Copertina
Autore Ugo Cornia
Titolo Il professionale
SottotitoloAvventure scolastiche
EdizioneFeltrinelli, Milano, 2012, Narratori , pag. 128, cop.fle., dim. 14x22x1 cm , Isbn 978-88-07-01896-1
LettoreRenato di Stefano, 2012
Classe narrativa italiana , scuola
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Pagina 9

1.



Nel gennaio del duemila e uno, per una serie di circostanze fortunate, cioè mi erano arrivati dei diritti d'autore e avevo vinto tre premi letterari, mi ritrovavo a avere in banca circa venti milioni di lire miei miei, cioè miei miei nel senso che io ho sempre distinto i soldi ereditati dai miei genitori al momento della loro morte, che sono sempre stati utilizzati come fondo speciale per il mantenimento della casa della mamma, dai soldi guadagnati da me. E in questa situazione di avere un po' più di venti milioni guadagnati da me, una mattina presto, era il 24 gennaio, dopo essermi alzato alle sei e quaranta, stavo viaggiando in macchina, come al solito a gran velocità, verso il mio luogo di lavoro che distava circa cinquanta chilometri da casa mia, e mentre andavo, fuori cadeva una pioggia abbastanza fine e ormai ero piuttosto in là e pensavo alla disgrazia di dovermi alzar presto, cosa, questa dell'alzarsi presto, cioè dopo non aver dormito abbastanza, che io ho sempre vissuto in uno stato fisico simile alla paura; tra l'altro certe mattine, alzandomi molto presto dopo essermi addormentato molto tardi, io nei dieci minuti dell'alzarsi avevo dei brividi di freddo che delle volte mi facevano tremare all'improvviso come quando uno ha la febbre alta. E comunque quella mattina ero quasi arrivato al mio luogo di lavoro e sicuramente avevo già percorso almeno quaranta chilometri, allora in una curva abbastanza a angolo retto, che veniva dopo una serie di due o tre curvoni lunghi, in cui di sicuro avevo anche un po' rallentato, comunque forse ci doveva anche essere l'asfalto dispari che faceva una pozzanghera, ma la sostanza è che io, curvando, la macchina era scappata col di dietro, e io mi ero visto per un attimo che andavo a stamparmi su un platano e girando il volante a caso di qua e di là, non so neanche bene come, la macchina si è poi raddrizzata e non è successo niente. E io, ripresomi dallo spavento, sarà mancato a arrivare a scuola circa cinque o sei chilometri, in quel momento e di colpo mi passava nella testa la frase "oggi io mi licenzio", e andavo avanti, per il lungo rettilineo che arrivava alla mia scuola e sulla destra guardavo i campi, verdissimo bagnato sotto un cielino grigio, con due fabbriconi in lontananza che sparavano fumo bianco continuo in mezzo al grígio (che in quei giorni nuvolosi è bello guardare il fumo bianco che esce dalle ceramiche per vedere dove la colonna di fumo bianco inizia a perdersi col grigio) e la frase "io adesso mi licenzio" riattraversava la mia testa cinque o sei volte al minuto, fino all'incrocio dove dovevo voltare a sinistra per raggiungere il parcheggio della scuola, dove poi ho parcheggiato e sono entrato.

Dopo, in aula insegnanti ho preso il registro e sono andato in classe, e lì pensavo che avevo due ore di lezione dopodiché correvo in segreteria e mi licenziavo, e agli studenti poi non avevo detto niente perché io lo trovo disdicevole raccontare le proprie cose private agli studenti, e non gli ho mai detto mezza parola di quello che considero privato e personale. Infatti poi, visto che in una scuola le voci girano a gran velocità, durante la ricreazione che era alla fine della terza ora, due o tre studenti mi erano venuti a cercare per chiedermi se era vero che mi licenziavo e io gli avevo detto che era verissimo. Comunque, tornando un po' indietro, alla fine della seconda ora, quando è suonata la campanella, io sono uscito dalla classe e mi sono diretto verso la segreteria che era al piano di sotto dicendomi adesso mi licenzio e mi dicevo anche dopo che mi sono licenziato vado a cercare Fregni per dirgli che mi sono licenziato e per dirgli che andiamo a berci l'ultimo caffè, e dopo vado a dirlo anche all'Elena. Poi son sceso per le scale e sono piombato in segreteria e lì c'era un segretario molto simpatico, precario anche lui, che aveva più o meno la mia età e gli ho detto: mi licenzio, lui mi ha chiesto in che senso e io gli ho detto che era nel senso che fra venti minuti loro in quel posto non mi ci vedevano più perché io me ne andavo, per sempre e definitivamente, allora lui mi ha detto se per favore potevo aspettare la Saveria (l'altra segretaria non precaria), che lui andava subito a cercarla perché non aveva idea, visto che non aveva mai fatto un licenziamento, di quali erano le procedure per i licenziamenti. Dopo tre minuti è tornato nella segreteria con la Saveria e la Saveria mi ha detto: ma è vero prof che vuole licenziarsi? E io le ho detto che era proprio così, allora lei mi ha detto se potevo aspettare che arrivasse il preside, che tardava perché quella mattina aveva una riunione, perché anche lei non aveva le idee chiare su quale era la giusta procedura per licenziarsi perché in più di vent'anni che lavorava lì non era mai successo il caso che uno si licenziasse. Io ho detto che andava bene e che aspettavo e che intanto andavo a vedere dov'era Fregni e Fregni, ho guardato l'orario, era in una quinta a fare lezione, allora ho bussato e sono entrato e gli ho detto quando aveva un'ora libera che andavamo a fare un giro al bar e lui ha detto che dopo quell'ora lì era libero perché quel giorno aveva soltanto le prime tre ore poi aveva finito, allora gli ho detto che ci trovavamo in ricreazione davanti al posto dei bidelli. Infatti poi in ricreazione mi sono trovato con Fregni e siamo usciti da scuola per andare al bar, che andavamo sempre in un bar dentro un centro commerciale situato a due centinaia di metri dalla scuola, e ho detto a Fregni che mi ero licenziato perché c'avevo dei soldi in banca e mi ero scocciato di dovermi alzare alle sei e mezzo di mattina, poi gli ho anche detto che tecnicamente non ero già licenziato perché dovevo aspettare il preside per licenziarmi perché in segreteria nessuno aveva le idee chiarissime su come fa uno a licenziarsi. Dopo avevo riaccompagnato Fregní nel parcheggio della scuola, fino alla sua macchina, che lui andava a casa presto perché nel pomeriggio aveva da fare dei lavori svariati, e poi sono rientrato a scuola, che sarà passata un'altra oretta perché con Fregni avevamo abbastanza cincischiato, e finalmente era tornato il preside che mi ha ricevuto e mi ha chiesto se era vero che volevo licenziarmi, poi mi aveva fatto firmare due o tre carte e aveva controllato i registri che fossero abbastanza in ordine e poi mi aveva augurato ogni cosa buona per la mia vita e per il mio futuro.

E così sono saltato in macchina e al semaforo già dicevo ciao semaforino di merda che non ci vedremo più te e i tuoi rossi di merda, e poi guardavo le case lungo la strada e dicevo ciao case di merda vi saluto, e visto che molte erano case con un giardinino gli dicevo anche ciao giardinini del cazzo delle casette di merda, e poi mezzo chilometro dopo finivano le case e c'erano invece ancora i platani e dall'altra parte della strada saltava fuori anche l'ipermercato del nostro bar e io gli dicevo ciao platani del cazzo, ciao ipermercato del cazzo, tanti saluti e a non rivederci mai più, e dopo tre o quattro chilometri diritti che c'era il secondo incrocio e all'incrocio dovevo voltare a sinistra, e era lo stesso posto dove all'andata avevo sbandato e fatto il mezzo testacoda, con visione del platano quasi davanti alla faccia, da cui di colpo è partita questa benedetta idea di licenziarsi, allora anche a questo secondo incrocio con precedenza ho detto vaffanculo incrocio e vaffanculo anche a dare la precedenza, perché a licenziarsi ti viene una cosa, un bel momento andare da uno, cosiddetto tuo superiore (per quanto a scuola tutta sta superiorità sia un po' smorzata e faccia poca scena), e dirgli tanti saluti, io mi licenzio, grazie, ti vien dentro un'allegria che è un'allegria di una intensità che era da tempo che non ne provavo una uguale, cioè domani non dovevo fare un cazzo, che vuol dire che domani potevo fare duemila e settecentoottantuno cose che volevo, se lo volevo, e non fare quelle tre cose che dovevo, perché dovevo, e ormai stavo facendo e anzi già avevo fatto i curvoni intorno all'immensa ceramica e stavo arrivando all'eterna diretta che costeggia l'argine, e li per un attimo ero felice e facevo almeno i centoventi, che è diritto per chilometri e chilometri, e allora è passata per la mia testa la frase non sarà stata una delle solite cazzate licenziarsi, frase che fino a quel momento non era ancora passata nella mia testa, e ormai che mi ero licenziato era anche una frase completamente inutile, che avevo pensato io adesso in questa cosa non mi ci voglio assolutamente infilare che ho venti milioni miei in banca sul mio conto corrente e con venti milioni in banca, se faccio un po' di economia, che tra l'altro io non ho questa vita dispendiosissima, ci tiro avanti per altri dieci mesi, ma proprio volendo stare sul sicuro, otto mesi ce li tiro avanti di certo, e comunque per almeno sei mesi sono tranquillo, sono tranquillo anche a non fare niente di niente, ma può anche capitarmi di guadagnare degli altri soldi; però, visto che io faccio sempre degli studi abbastanza accurati sul perché mi è passato per la testa il pensiero tal dei tali, cioè in quel caso il pensiero specifico se era stata o se non era stata una delle solite cazzate il licenziarsi, effettivamente a me era già chiaro quasi in contemporanea che nel pieno di questa gioia licenziativa ho pensato: adesso appena arrivo a casa telefono a Miriam e le dico che mi sono appena licenziato, che già ci vedevo io e lei in camera mia, che le tastavo le tette e le smaneggiavo la pancia e scopavamo tutto il pomeriggio per festeggiare, ma poi, soltanto per un attimo, ho pensato per prima cosa che telefonavo che mi sono licenziato alla zia Bruna, che è l'unico parente che mi è rimasto, così, pensavo, dopo la zia Bruna è liquidata per tutto il giorno e quindi posso dedicarmi completamente alla Miriam, e è stato lì, pensando alla zia Bruna, che mi è passata per la testa la frase della cazzata del licenziarsi, perché già mi suonava nella testa la voce di mia zia che diceva Oddio, ma ti sei licenziato veramente, ma tu sei matto, che poi avrebbe anche detto che io e mia sorella non abbiamo mai avuto il senso della realtà e facciamo sempre queste cose tipiche di chi non ha il senso della realtà – e io prima o poi a mia zia glielo devo dire qualcosa, e le dico tu zia sei del '27 e hai un tipico senso della realtà del '27, e anzi, per essere più precisi, le dico cara zia, tu sei del '27, quindi hai un tipico senso della realtà degli anni cinquanta, cioè hai un senso della realtà del '53, quando avevi ventisei anni, e adesso un senso della realtà del '53 non vale più niente, e il tuo senso della realtà a voler essere buoni ha funzionato fino al '70, quindi hai un senso della realtà che non funziona più da almeno trent'anni, quindi taci, perché forse io e mia sorella non abbiamo mai avuto il senso della realtà, ma in ogni caso non abbiamo bisogno di un senso della realtà del '53, e abbiamo bisogno di un senso della realtà del '95, oppure di un senso della realtà del 2001 e così via. E io oggi cara zia non ti telefono, mi ero poi detto mentre guidavo, perché già senza neanche averti telefonato va a finire che mi rovino il pomeriggio, tra l'altro nel frattempo è già uscito fuori anche il sole, perché era già delle ore che aveva smesso di piovere e c'era il sole, che c'ho fatto caso in quel momento, essendo ormai io all'altezza di Camposanto, cielo diventato completamente limpido, perché già da prima, quando eravamo andati al bar con Fregni per berci il nostro solito caffè, praticamente aveva già smesso, infatti siamo andati a piedi tranquilli che c'era una goccia fine ogni due minuti e l'avevo già visto che stava smettendo di piovere, ma senza farci veramente caso, mentre in quel momento c'ho fatto veramente caso perché era diventato tutto limpido, e mi ero detto che prima piove, poi smette di piovere, adesso c'è addirittura il sole, proprio un bel sole, e se oggi c'era il sole da subito, e stamattina alle sette e mezzo veniva fuori il sole e la strada non era bagnata, la vita era diversa, e ho incontrato della pioggia, e son finito dentro alla pozzanghera della liberazione della strada sdrucciolevole, ma adesso l'aria è pulitissima; e continuavo a avere l'argine del Panaro alla mia sinistra e guidando guardavo anche l'argine, che sarà successo duemila volte che mentre tornavo a casa io mi fossi detto mollo la macchina qua, di fianco a un campo, e mi faccio un bel giro sull'argine, a vedere quanta acqua c'è in Panaro, e allora pensavo questa è l'ultima volta che ti fai questa strada, perché da domani non la rifarai più, quindi se vuoi vedere il Panaro di Camposanto lo devi vedere adesso, e è adesso che devi fermarti, perché da domani basta con la Panaria bassa, che è una bellissima strada ma ormai mi ha stufato, e basta anche con la scuola. Ma io, poi, come sia successo che è andata a finire che mi sono messo a insegnare e sono tornato dentro a delle scuole, che ogni tanto, quando penso al male della mia vita, e a tutta la tristezza che ne è derivata, a licenziarsi da scuola col cazzo che è una cazzata, perché io è da degli anni che penso che è stata la scuola il male fondamentale della mia vita; e comunque andavo avanti, guidando, e però andando avanti, che ero sempre su un drittone e andavo abbastanza a balla, e a un certo momento c'era un puntino in fondo in fondo, a bordo strada, che un po' si muoveva, che l'ho notato per quello, ma poco, sarà stato almeno mezzo chilometro più avanti, forse anche più di mezzo chilometro, e allora andando avanti, avrò fatto altri due o trecento metri, ho poi visto che era un signore con un cappotto che agitava un po' le braccia, allora io rallentavo un altro po', e dopo, che non avrò fatto neanche i cinquanta perché non capivo questo qua che cazzo voleva, vedendo che un po' si agitava con le braccia, e lì si capiva, cioè, ormai, in modo chiaro si vedeva, che in realtà non guardava verso di me ma verso il campo al di là della strada, e agitava ancora un po' le braccia e poi chiamava, e poi in un attimo, un po' ha guardato me, un po' nel campo, e ancora me e ancora il campo e sdeng, che è saltato fuori un cane proprio due metri davanti alla macchina e io ho inchiodato, ma l'ho preso in pieno il cane, e si sentiva un rumore cupo di una cosa che rotola, che faceva turutum turutum, turututum, ma fortissimo, sotto íl pianale della macchina, e io ho mollato il freno e poi ho rifrenato e di nuovo sto turututum fortissimo che andava avanti e mi sarò fermato venti metri più in là.

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3.



E invece poi si vede che il cerchio doveva chiudersi del tutto. Completamente. Perché io mi ero licenziato, e grazie ai soldi che avevo in banca sommati al fatto, che valeva in negativo, che mi dovevo alzare prestissimo, io quindi quel giorno del gennaio dell'anno prima, proprio mentre stavo andando sulla mia macchina a scuola, a un certo punto mentre stavo guidando avevo detto basta, basta basta basta basta, scuola del cazzo, adesso mi licenzio che io c'ho già passato troppo tempo a scuola, già come studente, e perché poi dovrei passarci ancora dell'altro tempo anche come insegnante, tra l'altro per me se c'è una cosa che è vergognosa, e vergognosa fino in fondo, che sento un po' come un disturbo costante, è fare lo stesso mestiere che fanno, o meglio, che nel mio caso hanno fatto, visto che erano tutti e due già morti da un po' i miei genitori, e comunque mia madre per tutta la vita aveva fatto l'insegnante, e di conseguenza per me fare l'insegnante è sempre stata una cosa che io dico anche malvolentieri, soprattutto davanti a persone che potrebbero sapere che anche mia madre faceva l'insegnante, ma comunque, lasciando perdere queste mie vergogne personali, così io a un certo punto mi ero licenziato e poi è successo che questi soldi ormai li avevo spesi e non avevo trovato nel frattempo nessun altro lavoro, questo anche a causa proprio della mia indolenza e a questo fatto di non esser mai stato un gran cercatore di lavoro, in verità non sapevo bene neanche che cosa avrei dovuto cercare, e allora ero lì che tra me e me, di bancomat in bancomat, vedendo che ormai i miei soldi tendevano a zero, mi dicevo che cazzata e che solito colpo di testa da deficiente che ho fatto quel giorno licenziandomi, e questo me lo dicevo di giorno in giorno sempre di più, e dicevo bisogna che mi metta veramente a cercare qualcosa da fare, e comunque stavo andando avanti con sempre più preoccupazione e un'idea di giorno in giorno peggiore su me stesso e la mia deficienza, fin quando una mattina, verso la metà di settembre, secondo me poteva essere il 16 o il 17, proprio a metà mattina, e io per caso mi ero già svegliato, e sempre per caso ero ancora in casa, e un bel momento mi squillava il telefono e io correvo a prender su la cornetta e una voce mi diceva che era la scuola tal dei tali di Finale Emilia e se avevo voglia di fare una supplenza sul sostegno, e io gli avevo detto che sarei venuto molto volentieri ma mi ero licenziato a metà dell'anno precedente quindi dovevo esser stato depennato dalle graduatorie, e invece quella voce mi ha poi detto: ma no, professore, quest'anno non hanno rifatto le graduatorie perché sono in ritardo, valgono ancora quelle dell'anno scorso, quindi lei non è stato per niente depennato. Allora cosa fa professore, viene? E io gli avevo detto: vengo, vengo subito. Fra dieci minuti sono già in macchina. Fra un'ora sono lì. Va bene? Va benissimo professore. E quindi ero saltato in macchina e di nuovo, dopo otto, nove mesi, ero di nuovo in macchina a gran velocità sulla Panaria bassa, stesse strade, stesse case, stessi paesaggi, e anche se subito, coll'ansia che oramai non c'avevo più un soldo e che avevo bisogno di trovare qualche lavoro da fare per guadagnare due soldi, ero contentissimo e non pensavo a nient'altro, e andavo e basta, felice e a gran velocità, e così, dopo un'ora neanche, ero entrato in questa scuola e subito avevo chiesto dov'era la segreteria, e poi in segreteria mi avevano detto di andare dal preside, che mi voleva conoscere e mi avevano portato in presidenza, avevano bussato, il preside aveva detto avanti, e io ero entrato. E quel preside era abbastanza giovane. Mi aveva detto allora lei è Cornia, io avevo detto di sì, e subito mi aveva anche chiesto se per caso mio padre lavorava in Provincia, io gli avevo detto di sì, e allora lui mi aveva detto che l'aveva conosciuto bene e che gli era molto dispiaciuto quando aveva saputo che era morto, allora avevamo fatto due chiacchiere e poi mi aveva detto che adesso dovevamo parlare di lavoro, e per un po', qualche secondo di seguito, mi aveva guardato dritto e poi mi aveva detto sa che se io seguo l'intuizione mi verrebbe proprio da affidarle Eugenio Calza, perché sento che siete adatti, se non mi sbaglio secondo me siete proprio compatibili uno con l'altro, e poi mi ha detto sa, Eugenio Calza è un maniaco, e io lì, anche se ci conoscevamo soltanto da dieci minuti, quando lui ha detto che eravamo adatti perché lui era un maniaco, sono scoppiato a ridere, allora il preside è diventato rosso perché pensava di aver fatto una gaffe a dire che eravamo adatti perché sto ragazzo era un maniaco, mentre io ero scoppiato a ridere perché avevo pensato come ha fatto questo preside in un attimo a capire che sono un maniaco, e però a questo punto lui voleva riparare a questa cosa che pensava, di aver fatto la gaffe, e quindi mi diceva che si era spiegato male, ma che adesso mi spiegava per bene, perché anche la parola maniaco era detta così, in modo un po' sbrigativo, per essere abbastanza chiari e in fretta, senza stare a tirar fuori tutta una terminologia scientifica, in poche parole perché io riuscissi in un attimo a farmi un'immagine della cosa che fosse abbastanza chiara e vivace al tempo stesso, e io lo ascoltavo parlare, anche con attenzione, perché questo preside mi era già piaciuto in un attimo per il suo stile, cioè questa cosa che lui riteneva una gaffe ci aveva immediatamente avvicinati, e quindi aveva iniziato a raccontarmi di questo ragazzino, Eugenio Calza, e mi aveva detto che aveva una grande passione per i tappi di bottiglia, tutti í tappi in generale, ma in particolare per i tappi da lambrusco, e era una questione molto difficile questa dei tappi, ma non era finita qui, perché c'era un'altra grande passione di Eugenio, che era la passione per le lavatrici, e comunque poi aveva detto adesso vengo io con lei in classe, e lo chiamiamo fuori, e poi vi presento, così fate conoscenza, e infatti ci eravamo subito alzati dal suo studio e eravamo andati verso la classe seconda A, lui aveva fatto uscire Eugenio, e ci aveva presentati, e poi ci aveva detto che adesso Eugenio mi faceva vedere tutta la scuola e me la spiegava, visto che io ero nuovo lì dentro, mentre Eugenio la conosceva già benissimo, e quindi l'idea era che io adesso andavo dietro a Eugenio, che mi faceva vedere tutta la scuola, a partire dal secondo piano, e poi aveva detto a Eugenio di farmi vedere anche tutti i laboratori, che in quella scuola erano bellissimi, tutte e due le scale, e così via, e poi quando Eugenio mi aveva fatto vedere tutta la scuola, dovevamo anche tornare a salutarlo in presidenza. Poi ci aveva detto ciao e se n'era andato. Allora io e Eugenio ci eravamo un po' guardati a vicenda e io gli avevo detto allora tu ti chiami Eugenio, e lui mi aveva detto sì, e poi mi aveva detto e tu ti chiami Ugo, e io gli avevo detto sì, mi chiamo Ugo, e poi eravamo partiti in visita per la scuola e avevamo visto il laboratorio di chimica, il laboratorio di botanica, e ogni tanto io gli chiedevo davanti a una porta e qua che cosa c'è, e lui mi diceva lì c'è una classe, stanno facendo lezione e non possiamo entrare, e poi dalle finestre del corridoio del secondo piano che davano sul retro della scuola mi aveva anche fatto vedere i campi dove c'erano dei filari di alberi di mele, di pere, di altra frutta, e varie serre una di fianco all'altra, e poi avevamo girato anche tutto il piano di sotto e avevamo visto il laboratorio di inglese, i corridoi dove c'erano le aule, poi siamo anche andati a fare un giro al bar, che era una specie di chiosco di fronte all'entrata della scuola, a cinque metri di distanza, e li io mi ero bevuto un caffè e Eugenio si era preso delle patatine, poi siamo tornati dentro a salutare il preside, che mi ha detto è stato bravo Eugenio a mostrarle la scuola, e io ho detto bravissimo, me l'ha fatta vedere tutta, e poi mi ha detto è bella eh la nostra scuola, e io ho detto bellissima, e lì io credevo di aver finito e di avere visto tutto, tra l'altro alla campanella dell'uscita ormai mancavano sì e no venti minuti, ma a quel punto Eugenio, con una faccia da vigilia di natale mi ha detto che adesso mi faceva vedere un'altra cosa ancora, e io gli ho chiesto che cosa voleva farmi vedere e lui mi ha detto che adesso avrei visto, e poi abbiamo preso un corridoietto piccolo, che a metà faceva anche un angolo, e in fondo c'era una porticina, e lui mi ha detto adesso bussiamo, ma non rispondeva nessuno, allora mi ha detto di aspettare fermo lì, che lui tornava subito, e dopo venti secondi è tornato lì con una bidella e discutevano, e lui diceva che doveva farmela vedere, e io non capivo perché nel frattempo mi ero anche dimenticato di tutti i discorsi precedenti, e Eugenio diceva alla bidella dai, solo oggi, che lui deve vedere, e la bidella gli ha detto va be', solo oggi perché c'è lui, e poi ha aperto la porta e è andata via, e allora Eugenio ha acceso la luce e poi mi ha fatto vedere la lavatrice dei bidelli, e mi ha detto hai visto che bella, e io ho detto eh sì, è bella, e poi mi ha detto che era una AEG, e mi ha chiesto che lavatrice avevo io, e io lì gli ho detto che secondo me c'avevo una Candy, ma non lo sapevo con certezza, e che a casa ci guardavo e domani glielo dicevo. E poi mi ha anche chiesto che programmi usavo quando facevo il bucato, e io gli ho detto che abitavo da solo, che non ero sposato, e lui lì mi ha chiesto se non avevo mia mamma, allora io gli ho detto che non ce l'avevo più, e quindi però la sostanza del discorso era che io non ero per niente esperto di bucati e facevo sempre lo stesso bucato programma 4, cotone colorato cinque chilogrammi, sempre quello, soltanto con i maglioni facevo il programma 8, lana e seta, temperatura minima, ma in quel momento è arrivata la bidella a dire che fra poco suonava la campanella e lei doveva chiudere a chiave la stanza della lavatrice, quindi noi due dovevamo uscire. E così dopo un attimo la campanella è suonata e ci siamo salutati, tanto dovevamo già vederci il giorno dopo. E però ero rimasto fulminato dalla sua faccia, per la serietà e contentezza a parlare di programmi di bucato, che Eugenio c'aveva una faccia da mezzo scienziato.

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