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| << | < | > | >> |Indice13 1. Dimitte Domine servum tuum 17 2. La difficoltà d'essere seri 21 3. Accademia a Palazzo Madama 25 4. Rintocchi d'una falsa Apocalisse 29 5. Dike imputata 33 6. Alambicco berlusconoide 37 7. L'inamovibile 41 8. Casus pro amico 45 9. Stregonerie d'Italia 65 10. Impresentabile a testa alta 69 11. Chi ha paura dei numeri 73 12. La fattoria italiana degli animali 77 13. Dialogo sul morbo italico 83 14. Filosofia dell'impunità 87 15. A chi giova l'ibrido governativo 91 16. Timeo Danaos 95 17. L'idioma dell'arrembante 99 18. Disvelamento fiorentino 103 19. Cent'anni d'ipnosi 107 20. Tartufi in San Giovanni 111 21. Motus velocior 115 22. Accademia dei Trasformati 119 23. Roditori dalle lunghe braccia 123 24. Gli handicap del vincitore 127 25. L'immaginario in politica 131 26. Due omonimi 135 27. Mezzo secolo in giù 139 28. Otto settembre 1943 143 29. Italia credula 147 30. Mezzogiorno buio 151 31. Non guarisce più le scrofole 155 32. De maleficiis 167 33. Mali affari nella Rocca 171 34. Cave librum 175 35. Trittico del Tosone 181 36. Zodiaco d'Italia 185 37. Etica d'una guerra partigiana 195 38. Il basso impero della parola 207 39. Il Cuculo nel Pd 211 40. Quando parola e gesto sovrabbondano 215 41. Memoranda 219 42. L'insostenibile immunità 223 43. Metamorfosi al Nazareno 227 44. Vicereame d'Italia 231 45. L'antidoto al terrore islamico 235 46. Tripla gola 239 47. Biblus 243 Nota ai testi 245 Indice dei nomi e degli argomenti |
| << | < | > | >> |Pagina 172. La difficoltà d'essere seri (29 agosto 2013)
Era prevedibile: irrevocabilmente condannato, l'Olonese issa
bandiera nera; saltano le larghe intese se Palazzo Madama lo dichiara decaduto,
come prescrive una legge votata anche dai suoi.
Letta junior era transigente in materia e difende la premiership.
Il Pd risponde picche, ufficialmente fermo sulla linea legalitaria,
ma il voto assembleare è segreto. Neapolitanus Rex cova disegni
clementi. Caso clinico molto interessante.
Chi sia l'Olonese, lo sapevamo: falsario, circonventore d'inermi, predone fraudolento, spietato nell'arte d'inquinare le anime, estorsore, ma da sette anni il Colle predicava un regime consortile; il Pd vi pareva incline; e sconta questo penchant mangiandosi una comoda vittoria elettorale contro la mummia pirata, il cui terzo malgoverno era rovinosamente fallito. Non che i due precedenti fossero meglio, vende fumo da diciannove anni. Due elettori su tre non lo vogliono più tra i piedi, ma dalle urne esce un parlamento a tre teste: in lieve maggioranza relativa nella Camera alta, il Pd deve pigliarsi un socio; e non tenta accordi seri con le Cinque Stelle. Qua e là resta l'idea d'un matrimonio innaturale. Non ci sarà più lo sponsor pronubo: compiuti i sette anni, l'Inquilino ormai sloggia; l'ipotesi d'un secondo settennio, lanciata dal campo d'Arcore, è talmente assurda che l'interessato obietta d'essere troppo vecchio (ottantotto anni e alla fine sarebbero novantacinque, età patriarcale). Ma l'intrigo è uno dei pochi caratteri che l'Italia 2013 abbia ereditato dai fasti rinascimentali (vedi Ludovico Sforza, detto il Moro). Venerdì 19 aprile il candidato Pd al Quirinale era Romano Prodi, forte dei numeri, e sarebbe débacle berlusconiana, ma 101 franchi tiratori l'affossano; l'indomani l'uscente rientra al Quirinale, e sull'asse dei Letta zio-nipote, uno là, uno qui, prendono subito corpo «larghe intese»: che al grosso degli elettori ripugnino, è irrilevante. Inutile dire chi abbia vinto. Va in scena il capolavoro delle frodi: avendo le marionette al governo, B. tutela interessi poco rispettabili; scarica scelte impopolari sullo sventurato consorte (Imu e Iva); accumula risorse elettorali fingendosi campione dei contribuenti; e un pubblico intronato beve. L'unico inconveniente sta nelle pendenze penali, una prossima a sciogliersi (quante volte s'era salvato come reo non punibile, essendo estinti i delitti). Gl'interessati al vizioso equilibrio speravano che in qualche modo la condanna cadesse, ma Dike è una dea seria: Sua Maestà frodava il fisco; sconti la pena residua, d'un anno, tre essendo coperti da indulto. Qui erompe la pantomima criminalpsicotica. L'Unico sputa su Carta, leggi, sentenze, ed esige misure extra ordinem che gli restituiscano l'«agibilità politica»: guai se Palazzo Madama lo dichiara decaduto (applicando norme votate dai suoi); lì salta il banco; e pretende un salvacondotto dai rischi futuri, perché restano gravi pendenze. In lingua penalistica «estorsione». La commette chi «mediante violenza o minaccia» costringa «taluno a fare od omettere» qualcosa, procurandosi «ingiusto profitto con altrui danno» (art. 628 c.p.). Scende in campo il circo. Le colombe tubano muovendo il collo, munite d'un rostro: «l'Italia non uscirebbe indenne» se Lui fosse escluso dal Senato, sussurra Gaetano Quagliarello, mellifluo-furente ex radicale, cattolico-forzaitaliota, quirinalista, architetto ministeriale delle riforme costituzionali. Che soffi aria da «guerra civile», è tema farfugliato dall'ex comunista, arcivescovo primate del culto berlusconiano. Maurizio Lupi, guerriero mistico Cl, gestisce trasporti e infrastrutture: qui vanta i mirabilia pronti nel cilindro governativo; sarebbe imperdonabile mandarli in fumo quando basta un gesto distensivo. Professa Cl anche Mario Mauro, ex Pdl, ora Scelta Civica, ministro della difesa; e gli vengono idee luminose: amnistia, affinché rinasca «il senso dello stare insieme», da cui «germoglia l'armonia» sine qua non fit iustitia. Memorabile analisi filosofica, segnala uno stomaco foderato in ghisa. La stessa via indica Anna Maria Cancellieri, prefetto a riposo, trasformata in guardasigilli. Sgrana gli occhi Angelino Alfano, intellettuale vicepremier, ministro degl'Interni, segretario Pdl: è «incostituzionale» escludere B. dal Senato; ipse dixit 24 agosto, uscendo dal summit a Villa San Martino. Dominus aveva convocato i più o meno dignitari. Vuol arrembare lo Stato. S'era svelato qualche giorno fa: al diavolo le regole elettorali; ha in serbo lobotomie davanti alle quali spariscono le messinscene allestite da Joseph Goebbels nelle campagne hitleriane; e se vince qualificandosi vittima d'un complotto giudiziario, davvero stavolta non fa prigionieri; alternando lo scudiscio ai buoni bocconi, domerà il terzo potere; a quel punto la nave va (all'inevitabile bancarotta, con grasso profitto dei bancarottieri). Dodici anni fa chi cantava guerra senza prigionieri (in messicano, degüello)? Cesare Previti, nello staff berlusconiano addetto alla corruzione delle toghe. Letta nipote difende la premiership con le unghie: la ripresa dista appena due passi; e svanirà se il governo cade. Pochi gli credono: tre anni fa considerava giusto schivare i processi, né riteneva anomala una piccola legge immunitaria. Quel che avviene era molto prevedibile, perché i caimani non sono cagnolini da salotto. Lo schieramento pro Silvio batteva varia grancassa: vi confluiscono una palude pseudomoderata (disinvoltamente incline alla mano piratesca), anime ministeriali, praticoni, canonici in cerca d'ingaggio, chierichetti rampanti; e i pulpiti conficcavano un dogma nelle teste, che sia notte fuori delle «larghe intese» (in latino, «extra pactum cum divo Berluscone nulla salus»). Non siamo ancora alla fine; i forzaitalioti guardano stupiti la metamorfosi giacobina nel Pd; possibile che, così duttile, d'un colpo diventi inesorabile legalista? Sarà tutto chiaro post 9 settembre, appena la questione della decadenza arrivi all'assemblea: il voto è segreto e fanno precedente i 101 antiprodiani 19 aprile. Sua Maestà dissemina esche: l'ultimatum è anche bluff; che tripudio nella reggia d'Arcore, stile Eliogabalo, se tutto finisse in appeasement. 29 agosto 2013. | << | < | > | >> |Pagina 20739. Il Cuculo nel Pd (12 maggio 2015)
Matteo Renzi s'è impadronito del Pd: rebus sic stantibus, l'Italicum gli
garantisce una premiership a vita o quasi, ma è erede naturale del Sire d'Arcore
e tale successione crea difficoltà insolubili.
Parliamo dell'Italicum. Lo junior del circo politico italiano (chiamiamolo Gran Cuculo) s'impadronisce del Pd alle primarie sbaragliando una litigiosa confraternita parolaia, candidata alle sconfitte, ed è pensabile che vi contribuissero schiere blu, avendo riconosciuto l'emergente condottiero. Incoronato segretario, rimane tra le quinte, mentre la vecchia guardia affossa Romano Prodi reinvestendo Neapolitanus Rex, con sguaiata festa berlusconiana. Indi defenestra il gemebondo premier. Eccolo in sella, padrone dell'esecutivo. Al pubblico piace, così dinamico, imperioso, tranchant, sotto qualche aspetto paragonabile al giovane Mussolini: tutt'e due vogliono «cambiare l'Italia»; parlano come se dire una cosa fosse averla fatta. Cautela e dubbio non fanno parte del suo repertorio egocratico: ha convocato Silvius Magnus al Nazareno; il dialogo scorreva in «profonda sintonia», dichiara uscendo; e sappiamo i programmi forzaitalioti, dai privilegi Mediaset alla giustizia classista. Frase da intendere alla lettera: avesse inibizioni ideologiche, non vanterebbe una precoce carriera, tornei televisivi inclusi; gli conferisce glamour avere imposto figure da vassallo al vecchio partner; divorarselo a quel modo, un fondatore d'imperi mediante frode, era impresa da lupo mannaro mai visto nella foresta italiana; il tutto come giocasse a scacchi, astuto, famelico, cinico, fortunato. Avevamo un loquace Capo dello Stato: scaduti i sette anni, intrighi notturni lo riportano al Colle; predicava «larghe intese»; le attua incaricando Enrico Letta, onomasticamente perfetto, poco concludente però, e dopo dieci mesi gli sostituisce il Cuculo. L'estromesso non s'è ancora consolato. L'Italicum vuol garantire una premiership a vita o quasi. Nel nuovo sistema monocamerale l'apparato ha mano pesante: crea i deputati manovrando capilista e candidature multiple; avendone 340 su 630 (tanti ne porta il premio a chi supera il 40% o prevale nel secondo turno), l'installato a Palazzo Chigi risulta de facto inamovibile. Capitava sub l. 19 gennaio 1939. Il fascismo trionfante liquida l'ultimo residuo formalmente democratico abolendo la Camera dei deputati: quella dei Fasci e Corporazioni è consesso fluido, continuamente rinnovato; i mille componenti vi figurano in virtù della carica nel partito o in una delle ventidue corporazioni. La meccanica elettorale assicura al premier un dominio che ai bei tempi Giolitti fondava sull'ascendente personale: la fiducia diventa obbedienza; vi saranno crisi solo quando lui voglia. Succeduto a Luigi Facta, 31 ottobre 1922, Mussolini riempie la scena fino al 25 luglio 1943, capo assoluto d'un governo i cui ministri e sottosegretari vanno e vengono: se li sceglie; Sua Maestà li nomina; i banchi applaudono o ringhiano, secondo gli ordini; e sarebbe un potere sine die, a termine biologico, se Dux non fosse così malaccorto da legarsi al folle Adolf Hitler. Fattori eversivi esterni disintegrano una macchina perfetta. Diamo scontato che la prossima legislatura inauguri il ciclo dei governi con deboli contrappesi. Il futuro è indeterminato, qualcosa però s'intravede. Svaniscono parole d'ordine d'una sinistra estinta dal vuoto d'idee, e l'homo novus ha degli argomenti, visto lo squallido centrosinistra governativo negl'intervalli del ventennio. Parlatore incauto, lancia la sigla d'un «partito nazionale», simile all'«unico», mussoliniano. La «profonda sintonia» non lascia tranquilli. Era sincero nel confessare un'affinità epurata. In dinamismo pragmatico somiglia all'Olonese. L'aspettavano colletti bianchi compunti, patrioti, moderati, quindi intransigenti sulle barriere sociali: votavano B. faute de mieux, male sopportando le volgarità; a colpo d'occhio riconoscono l'agonista senza tare, possibile Baiardo del moderatismo. Non esiste confronto con gli esponenti forzaitalioti, verosimilmente ostili. Pulsione reciproca. Sa d'estro dionisiaco l'abbraccio col quale Angelino Alfano e Maria Elena Boschi, macchinista delle riforme costituzionali, salutano i 334 sì raccolti dall'Italicum («la Repubblica», 5 maggio 2015, p. 3). Meno incline alle effusioni, lo stratega tira i conti. Sia detto forte, «la gente è con noi». Gli servono voti ex berlusconiani, perché molti Pd ingrosseranno l'astensione dalle urne, fenomeno allarmante. Il baricentro scivola verso Arcore: gli acquisiti ne porteranno altri; fungono da pontieri i transumanti del Nuovo Centrodestra (li ricordiamo genuflessi davanti al santo barzellettiere). Sa d'essere erede naturale d'un vecchio monarca i cui spiriti declinano, ma la successione non è gratuita. I convertiti hanno degl'interessi e idee chiare su come coltivarli: Berlusco felix garantiva privilegi, rendite, lucri parassitari, affari comodi, giustizia bendata, fisco morbido; non chiedono meno al nuovo regime. Ogniqualvolta venga sul tappeto una delle predette questioni, i ministri Ncd s'irrigidiscono: devono presentare le scelte governative agli elettori; nella loro lingua "moderato" significa sguardo selettivo, perché non siamo tutti eguali. Ma anche ridenominato «partito nazionale», il Pd non può continuare linee berlusconiane senza perdere voti sull'altro versante. I moderati esigono favori. Ora, vigono equazioni d'economia: i parassiti portano miseria, paese arretrato, ritardo intellettuale, vita incivile; le due anime implicano difficoltà insolubili; non è malattia medicabile con formule retoriche o gesti da palcoscenico. E siccome gli umori variano in mutevoli contesti, niente assicura un séguito indefinito; può anche darsi che l'evento scatenante della crisi lieviti dall'aula parlamentare: nella notte tra sabato e domenica 25 luglio 1943 Mussolini cade sull'Odg presentato da Dino Grandi, moderatissimo presidente a Montecitorio. 12 maggio 2015. | << | < | > | >> |Pagina 21541. Memoranda (19 settembre 2015)
Ha dei retroscena il teatro politico italiano ed è un passato
patologicamente attivo, quindi rivisitiamolo, se esiste qualche seria
intenzione terapeutica.
Memento, perché gl'italiani dimenticano presto. La storia delle ultime decadi è pirateria in acque dolci. L'Olonese viene ex nihilo: gli portava capitali oscuri l'amico isolano ora recluso in espiazione d'una lunga pena; impresario del mattone e piduista, aveva fornito un circuito televisivo privato, via cavo, ai condomini della Brugherio New Town; e gli càpita Nostro Signore nell'orto quando la Consulta apre l'etere alle televisioni locali (Corte cost. 28 luglio 1978 n. 102), nelle rispettive aree, in quanto il Parlamento detti norme contro monopoli, spartizioni oligopoliche, scorrerie. Pullulano gli emittenti privati. Uno dei quattrocentotrentaquattro è lui dal 1978 (Telemilano 58), presto dominante grazie a due fattori: i soldi gli escono dalle orecchie; e nel caso suo non esistono limiti legali; li calpesta, congenitamente refrattario; falso, corruzione, frode gli riescono a meraviglia. Forte della cineteca, plagia il pubblico: nell'idea-guida dei programmi lo spettatore medio ha un'età mentale infantile; micidiale l'effetto su casalinghe e pensionati; i suoi spots inondano l'Italia. I concorrenti s'arrendono, grossi e piccoli, tecnologicamene sopraffatti (tecnica dell'insediarsi nei cervelli puntando al ribasso): Edilio Rusconi gli vende Italia I (agosto 1982, £ 32 miliardi); due anni dopo, Rete 4 gliene costa 135, venduta da Mondadori; s'era allevato in casa Canale 5, illo tempore Music. Lo vediamo irresistibile quando, su istanza delle piccole televisioni morenti d'asfissia, pretori coscienziosi applicano i limiti stabiliti dalla Consulta vietando l'emissione fuori dei circuiti locali (16 ottobre 1984). Ha riflessi pronti: fingendosi «oscurato», mobilita l'orda dei video-pazienti; e invoca soccorso dal protettore Bettino Craxi, premier immune da angosce scrupolose; era a Londra e accorre. Sul tamburo (20 ottobre) il governo decreta che le cose restino quali erano: atto fuori della legalità costituzionale (l'art. 70 Cost. richiede «casi straordinari di necessità e urgenza»); rinnovato il 6 dicembre, gli garantisce provvisoriamente lo status quo ante; e diventa legge 4 febbraio 1985; l'emissione continui così, non oltre i sei mesi, fino alla disciplina organica della materia (futura legge Mammì). Il pirata naviga con licenza governativa. Dio sa quanto gli costi sotto banco ma i profitti volano. Giuliano Amato, sottosegretario alla presidenza, tiene banco causidico spiegando come lo stato transitorio possa continuare sine die. Non è chiaro dove siano finiti i sei mesi imposti dalla l. 1985. Passano cinque anni. S'è impadronito della Mondadori comprando la sentenza che spogliava i legittimi acquirenti, con particolari spiritosi: quel colpo di mano era arte forense sui generis; esiste una Cassazione, dove la frode sarebbe repressa se il ricorso fosse ammissibile; senonché manca la procura speciale; requisito formale; e stava nel fascicolo da cui qualcuno l'ha tolta. Giustizia venduta. È res iudicata ma l'Olonese gode d'enorme fortuna o ha lunghe mani nell'alambicco legislativo: aggravando la pena della corruzione inquinante atti processuali (art. 9 l. 26 aprile 1990 n. 96), l'art. 319-ter c.p. dimenticava il corruttore; rispetto a lui, quindi, valeva la vecchia norma. L'art. 321 ripara l'omissione (art. 2 l. 7 febbraio 1992 n. 181), fermo restando il regime penale dei fatti anteriori. Et voilà, il delitto risulta estinto grazie alle attenuanti generiche (la cui concessione non era decorosamente motivabile). Nel 1990 viene in calendario al Senato la legge Mammì: siccome paga, il beneficiario vuol cavarne il massimo; gli porterebbe via quattrocento miliardi l'emendamento che limita la pubblicità all'intervallo dei film, ma lui conta sulla Camera bassa. Anche stavolta ha un patrocinio ferreo: Giulio Andreotti, presidente del consiglio, rifiuta ogni argomento ex adverso; li rimuove con la punta del piede; cinque ministri democristiani spingono la protesta all'estremo dimettendosi (uno è l'attuale Capo dello Stato); e li sostituisce seduta stante, impassibile sotto la maschera macabra da vecchio film espressionista (26 luglio). Montecitorio s'adegua, Palazzo Madama vota a comando. S'è preso tutto, duopolista nell'etere e mago della televisione commerciale, convertibile in potente arnese d'ipnosi elettorale: legge invalida, perché lascia al tenutario «un esorbitante vantaggio» (Corte cost. 5 dicembre 1994); sono parole al vento. Ormai non ha più bisogno d'una costosa lobby: sceso in campo come salvatore del paese dall'inesistente pericolo comunista, governa pro domo sua gestendosi l'industria delle verità fluide; e siccome vigono intese sotterranee, nessuno lo tocca quando sta all'opposizione. Il sistema consortile della prima Repubblica era caduto sotto l'effetto-domino d'un arresto in delitto flagrante: il presidente del milanese Pio Albergo Trivulzio aveva addosso i soldi caldi d'una tangente; prassi universale o quasi; e riappare Bettino Craxi, stavolta derelitto. Era archetipo dell'affarismo politicante coniugato a mosse d'ingegno politico. I fatti constano ma siede in parlamento e il processo ai parlamentari è instaurabile solo con l'assenso della Camera in cui siedono (art. 68 Cost.). Immunità anacronistica: poteva difendere i rappresentanti del popolo dal re, padrone invadente della leva giudiziaria; anno Domini 1993 era malfamato asilo ("confugio", in lessico napoletano). Fioriva una pittoresca casistica italiana degl'immuni. Dapprima Craxi schiva le imputazioni più gravi. Con tale retroscena la l. cost. 29 ottobre 1993 n. 3 riformula l'art. 68 Cost. e il leader rosa diventa giudicabile in Italia (muore latitante all'estero), ma la casta ha interessi troppo radicati per lasciarsi spogliare d'un privilegio tanto utile, sicché i nuovi testi mascherano dei paradossi. Varrà la pena discuterli. 19 settembre 2015. | << | < | > | >> |Pagina 23145. L'antidoto al terrore islamico (3 dicembre 2015)
Cronache orribili suggeriscono esperimenti d'autoanalisi:
quali siano i caratteri costitutivi d'un fenomeno che desta panico;
ricorreva anche nel codice genetico degli attuali pazienti, affievolito nei
secoli ma ancora percettibile; e terapie a lungo termine cominciano lì, se
vogliamo aggredire la causa del morbo terroristico a sfondo religioso. Non la
estirpano pene implicanti il rischio d'effetti regressivi.
Il quesito corrente nelle riflessioni sul terrore islamico è come combatterlo: sistemi preventivi, intelligence, tecnologie sofisticate forniscono uno strumentario difensivo senza rimuovere le cause, né v'incidono misure belliche. Che il rimedio stia nell'acquisire i giovani immigrati ai valori dell'Occidente, instaurando trame sociali accoglienti, è una bella frase col difetto degl'insegnamenti che il professor Pangloss impartiva a Candide: avessimo sotto mano i mezzi d'una riforma delle teste, il problema non esisterebbe; quando vi sia, il progresso avviene nei tempi lunghi della fisica sociale. Niente lascia supporre soluzioni reperibili relativamente presto, come altrove succede (ad esempio, in economia, medicina, urbanistica). Bussano alla porta fenomeni spaventosi, senza precedenti prossimi, ed è buona regola coglierne l'aspetto specifico. A prima vista ne saltano fuori vari. I terroristi vengono da una chiesa, i cui riti praticano: chiesa ossia comunità dei credenti; e cosa credono? un aldilà dove abitano le anime disincarnate. S'interessano al mondo sublunare nella sola misura in cui sia o no ordinato al destino ultraterreno. Nel secondo caso va inesorabilmente colpito. Sono dei nichilisti senza disegni sul futuro terrestre ma non è prospettiva del puro nihil (vi puntava quel pilota Lufthansa inabissatosi nelle Alpi con tutti i passeggeri). Il terrorismo suicida presuppone equazioni economiche: economia dell'altro mondo; l'agonista guadagna incomparabili delizie; è cattivo affare precludersele deviando dalla via al paradiso. Che tale sia la vicenda umana, lo sa da fonti scritte e commenti degli imam e dobbiamo supporlo sicuro, dal modo in cui corre festosamente alla morte. L'interno mentale del cattolico risulta diverso nelle Pensées, dove Pascal raccomanda vita pia anche se il profitto fosse dubbio. Date certezze simili, è presumibile che l'impulso alla santa morte non s'estingua nella guerra al Califfato, anzi divampi, né pare probabile un disarmo ideologico indotto dalla conversione agli svaghi occidentali. L'autoanalisi riserva antipatiche sorprese svelando nella storia europea filoni simili alla rabbia islamica. Cominciamo dalle sventure d'un aragonese nomade, troppo intelligente per chiudersi in gabbie d'ortodossia e così incauto da esibire i pensieri. Era apparso ventenne sulla scena europea, autore d'un libello polemico: De Trinitatis erroribus libri septem, 1531; en passant vi descrive la macchina cardiocircolatoria contro l'opinione comune; l'ha scoperta un secolo prima d'Harvey; e mette il nome sul frontespizio, Michael Servetus. L'anno dopo escono i Dialogorum de Trinitate libri duo. De iustitia regni Christi capitula quatuor. Due libretti ora rarissimi, aborriti in casa cattolica e protestante. Abile medico, geografo, astrologo, vaga tra Renania e Francia, ai ferri corti con l'establishment, finché incappa in Calvino. L'ha provocato pubblicando a spese sue, più cento ducati al tipografo, le 734 pagine della Christianismi restitutio, gennaio 1553. L'implacabile teocrate, qui perfido commediante, lo denuncia all'Inquisitore attraverso un dialogo epistolare artefatto. Arrestato, evade, 7 aprile, puntando dal Delfinato a Napoli. Non sappiamo come capiti a Ginevra, 15 luglio, e perché vi stia quattro settimane, quasi aspettasse gli sbirri. Aveva il rogo nei cromosomi e gliel'accendono venerdì 27 ottobre. Calvino lascia un racconto stomachevole dell'evento e «confuta» l'aragonese, spiegando perché dobbiamo liquidare ogni eretico: lasciandolo vivo, ammetteremmo dubbi sulla parola divina; così cadono i fondamenti della fede. L'élite protestante applaude. Melantone, mite luterano umanista, loda i giustizieri: era iudicium Dei; Gesù Cristo vi assisteva e premierà chi ha vinto; grazie a nome della Chiesa presente e futura. Martin Butzer formula l'idea in lingua meno fiorita, lamentando che non gli abbiano strappato le budella. Benedict Carpzov, nato cinquantadue anni dopo, è un penalista sassone coltissimo, evoluto, ragionatore equanime: ebbene, lo ritiene giustamente condannato a morte, perché negava la Trinità; discorsi simili infestano coelum ac terram; però sarebbe bastato decapitarlo. Non va meglio in casa catttolica. Sotto Natale 1598 muore come Serveto un vecchio, benvoluto, innocuo mugnaio friulano, colpevole d'avere «cervelo sutil»: l'inquisitore locale chiudeva gli occhi ma l'Eminentissimo Giulio Antonio Santori, mancato papa nel conclave 1592, non tollera omissioni pietatis causa e il povero Menochio Scandella va in fumo. A Roma pendeva torpido l'affare Giordano Bruno, ex domenicano: finirà al rogo giovedì mattina 17 febbraio 1600, col morso perchè aveva in gola «bruttissime parole». Anno Domini 1942 fonti ufficiali confermano che fosse condanna legittima, lanciando insulti al defunto, importante filosofo. Cose simili avvengono in una patologia dell'intelletto detta "dogma". A parte le tautologie (infallibili ma non dicono niente: ad esempio, «piove o non piove»), l'enunciato è vero o falso, tale risultando dalle prove. Qui non richiede prova né ammette dubbi: vincola i locutori; e siccome sottintende un sopruso logico, gl'interessati lo impongono in vari modi; donde scuole bigotte, censure, anatemi, spie, polizie segrete, griglie selettive, autodafé. Che poi i roghi calvinisti portino progresso, diversamente dagli spagnoli, è dialettica cortigiana nella linea d'onniscienti Politburo (senza le purghe staliniane, dicono costoro, l'Urss sarebbe caduta nelle fauci d'Hitler); e sanno d'imperdonabile gaffe le lodi all'Inquisizione, «veramente santa», quale forma storica d'una salutare pressione sui «manipolatori d'errori» (Benedetto Croce). Insomma, l'istruito al terrorismo nichilista diventa acquisibile alla vita civile dal momento in cui gli vengano dubbi sul paradiso. Nella terapia dei cervelli l'arte del pensare rende più dei missili. C'è una gabbia dogmatica nel quadro psichico gestito dal Califfo. Affare terribilmente serio e conviene averne chiari i termini. 3 dicembre 2015. | << | < | > | >> |Pagina 23947. Biblus (16 giugno 2015)
«La mia biblioteca», dialogo con l'autore raccolto da Wlodek Goldkorn.
Il Caimano, l'appellativo che da anni accompagna le gesta di Silvio Berlusconi, è un'invenzione di Franco Cordero, giurista, romanziere, editorialista, storico delle eresie e soprattutto uomo che ama i libri. Chi entra nel suo studio, tre camere in una palazzina a due passi dal Viminale, rimane colpito da un'appena accennata e ironica eleganza. Lo sappiamo, i luoghi somigliano alle persone che li abitano o vi lavorano, ma lo studio di Cordero è davvero come i suoi testi. Libri in doppia fila coprono le pareti. La domanda quanti siano, ripetuta con insistenza, in pari modo viene schivata. Non s'indaga sul valore dell'argenteria d'una casa. Poltrone anni Cinquanta: tagliacarte sui tavoli; lampade appena visibili illuminano gli scaffali. Il padrone di casa, 86enne, occhi vivaci e ridenti, durante le due ore della conversazione rimane sempre in piedi. I libri e le stanze sono divisi per argomenti. In quella dove scrive, regnano lettere classiche e moderne; in un'altra, materia giuridica («molti volumi e riviste li ho trasferiti a casa»); nella terza, teologia «e un po' di filosofia». Cominciamo dalla giurisprudenza: non a caso Cordero divenne una celebrità quando, professore di Procedura penale e Filosofia del diritto alla Cattolica di Milano, fu allontanato per un libro, giudicato eterodosso ( Gli osservanti, Giuffrè, Milano 1967, poi Aragno, Torino 2008). Eccoci dunque davanti a file di volumi cinquecenteschi dai dorsi bianchi. Stanno all'altezza del torace, così da venire fuori senza che uno debba chinarsi. Tengono banco i Disquisitionum magicarum libri sex di Martin del Rio (un gesuita, mariologo e famoso teorico della stregoneria). Cordero aveva frequentato un oratorio cuneese della Societas Iesu. Caccia alle streghe e persecuzione degli eretici attraversano quasi tutti i suoi scritti. Sfogliamo il Corpus iuris, sei tomi giganteschi editi nel primo Seicento; le pagine hanno una singolare forma grafica: «la glossa mangia il testo, lo divora». I glossatori svolgono opera creativa con discrezione, avendo l'aria di ripetere cose già dette ma è struttura aperta alle varianti. Qui le polizie del pensiero hanno il loro daffare. Sorride ed esce in frasi che dicono in quale rapporto stia con la carta stampata: non va alle aste né ha mai visto il libro come feticcio; «sono però bibliofilo»; esistono libri la cui visita è piacere fisico. Sale dalle viscere la filìa. Il libro, poi, è veicolo d'innumerevoli influssi. Viene il sospetto che sia frammento d'un testo universale in cui stiamo tutti. L'intero mondo è scritto e la scrittura richiede eleganza. I suoi romanzi (vedi Opus, L'armatura, Toson d'oro) procedono per suggestioni e digressioni in trame complesse e struttura geometrica, senza sbavature. Guardando la sua biblioteca vediamo quanto l'origine non sia letteraria ma giuridica e filosofica. Sono opera rara i sei volumi d'Andrea Alciato, fondatore d'una giurisprudenza colta in stile umanistico, insegnata nelle Università francesi («mos Gallicus)». Vediamo Duareno, Donello, Hotman, e via citando. Alla domanda se siano i maestri, risponde: impersonano l'opposto del giurista volgare, la cui figura è associata all'epiteto "bartolista" («mos Italicus»); Bartolo da Sassoferrato era il luminare trecentesco; gli epigoni valevano molto meno; in Italia fioriva una giurisprudenza loquace, nel cui profluvio salta sempre fuori qualcosa d'utile al litigante. Una pausa e nomina Die reine Rechtslehre (Dottrina pura del diritto) d'Hans Kelsen: saggio d'eleganza concettuale, agli antipodi del versipelle Carl Schmitt, chierico del regime hitleriano. Gli è anche caro James Goldschmidt (Der Prozess als Rechtslage), ebreo tedesco emigrato in Sudamerica. Nella stanza della narrativa accenna una confessione: a tredici anni, persa la madre, aveva aperto i suoi libri, saltando da Emilio Salgari a Benedetto Croce; in uno scaffale c'è l'edizione della «Critica». Ma il libro terapeutico che allora gli ha cambiato vita è La figlia del capitano, dove il giovane protagonista rischia innocente la condanna a morte, graziato da Caterina II. La visita continua con Pierre Bayle, Dictionnaire historique et critique, da cui discendono gli enciclopedisti. L'ha usato in un capitolo dei quattro volumi su Savonarola (Savonarola, 4 voll., Laterza, Bari-Roma 1985-88; poi Bollati Boringhieri, Torino 2009). Parliamo d'eresia, dogmi, autodafé. I mastini dell'ortodossia valgono poco intellettualmente, obbligati al sopruso talvolta fraudolento. Opus (Einaudi, Torino 1972) racconta l'avventura spirituale d'un gesuita sofferente, illuminato in extremis. L'autore rifiuta domande ad personam preferendo esibire tesori libreschi in materia religiosa (Riccardo di San Vittore, Robert Holcot, Pietro Lombardo, san Tommaso, san Bonaventura ecc.). Intravedo Spinoza, Giannone, Muratori, Lenin. La visita finisce in casa Stendhal, trentanove volumi editi da Le Divan. La domanda era chi racconti meglio il carattere degl'italiani, lui o Leopardi, al quale Cordero ha dedicato un commento (Bollati Boringhieri, Torino 2011). Tutt'e due colgono aspetti autentici, ma Stendhal vede mitologicamente nell'italiano una macchina d'energia emotiva. E così senza volerlo torniamo alla mitologia del caimano.
16 giugno 2015.
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