Autore Ugo Cornia
Titolo Animali
Sottotitolo(topi gatti cani e mia sorella)
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2014, I Narratori , pag. 112, cop.fle., dim. 14x22x1,2 cm , Isbn 978-88-07-03108-3
LettoreGiorgio Crepe, 2014
Classe narrativa italiana , animali domestici












 

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1.



Cinque o sei anni fa, poteva essere il duemila e sei, su a Guzzano, in occasione delle vacanze di Natale, c'è stata questa discussione tra me e mia sorella che verteva su una data cosa, e cioè che mia sorella un bel momento aveva piazzato nel cortiletto una gran gabbia, che era appoggiata al muro, lunga circa due metri, e larga e alta circa un metro, e in questa gabbia ci aveva messo dei piccioni. In verità c'era stato anche un antecedente. Infatti io, d'estate, sarà stato verso il 10 di agosto, un pomeriggio ero arrivato su a Guzzano, e doveva essere uno di quei periodi, che mi succedono ogni tanto, in cui io mi sento un po' troppo pressato dalla vita, come se in ogni singolo minuto della mia vita dovessi aver fretta per fare qualcosa e non avessi tempo abbastanza, perciò, parcheggiata la mia macchina davanti a casa mia, ero entrato di corsa per prendere una caraffa vuota, poi ero tornato fuori per andare alla fontana a riempirmi la caraffa d'acqua fredda, e ero rientrato di corsa in casa, riuscendo a non incontrare quasi nessuno, con la ferma intenzione di restare per almeno cinque minuti a bermi la mia caraffa di acqua fredda in uno stato di completa e felice solitudine. Così avevo fatto, e stavo seduto nel cortiletto a bermi l'acqua allo scopo di farmi sbollire questa frenesia che c'avevo ancora addosso, e lì, di colpo, vedevo degli strani esseri spelati, saranno stati sette o otto, che avevano iniziato a camminarmi intorno guardandomi; allora anch'io mi ero messo a guardarli; allora gli esseri avevano degli strani bozzi su questo loro corpo pelato, come dei gran brufoli, e standoli a guardare mi era subito venuta in testa l'ipotesi, a causa di quella strana forma dell'attacco alla testa del becco, che fossero dei piccioni, forse dei piccioni di un mese o forse di un po' meno, soltanto che invece di aver sviluppato un piumaggio ormai quasi completo erano ancora tutti spelacchiati, con qualche spuntone di penna mezza abortita, e tra l'altro mentre camminavano in qua e in là ogni tanto facevano anche quel loro gesto di iniziare a scuotere le ali, come fanno sempre per qualche giorno i giovani piccioni prima di buttarsi per il loro primo volo, e anche questi ogni tanto facevano quel gesto e scuotevano le ali, anche se queste ali erano ancora completamente senza penne; e mentre io stavo osservando tutte queste cose, che mi sgonfiavano la frenesia, e mi bevevo vari bicchieri d'acqua, entrava a quel punto nel cortiletto mia sorella, con la zia Bruna, che mi dicevano ciao, sei già arrivato, ma da quanto? E io dicevo che ero appena arrivato, ma avendo una gran sete, e molta voglia di bere prima di fare un giro a salutare tutti, ero subito corso lì nel cortiletto a bere in pace, e vedendo che gli strani uccelli passeggianti erano corsi intorno a mia sorella, facendo anche degli strani pigolii, avevo in quel momento chiesto a mia sorella che cos'erano, e mia sorella mi aveva detto hai visto che belli? Sono piccioni col vaiolo. Se riescono a superare questi dieci, quindici giorni, che sono i più critici, dopo guariscono e diventano normalmente adulti, poi mi aveva detto che erano già fortemente imprintati (cioè per farla breve abituati a considerare una figura umana, in quel caso principalmente la sua, come la loro mamma). Allora avevo chiesto a mia sorella cosa intendesse farne, nel caso che qualcuno di quegli uccelli sopravvivesse e non morissero tutti di vaiolo, e mia sorella mi aveva spiegato che una buona metà si sarebbe senz'altro salvata e che adesso gli costruiva una gabbia per tenerli al riparo, e poi, pian piano, man mano che guarivano, crescevano e si irrobustivano, li avrebbe riportati a Modena e li avrebbe liberati in qualche parco.

Questa era la sostanza della faccenda in quel momento (piena estate), in due o tre giorni mia sorella avrebbe realizzato il gabbione in cui tenerli e così via, e io mi ero messo a chiacchierare con la zia Bruna del più e del meno.

Nei giorni seguenti erano arrivati a Guzzano degli altri piccioni col vaiolo, poi alcuni erano morti, alcuni si erano salvati ed erano guariti, poi erano finite le vacanze estive, era passato del tempo, e alla fine eravamo arrivati alle vacanze di natale. Anche se devo dire che dei piccioni cresciuti, una femmina era senza una zampa e non aveva mai imparato a volare perché si era anche rotta un'ala, quindi era restata lì per motivi, diciamo così, di forza maggiore; un altro piccione era diventato il marito di questa picciona, per cui era rimasto lì anche lui; riguardo agli altri piccioni sopravvissuti, tutti erano stati portati a Modena e liberati al Parco Amendola, ma cinque o sei dei piccioni liberati al Parco Amendola, nonostante avessero fatto tutto il viaggio verso Modena in automobile, chiusi dentro a delle gabbie ricoperte con un panno e in cui forse avevano anche dormito per tutto il viaggio, una volta liberati al Parco Amendola, il fine settimana seguente erano già stati ritrovati su a Guzzano, nel cortiletto, perché, facendo ricorso al loro ben noto senso dell'orientamento, erano ritornati in quella che ritenevano esser casa loro, e nonostante il tentativo di liberarli a Modena si fosse ripetuto due o tre volte, erano sempre riusciti a ritornare a Guzzano.

Ma per arrivare finalmente alla discussione natalizia tra me e mia sorella, bisogna anche dire che mia sorella da tre mesi lasciava aperta la porta del cortiletto in modo che la moglie di un nostro amico tutti i giorni desse da mangiare delle granaglie ai piccioni e gli cambiasse l'acqua dentro alla gabbia, e lasciava sempre lì nel cortiletto sulla tavola uno o due sacchi da dieci chili di granaglie, e la discussione verteva su questo: che dopo un'ora che eravamo arrivati a Guzzano, la mia fidanzata mi aveva fatto vedere che sul letto c'erano due o tre cagate di topo, cosa che può sempre succedere, ma la mattina dopo, mentre facevamo colazione, sempre la mia fidanzata mi aveva detto che le era parso di aver visto un topo che si arrampicava su per i rami del fico, che arrivano a sfiorare in vari punti la casa e i finestrini del granaio, allora, mentre bevevamo il caffelatte, eravamo stati un po' a guardare il fico e si vedeva ogni tanto un po' di movimento; e io dopo, quando l'avevo vista, avevo detto a mia sorella che si erano visti in zona fico questi strani movimenti, probabilmente di topi, e le avevo chiesto se ci aveva fatto caso anche lei, e le avevo detto che secondo me, visto che era da dei mesi che c'erano di questi sacchi di granaglie sulla tavola del cortiletto, e la gabbia con i piccioni con altre granaglie sparpagliate qua e là, quella era tutta roba che per dei topi era un bel richiamo, anche perché i topi grossi, quelli che sono più o meno ratti, entrano sempre in casa in un preciso periodo dell'anno, che era proprio quel periodo, cioè tra la metà di novembre e il natale, e se uno non prende subito dei provvedimenti abbastanza drastici la casa viene invasa in un modo tale che dopo sei costretto a prendere dei provvedimenti ancora più drastici, oppure non ríentri più in casa fino a quando non torna il caldo e il bel tempo e i topi non ritornano a vivere e a stare all'aria aperta, fuori da casa tua e liberandotela. Allora mia sorella aveva detto che secondo lei le granaglie non c'entravano niente, ma che non voleva per niente che nei giorni che restavamo su fosse messo del veleno dentro casa perché aveva paura che lo mangiasse per sbaglio la sua cagna, e che andava invece a vedere da Luciano Amandi se aveva ancora una sua vecchia trappola, fatta a gabbia, da prestarle per catturare i topi vivi e poi per lasciarli andare nell'orto. Poi quella notte aveva un po' snevischiato, in modo da lasciare uno stratino di neve che sarà stato due o tre centimetri, e quindi il giorno dopo, io, che delle volte un po' mi fisso sulle cose, dopo aver fatto la colazione ero uscito a controllare nel cortiletto e a quel punto si vedevano bene le piccole improntine dei topi sulla neve, si vedeva che dalla base del fico arrivavano fino nella zona dei sacchi di granaglie, cioè si vedeva la prova innegabile che i topi ovviamente andavano a cercarsi le granaglie per mangiare, perché i topi non sono scemi, e se c'è della roba comoda da mangiare ci vanno. E io avevo mostrato il tutto a mia sorella, in modo che se ne facesse una ragione. Per di più, stando attenti, ogni tanto da dietro le finestre della cucina li vedevi, che si vedeva il topo che scendeva dal fico, e faceva un metro e mezzo per terra, poi saltava sulla seggiola, e dalla seggiola saltava sulla tavola, poi stava cinque minuti li a mangiarsi un po' di granaglie, poi rifaceva tutto all'indietro, saliva su per tutto il fico, di ramo in ramo, e alla fine si infilava in una delle finestrine del granaio e spariva, visto che le finestrine del granaio da anni le lasciamo aperte in modo che le travi rimangano sempre aerate e asciutte. Così, arrivati a quel punto, mia sorella era andata a trovare Luciano Amandi, per la gabbia, e Luciano Amandi aveva prestato a mia sorella questa vecchia gabbia per catturare i topi, fatta da lui, e che lui, nel corso di una decina d'anni, ci aveva già prestato due o tre volte. E mia sorella la gabbia era andata a metterla nel primo stanzino del granaio, per vedere se ci finiva dentro qualcosa, e la mattina dopo c'era già rimasto un topo che a guardarlo per bene, secondo me era sicuro che fosse un ratto perché era molto grande, mentre mia sorella sosteneva che era un topo di campagna, come genere, anche se molto cresciuto. Cosa che a me sembrava un po' una discussione inutile. Perché secondo me la sostanza era che i topi eran venuti a trovarsi in una situazione che era l'ideale per loro, quindi era impossibile che non venissero, perché stavano in granaio al coperto come abitazione, e se uscivano dal finestrino e scendevano per il fico, c'avevano da mangiare il sacco di granaglie sulla tavola più le varie granaglie sparse per terra dai piccioni. E secondo me, però, la cosa più importante era quello che sarebbe successo in pochi giorni, e cioè che adesso noi andavamo via e loro proliferavano, felicemente e imperturbati, e quando tornavamo a Guzzano dopo quindici giorni il piano di sopra era già completamente colonizzato, con tutti i letti scagazzati e mezza casa tutta frugata; poi quando ritornavamo a Guzzano dopo altri quindici giorni, proliferando ancora, i topi sicuramente avevano già iniziato a colonizzarsi anche tutto il piano terra, cioè la casa al completo; magari si erano anche ulteriormente riprodotti, e dopo c'era da fare la guerra come nel novantadue, l'anno di riferimento per la guerra ai topi. Infatti io avevo chiesto a mia sorella se lei se lo ricordava ancora del novantadue, e per l'esattezza non era stato grave soltanto il novantadue, ma era stato grave anche il novantotto, anche se un po' meno del novantadue. Io mi ricordavo ancora benissimo che c'erano state queste due invasioni barbariche in casa, una cosa abbastanza tremenda. E se uno non vuol dire che ci fosse stato proprio da aver paura a dormirci, nella casa ridotta in quelle condizioni, perlomeno si può dire che uno ci dormiva con fastidio, e riusciva a addormentarsi soltanto se era sfinito. Ma mia sorella non si ricordava più del novantadue. Anche perché mia sorella non era venuta su a Guzzano in quell'occasione, e quindi la cosa l'aveva sentita raccontare, ma non l'aveva vista e vissuta in diretta per circa quarantotto ore, come successo a me. Quindi mia sorella del novantadue non si ricordava per niente, mentre io me ne ricordavo ancora benissimo, perché nel novantadue, quando mia zia Maria aveva iniziato a star male, e sarebbe poi morta nel gennaio del novantatré, a causa della malattia della zia Maria per molto tempo nessuno era andato a Guzzano, perché bisognava un po' assisterla la zia, e più che altro tenerle compagnia. Anche se ogni tanto mia madre diceva che qualcuno avrebbe dovuto farla almeno una volata breve su a Guzzano, per vedere come andava tutto dentro casa. Così, per il ponte dell'immacolata, io avevo deciso di andare a Guzzano con la mia fidanzata di allora, che tra l'altro era una che era già molto igienista, e in più una decina di miei amici, e appena entrati in casa c'era un'aria un po' strana, perché quando ci sono le invasioni barbariche c'è da subito un'aria un po' strana, un'aria che non la vedi ma che un po' te la respiri. Perché finché non vedi, non hai ancora visto, e quindi dici boh, sarò io che son strano. E poi essendo almeno in dieci eravamo in tanti, facevamo molto rumore, eravamo anche molto giovani e avevamo subito voglia di sbevazzare, quindi per un po' nessuno si è accorto di quasi niente, soltanto piccole stranezze, un fiore secco per terra coi petali sparpagliati intorno, e così via, robe simili; e noi praticamente eravamo rimasti per un'ora quasi tutti nella stanza dove avevamo acceso il focolare a aspettare che si scaldasse. Ma quando qualche donna ha deciso di andare al piano di sopra per sistemare le camere da letto, dopo si è subito sentito urlare, perché al piano di sopra su tutti i letti c'erano delle centinaia di cagate di topo, e vedevi dei veloci e strani movimenti, sentendo un qualche tonfo sordo intorno a te da qualche parte, poi qualche topo era anche stato visto in modo chiaro, e comunque, per due giorni, pulisci tutto e combatti, e ripulisci tutto di nuovo e combatti ancora, perché anche la cucina era devastata, nel senso che i topi avevano cagato dappertutto.

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Ma ritorniamo al pensiero originario: dunque il topo abita con noi da almeno quattromila anni, forse settemila, anche se nessuno ce lo porta nelle sue case e nelle sue città, e nonostante i milioni spesi da supermercati, da privati cittadini e da amministrazioni comunali per liberarsene, cioè derattizzare, lui continua ad abitare con noi, e ci sono imprese, anche di grandi dimensioni, specializzate nel fabbricare esche e altre diavolerie contro i topi, e uno potrebbe anche chiedersi dove stavano i topi prima che l'umanità si civilizzasse, e come dicevamo l'uomo ha addomesticato i cani e i gatti, e non ha mai addomesticato i topi, nonostante i topi abbiano anche le mani, e smaneggino continuamente, come noi, perché chiunque li abbia visti all'opera con tranquillità, li ha visti i ratti tirarsi su per liberare le zampe anteriori dal peso e maneggiare qualcosa con le due zampine anteriori, mentre né gatto né cane sono in grado di maneggiare niente, e in un certo senso quindi questi animali hanno decisamente grandi parentele con noi nel modo di vivere, e così via, ma l'addomesticamento a modo nostro non è avvenuto, anche se in un certo senso loro si sono anche inurbati con noi e come noi, e in un certo senso spontaneamente, visto che non siamo stati noi a inurbarli. E queste cose, di quanto siamo parenti noi e i topi, credo anche evolutivamente, e non saprei dire in modo rigoroso quanto imparentati, ma abbastanza parenti tanto che questi ratti sono stati usati come cavie per provare medicine e cure che un bel momento dovrà usare l'uomo, e comunque diciamo che noi e loro apparteniamo alla stessa linea evolutiva, mentre noi e gatto no, e noi e cane no, e noi e polli no, e magari il topo arrosto è buono come il galletto amburghese, e così via, e queste cose le stavo dicendo una volta, mentre eravamo a Guzzano a tavola, e le stavo dicendo a mia sorella, che era abbastanza perplessa (ma era il periodo in cui c'era quel film Ratatouille, col topo che diventa cuoco, e mia sorella voleva guardarlo sempre, e infatti l'avremo visto per due o tre finesettimana di seguito) e comunque mia sorella che allora era perplessa, e era un periodo che lei seguiva assiduamente un centro di soccorso animali, e in ogni momento libero del suo tempo andava a questo centro di soccorso animali a prestare volontariamente la sua opera, allora qualche mese dopo, perché era già estate ed erano giornate di gran caldo, mi aveva detto che ci aveva pensato a quella cosa che le avevo detto sui topi, che sono abbastanza simili a noi ed è ovvio che siamo parenti, e che era per quello secondo me che venivano utilizzati tanto per sperimentare (che per loro era una bella sfiga) e mia sorella voleva raccontarmi questa cosa, che aveva visto bene con i suoi occhi, e le aveva fatto tornare in mente quei nostri discorsi che l'avevano lasciata un po' perplessa, e la cosa che lei voleva dirmi in un certo senso confermava quello che le avevo detto io, e quello che lei voleva dirmi era che nel frattempo qualcuno aveva portato al centro di soccorso animali un topino piccolissimo che doveva aver trovato ancora vivo da qualche parte, forse il povero unico sopravvissuto di una qualche derattizzazione violenta, e questo topino era proprio piccolo piccolo di pochi giorni, ancora con gli occhi chiusi, e andava tenuto un po' al caldo e andava anche allattato perché non era ancora in grado di mangiare da solo, quindi con un biberoncino piccolissimo, facendo a turno, chi c'era al centro soccorso l'allattava e se ne occupava, e essendo così curato in poco tempo il topino si era trasformato in una bellissima pantegana e era cresciuto bello e sanissimo; e però, come i vari piccioni col vaiolo, anche lui, essendo cresciuto in mezzo a degli umani era fortemente imprintato e abituato a pensare che i volontari del centro soccorso erano la sua famiglia e forse a pensarsi umano, oppure a pensarci noi come topi; e comunque, visto come era stato allevato, questo topo veniva tenuto sempre libero e non dentro gabbie o recinti, e non gli piaceva stare solo, quindi si intruppava sempre con qualche volontario a fare qualcosa, come se fosse un cane, ma anche di più, diceva mia sorella, e essendo quelle, già almeno da una quindicina di giorni, giornate di gran caldo, lui aveva preso il vizio di fare più docce possibili di acqua fresca tutti i giorni, e visto che c'era un annaffiatoio di quelli da dieci litri, e che c'hanno il becco fatto a doccia, lui dovunque fosse teneva sempre d'occhio la zona annaffiatoio, e ogni volta che qualche volontario si avvicinava all'annaffiatoio, lui correva lì perché voleva fare la doccia, e mia sorella, che anche lei gli aveva fatto varie docce, diceva che appena gli versavi addosso un po' d'acqua lui prima la prendeva sulla schiena, poi si alzava sulle due zampe posteriori, come in piedi, e con le manine si lavava tutta la faccia e poi con le manine si lavava anche la pancia, proprio come una persona, e gli era presa la mania, quindi ogni tanto gli davano anche delle piccole pedate e gli dicevano basta, hai già fatto tre docce, smettila, e però lui continuava a seguire quello con l'annaffiatoio e gli stava sempre in mezzo ai piedi perché voleva un'altra doccia, e così via, e quindi quello era diventato un animale completamente domestico, praticamente un animale con un nome proprio, anche se tutti lo chiamavano semplicemente Topo o Il Topo, e non l'avevano per esempio battezzato Jacky o Zoff, ma era un topo che rispondeva ai tuoi richiami, anzi, mia sorella diceva che voleva sempre essere in mezzo a qualsiasi cosa che succedesse.

Quindi un topo completamente domestico adesso c'era; e nel corso della storia ce ne saranno state varie migliaia di topi diventati completamente domestici, al contrario delle famiglie e delle bande di topi rimasti autonomi, senza nome, e per i fatti loro a farsi la loro vita. Ma forse non è neanche brutto così, e sarebbe anche bello che, arrivando la stagione degli amori, il topo avesse sentito il richiamo delle campagne o delle fogne e fosse sparito a cercarsi la sua topa, visto che era un maschio. Com'è andata non lo so perché non ne abbiamo più parlato con mia sorella.

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E il modo, negli anni seguenti, di comportarsi di mia sorella con questo Tobia, il suo cane pazzo, ha cambiato le mie emozioni verso gli animali.


Trovare un'emozione mia, qualcosa di simile a un'emozione pura, o essere sempre in mezzo, anche dentro di sé, a emozioni miste, dove poi io adesso dico questa parola, emozione mista, in opposizione alla parola emozione pura, senza neanche sapere bene che cosa dico, ma si tratta più o meno di quella situazione in cui non sei poi sicuro che quella parte di emozione che hai adesso, davanti a qualche cosa, e ti immagini che quella emozione che sta crescendo di intensità e sta diventando come una grossa palla che hai dentro, possa essere tagliata in due e che una delle due parti della palla di emozione sia sì un'emozione tua ma anche un po' un'emozione di tua madre, e il fatto che sia anche un'emozione di tua madre fa in modo che non sia un'emozione tua tua, ma un'emozione tua di tua madre, e questo poi ti faccia valutare quest'emozione non più come un'emozione tua di tua madre, ma come un'emozione di tua madre che si sviluppa nel tuo corpo, dove in un certo senso dovresti avere emozioni tue e soltanto emozioni tue (utopia delle emozioni pure e individuali), e tu adesso hai la sensazione di avere queste emozioni di altri che c'entrano poi con il pompaggio del tuo cuore, con le aperture dei tuoi polmoni, con le tue endosecrezioni umorali e così via, cosa che per un verso stupisce e per l'altro sembra anche ovvia; e uno poi dovrebbe essere scontento di avere emozioni sue ma di altri, per esempio sue ma di sua madre, o dovrebbe essere contento? Devi essere contento di trovarti in testa otto teste e sotto lo sterno tre polmoni e quattro cuori, o devi preoccuparti? Tra l'altro io, quando penso a queste che ho appena chiamato "emozioni mie ma di qualcun altro", penso sempre a "emozioni mie di mia madre" e mai a "emozioni mie di mio padre". E anche in questo caso ci sarebbe da chiedersi il perché. Perché non mi è mai capitato di pensare che il mio amore dell'aria aperta, lo star male a stare tutto un giorno chiuso in casa eccetera eccetera, tutte cose di mio padre, e che io da un bel momento in poi ho sentito esattamente come mie, non ho mai pensato che fossero "emozioni mie ma di mio padre", invece che "emozioni mie mie"? E invece le emozioni di aria aperta le ho sempre sentite come mie e basta. Forse perché sono emozioni grandi e grandissime e più grandi di me, le emozioni immense, infatti non sono neanche mie, né mie né di mio padre, a uscir di casa entri nell'emozione mondiale, vasta di svariati chilometri con passaggi di uccelli cani e nuvole e altre cose.

E poi finisce qua.

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Quindi Tobi aveva questi suoi comportamenti strani e forse aggressivi, o forse difensivi, ma tu dopo un po' imparavi a conoscerlo e di conseguenza cercavi di non fare tutte le cose che gli davano fastidio, quelle per le quali all'improvviso lui scattava e ti provava a mordere. Tra questi comportamenti c'era anche il fatto che quando si accovacciava in un angolo del divano, nonostante fosse un divano bello largo, sarà stato almeno due metri di larghezza, per cui c'era spazio per tutti, ma se lui era sul divano e uno provava a sedersi, anche se stavi proprio dall'altra parte senza neanche sfiorarlo, lui iniziava a ringhiare e se tu non te ne andavi al volo faceva immediatamente lo scatto per morderti; e se invece eri tu sul divano, magari lui non aveva visto che c'era qualcuno sul divano e arrivava lì per saltar su, ma appena vedeva che c'era qualcun altro seduto sul divano lui tornava indietro e andava a sedersi per terra da qualche parte, e faceva questa cosa anche se nessuno gli aveva mai impedito di salire, perché a me, se mentre guardavo la tele anche lui fosse salito sul divano e si fosse messo nel suo angolo, a me non m'avrebbe dato il minimo fastidio; e invece aveva nella sua testa tutte queste strane abitudini in cui probabilmente si fabbricava continuamente dei suoi territori dai limiti invalicabili, dove se oltrepassavi la riga mordeva, e poi immaginava che ci fossero anche dei territori tuoi dai quali lui doveva stare lontano (forse erano delle strane regole che aveva appreso in quella sua cosiddetta infanzia difficile supposta da mia sorella); forse tra questi suoi territori invalicabili che lui si era inventato per campare alla meglio c'era anche il metro cubo di aria esattamente sopra la sua testa, un metro cubo d'aria tutto suo in cui non doveva passarci dentro assolutamente niente, oppure più probabilmente il metro cubo di aria a destra della sua testa, e un altro metro cubo di aria a sinistra della sua testa, e quindi quei tre gesti del mio braccio che l'avevano fatto imbestialire, e l'avevano fatto istantaneamente scattare per mordere, erano stati gesti che entravano nel suo metro cubo d'aria e andavano a scombinare le sue continue immaginazioni territoriali. Questa cosa dei morsi ringhiati ma a pizzicotto era successa anche a mia sorella in due o tre occasioni, e anche lei si era chiesta che cosa poteva aver fatto che l'aveva spaventato, ma rimanevamo tutti e due perplessi senza riuscire a capire. Tra l'altro a casa nostra, coi vari cani che c'avevano abitato o che c'erano passati di frequente, questi problemi di scatti violenti non c'erano mai stati perché erano stati tutti dei cani molto tranquilli, soprattutto con le persone. Billo in particolare, anche perché essendo cieco studiava moltissimo tutto prima di fare qualsiasi cosa, cioè prima di fare qualsiasi movimento: per scendere dalla sua poltrona faceva uno studio di un minuto con una zampa, e era un cane assolutamente di buon carattere. Ma anche Antonio, il cane di mia cugina e di suo marito, che era un incrocio tra un pastore tedesco della polizia e un collie, e che con gli altri cani poteva essere abbastanza fetente, una volta aveva ucciso un alano, ma era un cane buonissimo con qualsiasi persona, e anche con molti altri cani, anche maschi. E la volta che aveva ucciso l'alano era andata così: era un alano che stava in una villa con giardino vicino alla casa dove erano andati a stare mia cugina e suo marito, e era un cane abbastanza odioso, anche perché la ringhiera del giardino dove stava questo alano era troppo bassa e lui ogni tanto riusciva a saltarla; tra l'altro questa villa dove stava l'alano era dove c'era lo spiazzo d'asfalto in cui dovevi parcheggiare la macchina, perché per andare a casa di mia cugina dovevi fare un pezzettino a piedi, come un passaggio pedonale tra queste varie villette, e quindi parcheggiavi la macchina e ti trovavi questo alano dietro l'inferriata che ti abbaiava contro e ringhiava; ma due o tre volte, dopo che avevi parcheggiato e dovevi farti cinquanta metri a piedi, l'alano era riuscito a scavalcare e di colpo ti arrivava dietro, che tu dovevi star fermo, e lui in realtà a quel punto ti annusava, annusava mia madre, che anche lei stava fermissima con una paura bestiale, e poi l'alano andava via per i fatti suoi. E con Antonio non si potevano vedere. E una volta che questo alano era in giro come al solito per il quartiere, che probabilmente aveva scavalcato la ringhiera, oppure forse l'avevano lasciato libero che andasse a farsi un giro, la vicina di mia cugina (erano due villette attaccate con un giardino comune e un unico cancelletto) aveva lasciato il cancello aperto per un attimo per fare qualche lavoro e l'alano, appena ha visto il cancello aperto, è entrato subito di corsa nel giardino, e visto che era un cane coglione è anche entrato di corsa abbaiando, per cui Antonio, che era dall'altra parte del giardino, è partito di corsa e l'ha brancato alla gola, e ha iniziato a squassarlo senza mollare fino a quando l'alano non è morto, mentre mia cugina e la sua vicina urlavano e cercavano di staccarli, ma avevano anche paura, perché i due cani erano in preda alla furia più assoluta, e di fatto Antonio l'avevano visto nel corso di uno o due minuti che praticamente staccava la testa all'altro cane, ricoprendosi di tutto il sangue dell'altro, e eccetera eccetera, e non mi ricordo più come avevano fatto per riuscire a fare in modo che Antonio mollasse il cadavere dell'alano, forse gli avevano tirato delle gran secchiate di acqua fredda, e poi dovevano aver aspettato che si calmasse abbastanza da poterlo toccare senza aver paura che ripartisse a mordere anche soltanto per ripulirlo da tutto il sangue che gli era rimasto addosso. Fa impressione, anche se io allora avevo ancora quell'età che uno si ingasa se il suo cane stacca la testa a un altro cane, e fa proprio impressione rivederti lo stesso cane tre ore dopo che è lì, tutto tranquillo, che sta in casa, e che te lo carezzi e lui è affettuoso, e se gli urli dietro magari diventa tutto umiliato, e tu gli hai appena visto dentro la bestia selvatica all'opera. Una sfera compatta e impenetrabile di pura ferocia. E tra l'altro la domanda, che per me è sempre strana e alla quale non saprei ancora che cosa rispondere, è se anche tutti noi abbiamo dentro qualcosa di simile, cioè una bestia completamente feroce, o se un po' di bestia feroce l'abbiamo persa per strada, o se la nostra natura feroce sia ancora e sia sempre stata comunque molto diversa dalla natura feroce del cane.

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Ma più che altro quello che io non sopportavo più era che ci fossero sempre varie persone che dovevano stare in ansia perché il suo cane non stesse in ansia, che mi sembrava troppo, oppure che dieci persone dovessero stare praticamente in galera perché il suo cane non stesse in galera e potesse star libero, perché io pensavo e dicevo che se tutti e due, cioè io e il cane, non stavamo in galera, allora mi andava bene, ma io non ci andavo in galera perché il suo cane stesse fuori di galera, se lui non sapeva stare a porte aperte per me doveva star chiuso lui e basta, allora magari mia sorella poteva dirmi ma lui non c'ha la testa mentre tu sì, e a questo riguardo mi verrebbe da dire che è proprio perché io c'ho la testa che io non voglio stare in galera per un cane, e eccetera eccetera. E poi voglio dirlo, anche se questo non lo dico verso Tobi, visto che verso Tobi non ho mai provato emozioni di questo tipo perché lo sapevo anch'io che Tobi era un poveretto, però questa cosa che non c'entra con Tobi, ma che c'entra con certi altri cani, voglio dirla: io in tutta la mia vita non credo di aver mai avuto la voglia di possedere una pistola, mai e poi mai ho desiderato di possedere una pistola perché non saprei veramente che cosa farmene; è un'idea quella della pistola che proprio non mi passa per la testa praticamente mai, e anche la parola pistola passa rarissimamente dalla mia bocca, per me non è una parola in uso, ma tutto questo ad esclusione di quelle due o tre volte che sono finito in casa di qualcuno che ha certi cani, perché per esempio c'era un amico di mio padre che si chiamava Spagni che c'aveva uno schnauzer gigante nero che mentre stavi lì a chiacchierare, nonostante il fatto che Spagni tenesse il cane quasi in braccio e gli grattasse continuamente la testa, finché non te ne andavi e rimanevi lì a parlare con il suo padrone questo cane ti guardava negli occhi continuando a ringhiarti a bassa voce, ma di continuo, e se per caso parlando muovevi un po' troppo un braccio, si vede che anche lui c'aveva la questione dei metri cubi d'aria vietati per le braccia altrui, il cane ti puntava ringhiando ancora di più e tirava in avanti verso di te, nonostante fosse tenuto ben stretto, e io dopo mezz'ora che stavo lì, con i nervi che iniziavano a consumarsi, io in quei casi desideravo di avere una pistola, proprio per tirargli dieci colpi al cane, e quando uscivamo da quella casa anche mio padre diceva subito zio canta, ec du maroun cal can, la prossima volta che andiamo da Spagni gli telefono prima e gli dico se lo chiude da qualche parte, perché così non si riesce neanche a parlare, ti vien sempre da guardare il cane.

E infatti credo che la fantasia di avere veramente una pistola mi sia venuta soltanto in presenza di certi cani, di quella decina di razze infami, come i pitbull e altra merda simile, e infatti il cane è un animale la cui immagine per metà è una bella immagine, di cane compagno e salvatore; ma l'altra metà, almeno per me, è un'immagine decisamente sputtanata, proprio di un animale microcefalo e maniaco, orrendo servo della merda più merda che sia mai comparsa sulla faccia della terra (merda umana, ovviamente), per di più con quel suo modo d'essere totalmente spugnoso e incapace in tutta la sua vita di concepire un'unica idea sua; neanche l'animale fascista per eccellenza, quanto piuttosto l'animale servo del fascista per eccellenza; e io infatti a partire da una certa età ho sempre tollerato soltanto bastardi e cani da caccia, tutti cani pieni di loro idee: se li molli per un secondo non sai se li rivedi mai più perché prima devono andar dietro ai loro invasamenti, poi si vedrà. Ma Tobi non era fascista, era matto, e forse era matto a causa di questa sua infanzia disgraziata, anche se nessuno potrà mai saperlo perché quando l'ha trovato mia sorella Tobi aveva già due anni e mezzo, quindi la sua infanzia l'aveva finita da un pezzo, e forse aveva avuto un'infanzia dorata e il problema stava da qualche altra parte, magari in altri disturbi di chissà che tipo. Alla fine, in concreto, Tobi non ha mai morso nessuno, ha dato soltanto a varie persone, di famiglia e no, quei suoi strani pizzichi di canini che ti lasciavano un segnetto e un po' di paura, poi scappava lui in qualche suo angolo per stare al riparo.

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