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| << | < | > | >> |IndicePrefazione 5 Questo libro 11 0 Partenza 12 1 Paradiso express 16 2 "Schiavi, obbedite ai vostri padroni" 18 3 Il Papa infallibile non è 20 4 Lasciate che i pargoli vengano a me 22 5 Adesso e nell'ora della nostra morte 24 6 Il Limbo 26 7 L'ingiustizia originaria 28 8 La riforma dell'aldilà 30 9 Libertà di coscienza: diritto o delirio? 32 10 Adotta un embrione 34 11 Il Concordato 36 12 Scrocifissione day 38 13 Chi dice donna dice danno 40 14 Colonizzare per evangelizzare 42 15 Il caimano e Sacrolino 44 16 Un talebano in Vaticano 46 17 Come la mettiamo con i santi? 48 18 Il gatto e la volpe 50 19 Un bel po' di simonia 52 20 Meglio non toccare donna 54 21 Preservativo day 56 22 I due marpioni 58 23 Il peccato originale 60 24 Che la scuola olezzi di cristiana pietà 62 25 Castità 64 26 Il clero è più altolocato del re 66 27 Corri, corri da San Pio 68 28 Deus caritas est 70 29 La guerra: Dio la vuole? 72 30 La Chiesa e le donne 74 31 La favola di Gesù 76 32 L'ora di religione 78 33 Lo tsunami divino 80 34 Sant'Agata 82 35 Nooradireligione day 84 36 Non c'è piacere senza peccato 86 37 Ciao Darwin 88 38 Ma le streghe esistono? 90 39 C'è puzza di bruciato 92 40 La favola di Maria 94 41 Non si muor quando si muore 96 42 La comparsa e la scomparsa del Limbo 98 43 Va' a troie, ma sfila con la Cei 100 44 "Crescete e moltiplicatevi" 102 45 Pena di morte? 104 46 Oro, incenso e birra 106 47 Obietta e da' dolore 108 48 La "passione infame" 110 49 Coppiedifatto day 112 50 Scuola in croce 114 51 "Abortirai con dolore" 116 52 La strana coppia 118 53 Infallibili? Ma no! 120 54 Io sono mio 122 55 Ne parlano anche i muri 124 56 Il mortale flagello dei libri 126 57 La Fede, la Speranza e l'Omertà 128 58 Al supermarket del beato 130 59 Non far questo, non far quello 132 60 La Chiesa odia gli ebrei. Anzi, no 134 61 Calcio, tango e vanità 136 62 Datuttoaipoveri day 138 63 In paradiso 140 |
| << | < | > | >> |Pagina 5Nella cultura contemporanea manca una critica significativa della religione in generale e delle singole religioni. Si tratta di un aspetto importante della nostra storia intellettuale, presente nella cultura antica, a opera di letterati e filosofi, perfino dei filosofi che poi pretendevano di formulare una loro religione o proponevano pratiche religiose elaborate autonomamente. Il pluralismo religioso del mondo greco-romano favoriva un confronto tra le religioni, in cui era possibile criticare, anche aspramente, credenze e pratiche di questa o quella religione. Poeti e sofisti avevano messo in luce l'arbitrarietà delle immagini antropomorfiche delle divinità o interpretato in modo non edificante le vicende nelle quali, secondo la mitologia tradizionale, essi erano implicati. Anche filosofi come Platone, che aspiravano a fondare una religione, davano un'immagine dissacrante di profeti e predicatori, che pretendevano di indicare la via verso paradisi pieni di delizie. Uno storico patriottico come Tito Livio ci ha dato un'idea dei modi nei quali gli indovini ufficiali sapevano adattare i loro responsi alle opportunità politiche o erano costretti a farlo, mentre uno scrittore come Luciano di Samosata ha svelato i trucchi di indovini e santoni. Anche l'ossessione ebraica dell'idolatria, ancorché connessa ai problemi posti dai rapporti del popolo ebraico con quelli con i quali doveva convivere, alimentava la critica di credenze e pratiche religiose. Il cristianesimo ha ereditato l'ossessione antidolatrica ebraica, ma l'ha inserita in un programma che mirava non a salvaguardare la purezza della religione tradizionale, bensì alla sottomissione dei seguaci delle altre religioni, ovunque si trovassero. I cristiani attingevano alla demonologia ebraica per interpretare le pratiche delle altre religioni, riconducendole all'opera del diavolo e dando in un certo senso credito alle loro pretese di effettuare operazioni soprannaturali: ne risultava un'immagine del mondo come teatro della lotta tra potenze soprannaturali. Veniva così a mancare qualsiasi presupposto per formulare una critica radicale delle pratiche religiose, smascherando gli inganni sui quali si costruiscono. Da Erodoto a Luciano gli antichi avevano smontato i trucchi con i quali i profeti simulavano eventi portentosi, per corroborare le strabilianti credenze che proponevano e indurre i seguaci a credere nei loro poteri straordinari. La cultura cristiana reprimeva qualsiasi critica di questo tipo, perché dubitare del potere soprannaturale di qualcuno rischiava di gettare l'ombra del dubbio anche su Gesù e i suoi eredi. Soltanto gli eredi dell'aristotelismo, come Pietro Pomponazzi, sono riusciti a tener viva la tendenza a svelare le imposture religiose, partendo dall'idea che l'ordine naturale rende impossibili i miracoli. Gli impostori, cercando di far credere a fatti mai accaduti o simulati con inganni, carpiscono la fiducia delle persone per interessi privati o per fini pubblici, cioè per indurre comportamenti collettivi. Machiavelli e i suoi eredi hanno messo in luce l'utilizzazione delle imposture religiose come strumento di governo, aprendo la possibilità di considerare le tre figure fondamentali delle religioni di ceppo ebraico, Mosè, Gesù e Maometto, come impostori. Era la ripresa della critica religiosa ben praticata nell'antichità, con la quale la cultura antica aveva smascherato profeti come Pitagora o Apollonio di Tiana, ma che era servita ai dotti pagani anche per smascherare le imposture cristiane, a cominciare da quelle attribuite a Gesù. La critica dei miracoli e delle imposture che ne derivano avrebbe costituito un aspetto fondamentale dell'illuminismo e dei deismo moderni, segnando profondamente la cultura europea seicentesca e settecentesca. Illuministi e deisti si illusero di creare una religione razionale, che non avesse bisogno di miracoli né di imposture, trasformando la divinità in una specie di sorvegliante lontano sull'ordine naturale delle cose o in un disinteressato legislatore morale. Le cose sono andate poi in tutt'altro modo e, alla fine, sembrò che soltanto l'ateismo potesse mettere al sicuro dalle imposture religiose. L'ateismo moderno ha conosciuto due varietà. La prima è cresciuta sull'idea che l'ordine dell'universo, collegato nelle religioni razionali all'idea di un dio immaginato come un orologiaio, capace di costruire un meccanismo in grado di funzionare da solo, non ha mai bisogno, né per instaurarsi né per conservarsi, di una divinità onnipotente. La seconda varietà, che si avvaleva soprattutto dei suggerimenti della biologia e in particolare della teoria dell'evoluzione, partiva dall'idea che il mondo vivente, stimolo principale delle istanze religiose, fosse retto essenzialmente dal caso e perciò non potesse far posto a un'entità cui si attribuiva il potere di dominare la casualità e di indirizzarla verso una fine. Entrambe queste forme di ateismo hanno svolto un'utile critica delle credenze religiose e delle falsità in esse contenute, ma si sono spesso espresse in forme concettuali rigorose e asettiche, efficaci nel mostrare l'arbitrarietà delle dottrine incorporate nelle fedi religiose, ma meno interessate a svelare le imposture delle quali quelle fedi si servono. Nella cultura ottocentesca, accanto all'ateismo "maggiore", si è sviluppata una critica religiosa in un certo senso "minore", spesso etichettata come anticlericalismo. In realtà anche la critica all'organizzazione ecclesiastica delle religioni ha avuto due varietà, delle quali una non assimilabile alle forme "minori" di anticlericalismo e connessa piuttosto alle dottrine ateistiche. In questa varietà i preti erano visti soprattutto come agenti del potere politico o di quello sociale delle classi dominanti: era la posizione sociale del clero, più che le sue pratiche, ciò che la critica intendeva colpire. Questo tipo di anticlericalismo "ideologico" ha contribuito a screditare l'anticlericalismo minore, e ingiustamente. L'anticlericalismo ha avuto un'illustre tradizione anche in quella che è considerata la storia intellettuale del mondo occidentale ed è vissuto perfino all'interno del cristianesimo. C'è un anticlericalismo medievale, che è stato spesso represso e per questo non ha potuto lasciare tracce vistose, ma esso è emerso nell'umanesimo rinascimentale, raggiungendo espressioni ragguardevoli negli umanisti italiani, in Erasmo, in Machiavelli e in Guicciardini. E una componente anticlericale era presente nella cultura religiosa da cui è nata la riforma protestante. Proprio il clima di forte repressione religiosa esercitata in Europa dalla Riforma e dalla Controriforma ha relegato in secondo piano l'anticlericalismo, costringendolo a esprimersi in forme clandestine o a dissimularsi. Ciò ha contribuito a nascondere parzialmente i contenuti anticlericali dell'illuminismo e a dare una veste dottrinale all'ateismo o ad accompagnare la critica al clero con l'invenzione di una religione civile o razionale. Dopo le delusione nei confronti delle religioni artificiali, nella cultura liberale e socialista dell'Ottocento, l'anticlericalismo, relativamente libero da ideologie globali, ha potuto esprimersi con indipendenza e creatività. È così emersa la vena anticlericale che aveva percorso la cultura moderna e che ha dato vita ai movimenti ottocenteschi per la secolarizzazione della vita civile. Nell'anticlericalismo ottocentesco ha potuto avere pieno riconoscimento la vena umoristica e satirica, che ha smascherato e messo in ridicolo gli atteggiamenti del clero e gli strumenti usati dai preti per far valere le loro imposizioni religiose. La cultura del Novecento ha subito un forte regresso da questo punto di vista, perché ha visto il ritorno di atteggiamenti di sottomissione alle culture religiose. I movimenti ottocenteschi collegati alla costruzione delle nazioni erano stati spesso accompagnati dalla promozione di forme di vita secolarizzate, perché la nazione si era configurata come l'entità capace di proteggere i suoi membri da imposizioni, che non fossero quelle fondate sull'identità nazionale. Ma i nazionalismi novecenteschi hanno attenuato il legame con la tradizione liberale, veicolo delle istanze laiche e anticlericali: è sembrato che anche le nazioni dovessero avere una sanzione religiosa e spesso è parso che la cosa più agevole fosse attingere alle religioni correnti. È significativo che lo stesso Benedetto Croce designasse il proprio liberalismo come una "religione della libertà". E quando i nazionalismi novecenteschi presero la via dei totalitarismi, le chiese furono generose nel sostenerli, ricevendo in cambio protezioni, privilegi e persecuzioni dei dissidenti. Ma anche quando, dopo la Seconda Guerra Mondiale, i regimi totalitari sono scomparsi dal mondo occidentale e il laicismo liberale ha riconquistato prestigio, l'anticlericalismo e la critica delle religioni non ha più ripreso vigore. L'anticomunismo, che ha segnato i regimi democratici occidentali durante la guerra fredda, ha generato alleanze tra la cultura clericale e i partiti più o meno liberali e democratici, facendo dimenticare l'appoggio offerto dalle chiese ai regimi fascisti e nazisti e la vocazione autoritaria dei movimenti religiosi. La cultura di sinistra, che dovrebbe essere la sede naturale della critica alle religioni e ai loro atteggiamenti clericali, ha invece spesso assunto un atteggiamento morbido nei confronti dei partiti di ispirazione religiosa e delle pretese ecclesiastiche. A orientarli in questo senso sono valse non soltanto ragioni di opportunità politica, alla base di alleanze di governo, o la preoccupazione di respingere l'ateismo di stato di tipo sovietico, ma anche ragioni ideologiche interne: sembrava che le religioni trasmettessero una cultura improntata alla solidarietà e capace di costituire un'alternativa all'ideologia borghese, ispirata ai principi del capitalismo e del liberalismo individualistico. Ancora oggi, dopo che i temi liberali sembrano tornati di moda e le vecchie divisioni imposte dalla guerra fredda paiono scomparse, le debolezze intellettuali nei confronti delle religioni si sono conservate. Il liberalismo populistico dei movimenti messi in piedi da Berlusconi è sfacciatamente clericale, perfino più della vecchia Democrazia cristiana, mentre le formazioni più o meno democratiche o di sinistra sono, nella migliore delle ipotesi, timide, sia perché hanno fatto propria l'eredità dei movimenti clericali, sia perché amano, per ragioni intrinseche, la cultura cattolica. Questi lasciti pesanti ci hanno privati della capacità di formulare critiche efficaci e mordenti delle credenze religiose e degli atteggiamenti del clero. La cultura laicista ha sempre giustamente sostenuto la necessità di professare il massimo rispetto per la libertà di tutti e per le persone, ma ha interpretato questi impegni come vere e proprie autocensure, come se essi impedissero di esercitare la critica più radicale delle credenze professate dalle persone, delle pratiche da esse proposte e delle loro pretese.
Non bisogna dimenticare che i cattolici non hanno mai
accettato le regole fondamentali degli ordinamenti liberali,
secondo le quali le condotte religiose possono essere
liberamente propagandate e seguite, ma mai imposte.
Da parte loro i liberali hanno dimenticato che uno dei
compiti della cultura liberale consiste nello smascheramento
delle forme attraverso le quali le imposizioni religiose
cercano di dissimularsi come proposte laiche, condivisibili
e giustificabili con ragioni indipendenti dalle credenze
religiose. I cattolici hanno sempre gradito e utilizzato la
libertà garantita loro dagli ordinamenti liberali così come
l'atteggiamento di rispetto nutrito nei loro confronti, ma non
hanno mai ricambiato questi riconoscimenti con qualcosa di analogo.
La Chiesa cattolica ha sempre sostenuto la propria superiorità su ogni
altra professione religiosa e ha sempre preteso di disporre del monopolio della
verità; e, anche quando è sembrata aprirsi al riconoscimento della libertà religiosa, ha sempre visto
nella religione la destinataria privilegiata della libertà. I laici sono sempre stati considerati dei peccatori,
nei confronti dei quali forme di rispetto potrebbero essere pericolose concessioni a forme di vita
viziose.
Per queste circostanze è venuta meno la letteratura satirica nei confronti delle religioni e dei loro cleri. Perciò è particolarmente apprezzabile la proposta costituita da Oca pro nobis, che rappresenta una novità e rompe un tabù. Essa mette in scena con disegni, prose, versi e musica idee e atteggiamenti correnti della chiesa, prendendo di mira soprattutto tre cose: le credenze arbitrarie della dottrina cattolica, la pretesa degli organi ecclesiastici di sottrarsi alla solidarietà nazionale per conservare privilegi economici e le regole sessuali, che i preti pretendono di imporre a tutti attraverso leggi dello stato. Soprattutto dopo il Concilio Vaticano II e il pontificato di Giovanni Paolo II la chiesa è sembrata disposta a rivedere alcune delle proprie posizioni, a riconoscere errori commessi e addirittura a chiedere perdono alle vittime. Nessuno intende sottovalutare l'importanza culturale di questi fenomeni, ma gli autori di Oca pro nobis hanno appuntato l'attenzione su un altro aspetto, spesso trascurato. Quasi sempre le correzioni apportate dagli organi ecclesiastici hanno riguardato il passato e hanno presentato gli errori commessi come applicazioni scorrette di principi rimasti inalterati. Non soltanto temi fondamentali del cristianesimo non hanno subito revisioni, ma correzioni e richieste di perdono si sono limitate al passato e non sono mai state accompagnate da impegni a non ripetere più le nefandezze commesse. Anzi, quando chiese perdono per ciò che secondo lui cardinali sprovveduti avevano indotto a fare a Galileo, Giovanni Paolo II si affrettò a dire che i biologi avrebbero dovuto sottomettersi al giudizio dei papi, che di meccanica magari no, ma di vita se ne intendono e sono lì a evitare che qualcuno cerchi di cacciare l'anima dal novero delle cose esistenti. Oca pro nobis è un buon sillabo, per usare un termine caro alla cultura ecclesiastica, delle imposture della dottrina cattolica, cioè delle cose non vere in essa contenute e imposte per indurre le persone a riconoscere i poteri speciali del suo clero e a seguirne i precetti. Si tratta anche di un esercizio di mancanza di rispetto per chi non ne ha per il buon senso e la libertà di scelta delle persone, ed è un sillabo in versi, musica e figure, gli strumenti classici con i quali per secoli si è cercato di incantare le menti umane. | << | < | > | >> |Pagina 11Questo libroQuest'operetta semiseria, che mescola satira, critica e sberleffo presenta alternate in modo del tutto casuale, come le caselle sul tabellone del gioco dell'oca, 63 fra poesie satiriche, schede di critica della dottrina cattolica, canzoni dissacranti, tavole in cui un'oca giuliva sogna una chiesa che non c'è. E oche, tantissime oche, irreverenti, ironiche, tenere, graffianti a corredo di ogni testo. Alla fine di ognuno, una quartina rimanda a un altro testo, facendo da filo conduttore per chi non voglia leggere il libro di seguito ma procedere a balzi, salti, andirivieni come appunto in un gioco. Alle canzoni sono associati un qr code e un link, che ne permettono l'ascolto sul sito collegato a questo libro: www.ocapronobis.altervista.org , in base alle istruzioni riportate a fondo pagina di ogni canzone. L'intento serio, e lo scopo degli autori, è dare un piccolo contributo a decattolicizzare questo paese – cosa indispensabile per arrivare a uno straccio di stato laico – mostrando quanto sia sprovvista di fondamento, anzi risibile, la pretesa della Chiesa cattolica di candidarsi a religione civile e guida morale della nazione attraverso l'imposizione dei suoi precetti a tutti i cittadini, credenti e no. La Chiesa non ha titolo per farlo data la sua storia per nulla edificante, costantemente segnata da intolleranza e da violenze; dati i suoi comportamenti, che rinnegano quotidianamente gli stessi valori predicati a parole; e data soprattutto la sua dottrina, dalle inverosimili "verità di fede" all'insensata morale sessuale. Si tratta di una dottrina in buona sostanza falsa, contraddittoria, irrazionale, lesiva di fondamentali diritti umani o, nel migliore dei casi, di un insieme di correzioni raffazzonate per adeguarsi al mondo moderno, ma senza ammettere di aver in precedenza sbagliato, perché altrimenti cade la favola dell'infallibilità. | << | < | > | >> |Pagina 120 PartenzaCaro amico, stai vivendo | << | < | > | >> |Pagina 182 "Schiavi, obbedite ai vostri padroni"«Schiavi, obbedite ai vostri padroni ... con timore e tremore... come a Cristo» (Paolo, Lettera agli Efesini, 6,5). «Ecco, non ha preso i servi e ne ha fatto dei liberi, ma ha preso dei servi cattivi e ne ha fatto dei buoni. Quale debito non hanno i ricchi verso Cristo per il modo come ha loro sistemato la casa!» (Agostino, Esposizione sui salmi, 124, 402-412). «Non ... si sarà mai abbastanza grati alla Chiesa cattolica, che ... abolì la schiavitù, introdusse tra gli uomini la vera libertà, la fratellanza, l'uguaglianza, e perciò si rese benemerita della prosperità dei popoli» (Leone XIII, In plurimis, 1888). Si è soliti dire che il cristianesimo ha abolito la schiavitù. Viceversa già Paolo, pur affermando che sul piano spirituale «non c'è né schiavo né libero; non c'è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù» (Lettera ai Galati, 3,28), esortava gli schiavi a rimanere tali obbedendo ai loro padroni come a Cristo (Lettera agli Efesini, cit.). Anche Agostino e Tommaso d'Aquino giustificavano la schiavitù, come castigo del peccato. Nel Medioevo papi, chiese, monasteri possedevano schiavi e i figli nati dal concubinato dei preti dovevano «appartenere per sempre come schiavi alla Chiesa» (Concilio di Toledo, VII sec.); nello stato pontificio la compravendita di schiavi continuò fino al XIX secolo. I papi ordinarono spesso di fare schiavi gli infedeli, anche se talvolta vietarono di trarre in schiavitù una categoria specifica (i catecumeni, gli indi). Niccolò V, ad esempio, dichiarava: «abbiamo concesso... piena e completa facoltà al re Alfonso [del Portogallo] di invadere, ricercare, catturare, conquistare e soggiogare tutti i Saraceni e qualsiasi pagano e gli altri nemici di Cristo ... e di gettarli in schiavitù perpetua» (Romanus pontifex, 1454).
Nel 1839 la schiavitù, ormai bandita dai maggiori paesi europei, fu condannata anche da
Gregorio XVI (In supremo). Ma ancora nel 1866 un'Istruzione del Santo Ufficio approvata da Pio
IX decretava: «La schiavitù in quanto tale ... non è del tutto contraria alla legge naturale e
divina... Non è contrario alla legge naturale e divina che uno schiavo possa essere venduto,
acquistato, scambiato o regalato».
Un errore lungo quasi duemila anni La schiavitù fu definitivamente condannata da Leone XIII e poi dal Vaticano II (Gaudium et Spes, 1965), tacendo però che, in materia, la Chiesa aveva sbagliato (nella pratica e nella dottrina) per quasi duemila anni. | << | < | > | >> |Pagina 224 Lasciate che i pargoli vengano a me«Sono peccati gravemente contrari alla castità ... l'adulterio, la masturbazione, la fornicazione, la pornografia, la prostituzione, lo stupro, gli atti omosessuali. Questi peccati sono espressione del vizio della lussuria. Commessi su minori, tali atti sono un attentato ancora più grave contro la loro integrità fisica e morale» (Catechismo della Chiesa cattolica. Compendio, Il sesto comandamento, § 492, 2005). «[Fra] i delitti più gravi ... riservati alla Congregazione per la dottrina della fede, [vi è] il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età .... Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio» (J. Ratzinger, Lettera della Congregazione per la dottrina della fede ai vescovi di tutta la Chiesa, 18 maggio 2001). Per la Chiesa l'abuso sui minori (pedofilia) e lo stupro sono peccati di «lussuria», che offendono la morale, cioè «il sesto comandamento», come la masturbazione o la fornicazione, e non violenze contro la persona, da classificare fra i peccati che offendono il quinto comandamento.
In altre parole, l'avversione ossessiva verso il piacere sessuale, ritenuto
quasi il peggiore dei mali, porta la Chiesa a giudicare secondario il fatto che
il piacere peccaminoso si raggiunga violentando un minore, anziché attraverso un
rapporto libero fra adulti consenzienti.
La Chiesa fra sessuofobia e omertà Questo può spiegare perché la pedofilia del clero sia stata per molto tempo considerata dalla Chiesa un problema solo da confessionale, come qualsiasi "atto impuro", e non anche da tribunale. L'altro motivo è che di fronte alla pedofilia del clero scatta l'omertà a difesa della casta sacerdotale. Tutto questo trova conferma nella Lettera inviata da Ratzinger a tutti i vescovi cattolici nel 2001 con l'approvazione di Giovanni Paolo II. In essa li informava che la pedofilia è un peccato «contro il sesto comandamento», da non denunciare alle autorità civili in quanto coperto dal «segreto pontificio». Di conseguenza i vertici della chiesa hanno sempre cercato, finché hanno potuto, di mettere tutto a tacere. | << | < | > | >> |Pagina 329 Libertà di coscienza: diritto o delirio?«Da questa corrottissima sorgente dell'indifferentismo scaturisce quell'assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza» (Gregorio XVI, Enciclica Mirari vos, 1832). «L'uomo ha il diritto di agire in coscienza e libertà.... L'uomo non deve essere costretto "a agire contro la sua coscienza. Ma non si deve neppure impedirgli di operare in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso" [Vat.II]» (Catechismo della Chiesa cattolica, § 1782, 1992). Il Dio della Bibbia non riconosce la libertà di coscienza e di culto, ma ordina di mettere a morte chi adora altri dei (Deuteronomio). La Chiesa adottò questa posizione fin dal 380, quando l'imperatore Teodosio proclamò il cattolicesimo religione di stato e minacciò di punire chiunque avesse seguito religioni diverse. Da allora i pagani furono perseguitati e gli eretici messi a morte. Nel 1311-12 il Concilio di Vienne vietò di elevare preghiere, in terre cristiane, al «perfido Maometto». Solo agli ebrei fu permesso di praticare la propria religione, ma nei loro ghetti. Anche nelle Americhe i conquistatori imposero il cattolicesimo con la forza. In età moderna, dopo Gregorio XVI, anche Pio IX condanna chi ritiene «la libertà di coscienza e dei culti essere un diritto proprio di ciascun uomo» (Quanta cura, 1864). Leone XIII giudica contraria alla virtù religiosa «la cosiddetta libertà di culto» (Libertas, 1888). Pio XI giunge poi a definire «peste della età nostra... il laicismo», dal quale «la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste» (Quas primas, 1925). E decreta che «in Stato cattolico, libertà di coscienza e di discussione, devono intendersi e praticarsi secondo la dottrina e la legge cattolica» (Lettera al segretario di stato, 1929). Solo con il Concilio Vaticano II (1962) la Chiesa riconoscerà la libertà di coscienza, come possiamo leggere nel Catechismo del 1992. Ma c'è da fidarsi? La Chiesa tuttavia sorvola sul fatto di aver insegnato per milleseicento anni il contrario, inducendo in errore i fedeli, di cui si dice guida infallibile. Ciò fa dubitare della sincerità di questa "svolta". Tanto più che viene contraddetta ogni giorno dal tentativo della Chiesa stessa di imporre per legge a tutti i cittadini la propria morale, che si pretende coincidente con quella naturale (cioè con quella che il papa, non si sa a quale titolo, definisce tale). | << | < | > | >> |Pagina 4013 Chi dice donna dice dannoPaolo: «L'uomo è immagine e gloria di Dio, la donna invece è gloria dell'uomo» (Prima lettera ai Corinzi, 11); «come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto» (Lettera agli Efesini, 5). Pio XII: «O spose e madri cristiane ... non siate paghe di accettare e quasi di subire questa autorità dello sposo, alla quale Iddio negli ordinamenti della natura e della grazia vi ha sottoposte; voi dovete nella vostra sincera sottomissione amarla» (Discorso agli sposi, 1941). Giovanni Paolo II: «mentre nella relazione Cristo-Chiesa la sottomissione è solo della Chiesa, nella relazione marito-moglie la "sottomissione" non è unilaterale, bensì reciproca!» (Mulieris dignitatem, 1988); «L'uomo e la donna sono, con una identica dignità, "a immagine di Dio"» (Lettera alle donne, 1995).
La donna, secondo Paolo, è fatta per rendere gloria all'uomo e obbedirlo, perché
«prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato ma fu la donna che,
ingannata, si rese colpevole di trasgressione» (Prima lettera a Timoteo, 2).
Essa
«potrà essere salvata partorendo figli»
(ib.), ossia confinandosi nel ruolo di riproduttrice.
Questa fu per quasi venti secoli la posizione di papi e teologi verso la donna. Odo, abate di Cluny, si chiedeva: «Mentre non sopportiamo di toccare uno sputo o un escremento nemmeno con la punta delle dita, come possiamo desiderare di abbracciare questo sacco di escrementi?» (PL 162). Alberto Magno affermava: «la donna... rispetto all'uomo ha una natura difettosa e imperfetta» ed è anche più immorale perché «la sua sensibilità spinge la donna verso ogni male, mentre la ragione muove l'uomo verso ogni bene» (Quaestiones super de animalibus, XV-XVIII, 1250 ca). La sottomissione della donna all' «autorità dello sposo» fu poi ribadita fin quasi ai giorni nostri da Leone XIII («Il marito è il principe della famiglia e il capo della moglie», Arcanum divinae, 1880); da Pio XI («L'"ordine dell'amore" richiede da una parte la superiorità del marito ... e dall'altra la pronta sottomissione e ubbidienza della moglie» (Casti connubii, 1930) e da Pio XII. La donna fu anche esclusa dal sacerdozio e perfino dalla vicinanza all'altare: «Abbiamo appreso con disagio», scriveva già papa Gelasio, «che si è verificato un tale disprezzo delle verità divine, che le donne .... servono ai santi altari» (Lettera ai vescovi lucani, 494). Una "svolta" con imbroglio Una "svolta" si è avuta con Giovanni Paolo II secondo il quale c'è «identica dignità» fra i due sessi e la sottomissione è «reciproca». Ma papa Wojtyla si è guardato bene dal dire che le sue affermazioni contraddicono il plurisecolare insegnamento della Chiesa e gli stessi testi paolini ispirati da Dio. E d'altra parte ha definito «appartenente al deposito della fede» (Congregazione della dottrina della fede, 1995), cioè verità immutabile e infallibile, il divieto del sacerdozio femminile. | << | < | > | >> |Pagina 5822 I due marpioniNell'Italia della crisi Nota. Il 14 gennaio 2012 Mario Monti visita il Papa, anche al fine di affrontare il problema del pagamento dell'Ici, poi Imu, sulle attività commerciali della Chiesa. Nessun risultato immediato, ma a fine febbraio Monti annuncia la fine dei privilegi per la Chiesa con tali e tanti distinguo, in particolare su scuole e ostelli, da far capire che finirà come per le liberalizzazioni fasulle. | << | < | > | >> |Pagina 7229 La guerra: Dio la vuole?«Abbiamo dunque stabilito di ammonire ... uno ad uno i fedeli in vista di questa piissima e giustissima guerra, dove sono soprattutto in gioco la causa e la gloria di Gesù Cristo ... E affinché tutti si impegnino a mobilitarsi ... con quella potestà che Dio ci ha dato ... emaniamo indulto ed elargiamo pienissima venia, remissione e assoluzione di tutti i peccati.» (Pio V, Indulgentiae et gratiae pro adiuvantibus bellum contra Turcos, 1572) «Dio, Creatore e Padre di tutti, chiederà conto ancor più severamente a chi sparge in suo nome il sangue del fratello.» (Benedetto XVI, Discorso all'Angelus, 26 febbraio 2006) Nell' Antico Testamento si descrive come voluta e guidata da Dio la guerra degli Israeliti per la conquista della Palestina. Rifacendosi a tale esempio, la Chiesa ha giustificato in passato e ha definito «santa» la guerra contro gli "infedeli", gli eretici e perfino i nemici dello stato pontificio; e ha concesso indulgenze e remissione dei peccati a chi vi partecipava. «Quando andrete all'assalto dei bellicosi nemici», esclamava Urbano II nel Discorso di Clermont (1095), «sia questo l'unanime grido di tutti i soldati di Dio: "Dio lo vuole! Dio lo vuole!"». E ai soldati in guerra contro gli arabi in Spagna assicurava: «Chi, per amore di Dio e dei suoi fratelli, cade in questa campagna, non dubiti che troverà l'indulgenza per i suoi peccati e godrà la vita eterna.» (Becker, Paps Urban II, vol. VI) All'aiuto di Dio, della Madonna e dei santi la Chiesa attribuiva, ancora alla fine dell'Ottocento, anche il merito per la vittoria. Prima di Lepanto, Leone XIII scriveva: «San Pio V ... rivolse ogni suo zelo ad ottenere che la potentissima Madre di Dio ... venisse in aiuto del popolo cristiano ... E la Madonna, mossa da quelle preghiere, li assistette. Infatti, avendo la flotta dei cristiani attaccato battaglia ... sbaragliò ed uccise i nemici e riportò una splendida vittoria.» (Supremi apostolatus, 1883) La Chiesa ha ritenuto legittima anche la guerra tradizionale fra gli stati, purché «giusta». Un concetto che Tommaso d'Aquino chiariva così: «Perché una guerra sia giusta si richiedono tre cose. Primo, l'autorità del principe, per ordine del quale la guerra deve essere proclamata... Secondo, si richiede una causa giusta, e cioè una colpa da parte di coloro contro cui si fa la guerra... Terzo, si richiede che l'intenzione di chi combatte sia retta: e cioè che si miri a promuovere il bene e ad evitare il male.» (Summa theologiae, IIa IIae, q. 40) Con Giovanni XXIII la Chiesa assume una posizione più critica definendo la guerra, almeno nell'era atomica, «contraria a ragione» (Pacem in terris, 1963). Continua però a sostenere in via di principio la sua liceità se vi sono date condizioni e soprattutto, come al tempo di Tommaso, delega la decisione al principe: «la valutazione rigorosa di tali condizioni ... spetta al giudizio prudente dei governanti.» (Catechismo della Chiesa cattolica. Compendio, §484, 2005) Ma insomma: Dio la vuole o no? E' indubbiamente vistosa la contraddizione fra Benedetto XVI (che condanna la guerra «santa», oggi predicata dai fondamentalisti islamici) e quei papi o quei teologi che l'hanno giustificata e che, in alcuni casi, sono stati proclamati santi o beati. In uno dei due casi la Chiesa ha sbagliato. Ma in quale? E Dio che oggi, secondo Benedetto, punirebbe chi fa violenza in suo nome, perché avrebbe invece premiato chi l'ha fatta alcuni secoli fa con l'indulgenza papale? | << | < | > | >> |Pagina 12656 Il mortale flagello dei libri[Ai vescovi] «Si deve lottare accanitamente ... al fine di estirpare la mortifera peste dei libri; non potrà infatti essere eliminata la materia dell'errore fino a quando gli elementi facinorosi di pravità non periscano bruciati; ... dove sia il caso implorate l'avita pietà dei Principi cattolici ... [perché] frenino e distruggano energicamente gli uomini malvagi» (Clemente XIII, Christianae reipublicae, 1766). «l'Indice rimane moralmente impegnativo, in quanto ammonisce la coscienza dei cristiani a guardarsi ... da quegli scritti che possono mettere in pericolo la fede e i costumi; ma... non ha più forza di legge ecclesiastica con le annesse censure» (Congregazione per la dottrina della fede, Notificazione riguardante l'abolizione dell'Indice dei libri, 1966). La Chiesa stabilì fin dai primi secoli che la libertà di espressione deve essere impedita con la forza se contrasta «con la fede, la Religione, i buoni costumi e non rispecchi l'onestà cristiana» (Christianae reipublicae, cit.). Il concilio di Nicea del 325 ordinò di bruciare tutti i libri di Ario e uccidere chi li nascondeva. Il rogo dei libri proibiti continuò per tutto il medioevo e con l'inquisizione s'accompagnò spesso a quello dei loro autori. Anche in seguito, finché sono esistiti stati confessionali, i papi hanno invocato l'intervento repressivo dell'autorità per «distruggere quel mortale flagello dei libri» (Pio VII, Diu satis, 1800) e contrastare «quella pessima, né mai abbastanza esecrata ed aborrita "libertà della stampa"» (Gregorio XVI, Mirari vos, 1832). Nel 1559 fu creato inoltre l' Indice dei libri proibiti: leggerli era ritenuto peccato mortale e possederli, specie per una persona in fama d'eresia, poteva essere «motivo sufficiente per torturarlo allo scopo di conoscere i suoi complici, se crede al contenuto di quei libri e se ha insegnato quelle eresie» (C. Carena, Tractatus de officio Sanctissimae Inquisitionis, 1669). L'Indice non c'è più. E il resto? La Chiesa, in quanto «costituita da Dio maestra infallibile e guida sicura dei fedeli» (Merry del Vai, intr. all' Indice, 1929), continua a ritenere ancora oggi suo diritto stabilire quali libri siano leciti e quali no. Nel 1966 tuttavia ha abolito l'Indice.
Ma non ha chiarito se ritiene ancora giusto o se sconfessa quanto ha insegnato (oltre che
praticato) per sedici secoli, ossia che
«non potrà essere eliminata la materia dell'errore fino a
quando gli elementi facinorosi di pravità non periscano bruciati»
con l'aiuto
«dei prìncipi cattolici»,
i quali
«non senza motivo portano la spada»
(Clemente XIII).
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