Copertina
Autore Claucio Corduas
Titolo Impresa e cultura
SottotitoloL'utopia dell'Eni
EdizioneBruno Mondadori, Milano, 2006, Testi e pretesti , pag. 146, cop.fle., dim. 104x169x11 mm , Isbn 978-88-424-9689-2
PrefazioneGiulio Sapelli
LettoreLuca Vita, 2006
Classe storia contemporanea d'Italia , storia economica
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Indice

VII Introduzione
 XI Ringraziamenti

  1 1. Piani energetici tra fascismo e dopoguerra: dall'AGIP al CIP
 27 2. Gli anni della guerra fredda: la "terza via" italiana
 63 3. Le relazioni sindacali e l'originalità dell'ASAP
100 4. Imprese e sindacati negli anni dell'instabilità sociale
110 5. Gli anni della crisi: il percorso della privatizzazione

129 Bibliografia
143 Indice dei nomi

 

 

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Pagina VII

Introduzione


Nel 1953 il parlamento italiano vota la legge istitutiva dell'ENI, l'Ente nazionale idrocarburi, grazie alla quale Enrico Mattei vede realizzato il suo sogno imprenditoriale e civile di dar vita a una grande impresa che avesse alla base la missione nazionale di assicurare alla nuova Italia il rifornimento energetico necessario per la crescita economica. L'Italia, paese sconfitto durante la seconda guerra mondiale, era risorta grazie alla lotta di Liberazione, dopo la dittatura fascista, lotta che aveva visto Mattei tra i capi militari e politici. Le idee di Mattei si rivelarono vincenti, ed egli riuscì ad aggregare attorno a sé un complesso di forze riformatrici, tanto del capitalismo (Olivetti, FIAT, Pirelli) quanto del sistema politico, che furono in grado di sconfiggere le pressioni dei grandi gruppi internazionali petroliferi e i loro alleati liberali, unificati dalle risorse materiali dell'oligopolio elettrico e della Confindustria. L'appoggio di Ezio Vanoni e di Alcide De Gasperi fu decisivo per far prevalere le opinioni di Mattei. I risultati della crescita economica italiana, del resto, non potevano che dar ragione a chi auspicava uno sviluppo del tessuto industriale del paese, la nascita di una rete di servizi e di infrastrutture prima mai esistite: il gas e il petrolio dell'ENI, unitamente alla petrolchimica, grazie ai bassi prezzi dell'energia, posero le basi del miracolo economico italiano e della crescita che è continuata, tra alterne vicende, sino a oggi. Ma, si dirà, che cosa rende ancora attuale il pensiero e l'opera dei padri fondatori dell'Italia repubblicana, di cui l'ENI è stata certo la creazione più grandiosa, oggi che l'ENI stessa è stata privatizzata in forma significativa, oggi che è mutato l'orizzonte della crescita con la fine delle economie chiuse europee e internazionali, oggi che l'avvento della globalizzazione e l'inveramento di una nuova missione dell'ENI – non più compagnia di bandiera ma impresa energetica integrata internazionale – son divenuti fenomeni irreversibili?

Il libro di Claudio Corduas, che qui presento al lettore con molta partecipazione, risponde in forma originale e complessa a queste domande. L'attualità di quelle vicende risiede non nella loro facile accettazione da parte della società italiana; anzi, quest'ultima è sempre stata profondamente non simpatetica con esse, sempre troppo avanti rispetto allo spirito del tempo. Si tratta di un'imperitura non sincronia che si costruisce nel significato di sfida e innovazione che da esse continua a promanare sol se si riflette sui contenuti culturali che in quella creazione imprenditoriale erano insiti. Di più. Si potrebbe dire che furono precipuamente quei contenuti a rendere possibile l'avventura vittoriosa dell'ENI. E grazie a essi, in definitiva, anche se ciò non è mai ricordato, che l'ENI non ha terminato il suo tragitto ingloriosamente, come è avvenuto, per esempio, alle imprese dell'IRI, scomparse senza lasciar traccia culturale di sé se non nel ricordo di alcuni manager generosi, oppure, ancor più drammaticamente, come è avvenuto nel caso dell'Olivetti, via via dilavata dei suoi contenuti innovatori da un manipolo sempre più civilmente impoverito di controllori delle sue risorse. Alla base della sfida di Mattei c'era un disegno complesso e colto che a lui trasmisero gli intellettuali raccolti attorno all'Università cattolica di Milano e ad alcune figure di spicco non accademiche, come fu il caso di Giorgio Fuà, il quale divenne il creatore dell'ufficio studi dell'ENI prima di fondare una prestigiosa scuola universitaria.

Benedetto De Cesaris, al quale Corduas fa continuamente riferimento, fu – da presidente dell'ASAP (l'associazione sindacale che rappresentava le imprese dell'ENI e che rimase in vita sino alla privatizzazione, come accadde con quella dell'IRI) e da direttore del personale dell'ENI – il creatore del sistema di riferimento intellettuale nel contesto delle relazioni industriali che via via andavano costruendosi. Questa costruzione ebbe negli anni cinquanta e sessanta un significato rivoluzionario, unitamente a quello elaborato dall'IRI grazie all'opera di Felice Balbo e Giuseppe Glisenti. Vincenzo Saba ha scritto pagine illuminanti e definitive su questo "laburismo cristiano" che rappresentò una vera e propria rivoluzione intellettuale in un'Italia dilacerata e impoverita dalla guerra fredda.

Corduas riannoda, nel libro, le fila di questo travagliato, stratificato e intricato complesso di valori e di significati culturali che vanno dall'ispirazione religiosa al diritto del lavoro, dalla concezione della crescita economia alla filosofia, dalla sismica alla geostrategia. Il tutto intessuto con la storia che trasformava e riclassificava continuamente personaggi e sistemi di potere e di influenza, e che costringeva i protagonisti delle vicende intellettuali e civili, qui richiamate e rivissute con una partecipazione straordinaria, a ridefinire continuamente il loro impegno.

Ma il lettore saprà meglio di me valutare il lavoro affascinate raccolto in queste pagine. Vorrei sottolineare ancora un aspetto della fatica di Claudio Corduas: quello della pluridisciplinarietà dell'opera sua, che si riflette nella stessa struttura del libro. Siamo dinanzi a una saggistica insolita per l'Italia. Essa ha più assonanza con quella che in pagine memorabili ci ha dato la cultura francese — e non a caso Corduas in essa si muove con agio e perizia. Una saggistica che è insieme saggio di alta cultura e riflessione filosofica, ripensamento storiografico e proposta interpretativa. Questo consente all'autore di illuminare eventi, decisioni, figure sociali e individuali, di una nuova luce e di nuovi significati.

Ecco il fascino di questo libro, che va meditato in ogni sua pagina.

Giulio Sapelli

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Pagina 1

1. Piani energetici tra fascismo e dopoguerra: dall'AGIP al CIP


                        Pour arracher le siécle à sa prison,
                            Pour commencer un monde nouveau,
                          [...] Mais ta vertèbre est brisée,
                                  Mon pouvre et beau siécle!

                   O. Mandelstam, Tristitia et autres poémes



Nelle giornate del settembre 1944, a Milano, si era combattuto. Erano scesi nelle strade quegli stessi operai che il 26 luglio chiedevano il rovesciamento del fronte. La speranza era che quella "strana guerra" finisse prima dell'arrivo delle forze alleate. I milanesi non aspettavano scatolame o sigarette, ma materie prime e la fine delle limitazioni che inceppavano il sistema produttivo delle imprese per riconquistare, non solo con l'azione, il fondamentale patrimonio dell'indipendenza e della libertà e rivivere così l'antica, romantica e risorgimentale gioia della liberazione, come era accaduto nel giugno 1859. Un'aspirazione che veniva da lontano, e che si associava a quella per la creazione di una nuova società civile:

            Vegnìvun da la guèra, e per la strada
            Gh'evum passâ insèma amur, dulur.
            Amó sparàven, amó gh'eren i mort,
            e serum nüm, serum class uperara,
            nüm serum i scampâ da fam e bumb,
            nüm gent de strada, gent fada de morta,
            nüm serum 'me sbuttî da fopp del mund,
            e nun per crudeltà, no per despresi,
            mancansa de pietà, roja de nüm,
            ma, cume 'na passiun de sû s'cuppada,
            anca la nott nüm la vurevun sû...

                    F. Loi, L'angel, 14 luglio 1945

Militarizzazione, invasione, liberazione. Molti anni di lavoro da compiere, tutt'altro che agevole, stavano dinanzi: se fossero state sbagliate le premesse – ammoniva Eugenio Montale – i risultati potevano essere disastrosi. Occorreva un salto di qualità nell'analisi dei sistemi e un largo e condiviso processo di determinazione culturale e istituzionale. Quando Enrico Mattei, componente del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia, fu nominato nel 1945 da Cesare Merzagora commissario straordinario dell'AGIP, ancora non sapeva della forza singolare della sua opera. Si poneva la scommessa dell'innovazione del sistema economico, della riforma istituzionale e della cultura materiale e simbolica di governo. Il problema consisteva sì nella ricostruzione e nella sfida di modernizzare di un paese in cui l'inflazione era generale, con un'amministrazione – centrale e periferica – delegittimata e un'autorità politica esautorata dalla duplice occupazione militare; ma occorreva anche creare la condizioni che potessero favorire un nuovo scambio sociale e consentire la nascita di un nuovo patto fondativo. All'Italia non rimaneva che il capitale umano, la sobrietà dei suoi contadini e operai, la densità della propria cultura. La lira affondava. Si registrava uno scoperto di 30 miliardi e 700 milioni di amlire, la cartamoneta emessa dagli alleati per compensare le forniture e le prestazioni dei servizi a loro favore. Nella riunione del Consiglio dei ministri del 29 settembre 1944, l'on. Soleri dichiarava che dal maggio non era stato emesso nel territorio occupato dalle forze alleate alcun biglietto della Banca d'Italia, né si prevedeva il ricorso al torchio. Nella Repubblica di Salò, la situazione era parimenti appesantita dalla massa di biglietti circolanti e dalle emissioni per conto della Germania, dalle indennità mensili all'Oberkommando della Wehrmacht per il soldo alle truppe di occupazione. Il costo della vita era aumentato del 40%, la crisi degli alloggi era acutissima, scuole, ospedali, strade, acquedotti, battuti da onde di distruzione, erano danneggiati, rare o quasi nulle le comunicazioni, tutto era stato deturpato, immiserito, e inoltre pesava sull'economia il pagamento delle riparazioni di guerra. Erano i segni del tempo. Per gli americani il Mediterraneo diventava una strada vitale. Decidevano di aprire un credito in dollari al governo italiano e fissavano il cambio a cento lire per dollaro.

Nonostante gli aiuti americani, la crisi finanziaria nell'estate del 1947 fu particolarmente acuta in Italia, tanto da far temere o un rivolgimento rivoluzionario per l'azione minacciosa di forze eversive di carattere internazionale, che sembravano operare all'interno del sistema, o un colpo di stato di carattere monarchico che avrebbe restaurato le prerogative della Corona e dell'Altare. (Ungari, 1974)

Nell'uno e nell'altro caso sarebbe stato inevitabile l'intervento, sia pure indiretto, delle forze di occupazione alleate o dell'Unione Sovietica.

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Pagina 46

L'ENI si proponeva quale partner di un dialogo, la sua posizione non era di anomia, non era neutra. Bisognava superare la rappresentazione dell'impresa come realtà chiusa in se stessa, confrontarsi con una realtà interindustriale e comprenderne l'intima caratteristica. Il progetto, per la sua stessa natura, andava al di là del problema energetico e si inseriva nell'elaborazione di un sistema di identità d'impresa volto a sostenere il delicato passaggio dal modello statico di società agraria a quello dinamico industriale e urbano, immettendo nel tessuto sociale la cultura della mobilità e del progresso, l'ideologia dello sviluppo diffuso.

Con l'ampliamento della sfera dei servizi individuali e collettivi si contribuiva a far uscire l'Italia dall'immobile e arcaica "cultura del villaggio" promuovendo, con la mobilità individuale e sociale, la "cultura del viaggio". Il viaggio non più come momento isolato o discontinuo, ma come esperienza fondante e pervasiva che prospettava una nuova libertà civile. La motorizzazione privata avrebbe ridefinito lo stile di vita, avrebbe modificato linguaggio e cultura, abitudini e gusti, avrebbe favorito il formarsi di un nuovo ceto rurale e urbano a cui assicurare non solo il diritto di viaggiare con strade, alberghi, ristoranti, ma anche il superamento di orizzonti unidimensionali mediante la possibilità di tracciare nuove corrispondenze, che si fanno ricordi e nuove avventure conoscitive, la possibilità di «vedere quel che non si era visto, vedere di nuovo quel che si è già visto», (Saramago, 1999, p. 505) memorie di luoghi che si fanno racconti. Sarebbe cambiata la percezione della misura e dell'utilizzazione pratica del nastro temporale e delle distanze. La stazione di rifornimento e di servizio sviluppava la dimensione culturale, democratica e razionale, di questa nuova tipologia simbolica e sociale: il design delle infrastrutture dell'AGIP, elegante, funzionale, promuoveva un modello di vita aperto e più diretto. Forme archetipiche che l'immaginario sociale avrebbe riconosciuto e condiviso con immediatezza come matrice di libertà. (Colitti, 1993)

Questa nuova cittadinanza non doveva essere separata dalla centralità della qualità della vita destinata a mutare con le soluzioni che scaturivano dall'industria. I prodotti petroliferi e quelli chimici che il gruppo era in grado di offrire all'agricoltura (che soffriva ancora di ritardi e lentezze dovuti alla politica contraddittoria del fascismo, nonostante la retorica di regime), uniti a nuovi prodotti (dai fertilizzanti azotati alla gomma sintetica) e nuovi servizi (studi di innovazione e analisi dei mercati, assistenza finanziaria alla gestione delle aziende agricole, formazione di capacità imprenditoriale) potevano contribuire alla ristrutturazione e all'integrazione del settore rurale con l'industria e con la nuova civiltà dei consumi, già avviata in altri paesi europei. La questione agricola si inseriva nella politica industriale del lavoro sia per i bisogni e le nuove attese degli addetti del settore sia per le esigenze di riqualificazione derivanti dall'assorbimento della manodopera da parte dell'industria in espansione o per l'assolvimento di nuove funzioni imprenditoriali dello stesso settore primario.

Tali dimensioni culturali ponevano le premesse per il passaggio da un principio individualistico e corporativo dell'impresa a uno dinamico, coordinato e proiettato sia nella trasmissione e diffusione dell'innovazione sia nella spinta propulsiva del nuovo assetto istituzionale e sociale. «La verità industriale» scriveva Elio Vittorini nel 1961 «risiede nella catena di effetti che il mondo delle fabbriche mette in moto». (Vittorini, 1961, p. 20) Industria e società dovevano essere colte nella loro funzionale e simbiotica unità e complicità di regolazione e formazione delle compatibilità, dello sviluppo e della crescita. Per il management significava legare la propria identità a processi decisionali in cui riconoscersi condividendone gli scopi e le mediazioni. Significava accettare il legame con l'impresa, in un'immanente partecipazione. Bisognava dare risposta alle tre questioni nascenti: il sentimento di appartenenza, il carattere storico dell'impresa, il carattere istituzionale dell'ENI nella società. L'impresa doveva essere portata a confrontarsi sia con la qualità delle risorse interne (i lavoratori e la rappresentanza), sia con la complessità e le contraddizioni del sociale che dovevano essere incorporate per esprimersi in una nuova unità di organizzazione di sistema. La sfida consisteva nel rendere il lavoro organizzato fattore di sviluppo, inserendolo nel quadro non solo di politiche attive intersettoriali ma in un processo di crescita di una società industriale.

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Pagina 88

L'ENI, nella sua funzione imprenditiva e di corporate, era intesa come istituzione chiamata ad accrescere e a ben distribuire le risorse, in grado di dare effettiva rispondenza alle esigenze di sviluppo economico del paese. Rimase centro funzionale di produzione culturale d'impresa, che poteva realizzarsi, e si realizzerà, fin quando sarà sostenuta da una decisa e feconda aspirazione a inverare un processo di democratizzazione dell'economia che procederà man mano che la leadership che faceva capo a Mattei si rendeva sempre più consapevole della necessità di farsi carico della sfida in termini formalmente compiuti ed espliciti. (De Cesaris, 1994) Infatti se il fascismo poteva apparire come esperienza politica chiusa non di certo lo era qualora si fosse considerata la sua eredità nell'insieme delle istituzioni. Alcune componenti di esso continuavano endemicamente a vivere nella società italiana, conservando il passato nel presente come naturale dimora, facendo affidamento sulla permanenza di un apparato che appariva l'irredenta continuazione del sistema istituzionale precedente.

Sul piano della specificità dell'essere dirigenti ENI, si realizzava sia il principio della socialità e della soggettività sia il principio dell'autonomia di giudizio e di soluzione. Cultura manageriale, questa, che era risultato di una riflessione interdisciplinare sui problemi polisettoriali del gruppo in maniera coesa e coerente. Inoltre il principio di rappresentanza democratica comportava per il management una funzione specifica di attenzione e di captazione dei relativi flussi della società esterna sia nel suo momento tecnico e politico sia nelle sue interazioni contingenti e inattese. Tutti questi momenti testimoniavano il contenuto decisivo dell'apporto della dirigenza al processo innovativo affidato alla funzione imprenditiva dell'ENI, un ente "potente" ma anche un centro democratico che si inscriveva nella storia imprenditiva e nello sviluppo del paese. Un potere che «veniva ricercato in un sistema di aziende efficienti e industrialmente aggressive sui mercati». (De Cesaris, 1987, p. 24) Guelfo, antifascista e partigiano, ex garzone di conceria, ex piccolo imprenditore di solventi chimici, Enrico Mattei non era riducibile all'élite industriale o alla noblesse de robe. Proveniva dal basso, dalla piccola borghesia marchigiana e da essa traeva il suo singolare valore aggiunto. Competente, rischiava di persona, era difficile da controllare – ne era consapevole Fanfani quando confidava all'ambasciatore USA «il problema di mettere sotto controllo Mattei è un processo difficile e lento», (Formigoni, 2003, p. 152) –, mai "ministeriale", con forte senso dello stato e del servizio, generoso verso quei giovani che scopriva pronti a un serio lavoro, tutto coinvolto nella logica economica dell'impresa. (Sapelli, 1992b) Da ciò traeva la tensione morale, l'autonomia imprenditoriale e la formidabile volontà espansiva che trasmetteva alle aziende.

Ancora una volta, Mattei riusciva a fare qualcosa di nuovo e di non previsto, ma coerente con il principio della distintività e dell'economicità dell'impresa e con il principio costituzionale della libertà organizzativa. (De Cesaris, 1994) Non associava le imprese del gruppo alla Confindustria. Rifiutava, poi, di confluire nella struttura dell'Intersind (associazione di rappresentanza delle imprese IRI e FIM) e, con De Cesaris, costituiva una nuova organizzazione associativa, l'Associazione sindacale delle aziende petrolchimiche a partecipazione statale.

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