenti
a Internet nella città di New York che in tutto il continente africano.
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