Copertina
Autore Alain Corbin
Titolo Storia sociale degli odori
EdizioneBruno Mondadori, Milano, 2005, Economica , pag. LXIV+334, cop.fle., dim. 140x205x25 mm , Isbn 978-88-424-9291-7
OriginaleLe miasme et la jonquille
EdizioneAubier Flammarion, Paris, 2005
PrefazionePiero Camporesi
TraduttoreFrancesco Saba Sardi
LettoreRenato di Stefano, 2005
Classe storia sociale , storia moderna , storia contemporanea , storia: Europa , medicina , antropologia , sensi , citta': Parigi
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Indice

 XI Introduzione di Piero Camporesi
  1 Prefazione

    PARTE PRIMA
 11 Rivoluzione percettiva ovvero l'odore sospetto


    Capitolo I
 13 L'aria e la minaccia putrida

 13 Uno spaventoso brodo
 19 Gli odori della corruzione

    Capitolo II
 29 I poli della vigilanza olfattiva

 29 La terra e l'archeologia del miasma
 34 La palude delle sanie

    Capitolo III
 49 Le emanazioni sociali

 49 L'odore dei corpi
 59 La gestione del desiderio e della repulsione
 64 La sentina e gli odori della città malata

    Capitolo IV
 81 Ridefinire l'insopportabile

 81 L'abbassamento delle soglie di tolleranza
 87 L'antico alibi terapeutico
 93 L'incriminazione del muschio
 96 Il deprezzamento dell'aroma

    Capitolo V
103 Il nuovo calcolo del piacere olfattivo

103 Il piacere e l'acqua di rose
110 Il profumo di Narciso

    PARTE SECONDA
127 Purificare lo spazio pubblico


    Capitolo I
129 Le strategie della deodorizzazione

129 Selciare. Drenare. Ventilare
142 Sfoltire. Disinfettare
148 I laboratori delle nuove strategie

    Capitolo II
159 Gli odori e la fisiologia dell'ordine sociale

159 La breve età d'oro dell'osmologia e le
    conseguenze della rivoluzione lavoiseriana
162 L'utilitarismo e gli odori dello spazio pubblico
171 La rivoluzione dei cloruri e il controllo dei flussi

    Capitolo III
185 La politica e le nocività

185 L'elaborazione del codice e il primato dell'olfatto
189 L'apprendistato della tolleranza

    PARTE TERZA
195 Odori, simboli e rappresentazioni sociali

197 Cabanis e il senso delle affinità

    Capitolo I
201 Il puzzo del povero

201 Le secrezioni della miseria
212 La gabbia e la tana
219 Sgrommare il miserabile

    Capitolo II
229 «Il fiato della casa»

229 La fobia dell'asfissia e l'odore ereditario
233 Le esigenze degli igienisti e la nuova sensibilità
239 I gesti e le norme

    Capitolo III
251 I profumi dell'intimità

251 «La pulizia perseverante»
263 Il sapiente calcolo dei messaggi corporei
274 Le brevi oscillazioni della storia della profumeria

    Capitolo IV
287 L'ebbrezza e il flacone

287 Il respiro del tempo
291 Il turibolo dell'alcova
294 Una nuova gestione dei ritmi del desiderio

    Capitolo V
303 «Risate in sudore»

303 La difficile battaglia contro l'escremento
308 Due concezioni dell'aria
310 Le virtù della sporcizia
312 Il libertinaggio del naso

    Finale
319 «Gli odori di Parigi»

320 Il declino delle mitologie prepasteuriane
321 Il circuito ermetico o il torrente
324 Il ristagno o la diluizione
326 Epilogo

329 Conclusione


 

 

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Pagina XI

INTRODUZIONE: ODORI E SAPORI
di Piero Camporesi



Spaventato dalla complessità dell'impresa, Bernardino Ramazzini decise un giorno di rinunciare a scrivere la «storia naturale e medica degli odori», sia «sgradevoli che piacevoli». Questa rinuncia, venendo dal geniale medico modenese che, primo assoluto, aveva sistematicamente studiato le malattie professionali, gettando le premesse necessarie all'analisi dei rapporti fra ambiente di lavoro, mestiere e malattia, privò la cultura italiana d'un altro pionieristico primato. La storia «antropologica» sulla «natura degli odori» rimase una brillante ipotesi culturale, un sogno non realizzato. Ne conosciamo solo il progetto che, ambizioso e globale, avrebbe dovuto

esaminare la natura degli odori secondo le opinioni filosofiche degli antichi e dei moderni; differenziarli in classi, secondo le proprietà, le idiosincrasie, le cause, gli ambienti dove si originano, la composizione, le mescolanze; fare lo stesso per gli unguenti degli antichi; indi esaminare i medicamenti derivati dagli odori, da cui ebbe origine secondo i moderni la medicina degli spiriti, infine passare in rassegna i profumi biblici, di cui si fa menzione nelle sacre scritture e dei quali si servono gli ebrei nei sacrifici e poi quelli che vari popoli come Greci, Romani, Egiziani, Indiani usavano nelle fumigazioni e nelle cerimonie espiatorie per placare e invocare gli dei. Mi sono accorto però che questi argomenti richiedevano una trattazione che doveva abbracciare tutta la storia universale, in modo di avere in un'opera unica quanto si trovava ora sparso, con l'aggiunta di ciò che potevo osservare attraverso vari esperimenti... Io poi non intendo impegnare qui la mia parola per tale impresa che richiederebbe «più tempo e più olio nella mia lucerna». Vi sono molte cose che, da lontano e a prima vista, sembrano piane e facili, ma poi si scoprono ardue e piene di difficoltà.

Contemporaneo di Lorenzo Magalotti (1637-1712), del grande «odorista» toscano che sulla fisica e la metafisica degli odori aveva lambiccato tutta una serie di vertiginose meditazioni trascendentali, Bernardino Ramazzini (1633-1714) avrebbe potuto – omogeneizzando le ricerche di Ulisse Aldrovandi, di Giovanni Bravo Patrasitano, di Stefano Lorenzini, di Pietro Servio – iniziare un nuovo capitolo sopra il complesso rapporto che lega l'uomo agli aromi, aprendo, da par suo, una inedita riflessione sopra l'odorato analizzato in tutte le sue intricate valenze antropologiche e nei risvolti sociali. L'affascinante privilegio di penetrare nelle inesplorate regioni culturali dove l'olfatto apre la strada a una diversa e inedita storia dell'uomo è toccato invece (e a pieno merito) alla cultura transalpina che in Lucien Febvre, in Marcel Detienne, in Jean-Pierre Vernant e ora in Alain Corbin ha trovato analisti acuti e interpreti sensibili.

[...]

I secoli dominati dal lezzo di città maleodoranti, dall'afrore di corpi mal lavati, quasi sempre infestati dai parassiti, spesso ulcerati e piagati, dove la tigna e la rogna (per ricordare soltanto le più comuni e miti calamità della carne) scavavano i corpi di nobili e di straccioni; i secoli dove gli idropici, i cancrenosi, i lebbrosi, i fistolosi, gli erniosi, i prolassati, i monchi e i mutilati facevano parte degli elementi fissi della scena sociale; in cui, per purgare il corpo dei cattivi umori (ascessi e tumori cutanei a parte) e dalla sanie del sangue, si aprivano deliberatamente piaghe artificiali perennemente fetide (le «fontanelle») che con vari espedienti, fra cui palle metalliche inserite dentro la ferita, si tenevano aperte affinché il marciume sgorgasse; in cui gli «incurabili» e gli ospedali che li raccoglievano non erano troppo lontano dalla tetra condizione del lazzaretto; dove i cadaveri si «condivano» e si cospargevano di balsami contro la corruzione troppo rapida, quando le affabulazioni leggendarie facevano sfilare immagini di macelli incorruttibili, di città protette dai miasmi venefici, dal flagello delle mosche «animale immondo e schifoso», da tutti gli innumerevoli «putridi animaluzzi» che brulicavano sulla terra e dalle viscide «quisquiglie delle paludi»; dove le «infirmità» erano «tanto feroci», le pestilenze tanto orribili e la terra stessa «infettata da un tossico sì mortale che per orrore di esso gli uccelli abbandonavano sbalorditi i loro nidi, le fiere le caverne, le serpi le buche e gli uomini nello spazio di ventiquattr'ore stillavano dileguata da' pori aperti in un sudore puzzolente la vita», il problema sociale del fetore e del lezzo umano, ancor prima dei miasmi e delle esalazioni emananti dagli acquitrini, dai fossati, dagli scoli, dai canali, dalle acque marce, morte, mefitiche, diventava — per usare un termine impiegato da un medico del tardo Cinquecento, Scipione Mercuri — una questione «politica», di tollerabilità e di sopportazione sociale.

La sensibilità diffusa per gli odori, in tutta la loro vasta e complicata gamma, nasceva dal contatto traumatico con una realtà minacciata dalla decomposizione e dall'alterazione delle carni, da una «corruttela universale» (L. Magalotti), da una «spurcitia» pressoché universale, dalla ineluttabile convivenza con l'impuro e l'immondo che faceva sognare spazi incontaminati, città ideali, balsamici luoghi dell'incorruttibilità e dell'«impassibilità» della carne, là dove la salute era costantemente perfetta, la vita senza ansia e timore, là dove i corpi non si squagliavano nella putredine, dove i vermi erano, finalmente, assenti.

Nel XVII secolo in particolare, in un'Europa in cui gli occhi erano spesso costretti a «rimirare tanti rivi di sangue, tante cataste di ossa, tanti cumuli di cadaveri», in un'Europa dove le guerre, le carestie, la fame producevano con inesauribile, spietata fertilità «tanta mendicità vagabonda», dove era spettacolo comune vedere «per tutto, il vulgo famelico marcire» l'odorato era interessato a questi orrori forse ancor più dello sguardo perché il lezzo non poteva essere allontanato ma s'infiltrava, nella sua pungente fisicità, ovunque. Il «fetore» della povertà era una realtà drammatica che in Francia incominciò ad attenuarsi (e solo parzialmente) con l'istituzione degli «ospedali generali».

[...]

Lo spontaneismo genetico teorizzato dalla nascita ex putri blocca la nascita delle contromisure sanitarie ed igieniche necessarie a migliorare le difese contro le epidemie e, in generale, contro la morbilità diffusa. Anzi, rimanendo ignoti e inimmaginabili i meccanismi di trasmissione del contagio, sconosciuta l'azione patogena dei microrganismi, quelle che a noi possono sembrare «normali» precauzioni igieniche, oltre che tecnicamente inapplicabili non potevano essere nemmeno mentalmente pensate.

Il mondo del pressapoco coincideva col mondo del verminoso, del caos genetico, della nascita incontrollabile dallo sfacelo e dal cadaverico. Anche il concepimento dell'uomo era sentito come operazione d'inquinamento lussurioso, come congiunzione di sperma corrotto, feccia e marciume del sangue, escremento putrido dell'umore sanguigno. La vita poi era così intimamente correlata alla morte che Thanatos appariva come levatrice d'esistenze nuove, ianua vitae. Questo spiega la grande confidenza con la morte e col cadavere, col marcio e l'escrementale. La «mumia», i frammenti e i brandelli di cadaveri rinsecchiti e mummificati in certe condizioni di optimum ambientale, erano ritenuti altamente terapeutici ed entravano nella composizione di molti medicinali, così come, massiccio, era il consumo terapeutico di sangue umano. Uno studio meno superficiale dell'ideologia farmaceutica (un canale rimasto inesplorato anche agli storici della mentalità e della sensibilità) spiegherebbe certe attitudini e certi comportamenti non solo di fronte alla morte, ma di fronte a se stessi, alla propria carne, alle proprie paure, sogni, ansie. Si delineerebbe un volto inedito della società attraverso i farmaci, gli elisiri, le utopie liquide e solide che i medicamenta dovevano cullare, aprire, alimentare: i sogni e l'immaginario del corpo malato.

Il cosiddetto «processo di civilizzazione» di cui vanno parlando taluni annosi sociologi (rispolverati e tratti ora sorprendentemente dall'ombra) che ne descrivono la fenomenologia senza curarsi di capirne le cause, la «marcia verso la civiltà», con tutte le pratiche istituzionalizzate di lavacri e abluzioni, subì una potente accelerazione quando la gente incominciò a credere ai bacilli, ai microbi (poi anche i virus entrarono nel circuito popolare, nelle enciclopedie mentali delle masse), quando incominciò ad esaurirsi la credenza che la contaminazione fosse una specie di maleficio stregonesco e la peste un oscuro castigo (un «flagello», una violenta fustigazione del corpo sociale peccante) voluto e mandato da Dio (gli aerei «atomi velenosi» sentiti come sicari spediti da un Onnipotente irato, omicida, assetato di sangue); quando la medicina lentamente iniziò a dissociarsi dalla teologia prima e dalla magia poi; la chimica, a sua volta, dall'alchimia; quando si fece strada la convinzione dell'esistenza di meccanismi differenti di trasmissione dei morbi e si pensò quindi a una diversa origine; quando il Male venne messo in disparte dalle malattie. Tutti i moderni divieti igienico-sanitari nascono da questa lentissima straordinaria rivoluzione mentale che, capovolgendo la nozione di sporco (e quindi d'impuro), anziché continuare a schermare il corpo dalle infiltrazioni del Male/Maligno, dalle aggressioni demoniache, a proteggerlo dalla contaminazione maleficiale e dagli effluvi velenosi con un denso strato di sudiciume (i santi eremiti non si lavavano mai, avevano orrore di toccare il corpo; i beati, inspiegabilmente fragranti non solo nella tomba ma anche in vita avevano voltata la schiena all'acqua preferendo la purezza dello spirito alla sporcizia delle tentazioni demoniache che s'infiltravano attraverso la tentazione della carne e il piacere – oggi ritenuto innocuo – dello sfregamento della pelle, una pelle estremamente porosa e perforabile) spinge all'eccesso opposto di decontaminarlo ossessivamente, a deodorarlo nevroticamente («sarai sicura per te e per gli altri» ammonisce la voce dell'inconscio collettivo) quasi per disperdere nella grande nuvola dell'inquinamento chimico (il trionfo della nuvoletta «spray») le tracce dell'umano sporco naturale, «organico», dei naturali effluvi, dei messaggi che il corpo umano, emittente olfattiva, produce e trasmette. Il parossismo del pulito e del bianco («lava così bianco che più bianco non si può») produce poi la contraria reazione della ricerca dell'abbronzatura, della tintura cromatica artificiale, della copertura pellicolare. L'innocenza raggiunta attraverso la cacciata dell'impuro. Un modello culturale nuovo che ha fatto crollare l'immagine del beato incrostato d'escrementi, protetto dallo sporco più tenace.

L'etologia umana deve tener conto di questo cambiamento della bestia-uomo che ha invertito il vecchio codice olfattivo: anziché essere attratto, come in passato, da certi segnali odorosi (ancorché forti o acri), ne viene respinto da una sensibilità modificata. L'inodore va di pari passo con l'insapore. Più che il palato è l'occhio a decidere e a giudicare la qualità delle cose. Il bello sintetico, artificiale delle verdure, ormai ridotte a contare solo sotto il profilo visuale, della loro rappresentabilita teatrale come simboli di un «naturale» in via di disparizione, quasi sempre a basso livello di sapori e di odori (anche i fiori messi in commercio non dicono più niente all'odorato), prodotte forzatamente e serialmente dall'industria alimentare e da concimi ad altissimo artificio chimico, sono ridotte al ruolo di «nature morte», di emblemi vegetali trompe-l'oeil, ad inganni ottici, a scenografie illusorie del perduto. L'occhio, senso più facile, superficiale, plebeo dell'olfatto (selezionato esploratore dell'essenze nascoste delle cose, abilitato a fiutare l'invisibile e l'impalpabile) domina incontrastato nella cultura delle masse. È il segno d'una generale caduta della sensualità, della capacità d'avvertire la realtà con altri canali che non siano quelli nobili dell'occhio, produttore illusorio d'immagini. Il livellamento, la serialità, l'uniformità, la convenzionalità passano attraverso la mancata selezione olfattiva prima e gustativa poi. L'insetto-uomo sta perdendo la capacità d'orientamento olfattivo, l'impollinamento dei bei fiori-vagina diventa sempre più precario. Storia degli odori e storia dei sapori s'intrecciano ineluttabilmente. I «sorbetti carichi d'ambra» della barocca scienza del gelo ne offrono un limpido esempio, un segnale inconfondibile. Naso e palato, nonostante la differenziazione delle funzioni che l'antica gerarchia dei sensi gli attribuiva, sono naturalmente interattivi e complementari. La cosiddetta nobiltà di alcuni sensi nei confronti della ostentata bassezza di altri è soltanto simbolica, allegoria di apologhi morali. La interdipendenza dei processi gnoseologici legati alla cultura del corpo emerge anche dagli inconsci processi metaforici secondo i quali si può anche «mangiare con gli occhi» o «mangiare col naso». Certo il naso sta più in alto della bocca, al piano superiore e comunica direttamente col cervello; gli occhi sono due finestre ancora più eminenti, ma le anastomosi fra i diversi canali conducono a sorprendenti sinestesi. È il Seicento il secolo che ha spostato più avanti, in questo delicato spazio, le frontiere delle sperimentazioni.

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PREFAZIONE



La deodorizzazione e la storia della percezione

L'idea di dedicare un libro alla storia della percezione olfattiva mi è venuta dalla lettura delle Mémoires di Jean-Noël Hallé, membro della Société Royale de Médecine durante l'Ancien Régime e primo titolare della cattedra d'igiene pubblica istituita a Parigi nel 1794.

Acerrimo persecutore dei miasmi nauseabondi, Jean-Noël Hallé si dedica alla lotta per la deodorizzazione. Su mandato dei colleghi, il 14 febbraio 1790 percorre gli argini della Senna per scoprirvi le puzze e procedere a una vera e propria rilevazione olfattiva delle due rive del fiume; un altro giorno sovrintende, assieme ai massimi nomi della scienza francese del tempo, allo spurgo di un pozzo nero ritenuto particolarmente micidiale e sperimenta i procedimenti atti a vincere le emanazioni. Sono solo due esempi della sua pratica quotidiana. All'ospedale il professor Hallé analizza e definisce con precisione l'odore di ognuna delle specie morbose, sa distinguere l'ambiente olfattivo delle sale affollate di uomini, donne e bambini. A Bicétre, nota di passaggio il «cattivo odore dei buoni poveri».

Ma il suo non è un comportamento isolato; basta un'attenta lettura dei testi dell'epoca a farci scoprire in questo campo, come vedremo più avanti, un'iperstesia collettiva. Al piacere derivante dalla vista del paesaggio artificiale del giardini all'inglese o dei modelli della città ideale si contrappone, nel XVIII secolo, l'orrore di respirare i miasmi della città. Ed ecco subito l'anacronismo: in seguito alla tormentata indagine di Jean-Noël Hallé, qualcosa è mutato nel modo di percepire e analizzare gli odori; è proprio questo il tema del presente libro.

Che significa quest'accentuazione della sensibilità? Come si è attuata questa misteriosa e inquietante deodorizzazione che fa di noi esseri intolleranti verso tutto quanto infrange il silenzio olfattivo dell'ambiente che ci circonda? Quali sono state le tappe di codesta profonda modificazione di natura antropologica? Quali finalità sociali sono sottese a tale mutazione degli schemi di apprezzamento e dei sistemi simbolici?

Tutti sanno che il problema non è sfuggito a Lucien Febvre: tra le molte strade da lui inaugurate, figura anche la storia della percezione olfattiva. Da allora, quella dello sguardo e quella del gusto hanno focalizzato l'attenzione, la prima favorita dall'avvento del grande sogno panottico e forte della sua alleanza con l'estetica, la seconda celata dietro il desiderio di analizzare la socievolezza e la ritualizzazione della vita quotidiana. Anche in questo campo l'odorato ha sofferto della svalutazione di cui è stato vittima proprio mentre si delineava l'offensiva contro l'intensità olfattiva dello spazio pubblico.

Una volta di più, il silenzio diviene sfida. Il ricorso ai sensi e la loro vissuta gerarchia hanno una storia; in questo campo, niente è dato per scontato, niente giustifica il distratto disdegno degli specialisti. Il rifiuto degli odori non è conseguenza unicamente del progresso delle tecniche; non nasce con il vaporizzatore e il deodorante corporeo, i quali non fanno che tradurre un'antica ossessione e accentuare un'annosa tendenza.

È giunta l'ora di ripercorrere questa storia-battaglia della percezione e identificare la coerenza dei sistemi di immagini che hanno presieduto al suo inizio. Nello stesso tempo, però, è giocoforza confrontare le strutture sociali e la diversità dei comportamenti percettivi. È vano voler studiare tensioni e contrasti, rimuovendo la diversità dei modi di sentire che tanta parte hanno in simili conflitti. L'orrore ha un suo potere; il rifiuto nauseabondo minaccia l'ordine sociale; la rassicurante vittoria dell'igiene e della soavità ne sottolinea la stabilità.

L'analisi del discorso scientifico e normativo avente per tema la percezione olfattiva, la sociologia dei comportamenti decretata dai dotti, l'interpretazione soggettiva che essi ne danno, gli atteggiamenti che si delineano, nella loro complessità sociale, attraverso la storia vissuta dell'intolleranza, del piacere o del compiacimento, le strategie messe in atto dalle autorità, istituiscono un campo di studio frammentario, all'interno del quale il reale e l'immaginario si fondono in maniera tale che sarebbe semplicistico voler giungere, a qualsiasi costo e in ogni momento, a una discriminazione.

Di fronte a un campo così vasto, il buon senso obbliga a obiettivi limitati; ragion per cui, in attesa che la molteplicità dei lavori consacrati alla storia della percezione renda possibile uno studio globale dei comportamenti, mi propongo di fornire materiali accuratamente etichettati a quei ricercatori i cui strumenti d'analisi consentiranno in seguito l'edificazione di una vera e propria psicostoria.

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Pagina 129

CAPITOLO I
Le strategie della deodorizzazione



Selciare. Drenare. Ventilare

L'imporsi, alla fine del Settecento, delle preoccupazioni igienistiche, ha dato origine a numerosi scritti. Mio proposito non è di tracciarne un bilancio, ma di compiere una rilettura del filo discorsivo, di tentare un esame delle attuazioni concrete nel contesto di una storia sensoriale. La politica sanitaria che all'epoca prende forma ha radici in un passato già annoso, ossessionato dal fetore, e fa proprie pratiche che sono un retaggio della scienza antico-classica, riemerse nella sfera dei regolamenti urbani verso il XIV secolo. Si tratta tuttavia di un igienismo che non si limita al solo reimpiego: l'evoluzione delle concezioni mediche e, più ancora, i progressi della chimica gli conferiscono già un volto moderno.

La strategia sanitaria che così viene in essere non ha più il carattere episodico di quella cui si faceva ricorso al tempo delle epidemie, ma pretende alla permanenza, opera una sintesi, integra le decisioni in una prospettiva edilizia. «L'invenzione del problema urbano», il trionfo della concezione funzionale della «città-macchina» spronano a una «toilette topografica» indissolubile dalla «toilette sociale» che trovano espressione nella depurazione della strada e nella ristrutturazione dei luoghi di isolamento. A partire dal decennio 1740-1750, interviene una polizia sanitaria che aspira alla coerenza sotto la guida di medici aureolati, se non del prestigio dell'efficacia, per lo meno dell'autorità che viene loro da un «sapere trasparente», «indifferente agli interessi particolari». La nascente demografia, che tende a identificare la città con la tomba, dà fiato al pessimismo urbano e sottolinea l'impellenza del progetto di benessere sociale.

Disinfettare, e dunque deodorare, rientra inoltre in un progetto utopico che mira a celare le testimonianze del tempo organico, a respingere tutti i segni irrefutabili della durata, quelle profezie di morte che sono l'escremento, il prodotto delle mestruazioni, il putrefarsi della carogna e il tanfo del cadavere. Il silenzio olfattivo non soltanto disarma il miasma, ma nega lo scorrere della vita e la successione degli esseri, aiuta a sopportare l'angoscia della morte.

Il più arcaico degli imperativi di quest'igiene deodoristica consiste nel tentativo di isolare lo spazio aereo dalle emanazioni telluriche. Interrompere il flusso delle esalazioni plutoniche, proteggersi dai rigurgiti, impedire l'impregnazione del suolo per garantire l'avvenire e, nella misura del possibile, imprigionare i fetori, sono preoccupazioni di carattere permanente. Ovunque il prosciugamento si riveli impossibile, occorrerà sprofondare le melme, far scomparire le terribili crepe, evitando la fuga degli aracnei effluvi che ne sfuggono. Se è indispensabile dragare un bacino portuale o un porto-canale che resti in secca durante la bassa marea, meglio attendere l'alta durante la quale saranno sommersi dalle acque; e Chaptal consiglierà di insabbiare le sponde delle paludi.

Una preoccupazione dello stesso tenore spiega l'inquieto interesse per «l'arte tenebrosa della selciatura», minuziosamente codificata dall'abate Bertholon. La tradizione culturalista della città mantiene vivo il sogno di vie selciate, su imitazione dei romani: una copertura che è bella da vedere, facilita la circolazione e il lavaggio senza risparmio d'acqua. Ma selciare significa innanzitutto isolare dalla corruzione del suolo, dalla putredine delle falde acquifere. Nei recinti annessi ai mercati, poi, la selciatura è indispensabile. A Caen, città particolarmente minacciata dalla vastità delle acque stagnanti, si continua a selciare senza posa, e allo stesso imperativo si deve la nuova usanza del marciapiede, importata dall'Inghilterra e che in Francia si svilupperà assai lentamente. A Parigi, esso fa la prima comparsa nel 1782, lungo rue du Théàtre français, l'attuale rue de L'Odéon.

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Pagina 251

CAPITOLO III
I profumi dell'intimità



La nuova gestione degli odori che accompagna i progressi della privacy dentro l'abitazione borghese, consente una sapiente regia donnesca. Si instaura un sottile calcolo di messaggi corporei, volto insieme a ridurre l'intensità del segno olfattivo e a valorizzarlo. Gli interdetti che riguardano la vista impongono una sorprendente promozione dell'olfatto. «L'atmosfera della donna» diviene l'elemento misterioso del suo sex-appeal; l'esaltazione della verginità delle fanciulle, le nuove rappresentazioni della sposa, del suo ruolo e delle sue virtù, continuano tuttavia a vietare la sollecitazione indiscreta. Suscitare il desiderio senza tradire il pudore, tale il ruolo assegnato all'olfatto nell'ambito di quel raffinamento del gioco amoroso che trova espressione nella nuova alleanza tra la donna e il fiore.

[...]

L'accentuazione delle esigenze del pudore, come è noto, insieme favorisce e frena la pratica dell'igiene personale. E, alquanto curiosamente, l'olfatto si trova a essere coinvolto nella rete di interdetti che così si instaura. Richard Sennett evoca i disturbi fisiologici e psicologici che la paura di scorreggiare in pubblico fa insorgere nella borghesia vittoriana. Vero è che i manuali di buona educazione non fanno neppure cenno a siffatto autocontrollo, ma in compenso lasciano trasparire una delicatezza olfattiva del tutto nuova. Non esigete dal vostro domestico niente che ripugni ai suoi sensi, scrive nel 1838 la contessa de Bradi; salvo che in caso di malattia, «non fatevi mai togliere le scarpe».

Molti sono gli ostacoli al progresso dell'igiene corporea che continuano a frapporsi in contrasto con questi fattori favorevoli: in primo luogo, la lentezza con cui la casa viene dotata di servizi, sancita dalla persistente diffidenza dei medici verso un uso improprio dell'acqua, e lo prova abbondantemente la litania degli interdetti e delle precauzioni di cui è zeppo il discorso degli igienisti. La periodicità mestruale continua a determinare il calendario della toilette, e sono rari gli specialisti che consigliano di fare più di un bagno al mese; Hufeland, che prescrive un ritmo settimanale, fa figura di audace, e più ancora la fa Friedlander che, pur denunciando l'abuso dei bagni, ne permette ai bambini due o tre la settimana.

Immergersi nell'acqua costituisce un rischio calcolato di cui bisogna stabilire la durata, la temperatura e la periodicità a seconda del sesso, dell'età, del temperamento, delle condizioni di salute e della stagione, poiché il bagno, lungi dal costituire una banale e quotidiana pratica di pulizia, esercita una profonda azione sull'intero organismo ed è fatto oggetto delle speranze degli alienisti e persino, in determinate circostanze, di quelle dei moralisti, aspetti tutti che ne dimostrano l'ambivalenza; esso suscita i timori dei ginecologhi. Delacoux ricorda che l'infecondità della cortigiana è dovuta alle eccessive toilettes; a suo parere, molte sono le donne che sono state private della gioia di diventar madri da queste «attenzioni indiscrete». Peggio ancora, il bagno è un attentato alla bellezza, le donne che ne abusano «sono di solito poco colorite, e la loro pinguedine ha più della grassezza che non del fiorire dei tessuti». La fanciulla che si bagni troppo rischia addirittura l'idiozia.

Tourtelle prescrive che non ci si immerga dopo i pasti in caso di debolezza e naturalmente durante il ciclo mestruale. Rostan consiglia di bagnarsi la testa allo scopo di impedire la congestione del cervello; bisogna uscire dall'acqua non appena si avverta il «secondo brivido», asciugarsi immediatamente e quindi sdraiarsi per qualche istante su un divanetto allo scopo di ritemprarsi delle fatiche del bagno ed evitare il rischio di rendere umida la camera da letto.

Fino al trionfo della doccia, che abbrevia i tempi della toilette e attenua l'autocompiacimento, il bagno genera sospetti. Contro la sua diffusione ha buon gioco l'interdetto che colpisce la nudità. Un problema è costituito dall'asciugatura degli organi genitali. «Chiudete gli occhi» ordina Madame Celnart alle sue lettrici «finché non abbiate terminato l'operazione» anche se è vero che l'acqua può fungere da specchio indiscreto. Il dottor P.-J. Marie de Saint-Ursin evoca la confusione della fanciulla al bagno: «L'inesperienza scende, arrossendo, nel cristallo delle onde, vi incontra l'immagine dei suoi nuovi tesori e arrossisce ancora di più». Con termini ampollosi, l'autore conferma il sincronismo che è stato stabilito tra pubertà femminile e iniziazione alle pratiche dell'igiene corporea. «Bagnatevi, se ve lo si ordina» conclude la contessa de Bradi «altrimenti prendete al massimo un bagno al mese. Nel gusto di sistemarsi a tal modo sul fondo di una vasca, tanto poco adatto a una fanciulla, v'è qualcosa di ozioso e fiacco.»

Si capisce quindi l'evidente divario che si crea tra entità della teoria e parsimonia delle pratiche. Ci si bagna per rispettare la prescrizione del proprio medico, il bagno per diletto dovendo essere giustificato almeno dalla garanzia terapeutica. Come stupirsi quindi della complicazione del rituale? Il trasporto dell'acqua, il riempimento e lo svuotamento della tinozza, del mastello o della vasca di lamiera, entrano, al pari del bucato o delle faccende domestiche stagionali, nella periodicità dei grandi riti domestici che riportano le cose al punto di partenza.

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Il turibolo dell'alcova

Poiché gli scienziati affermano perentoriamente che ogni individuo possiede un proprio specifico odore, annusarsi, scrutare le modificazioni olfattive del proprio corpo, è già assumere coscienza della natura del proprio essere. Pauline Quenu intuisce il proprio destino di donna respirando gli effluvi della pubertà. Il narcisismo della «bambina cresciuta» gode della respirazione solitaria come della tattilità dello sguardo con cui si contempla.

Tali convinzioni sono esasperate dalla frenologia, per la quale «l'odore è una manifestazione dell'essere vivente al pari della linea, del colore e della sonorità». Si sa quale influenza abbia esercitato questa disciplina, soprattutto su Balzac: il buon Birotteau ha scelto la professione di profumiere, mentre il sinistro Roguin è diventato un «puzzone».

Propugnando l'igiene, la medicina e la frenologia giungono a determinare i comportamenti erotici; se è vero che l'odore è tanto rivelatore degli esseri umani, respirare l'altro assume significati vertiginosi. L'olfatto è non solo senso della repulsione sociale, ma anche delle affinità. La delicatezza dei messaggi profumati, il candore della pelle, l'abito ampio e arioso, sono tutti inviti a respirare la donna. La reminiscenza olfattiva del corpo dell'essere amato alimenta la passione e i rimpianti. Ma quest'acuta attenzione è prerogativa unicamente del borghese. Gli effluvi dell'amante profumata sono parte integrante dell'educazione sentimentale.

A tale proposito, l'opera di Balzac riflette contemporaneamente sia le concezioni mediche che il codice dell'eleganza dell'epoca. Affascinato dalla seduzione dei messaggi olfattivi, il romanziere fa del Giglio della valle una sinfonia di «perfume appeal». «Mosse pochi passi lievi, quasi volesse arieggiare l'abito candido [...]. O mio giglio! le dissi, sempre intatto ed erto sul suo gambo, sempre bianco, fiero, profumato, solitario!» Félix de Vandenesse sembra ispirato da Cadet de Vaux. Nella narrazione balzachiana, gli odori naturali del corpo femminile seducono per la loro delicatezza floreale; l'analisi quantitativa rivela una focalizzazione del discorso olfattivo in primo luogo sulla capigliatura, poi sulle parti esposte del corpo che il nuovo codice igienistico impone siano pulite e di cui il pudore non vieta di evocare l'odore, visto il peso che questo ha nei rapporti sociali (attraverso la nuca, il décolleté, il corpetto, il braccio, la mano, il viso); né vanno trascurate sporadiche allusioni al profumo delle anche e del busto.

Questa poetica intesa tra la donna e il fiore di campo, che aveva sostituito, nella sfera erotica, l'insistente presenza del boschetto profumato, abituale accessorio della scena erotica di un tempo, scompare con Baudelaire. Il profilo olfattivo della donna muta, non è più esemplificato dal velo vaporoso; il profumo della carne nuda, esacerbato dal calore e dal madore del letto, sostituisce, nello stimolo sessuale, le fragranze velate del corpo pudico. La metafora visiva si cancella. La donna non è più un giglio, diviene sacchetto profumato, gamma di odori che emanano dalla «foresta aromatica» dei capelli sciolti, dalla pelle, dall'alito, dal sangue. Il profumo della donna suggella l'intimità erotica della camera e del letto. «Turibolo» dell'acolva, essa esala un insieme di profumi che trova il suo corrispondente negativo nel tabacco stantio e, più ancora, nell'odore muffito delle stanze, riprove della sua assenza. Gli effluvi della carne sono l'anima dell'appartamento, teatro perenne di un torneo olfattivo. L'atmosfera dell'alcova genera il desiderio, scatena le passioni.

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CAPITOLO V
«Risate in sudore»



Prima del trionfo delle teorie pasteuriane, la strategia di deodorizzazione ha di mira essenzialmente lo spazio pubblico, le parti in comune del casamento insalubre e l'abitazione del ricco. La stragrande maggioranza della popolazione preferisce ignorare l'impresa in atto. In ambito popolare, l'apprendimento delle nuove discipline ha luogo soltanto per il tramite dell'ospedale, del carcere o della caserma; prima del decennio 1860-1870, la diffusione dei codici d'igiene non ha quasi parte nel processo di scolarizzazione: per il momento, quello che conta è imparare a leggere, scrivere e far di conto. Solo più tardi la legge sulla coscrizione obbligatoria, la normalizzazione delle condizioni della vita scolastica, la forza di convinzione del credo pasteuriano permetteranno una lenta diffusione dei valori-segni e dei comportamenti dianzi descritti. Non c'è quindi da stupirsi del perdurare di quelli tradizionali e della resistenza a lungo opposta alle iniziative esattamente mirate di deodorizzazione; i fiaschi subiti da costruttori e igienisti nella loro lotta contro il fumo, la sporcizia e l'aria viziata, testimoniano di codesta fedeltà all'Ancien Régime sensorio.


La difficile battaglia contro l'escremento

La forte resistenza contro cui urta in Francia la politica intesa ad allontanare dall'uomo la presenza della merda, del fumo e del lordume, e di cui costituisce già una riprova l'impossibilità di ottenere la generalizzazione dello scarico diretto nella fogna, ha molte spiegazioni. Innanzitutto, l'antica e persistente credenza degli uomini di scienza occidentali nel valore terapeutico dell'escremento; a Madrid, prima che Aranda divenisse ministro, le materie fecali venivano gettate per la strada e, assicura Chauvet, i medici sostenevano che quel puzzo, che s'avvertiva a oltre quattro leghe di distanza, preservasse la salute pubblica. Senza gli odori di bottinaggio, soggiunge, «avremmo ben presto la peste». Per lo meno, è questa l'opinione di certi uomini di scienza, parecchi dei quali hanno proposto persino di spandere escrementi per le strade delle città devastate dalle epidemie. Dal canto suo, Fourcroy si chiede se codeste pretese virtù del sudiciume siano effettive, ma non osa negarle esplicitamente.

A volte, la pratica terapeutica obbedisce a convinzioni del genere. Sotto il regno di Carlo II, le autorità avevano fatto aprire tutti i pozzi neri di Londra onde vincere la peste con il puzzo, manifestazione di ippocratismo stravolto immortalata, senza nessunissima ironia, nell' Encyclopédie méthodique del 1787. Mezzo secolo dopo, Parent-Duchàtelet continua a proclamare le virtù terapeutiche del lordume che spiegano, a suo dire, la buona salute di minugiai e fognaroli. Tre donne tisiche sono guarite grazie al fatto di aver lavorato al trattamento delle materie fecali; Parent-Duchàtelet le ha intervistate, «erano degne di nota per la freschezza del loro incarnato e la pinguedine». E soggiunge che «ho saputo che parecchi malati che erano stati tanto coraggiosi da immergersi, in parte o completamente, nelle ultime vasche, vi avevano trovato la guarigione, vuoi di affezioni alle gambe, vuoi di reumatismi o altre infermità che avevano resistito a ogni altra cura». Le acque di scolo dei bacini di Montfaucon sono usate come medicamento per i cavalli della zona. Il colera, sostiene Liger nel 1875, non ha mai infuriato nei pressi dei depositi di immondizie di Bondy. Inoltre, certi medici ritengono che i fetori escrementizi siano, sì, fastidiosi, ma non insalubri.

Si tratta di teorie accolte, è vero, solo da una minoranza di medici, per lo più convinti dei pericoli dell'infezione putrida ma che convalidano la credenza popolare nella virtù benefica dell'immondizia. I macellai, nota Bailly nel 1789, attribuiscono la buona salute di cui generalmente godono al fatto di respirare gli odori del sangue, del grasso e delle interiora delle bestie che abbattono. Nel 1832, gli operai del terribile immondezzaio continuano a essere persuasi che le emanazioni escrementizie sono un bene per la loro salute. Vent'anni dopo Bricheteau compiendo un'indagine sui bottinai costata che essi non considerano malsani gli odori escrementizi cui sono esposti, e non manca di sottolineare la facilità con cui codesti operai trovano moglie e concubine.

Ma l'escremento ha anche altri alleati. Deodorarlo, proclamano commercianti di concime, agricoltori e chimici, significa impoverirlo, e tale calo di qualità scoraggia i compratori, comporta una diminuzione di valore del prodotto. È per questo che le misure di disinfezione dei pozzi neri, ordinate dalle autorità municipali di Lille, nel 1858 urtano contro l'opposizione degli addetti.

La deodorizzazione borghese presuppone la ricchezza o per lo meno l'agio, in quanto attesta l'inutilità del lavoro manuale. Il povero, l'uomo-letamaio, impregnato da capo a piedi di odori, invoca la propria aspirazione alla sopravvivenza per giustificare il suo rifiuto alla deodorizzazione. I contadini vogliono tener accanto all'uscio l'indispensabile concime; in città, gli stracciaioli si oppongono alle misure di carattere elitario, e dall'inizio della Monarchia di Luglio scatenano vere e proprie sollevazioni contro le decisioni della prefettura di polizia miranti ad accelerare il prelievo dei rifiuti; gli stracciaioli decidono di ottenerne con la forza la conservazione. Dal 1° al 15 aprile 1832 impediscono la circolazione dei carri dell'impresa della nettezza urbana e danno alle fiamme i nuovi veicoli. I rivoltosi godono dell'aiuto della folla, messa in allarme dalle misure di disinfezione. Lo spreco di acqua clorurata convalida le voci che corrono: secondo alcuni, sono la riprova degli intenti omicidi delle élites.

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Il libertinaggio del naso

Il discorso dell'irrisione al pari di quello della rivolta, fatto proprio da tutti coloro che pretendono di rifiutare la norma borghese, ha come obiettivo prediletto le nuove repulsioni; la sua provocatoria insistenza e il modo con cui si focalizza sull'escremento e gli odori putridi comprovano l'importanza della posta in gioco.

La sfida che il giovane Flaubert lancia ai bei modi è assai più virulenta della sua successiva denuncia delle idées reçues. Flaubert invita a una vera e propria demolizione del codice, soprattutto a livello olfattivo: «Caca negli stivali, piscia per la finestra, grida stronzo, smerda senza misteri, scorreggia senza ritegno, fuma apertamente [...], rutta in faccia alla gente» consiglia il 15 marzo 1842 all'amico Ernest Chevalier. Nella sua rivolta verbale da studentello rabelaisiano, la merda ha un posto di primo piano: Flaubert non manca mai di riferirvisi senza le formule di cortesia, pregustando l'effetto dello scandalo, ancorché attenuato dalla connivenza dei giovani maschi. Flaubert, sensibilissimo alla repulsione suscitata dall'odore dei proletari, ma perfettamente consapevole del ruolo dell'analità nella genesi del narcisismo, promuove la merda al rango di simbolo dell'io.

Giunto alla maturità, l'autore dell' Éducation sentimentale apprezzerà nelle ragazze il tono triviale, la disinvoltura di cui fanno sfoggio nei confronti delle «parolacce» e il loro rifiuto a sottacere i bisogni fisiologici. È un atteggiamento, il suo, che induce a interrogarsi sulle radici dell'attrazione che numerosi borghesi bennati provano all'epoca per il luridume e la salacità.

Il tempo organico ossessiona Michelet, e la storia da lui elaborata è quella della carne che sboccia e si distrugge. Lo storiografo non arretra sgomento davanti alla putrefazione e ai prodotti dell'escrezione, ma spia il momento in cui questi, separati appena dal corpo, sono appena un tantino ripugnanti, e vi cerca le tracce dello scorrere della vita. Non deve quindi meravigliare di vedere il più grande degli storici celebrare le mestruazioni della sua giovane Athenaïs o aspirare a pieni polmoni il sentore muschiato delle latrine per spronare la propria ispirazione.

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