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| << | < | > | >> |IndicePARTE PRIMA 7 L'Arca 1. Neve sulla Marca d'Oriente 9 2. Nel Castello 24 3. I giorni del cielo basso 40 4. Viatico 55 PARTE SECONDA 75 Golconda 5. Acqua e stallatico 77 6. Fiori oscuri 96 7. Borca 118 8. Ermete 142 9. I vescovi della mano destra 168 PARTE TERZA 199 Fra due acque 10. Sul greto bianco 201 11. Gran partita 222 PARTE QUARTA 255 L'assedio 12. Iter 257 13. Leukum 276 14. La Pietra Vivente 312 15. Muore il sole 348 16. Limbo bianco 399 17. Il ratto 448 18. Tre sulla Teti 505 19. Meteore 552 20. La battaglia 606 21. Melusina 628 22. Equinozio d'autunno 641 |
| << | < | > | >> |Pagina 9Mongardo giace nel fondo d'una valle. Oggi è fiera, venerdì 5 dicembre 1749. Accompagnato dal tamburo e due pifferi, il venditore d'almanacchi declama pronostici dell'anno 1750, complessivamente buoni. I banchi brulicano lungo il parapetto del torrente nella fossa: quant'è profonda; acqua scura; l'altopiano cade sulla sponda sinistra. Dal lato opposto la via sale diritta biforcandosi dove finiscono le case: un ramo prosegue obliquo verso le colline; l'altro disegna un semicerchio puntando alla rocca; la scorciatoia attraversa una rada boscaglia. Torri, spalti, tetti d'ardesia. Qualche casupola sotto le mura. Montano la guardia vecchi soldati con fucili dalle lunghe baionette, giacca a code, parrucca grigia: i due piccoli cannoni non credo che sparino più; arrugginiscono; stridono sulle selci le ruote d'un carro che esce. Il pavimento della piazza pende sul bastione. È deserto il portico sul lato alto. Stanotte ne sognavo uno affollato: gli abiti indicano una sera festiva d'autunno o inverno; ferri infissi negli archi reggono lampade accese, poi i lumi svaniscono e anche i passanti. Nella veglia mi volterei. Lì continuo, sotto volte basse, quasi buie: sapendo che è un sogno, voglio venirne a capo; e vista la chiesa, entro, confuso nella folla immobile. «Avanti», esorta l'oratore in cotta e tricorno, indicando le navate: magrissimo, poco più d'un teschio, somiglia al parroco della chiesa dove da bambino sentivo la messa delle undici, contando i minuti perché pativo le corvées liturgiche; «su, avete paura?»; stanno inchiodati al suolo. Dalla cappella sfila una troupe: gli uomini portano finte ali; le donne indossano mantelli e cappucci. Nella sacrestia ne rimane una, vecchia, viso affilato, lunghe trecce corvine: sorride; muovendo le dita come suonasse l'arpa, guida voli d'uccelli simili alle tortore, neri però. L'armadio aperto svela una scala. Salgo. Corridoi oscuri e porte socchiuse soffiano correnti d'aria. Mi sveglio, contento perché erano posti pericolosi, ma vi sprofondo ancora, risucchiato nel sonno, arrivando alla chiesa dalla parte opposta. Restano immobili quelli che affollano l'ingresso, sordi ai richiami. È sparita la maestra degli uccelli. Nell'angolo della sacrestia siede un vecchio grasso, biondo, esangue, schiena curva sul deschetto: s'accomoda sgabello e candela; netta il pennino; sfoglia delle carte inumidendo l'indice nella saliva. Sono due. L'altro sta ritto in una toga d'avvocato piena d'alamari e pendagli, ossuto, capelli gonfi e radi, sorriso losco: i clienti passano tenendo il cappello in mano; ognuno s'abbassa sul tavolino e bisbiglia; lo scrivano annuisce. Forse pattuiscono la sorte delle anime. Risalgo la scala. Stavolta le porte sono chiuse. Dal fondo arriva una coppia: lui piccolo, collo lungo, spalle spioventi, testa alta, strabico, occhi tondi; lei è più alta d'un palmo, pelle e ossa, rapace; i capelli le cadono sciolti; ha della biacca sul viso; ride a singulti. S'era rotto il filo del sogno. Lo ritrovo nel dormiveglia. I viali del giardino convergono alla fontana sul cui basamento siede l'orchestra d'ottoni, legni, corde: persone d'ottimo aspetto camminano tra le aiuole; inservienti premurosi cancellano le orme passando rastrelli e scope; statue, alberi rari, asfodelo, mirto, leoni scolpiti dal viso umano, antichi sarcofaghi; pavoni verdi e blu spiegano la coda nell'erba; la siepe corre sul ciglio d'una profonda ripa; nel fiume scivolano dei battelli. Chiudiamo, avvertono i guardiani, e qui i tramonti durano poco, infatti viene subito buio: era l'equinozio d'una primavera tiepida; siamo saltati nel tardo autunno. La via perpendicolare agli spalti taglia i portici, adesso vuoti. Sono troppe due ricadute nello stesso sogno. Lo sfido correndo verso la chiesa, riapparsa qual era: sale al pulpito una cantante erculea; s'affaccia muta; fa dei segni indicando la gola. Pubblico torpido, sacrestia deserta, scala buia, barlumi nei corridoi. Tento le maniglie, porte chiuse. Chiunque sia, venga fuori, volevo gridare ma ho perso la voce anch'io. Lo spiraglio dell'unica porta socchiusa inquadra un letto: vedo male nel fondale grigio; qualcosa s'è mosso sotto il lenzuolo; scena già vista, non ricordo dove, forse era il dipinto d'una sala anatomica. Stavolta mi svegliano i rumori della locanda.
Il cielo s'abbassa. Ieri correvano previsioni d'una nevicata.
Scendo subito dalla rocca, caso mai la neve sospesa tra nuvole e
terra affrettasse la partenza: guai se perdo questa carrozza; è l'ultima sicura.
Siamo sei. Le due signore siedono ai finestrini, verso i cavalli, ai lati d'un passeggero dai capelli fitti, rossi, corti, nel soprabito scuro abbottonato, cappello sulle ginocchia. La bionda giunonica sa latino, francese, musica: va istitutrice nel capoluogo della Marca d'Oriente; lo racconta alla matrona benevola; lui sorride. Dalla nostra parte sta in mezzo, avendolo chiesto, se eravamo d'accordo, un medico piuttosto vecchio, gentile, viso largo segnato dalle rughe. S'è avvolto nella palandrana verde. Il terzo indossa un mantello da gentiluomo: alto, sottile, nero, profilo tagliente, occhi socchiusi; non sta riposando, cova dei pensieri; aveva salutato con un lieve inchino. I quattro conversano: la società del capoluogo, previsioni sulla cometa, che inverno sarà; perché la vita sia così breve; il dottore indica i punti deboli della macchina umana; quando i conversanti passano alla letteratura, tace; poco dopo s'addormenta. Tengono banco la forestiera e quello dai capelli corti: sorride ostinato, sceglie le parole, modula i suoni, pratico d'eloquio; Madama lo chiama Gundulo. La vettura corre sulla riva d'un lago intorno al quale fioriscono delle storie. Ho dormito almeno due ore: è buio; e qui non vale l'astronomia dei sogni, dove il sole tramonta d'un colpo. Ancora fiabe del lago. Le due interloquiscono, rade domande o battute incidentali. Gundulo racconta come sia nato un famoso mago. I diavoli tengono consiglio: Nostro Signore ha violato casa loro prendendosi Adamo, Eva, i giusti; erano ospiti temporanei, insensibili ai tormenti; che fosse dimora provvisoria, l'inferno lo sapeva dai profeti. Offesa intollerabile, richiede una rappresaglia. Susciteranno l'Anticristo: c'è uno dei loro il cui sperma attecchisce infallibilmente; hanno sotto mano la donna adatta. I diavoli sbagliano spesso, altrimenti saremmo tutti laggiù. È stupido il male: divagano accanendosi sulla predetta famiglia; ammazzano il bestiame, incendiano le fattorie, strangolano l'unico figlio maschio; inducono il marito al suicidio; muore così anche la vedova, lasciando tre figlie, una delle quali finisce sepolta viva, tale essendo l'uso, perché nasconde il nome dell'uomo che l'ha ingravidata. La seconda è tutta chiesa. Le cura l'anima Blaise, sant'uomo: aveva intuito mani diaboliche sotto le sventure; e le impone meticolose cautele nelle singole ore della giornata. La minore soccombe al demonio cattivo consigliere: vuol schivare la mala sorte della primogenita?; basta prostituirsi; non se lo fa dire due volte. Costerebbe poco spedirle l'inseminatore, invece scelgono l'altra, costumatissima; la studiano due anni senza scovare l'ombra d'un peccato. Più che mai accaniti, le mandano addosso la sorella libertina: viene un sabato sera, accompagnata dai ganzi; l'assalita s'arrabbia; tenta d'espellere gl'invasori; subisce crudeli percosse; s'asserraglia; piange sul letto. Eccola finalmente indifesa, commenta Satana: dorme senza lume; ha anche omesso il segno della croce. Il diavolo dallo sperma sicuro era lì, la feconda nel sonno. Dev'essersene accorta, commenta la matrona. Qualcosa aveva sentito se, aperti gli occhi, recita giaculatorie. Orgasmi notturni spontanei, chiosa il medico. Probabile, ammette Gundulo, ma era un coito diabolico: sapendo d'averlo patito nella camera chiusa dall'interno, passa il resto della notte in angoscia; al mattino, scortata da due donne, va da Blaise a raccontare tutto, l'assalto in casa, come avesse chiuso la porta dimenticando però altre cautele antidiaboliche, e l'orribile scoperta; non è più vergine. Abbia pietà, accetta qualunque tortura purché l'anima sia salva. La risposta suona dura: pare inverosimile un defloramento incolpevole; e comunque sia avvenuto, ormai porta il diavolo in corpo. Tutto considerato, l'assolve sub condicione imponendo due penitenze: vita natural durante consumi un solo pasto i venerdì; più costosa l'altra, castità perpetua, esclusi dal conto i futuri orgasmi nel sonno; rispondiamo solo degli atti coscienti e volontari. Se adempie, stando le cose come afferma, stia tranquilla: l'episodio è innocuo; ne risponde lui verso Nostro Signore. Era scettico ma ripensandovi, se ne convince, allora la richiama: le dà da bere acqua benedetta, la riassolve, studia un pio regolamento; lei ubbidisce con tale impegno che il diavolo non sa più dove viva né cosa pensi. Blaise connette male, rileva il dottore: se gli affari uterini d'una dormiente non sono materia peccaminosa, perché punirla? Non s'era fatta il segno della croce, obiettano le signore. Colpa minima. Secondo noi moderni, osserva Gundulo: la storia ha quasi seicento anni; i divieti rituali erano materia serissima; guai, ad esempio, se una regina tocca metalli vili o veste abiti dai colori forti (solo bianco e verde) o qualcuno le sfiora il capo. L'istitutrice chiede schiarimenti su punti anteriori del racconto, quando dormivo: il cavaliere mandato dalla Dama del Lago libera i prigionieri d'un castello con dei duelli; non aveva nome o meglio, non sapeva quale fosse; lo scopre sollevando la pietra tombale su cui è scolpito. Madama chiede notizie della penitente. Era incinta, no? Non può nasconderlo: le donne la squadrano; chi è lui? Mah. Aveva tale commercio da non sapere chi sia l'autore? Mai conosciuti uomini, «conoscere» nel senso biblico. Il narrante rende ossequio alla forestiera bionda, che sa musica, latino, francese. Senta cosa dicono le comari sogghignanti: «bele amie, ce ne porroit estre, ne il n'avint onques ne a vous ne autrui»; una vergine gravida? L'interpellata accusa qualche difficoltà: francese antico; adesso la frase suona così. Affare serio, commentano le comari pronosticando condanna e confisca del patrimonio. Peccato, tante belle case e terre. Disperata, corre dal confessore. Non se l'aspettava gravida: ha adempiuto le penitenze?; scrupolosamente; l'episodio notturno s'è ripetuto? No, Deo adiuvante. Abbia fede. I giustizieri l'arresteranno, predoni ingordi, ma si vera sunt exposita, esce salva. «Col precedente della sorella sepolta viva, sarei meno tranquilla», commenta Madama. Arrivano gl'itineranti, informati dal pubblico, e s'impadroniscono della rea. Le directeur de conscience la rassicura. Non tema mano umana. Circolano pesanti ironie: ingravidamento spirituale? Partenogenesi biblica, mormora il dottore. Blaise vanta cognizioni segrete: nessuno la tocchi finché porta il figlio nel ventre; lui non risponde dell'ipotetico peccato materno. D'accordo, abiterà una torre, custodita da due donne fino alla svezzamento. Lo partorisce simile al genitore in acume intellettuale: sa tutto l'accaduto, più quel che i diavoli ignorano; vede gli avvenimenti futuri e sceglie liberamente chi servire, con poco merito, penso io; se Lucifero avesse previsto l'orrendo castigo mentre concepiva pensieri orgogliosi, sarebbe ancora lassù, primo degli spiriti rutilanti. Fungono da ostetriche le due custodi, atterrite, tanto appare grosso e villoso: mai visti neonati del genere; persino lei confessa d'averne paura. Che nome mettergli? Quello del nonno, Merlino. Nell'antico celtico "merch llian" significa «senza padre», «bambino della donna». Nessuna balia lo vuole. Il dottore domanda quanti secoli abbia questa fiaba. Sei, ripete Gundulo: l'autore dell'«Historia regum Britanniae», Geoffroy de Monmouth, identifica Merlino con l'Ambrosius profeta nominato dall'«Historia Britonum»; e pochi anni dopo compone «Vita Merlini». L'interlocutore non è meno erudito. Seicento anni fa non esisteva una daemonomania epidemica: passano due secoli prima che il fenomeno emerga, ancora sporadico; gl'inquisitori cercano pazienti, non avendo più eresie da estirpare; nasce allora la teoria delle arti stregonesche, sottintesa nella storia d'un parto diabolico. Instanti le signore, sentiamo particolari sul bambino: a nove mesi ne dimostra ventiquattro; ne ha diciotto quando le guardiane chiedono congedo, stanche della corvée. Invano l'infelice madre supplica: appena resti sola, verranno gl'inquirenti; «on fera de moi justice». Escono mentre lei piange, seduta alla finestra. «Figlio mio, morrò a causa tua, senza colpa.» Lo teneva in braccio. La guarda, sorride, apre bocca. «Non morrai.» Le manca il cuore: l'enorme bambino cade e strilla; le due tornano sui loro passi. Voleva ucciderlo, eh: non credono che abbia parlato; esigono la prova. Merlino resta muto. Lo provochino simulando compianto. «Che sventura avere questo figlio: la manda al fuoco, così bella; non fosse mai nato!» «V'ha imbeccato lei.» «È un diavolo, sa cosa pensiamo.» Le fulmina ancora. Corrono alla finestra, chiamano gente, testimoniano l'evento meraviglioso. Partono lettere ai giudici. Tra quaranta giorni saprà cosa l'aspetta. Ne mancano otto. Lei piange, lui cammina ilare nella torre. Maledetta l'ora in cui è nato, esclamano le sorveglianti, pronosticando il martirio materno. Finché sia vivo, nessuno oserà toccarla. Dev'essere molto sapiente un bambino che parla così, concludono rasserenate. Qui il dottore apre una digressione sul diavolo. L'abbiamo dentro, spiega raccontando gl'inferni dei malati. Intermezzo triste, lunga pausa. La rompe Gundulo. Viene col figlio indossando solo una camicia. Gl'inquirenti ascoltano le testimoni senza commuoversi: un bambino parlante sotto i due anni è fenomeno notevole; ma bisogna che sia eloquentissimo se vuoi salvarla dal rogo. Le accordano un téte-à-téte col sant'uomo: era ignaro dei mirabilia; secondo lui, non sono finiti. Merlino stava sul luogo del giudizio, muto e indifferente. Le domandano chi sia il padre. Lo ignora, né ha mai compiuto atti idonei al concepimento. Allora deliberano un'expertise chiamando delle comari: sanno d'esperienza diretta o de auditu che qualcuna abbia concepito senza maschio?; raccolto il responso, lo comunicano all'inquisita; «ore mais est il drois que la justice soit faite». Interloquisce l'infante parlatore. Nossignori: se ogni coito eccepibile è delitto capitale, finiranno sul rogo i due terzi dei presenti; lui sa i segreti d'ognuno e quando voglia, provoca delle confessioni; l'imputata è innocente; vi fosse qualche lieve colpa, non sarebbe più sua, essendosela assunta le directeur de conscience. È vero, risponde l'interpellato e narra i precedenti. Ancora Merlino, disquisitore inesorabile: Blaise aveva annotato giorno e ora dell'episodio notturno; li confermi; la data del parto corrisponde. Sa tutto, esclama lo stupefatto confessore. I giudici, impassibili, applicano massime d'empirismo scientifico. Nomini l'uomo, «en tel maniere que nous le creons». Merlino s'infuria: lo sa lui chi sia suo padre; e le loro madri sanno meglio della sua chi le ha fecondate. Attento, avverte uno dei diffamati: finiranno entrambi nel fuoco, se non prova l'adulterio; ha quindici giorni. Li passa nella torre, sotto severa custodia, muto. È buio. Non distinguo più i visi, solo le teste. «Tra poco arriviamo al Bivio delle Chiuse e i due signori al mio fianco scendono», nota il dottore. Gundulo s'affretta. Siamo all'udienza conclusiva. «Vées ci ma mère sur quoi tu dois parler», intima l'offeso, indicando l'asserita adultera. Non qui: la conduca fuori dello sguardo pubblico, assistita da privati consiglieri; lui porta i suoi, Dio onnipotente e il confessore dell'inquisita. Stupore in aula, davanti a tanta sapienza procedurale. Accolta la richiesta, pone un quesito: supponendo che vinca questa partita, rischia altre accuse? No, sarà res iudicata. Vanno nella sala attigua l'accusatore, sua madre, due consiglieri, Blaise, Merlino; il quale, intimato due volte, offre un commodus discessus: non conviene desistere hinc inde? Nient'affatto. Sta bene: l'inquisita non sa cosa fosse avvenuto; e lui è sicuro d'avere quel padre? «Bele mère», domanda sgomento l'avversario, «en ne sui je fix de votre loial espous?». «Mio Dio, caro figliolo, sei figlio del mio signore buonanima.» «Signora mia, dica le cose come stanno, visto che suo figlio insiste.» Ultima offerta transattiva. L'altro mantiene l'accusa. Se l'è voluto. L'infallibile esaminatore svela i retroscena: in rotta col marito, era l'amante d'un prete; scopertasi incinta, gli chiede aiuto; lui rappattuma i coniugi; nasce il figlio adulterino; continua il ménage peccaminoso; dormono ancora insieme (ormai è vedova), anche l'ultima notte; al mattino le raccomanda ridendo d'adempiere la parte d'una moglie virtuosa; non s'imbrogli nelle risposte. Esterrefatta, cade a sedere. «Bele mère», la rassicura l'accusatore, non ha niente da temere. «Pour Dieu mon fils, merci»: inutile nasconderlo; sa tutto questo bambino. La matrona vorrebbe particolari sulla casistica delle paternità dubbie. Il dottore elude l'argomento. Gl'interessa l'epilogo: Merlino ha vinto; rimane però insoluto un punto capitale, chi sia suo padre; la storia non può finire così. Infatti, ripiglia Gundulo. L'enfant prodige risponde graziosamente, non essendovi obbligato: è figlio d'un diavolo la cui famiglia, dei cosiddetti equìpedi, vive nell'aria; bassa atmosfera, chiosa il dottore, «aer caliginosus». Grazie ai talenti paterni, sa ogni cosa passata, e Dio gli ha concesso la cognizione intuitiva del futuro. Se vuole una prova, eccola: tornata a casa, l'adultera racconterà i coups de scène al prete; il quale, temendo la vendetta del figlio, morrà suicida nel fiume. Così avviene: lo riferiscono gl'inviati sul posto; e sia detto en passant, è buona massima stare in compagnia: Satana attacca volentieri le persone sole. Nel post factum Merlino intrattiene Blaise: i diavoli sbagliano assalendo la figlia virtuosa d'una donna della quale erano padroni; vuol sapere dei segreti?; porti inchiostro, penna, pergamena. Passato e futuro, raccolti dall'amanuense, formano il libro del Graal. Lo sappiamo da un capitolo dello stesso. Intorno al 1230, quando varie mani l'hanno composto, era gesto fine raccontare nelle storie come siano nate. Siamo al Bivio delle Chiuse, cambio dei cavalli. Le due signore, Gundulo, il dottore proseguono. Noi due scendiamo alla locanda. Domani passa la posta dell'Arca, purché questo cielo gonfio regga il peso della neve. | << | < | > | >> |Pagina 24La Biblioteca ha le volte, i vetri, gli sfondi d'una cattedrale. Tagli rossi accendono i marmi del pavimento. Il legno dei tavoli è mogano. Sedie dallo schienale alto. Le arcate dei finestroni inquadrano leggii ad altezza d'uomo: degli scalini conducono al palco sulla parete opposta; due ballatoi cingono i quattro lati; gli scaffali sfiorano i cassettoni del soffitto. L'unica anima viva siamo io e l'Aiutante: lievemente gobbo nel lungo grembiule nero, viso serio, capelli lisci, piccoli baffi, passi veloci e silenziosi; m'accompagna alla mappa appesa sul banco. I libri utili stanno nell'angolo destro. L'unico col quale abbia parlato ieri sera, è Bissio, piccolo, nerissimo, nuca prominente. So da lui che non esiste vita sociale: Sua Grazia appariva raramente; da varie settimane sta chiuso nell'appartamento; gl'inquilini vivono le rispettive giornate. L'Economo, i registri del quale Bissio tiene, preferisce i tarocchi alle serate musicali; ne possiede d'importantissimi, anche cinesi; li studia alla lente. Nevica ancora. Il Maestro delle Poste ne aspetta una quantità enorme. Oggi visito gli scaffali cominciando dal secondo ballatoio. Antiquitates ebraiche, egizie, greche, persiane, romane, geografia biblica, astronomi caldei, arconti d'Atene, i papi, teologia naturale, arti divinatorie, miracoli, conviti, biblioteche, pittura, ludi circensi, funerali e sepolcri, armi portatili, macchine d'assedio, idraulica, architettura. Lettere greco-latine: Plauto, Ennio, Terenzio, Catullo, Lucrezio, Livio, Virgilio anche nella tradizione medievale. Plinio, «Naturalis historiae libri XXXVII», tre meravigliosi infolio: Joannes de Spira, Venetiis 1669; ex recensione Johannis Andreae episcopi Aleriensis, in domo Petri et Francisci de Maximis, per Conradum Suueynheym et Arnoldum Pannartz, Romae 1470; per Nicolam Jenson, Venetiis 1472. Vengono da Sweynheym e Pannartz, Romae 1471, anche i due tomi d'Ovidio, seguiti dai tre in aedibus Aldi, Venetiis 1502-1503. Scrittori sassoni editi da Iohannes Burchardus Menckenius, cum figuris aeneis: tre giganti moderni, Lipsia 1728-30; ratione materiae li terrei altrove. Nel ballatoio basso Padri greci e latini: Sant'Agostino riedito dai benedettini, Parisiis 1679-1700, undici tomi; san Tommaso, i riformatori, faide tossiche de auxiliis. Infine, scibile stregonesco: «Disquisitionum magicarum libri sex, quibus continetur accurata curiosarum artium & vanarum superstitionum confutatio», ecc., auctore Martino del Rio, Societatis lesu Presbytero, ex officina Gerardi Rivii, Lovanii 1599; la giurisprudenza antidiabolica fioriva ancora cent'anni fa; non mi stupirei se l'Elettore giovane la restaurasse. Quanta letteratura empia, deisti, libertini, atei, spiriti forti. Roba d'Olanda: Pierre Bayle, «Dictionnaire historique et critique», 3a ed., Michael Bohm, Rotterdam 1720; nonché «Ses Oeuvres diverses», La Haye 1727-31, otto tomi erculei. Chiude gli scaffali della filosofia Christianus Wolfius, «Ius naturae, methodo scientifica pertractatum», otto volumi nuovi, Lipsiae et Francofurti, 1740-48, più un nono venant de paraitre de iure gentium, 1749. Col già scritto e l'arsenale sotto mano in nove mesi sbarco sulla luna. Lo spione me ne dà quattro. Stanotte sognavo il lupo visto nella foresta, non ricordo cos'avvenisse. Due giornate cariche d'eventi, incluso il sogno ricorrente tra venerdì e sabato: le cose sognate sono materia che coviamo, quindi hanno un senso, devono averlo ma non lo vedo. Tomi rari sul palco. «Speculum humanae salvationis latino-germanicum, cum speculo Sanctae Mariae editum a fratre Johanne», sine notis, gotico con tante xilografie; poi la versione tedesca, Bernard Richel, Bàle 1476; e sei francesi. Alberto Magno, «Libri IV Meteororum», stampati Dio sa dove da Renaldus de Novimagio, 1470, die vigesimo quarto Maji; sei esemplari sotto marche diverse del «Liber aggregationis seu Secretorum de virtutibus herbarum, lapidum et animalium quorumdam»; sono firmati dallo stampatore, «per me Godfridum Back», senza data né luogo, i «Secreta mulierum ab Alberto Magno composita»; e arcani maschili, Liptzick, per Cumradum Racheloffen, 1494; «Liber de secretis mulierum cum expositione Henrici de Saxonia eius discipuli», Romae, 8 luglio 1499. Aristotele, «Opera, graece», con «Teophrasti de historia plantarum libri X et de causis plantarum libri VI, impressa dexteritate Aldi Manutii», Venetiis 1495-98, cinque infolio. I commenti d'Averroè: «Phisichorum opus feliciter explicit, studio ac impensa Octaviani Scoti, diligentissime et castigatissime correctum, ex stercore et tenebris in nobilissimum et clarissimum locum deductum», Venetiis impressum, anno salutis 1495, die ultimo Septembris; il quale Ottaviano die quinto Decembris pubblica i «Libri de generatione et corruptione»; l'anno dopo, die 22 Aprilis, i tre «de anima, de sensu et sensato, de memoria et reminiscentia, de somno et vigilia, de causa longitudinis et brevitatis vitae», più i nove «Metheororum»; infine, «Omnia Aristotelis opera tam in logica quam in philosophia naturali et morali et metaphisica»; indi «Destructiones destructionum Averroys contra Algazelem»; e «Tractatus de sensu agente», a cura del philosophus preclarissimus Nissus de Suessa, dai torchi d'un Bonetus Locatellus, Kalendis Martijs 1497, Laus Deo. Sette edizioni del «Canone» d'Avicenna, filosofo, medico, chirurgo. Ulricus Molitor, «De lamiis et pithonicis mulieribus»: ratione materiae appartiene alla disciplina stregonesca, schierata sul secondo ballatoio, ma è un incunabolo, ex Constantia, 10 gennaio 1489; come Iohannes Nyder, «Formicarius», tre esemplari diversi, due sine notis e uno Augustae per Antonium Sorg, sine anno. Dev'essere una carta dei luoghi ultraterreni lo «Speculum finalis retributionis» d'un Petrus Reginaldus, impressum Lugduni, partium Franciae amenissima urbe, dal maestro d'arte tipografica Iohannes Trechsel, 1492, die tertia Augusti. I finestroni hanno due telai: i vetri colorati sono infissi nell'interno; l'Aiutante li apre e affluisce una luce grigia da neve. A proposito dello «Speculum finalis retributionis», ero sicuro che nel secondo episodio onirico i due della sacrestia confabulassero sui destini delle anime: il bianco adiposo siede; l'ossuto gli bisbiglia qualcosa nell'orecchio curvandosi, mentre sorride ai clienti allineati rispettosamente dietro. Solleva la testa, rigido come avesse inghiottito un bastone: sembrano dipinte le macchie rosse sul viso; lo gira lentamente muovendo gli occhi da bottegaio ladro. Non vorrei avere addosso nessuno dei due. Imbrogliano dei poveri diavoli fingendo anticamere, cunicoli, scale, labirinti da qui all'aldilà. I rumori della locanda m'hanno svegliato mentre guardavo nello spiraglio: un corpo vivo stava voltandosi sotto il lenzuolo; dovessi definire i sogni, direi «metafisica dello squallore». Scendono fiocchi radi. | << | < | > | >> |Pagina 96La Stamperia dista poco dalla Biblioteca, verso i bastioni a tramontana. Lungo il muro rosso sciamano donne col grembiule e fazzoletti in testa. Qui non abitano signori: casupole, piccoli orti, casermoni, laboratori; un maniscalco, delle botti, cordami. I fabrilia esalano sentori acri: fornello, mantice, incudine, magli, lime, tenaglie; maestro e lavoranti indossano grembiuli neri. Buono l'odore del legno. Il canale nasce da una cascata nella chiusa: intravedo appena il fondo; sei o sette braccia, come la conca del torrente dove nuotavo, piena d'acqua nuova; me ne serve uno simile d'estate. Scorre nel verde il fiume sulla cui riva camminavo domenica 4 ottobre, quindi non vi nuoterei mai. Il bel tempo dura dalla festa dei morti: dopodomani saranno tre settimane, ma sta finendo; ieri il cielo era ancora cristallo turchino; s'è incupito e il sole non scalda più. Sabato prossimo consegno tutto. Sarà un divertimento comporre l'indice dei nomi e cose notevoli. Non sono vagabondi i due stretti nella giacca, mani in tasca perché fa freddo: vengono dal mercato delle braccia sulla piazza del Castello, non avendo trovato chi li assoldi; Golconda è meno ospitale di quanto dicano. Il bottaio m'indica la Stamperia, ultima casa alta. Tre piani: il portone dà nel cortile; ogni ringhiera sventola biancheria stesa. Vengo a prendere le bozze: un lavorante dal lungo grembiule grigio mi precede sulla scala; bussa, entra, chiude la porta, riappare. Iacobus sta parlando con un fornitore. Posso aspettare qualche minuto? Vuol salutarmi. Stavo elucubrando sull'opera seconda quando dall'ultima porta esce gente. Veste come un cantante d'opera: la tunica viola gli scende ai piedi; capelli e barba formano una selva fulva; viso lungo, emaciato, bianco, estatico; sullo stomaco, appesa al collo, gli balla una croce a due barre orizzontali, inscritta nel cerchio d'oro o almeno dorato. Gli accompagnatori hanno l'aria compunta dei chierichetti che reggano uno strascico. Cammina assorto, passi lievi, girando lente occhiate distanti, come planasse nel cielo degli angeli: sosta; guarda la finestra; soffia parole inafferrabili; scende dalla scala. «Scusi se non sono venuto subito: stiamo rinnovando i piombi ed esaminavo dei campioni; posso portarLe via qualche minuto?» Ancora giovane, alto, capelli chiari e lunghi, spalle curve. «Siamo orgogliosi d'acquisire un libro così. Il Professore non ha i complimenti facili: fanno paura i suoi giudizi; stavolta non credevo alle mie orecchie. Vista l'opera, capisco.» Non sorride. L'incredulo sono io, rispondo, stordito dalle meraviglie. «Non che la mia opinione conti, ma dopo vent'anni conosco il mestiere: guai se non riconoscessi l'opera importante; e la voce dev'essere corsa.» Davvero? «Che poi i suoi colleghi e superiori lo dicano, è questione diversa: qualcuno no, metterei la mano sul fuoco; s'impiccano prima d'ammettere che uno sia bravo.» Poco fa nel corridoio è sfilato un trio mistico. «Quello che precede d'un passo Gesù Cristo?» Palandrana viola, pose spirituali. «Ogni tanto cambia addobbi e colori. Canta messa in una compagnia dalle mani lunghe e pelose: pubblicano sotto la nostra sigla; cattivo affare, secondo me, ma non sono io il padrone. Erano roba seria le "Effemeridi", poi è arrivato costui. L'Institore vorrebbe disfarsene, non può ancora. Che impressione Le fa Golconda?» Ancora vaga, sono qui da due mesi. «Stia attento. Ne riparliamo: lieto d'averLa vista; ancora complimenti e tanti auguri.» Saturno e le Parche mi vogliono bene: magister artium, quasi doctor philosophiae; erano favore insigne i quattro mesi nel Castello; Sua Grazia resta miracolosamente vivo finché io abbia finito; fosse morto sotto le feste, l'opera prima sarebbe un futuribile, né sarei qui, accolto dal Professore; naturale che qualcuno guardi storto. Giuseppe diventa ministro del Faraone. Aria fredda, sole velato, acqua buia nella fossa. Tra un mese, solstizio d'inverno, il più bel mese dell'anno. Stavolta vola basso lo stormo d'anitre. Volevo scrivere all'Ornitologo ma pende troppa materia indefinita. Siccome l'occasione richiede una cioccolata bollente, passo nella caffetteria del vicolo. Lumi caldi. Gli specchi allungano l'immagine. Da bambino guardandomi capivo quanto sia labile l'Ego: ricordavo l'accaduto senza trovare punti fermi sotto la collezione dei ricordi; sotto non c'è niente; sub stat, substantia, fictum ens. Io, tu, lui, figure nel caleidoscopio dell'Intelletto universale. Parigi 1277, cinque secoli fa meno ventisette anni: il vescovo condanna la Facoltà d'arti; ovvio, erano averroisti; ma en passant colpisce anche san Tommaso. «Abbiamo gli stessi orari.» Laudomio. «Mi godo l'ultima bella giornata.». Siamo due intenditori del cielo. «La mia famiglia viene dalla campagna; lì uno impara subito i segni del tempo: la brina, cosa porta il vento, aria calda o fredda, l'alone della luna.» L'avevo letto nelle «Georgiche». «Oh, Lei l'aveva visto al Falcone, poi sul palco: è morto sotto il bastione d'Oriente, alla bella stella, senza un soldo addosso; morte naturale, dicono. Sia contento. Se non vanno sulla forca, quelli della sua risma sa dove finiscono? Al traino dei battelli sul fiume. Povero diavolo, sarebbe scoppiato dopo due ore. Gli è ancora andata bene.» Stiamo salendo le scale. «Era poltrone ma non idiota, anzi ne sapeva una più del diavolo. Più invecchio e meno capisco. Buon lavoro, Dottore.» Dottore in fieri, ammesso che fiat. «Sicuro come l'oro d'un fiorino.»
Dietro gl'infolio il lettore fine accenna un mezzo sorriso che
ricambio. «Al dottor», anche la Stamperia mi gratifica d'un titolo futuro. Viene
fuori un fascio folto: l'ultima pagina è numerata
197; con gl'indici, oltre 200. Lo vedo già, in-4° piccolo, carta
spessa bianco-opaca, barbe, caratteri nitidi, copertina d'un cartone grigio o
paglierino. Meraviglia d'autunno, volo come i migratori. Quaranta copie gratis:
ne destino sette ai castellani ma
l'unico reperibile è l'Ornitologo; mandandogliela chiedo notizie
degli altri, Teodora, Viviana, l'Attuario, Slavonio, l'Economo, Sirafi. Nella
mia copia custodisco la miniatura della nave. «Le bozze?» Il pandettista
aspirante dottore allunga il collo, curioso.
«Momento importante: le bagneremo una sera; complimenti.»
Piega la testa cerimonioso. Pagine immacolate, il primo refuso
nella quinta. Quando sia il momento d'uscire, voglio averne lette trenta. Domani
sarà una domenica senza sole ma chiara, ed essendo bene esposta la mia camera,
lavoro otto ore prima d'accendere la candela. Non so quanti giorni richieda
l'indice. Sarebbe ottima cosa consegnare tutto sabato 28, poi incipit opus
secundum. Nasce da solo. Non ho speso tutti i materiali del Castello. Ripassa il
calvo occhialuto. Ogni tanto palpo i fogli, carta
ruvida. Passano due praticanti, usciti dall'ultima sala, e salutano: mi
guardavano come un animale ignoto, diffidenti; dev'essere corsa la notizia.
Dispensa larghi sorrisi l'autore dell'invito alla
caffetteria, ilare e pasciuto: ha le physique del massaro benestante; perché
diavolo sforza l'esigua materia grigia. Il quarto,
mai visto, mi squadra impassibile: magro, olivastro, nero, sguardo d'uccello
notturno. Sono pericolose le ondate d'euforia: non
avverto più i pericoli; mi sentivo benvoluto da costoro, assurdo.
Iacobus irradia simpatia. Il lettore dal viso serio sostituisce
l'infolio sul leggio senza scomporsi: quando distoglie gli occhi,
guarda fuori della finestra; non l'ho mai visto ritto ma dev'essere alto.
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