Copertina
Autore Domenico Costantini
CoautoreBenito V. Frosini, Paola Monari, Jan von Plato, Ubaldo Garibaldi, Luciana Vianelli Bellavista, Maria Carla Galavotti, Giorgio Dall'Aglio, Lucia Giossi
Titolo Regole matematiche del gioco d'azzardo
SottotitoloPerché il banco non perde mai?
EdizioneMuzzio, Roma, 2009 [1996], Scienza , pag. 188, cop.fle., dim. 14x21x1,4 cm , Isbn 978-88-96159-18-7
LettoreCorrado Leonardo, 2009
Classe matematica , giochi
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Indice


Avvertenza,
    di Domenico Costantini, Benito V. Frosini                     7

Introduzione,
    di Domenico Costantini, Paola Monari                          9

I giochi d'azzardo e lo sviluppo della teoria delle probabilità,
    di Jan von Plato                                             19

La nozione di scommessa equa,
    di Ubaldo Garibaldi                                          31

Probabilità soggettiva e simmetria.
Considerazioni quasi euristiche sulla scambiabilità,
    di Luciana Vianelli Bellavista                               43

Cos'è il caso?,
    di Maria Carla Galavotti                                     95

Che cosa dice il calcolo delle probabilità,
    di Giorgio Dall'Aglio                                       107

La comparazione fra prospettive incerte:
modelli teorici e comportamento effettivo,
    di Benito V. Frosini, Lucia Giossi                          135


 

 

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Pagina 9

Introduzione

Domenico Costantini, Paola Monari


Il celebre matematico Poisson collocava l'origine del calcolo delle probabilità nel 1654 riferendola a un problema di gioco posto, durante un lungo viaggio in carrozza verso Pitou, da un uomo di mondo, il cavaliere de Méré, a un austero giansenista, Blaise Pascal. Come tutte le leggende, anche questa contiene un poco di verità. Infatti, la nozione di probabilità ha avuto origine da un lungo processo che si è protratto per quasi un secolo dalla metà del Cinquecento alla metà del Seicento. È tuttavia innegabile che nel corso di questo processo il ruolo del gioco d'azzardo, anche se non esclusivo, fu certamente molto importante. E inoltre, il problema che l'uomo di mondo pose all'austero giansenista in certo senso rappresenta il prototipo dei problemi che tanta parte ebbero nella emersione della nozione di probabilità.

Quale fu quindi il problema che de Méré pose a Pascal? Per illustrarlo supponiamo di trovarci attorno a un tavolo da gioco e di scommettere, operando un certo numero di lanci con una coppia di dadi, di ottenere almeno una volta un "doppio sei". Ci chiediamo: qual è il numero minimo di lanci che occorre eseguire per avere maggiori possibilità (chances) di vittoria che di sconfitta? Il cavalier de Méré aveva individuato due possibili risposte, la prima, 24 lanci, errata a suo parere, gli era stata suggerita della matematica; la seconda, 25 lanci, corretta, gli era stata invece indicata dalla sua esperienza di incallito giocatore d'azzardo.

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Pagina 16

Questo breve excursus ha mostrato come le discipline statistico-probabilistiche e le scienze che se ne avvalgono abbiano (col gioco d'azzardo) legami antichi e profondi e, quel che più conta, mai recisi. Spesso però questi legami sono disconosciuti. Gli è che mentre nel Seicento il gioco d'azzardo era considerato un'occupazione non disdicevole, oggidì questa occupazione, associata a immagini negative: fallimenti, famiglie ridotte sul lastrico e così di seguito, è fonte di riprovazione. Nel contempo tuttavia i giochi di sorte, le cui regole per altro sono quasi universalmente sconosciute, sono divenuti un'attività di massa. E ciò che è ben peggio, mentre nel Seicento tentavano la sorte i cavalieri, cioè i benestanti, oggi gioca soprattutto chi benestante non è. Nel Seicento era riprovevole giocare d'azzardo in condizioni sfavorevoli rispetto al banco, vale a dire giocare con una speranza matematica (il prodotto fra la probabilità e la somma incassata in caso di vittoria) diversa dalla posta (il quesito di de Méré era appunto volto a determinare la probabilità di vittoria e con essa la speranza matematica); ai nostri giorni, nella maggior parte dei giochi d'azzardo, la speranza matematica è molto minore della posta. A questo riguardo basta ricordare gli imponenti prelievi che lo Stato opera sulle lotterie nazionali, le scommesse sulle partite di calcio, il lotto e ogni altro gioco di questo genere. Un tempo i biscazzieri erano guardati con sospetto e, qualora barassero, avevano poche speranze di farla franca; oggi il più agguerrito biscazziere è lo Stato che, non contento di turlupinare i gonzi inducendoli a scommettere con speranze matematiche irrisorie rispetto alle somme pagate, teorizza l'alto valore civico della sua riprovevole attività al fine di tamponare il debito pubblico. Viene allora spontaneo chiedersi: esiste ancora qualche giansenista disposto a occuparsi dei giochi d'azzardo da un punto di vista scientifico? Esiste ancora chi sia in grado di prendere le parti dei giocatori che non sanno resistere al demone del gioco? Esiste ancora chi sia in grado di indirizzare verso giochi più equi coloro che cadono in tentazione?

I contributi raccolti in questo volume possono essere intesi come una parziale risposta agli interrogativi appena sollevati. Anche senza essere giansenisti ci si può occupare scientificamente di giochi d'azzardo. Gli autori che hanno contribuito a questo volume, tutti studiosi di probabilità e statistica di alto livello scientifico, hanno affrontato da varie angolazioni i rapporti fra probabilità e gioco d'azzardo. Prendendo le mosse da una rivisitazione moderna degli aspetti metodologici e fondazionali degli assunti impliciti nei più antichi modelli di gioco, Jan von Plato, Ubaldo Garibaldi e Luciana Vianelli aprono la via alla riflessione metodologica di Maria Carla Galavotti sulla casualità, alla dimostrazione della "Iniquità" delle moderne lotterie di Giorgio Dall'Aglio e alle interazioni psicologiche tra razionalità dei modelli e comportamenti fattuali di Benito Vittorio Frosini e Lucia Giossi.

"Parlare di gioco equivale a parlare di vita" ha scritto uno degli autori. E quando l'uomo gioca con la natura attiva modelli di simulazione per il controllo del rischio che non possono trascurare l'incertezza di ogni evento che sta per verificarsi. La valutazione dell'incertezza è quindi la grande sfida che l'uomo deve fronteggiare. Una sfida raccolta con consapevolezza nel Seicento e portata avanti nei secoli seguenti con grandi conquiste metodologiche ed epistemologiche. Oggigiorno la probabilità permea tutte le attività umane e, in particolare, tutti i settori delle ricerche chiamati a darsi criteri di induzione o di decisione, ed è entrata a pieno diritto nelle più sofisticate teorie fisiche, biologiche e sociali. Questo modo di intendere la razionalità scientifica, sempre più orientato a vedere nella variabilità, e quindi nell'incertezza, non già un ostacolo bensì un elemento di conoscenza, ha portato a considerare la probabilità di un evento come una delle nozioni fondamentali su cui basare la scoperta del mondo esterno dal quale traiamo ogni nostra sensazione. E anche coloro che non accettano che la probabilità sia solo un grado di fiducia palesabile mediante una scommessa, debbono riconoscere che i giochi d'azzardo sono ancora in grado di offrire modelli interpretativi di esemplare semplicità tanto alla ricerca scientifica più avanzata quanto alla vita quotidiana.

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Pagina 31

La nozione di scommessa equa

Ubaldo Garibaldi


Quando un termine del linguaggio comune viene assunto nel linguaggio scientifico, a una maggior precisione del concetto viene generalmente ad associarsi una riduzione dell'estensione del campo cui esso può venire correttamente applicato.

È famosa l'analisi della nozione di "Probabilità" da parte di Von Mises, o quella di "Temperatura" da parte di Carnap; di quest'ultimo è forse ancora più nota l'analisi del termine "Probabilità", in cui si riconoscono due aspetti indipendenti, quello empirico e quello logico.

Se consultiamo il dizionario Zingarelli alla voce scommettere, troviamo i seguenti significati:

1. fare una previsione, o una affermazione,.., fra due o più persone impegnandosi reciprocamente a pagare una data somma, a soddisfare un dato impegno, ... secondo che il risultato dell'evento su cui si discute dimostrerà esatte o inesatte le previsioni o le affermazioni degli uni o degli altri;

2. (esteso) affermare con certezza, dichiararsi sicuro;

3. puntare del denaro al gioco, lasciando chiaramente intendere il gioco d'azzardo.

Questo ci rimanda al termine Gioco, il cui primo significato è quello di esercizio compiuto ... per ricreazione, divertimento o sviluppo di qualità fisiche e intellettuali, cioè il gioco è considerato primariamente come una attività priva di finalità immediate a lei esterne, che ha perciò in sé o nello sviluppo della persona che lo gioca il proprio fine e la propria ragion d'essere.

Un secondo significato di gioco sembra riferirsi ai giochi "competitivi", o "con un esito finale", nel senso cioè di "gara tra più persone o gruppi di persone, che si svolge secondo regole prestabilite, e il cui esito è connesso con l'abilità dei partecipanti, o con la loro fortuna o con entrambe, (e.g. il poker, la briscola, il lotto)".

Entro questa accezione troviamo infine, Gioco d'azzardo, definito come quel particolare gioco "competitivo" posto in essere al solo fine di lucro e in cui la vincita o la perdita è interamente aleatoria.

Non è questa la sede per un'analisi accurata della congruità delle definizioni rispetto al senso comune, cui naturalmente si riferisce l'estensore del dizionario. È chiaro che del gioco d'azzardo viene sottolineata soprattutto la differenza specifica rispetto al gioco in generale, e cioè la competitività entro regole ben stabilite, la finalità del guadagno e la sua aleatorietà. Le componenti "ludiche", psicologiche, di abilità o di intrattenimento vengono perciò trascurate.

Questa semplificazione linguistica non è molto dissimile dal trattamento subito dal gioco di azzardo quando cade sotto lo sguardo astratto e nel contempo penetrante dell'analisi logico-matematica. Spogliato di tutte le "qualità secondarie", il gioco appare subito, dai fondamentali lavori di Pascal, Fermat e Huygens alla metà del 1600, come un luogo in cui si definiscono (e se ne può perciò discutere) valori aleatori, la cui acquisizione è cioè subordinata agli esiti di eventi aleatori, sulla cui "facilità" di accadere è possibile parlare con esattezza. Questa è la ragione per cui il terzo significato di "scommettere", quello di puntare al gioco, finisce per comprendere anche il primo (la scommessa privata, estemporanea, spontanea) e il secondo (quello di indovinare), purché si estenda il significato di gioco al di fuori dei giochi effettivamente giocati nelle case da gioco, ma si intenda il gioco d'azzardo come un'istituzione sociale, un patto tra uomini, sia esso pubblico o privato, che lega ciascun contraente all'acquisizione di valori subordinatamente alla realizzazione di eventi incerti.

Ora la situazione in cui l'uomo è soggetto all'acquisizione o alla perdita di valori subordinatamente a esiti di eventi incerti è naturalmente molto più estesa della situazione di gioco: basti pensare all'armatore olandese del '600 che pensa alla propria nave sperduta in qualche remota località dell'Oceano Indiano, al guadagno in caso di felice ritorno e alla perdita in caso di naufragio, per rendersi conto che la vita, anche solo limitata all'aspetto economico, non è un gioco. Ci si trova coinvolti in un gran numero di situazioni aleatorie nel senso prima visto, e questo non per libera scelta, ma per il semplice svolgimento della vicenda umana.

Il gioco invece è pur sempre un'attività libera, non imposta dalla natura o dalla società, anzi potrebbe essere definito da questo punto di vista come una possibilità socialmente regolata di accesso ad una situazione di guadagno aleatorio. Per inciso osserviamo che da questo particolare punto di vista il contrario del gioco d'azzardo consiste nel sottoscrivere un'assicurazione: così facendo infatti ci si sottrae al rischio aleatorio in cambio di un premio, mentre l'assicuratore ha effettivamente la posizione del giocatore, accollandosi il rischio aleatorio in cambio di una quantità fissata. Il fatto che l'assicurato versi il premio per rinunciare al rischio aleatorio e che l'assicuratore riceva il premio per entrare "in ludo aleae" dipende dal fatto che i valori attesi sono generalmente negativi, ma questo non muta la logica di fondo.

Chi punta al gioco rischia per tentare la sorte: per inciso osserviamo che se questo "tentare la sorte" procura un brivido di per sé, non vi è dubbio che vi sia chi è disposto a pagare più del giusto prezzo pur di provare l'emozione del rischio... Ma questa digressione (verso la psicologia o la letteratura, ambiti in cui la soggettività del giocatore è protagonista indiscussa; semmai è curioso il fatto che la figura dell'assicuratore abbia avuto scarse fortune letterarie...) è ciò che viene per l'appunto evitata nell'indagine logico-matematica della situazione di gioco per lo meno al suo sorgere, nella seconda metà del '600. Essa ci ha però permesso di introdurre il termine più importante per l'analisi della situazione di gioco, il suo "giusto prezzo". Proprio perché il gioco è una libera opportunità di accesso a una situazione aleatoria, esso avrà un prezzo; e l'economia ci insegna che in generale il prezzo di un bene è giusto se è pari al valore del bene acquistato. Ma qual è il bene acquistato col diritto a partecipare a un giuoco d'azzardo? È la situazione di guadagno aleatorio. Qual è il valore di una situazione di guadagno aleatorio? Quanto vale l'essere proprietari di un biglietto della lotteria di Capodanno? Quanto vale essere proprietari di una nave sperduta nell'Oceano Indiano?

Non vi è dubbio che l'interesse dei padri fondatori, di Christian Huygens in particolare, fosse rivolto inizialmente a domande del primo tipo, anche se la sua brillante soluzione lo spinse immediatamente allo studio delle seconde. Il grande fisico e matematico olandese, cui si devono contributi basilari alla matematica, all'ottica, alla meccanica pura e applicata, è l'autore del primo trattato di calcolo delle probabilità a noi noto, il cui titolo è De ratiociniis in ludo aleae, dedicato alla questione del giusto valore di una situazione aleatoria in un gioco d'azzardo. Nel trattato compare per la prima volta la formula cosiddetta "classica" del valore di una situazione di gioco: il giusto valore di una situazione di gioco è il valor medio del valore aleatorio. Ma il discorso di Huygens (e questo è sfuggito ai più, abbagliati dalla scoperta di "precursori" delle moderne concezioni) ha una portata ben più vasta: esso definisce il valore di ogni situazione aleatoria come il suo equivalente certo, e ne può quindi definire il prezzo se la situazione può concretamente essere venduta. La generalità della sua argomentazione è tale da permetterne l'estensione a contesti del tutto diversi, quali la demografia e le matematiche attuariali.

Perché abbiamo seguito un percorso così tortuoso per giungere a questa conclusione per noi addirittura ovvia, e cioè che il giusto prezzo di una situazione di gioco o di rischio monetario è il valor medio del valore aleatorio, ovvero la sua speranza matematica? La riproposizione dell'approccio di Huygens al problema fondamentale della nascente statistica del '600 (e cioè il valore di una situazione aleatoria) ci farà apprezzare lo sforzo di risolvere il problema con strumenti concettuali che ci paiono per lo meno strani; essi non fanno riferimento al valore atteso "alla lunga" in molte ripetizioni indipendenti del rischio, anzi non fanno per nulla riferimento agli esiti effettivi della situazione aleatoria: per seguirlo con il dovuto rispetto, cerchiamo di mettere tra parentesi per un po' tutto ciò che di solito diamo per scontato.

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Pagina 95

Cos'è il caso?

Maria Carla Galavotti


Il concetto di caso attraversa tutta la storia del pensiero occidentale, e già nelle opere degli antichi lo ritroviamo, sostanzialmente identificato con l'idea del fortuito, del contingente, di "ciò che ammette di essere diversamente" ed è quindi imprevedibile. Precisi riferimenti in tal senso sono presenti nell'opera di pensatori quali Aristotele, Epicuro, Boezio, per non citare che alcuni nomi. Leggiamo, per esempio in Severino Boezio: "Ogni volta che per qualche scopo si fa qualcosa... e si ottiene, per determinate cause, un risultato diverso da quello che ci si era proposto, questo si chiama caso... si può quindi... definire il caso come evento imprevedibile prodotto da cause confluenti in azioni che si compiono per qualche motivo".

La nozione di caso ha acquisito particolare rilevanza allorché si è affermata la nozione moderna di probabilità, ossia nel XVII secolo. I. Hacking, nel volume, divenuto assai noto, The Emergence of Probability sottolinea come l'emergere della probabilità, ossia il punto di passaggio dalla "preistoria" alla "storia" di questa nozione, sia stato segnato proprio dall'incontro fra l'idea di probabilità e quella di caso (o di casualità) e dalla conseguente congiunzione teorica di tali concetti. Con l'evolversi della nozione quantitativa di probabilità, a partire dalla seconda metà del '600 prende gradualmente piede la convinzione che quest'ultima costituisca lo strumento atto a investigare tutti quei fenomeni che sfuggono a un resoconto causale di tipo deterministico, secondo il paradigma della meccanica classica. Il caso, ossia l'oggetto cui si applica la probabilità, viene a costituirne il presupposto, e il chiarimento della nozione di caso s'impone sempre di più come un'esigenza fondazionale imprescindibile per chi si accinga ad analizzare le metodologie induttivo-probabilistiche. Troviamo questa convinzione riaffermata con particolare chiarezza da J.S. Mill, quando sostiene che "è della massima importanza, al fine di comprendere la logica dell'induzione, che ci formiamo una concezione chiara di ciò che intendiamo per 'caso'". Vedremo poi come la priorità concettuale della nozione di caso rispetto a quella di probabilità costituisca il punto di partenza dell'analisi di R. von Mises, al quale va il merito di aver calato l'idea intuitiva di caso come imprevedibilità in una trattazione sistematica rigorosa.

Come rileva ancora una volta Hacking, la probabilità ha presentato fin dalla sua nascita carattere spiccatamente duale, potendo venir intesa in una duplice accezione: epistemica e oggettiva. Analoghe considerazioni valgono riguardo al caso, che è stato a volte inteso con riferimento alla conoscenza umana, altre volte ai fenomeni. È ben nota la posizione di P.S. de Laplace, secondo il quale il caso non è altro che "ignoranza delle vere cause". Questo è il punto di vista che ha animato la teoria classica della probabilità, in pieno accordo col paradigma deterministico della meccanica classica.

Altri hanno cercato di caratterizzare il caso "in positivo", ossia non soltanto come ignoranza delle cause che regolano i fenomeni. Così per A. Cournot "gli avvenimenti prodotti dalla combinazione o dall'incontro di fenomeni che appartengono a serie indipendenti nell'ordine della causalità si chiamano avvenimenti fortuiti, o risultanti dal caso". Analogamente, per Mill "si può affermare che due o più fenomeni si trovano in congiunzione per caso... intendendo con ciò che non esiste fra loro un rapporto di causalità, che essi non sono né effetto gli uni degli altri, né effetto di una medesima collocazione di cause primordiali".

Più articolata appare la posizione di H. Poincaré, il quale critica il punto di vista determinista secondo il quale il caso sarebbe semplicemente "un nome per la nostra ignoranza", e distingue, fra tutti i fenomeni le cui cause ci sono sconosciute, i fenomeni fortuiti, ai quali si applica il calcolo delle probabilità, e i fenomeni non fortuiti, rispetto ai quali non possiamo dire assolutamente nulla, fin tanto che non conosciamo le leggi che li governano. I fenomeni fortuiti possono essere dovuti a diverse circostanze; in particolare vi sono situazioni in cui cause molto piccole, o differenze molto piccole nelle condizioni iniziali (tanto piccole che non possiamo registrarle), producono differenze macroscopiche nel fenomeno finale. In tal caso la previsione diventa impossibile, e si ha un fenomeno fortuito. Esempi di fenomeni di questo tipo sono facilmente rinvenibili in meteorologia, e in generale in tutte le situazioni caratterizzate da equilibrio instabile degli elementi.

Altro esempio addotto da Poincaré è quello del gioco della roulette: qui chiaramente il risultato finale, ossia il fatto che l'ago si fermi sul rosso o sul nero, dipende dall'impulso iniziale che viene dato all'ago stesso. Qui "basta solo che l'impulso vari di un millesimo, o di due millesimi, perché il mio ago si fermi in un settore nero, o nel settore seguente, rosso. Siamo in presenza di differenze che il senso muscolare non può apprezzare e che sfuggirebbero anche a strumenti più delicati. Mi è dunque impossibile prevedere cosa farà l'ago che ho appena lanciato, ed è per questo che il mio cuore batte e che mi aspetto tutto dal caso. La differenza nella causa è impercettibile, mentre la differenza nell'effetto è per me della più grande importanza, perché ne va di tutta la mia posta".

Altri eventi fortuiti sono caratterizzati non tanto da piccole variazioni nelle cause, quanto dalla loro complessità. Questo vale per le situazioni descritte dalla teoria cinetica dei gas, per esempio un recipiente pieno di materia gassosa, dove un'innumerevole quantità di molecole che si muovono a grande velocità collidono fra loro e con le pareti del recipiente. Qui l'imprevedibilità del comportamento delle molecole non è dato soltanto dalle variazioni nelle condizioni iniziali del loro movimento, ma altresì dall'imponente numero di molecole contenute in una massa di gas, il che rende le collisioni molto numerose e le cause molto complesse. La complessità dei fenomeni viene quindi, nell'analisi di Poincaré, a costituire un elemento legato alla casualità e all'imprevedibilità. Il legame fra caso e complessità, sottolineato dall'autore francese, è in seguito riapparso in varie trattazioni della nozione di casualità. Vi torneremo brevemente più avanti. Come si è già accennato, si deve all'opera di von Mises negli anni venti il tentativo di calare in una definizione rigorosa la nozione di casualità. Tale tentativo è animato, come tutta l'opera di questo autore, da uno spirito schiettamente empiristico e operazionistico, quantunque, come vedremo, la nozione di casualità da lui proposta risulti di fatto troppo forte, per poter avere portata operativa. Vediamo brevemente i tratti di fondo della visione di von Mises.

[...]


L'idea che la casualità sia un concetto relativo ci viene suggerita anche dalla vita di ogni giorno. Negli anni settanta í giornali parlarono di un fatto che illustra bene ciò di cui stiamo parlando. Si trattava di una ditta che, per promuovere le vendite di una marca di biscotti, aveva lanciato una di quelle lotterie che sono recentemente tornate di moda. In ogni confezione veniva inserita una cartolina che riportava una griglia, su cui spiccavano dei riquadri di vario colore, ricoperti di materiale da grattare via. Il consumatore che, grattando quattro riquadri di colori diversi, avesse trovato quattro figure identiche, avrebbe vinto un premio di 10.000 lire. Chi, grattando un quinto riquadro, vi scopriva un forziere, raddoppiava la vincita, e se il forziere in questione era dorato si vincevano 3.000.000. La ditta aveva calcolato che la probabilità di vincita in questo gioco fosse talmente bassa da rendere sufficiente un aumento di poche lire nel prezzo di ogni confezione, per compensare le spese dovute alle vincite. Tuttavia, gli abitanti di Limbadi, un paese della Calabria, notarono che le cartoline erano stampate in serie, e che ciascuna serie poteva essere riconosciuta in base a piccolissimi dettagli, come puntini, sfumature di colore o piccole macchie lasciate dalla macchina stampatrice. Grattando tutti i riquadri di una cartolina per ogni serie, riuscirono a individuare un sistema di vincita, e furono in parecchi ad arricchirsi a spese della ditta produttrice. Appare chiaro che, mentre per i cittadini di Limbadi, che si erano passati la voce, il gioco non era più casuale, esso restava tale per tutti gli altri consumatori, che non avevano trovato un sistema di gioco. La morale della favola sembra indicare come il medesimo fenomeno possa apparire casuale alla luce di una certa evidenza e non casuale in presenza di un'evidenza più forte. L'esempio ci ripropone quindi un concetto relativo di caso, caratterizzabile solo in relazione allo stato delle conoscenze.

Se ci spostiamo dalla vita di ogni giorno alla scienza, troviamo che gli scienziati parlano quotidianamente di fenomeni casuali, che assumono a paradigmi della casualità. In fisica, per esempio, il moto browniano, o i sistemi della meccanica quantistica, costituiscono tipici esempi di tali paradigmi. In relazione a essi vari autori hanno parlato di "casualità fisica". L'interpretazione di questa nozione è strettamente connessa con uno dei più vasti dibattiti epistemologici tuttora in corso, ossia quello vertente sulla questione determinismo/indeterminismo. Appare chiaro come anche in relazione alla casualità fisica si possa assumere una posizione di tipo relativistico, e sostenere una posizione di tipo laplaciano, in cui un'interpretazione epistemica tanto del caso quanto della probabilità si combini con una visione deterministica di fondo. Alternativamente, si potrà attribuire un significato fortemente oggettivo ai fenomeni casuali in natura, e ritenere che essi si collochino in un mondo indeterministico. Qui il dibattito non investe solo l'interpretazione della probabilità, ma altresì il problema del realismo, e la natura delle teorie scientifiche. La portata di questo dibattito è troppo vasta, perché si possa qui entrare nel merito.

Può invece essere utile richiamare alcune osservazioni dovute ad un altro statistico, I.J. Good, a proposito della "casualità fisica", e del rapporto fra quest'ultima e la nozione di "pseudo-casualità". Osserva Good: "nella meccanica statistica classica (non quantistica), e in almeno un'interpretazione della meccanica quantistica [il testo fa riferimento all'interpretazione di D. Bohm] si può coerentemente assumere che i processi fisici siano strettamente deterministici. Tuttavia, essi sono talmente complicati che, per quanto ne potremo mai sapere, ci appariranno casuali. Essi potrebbero pertanto essere pseudo-casuali, ma potrebbe risultare impossibile distinguerli da quelli strettamente casuali in base ad alcun metodo conosciuto, o che potrebbe mai essere trovato. Da un punto di vista operativo, quindi, un'interpretazione deterministica potrebbe risultare indistinguibile da una indeterministica. Non vi può essere alcuna differenza operativa nel fatto che noi interpretiamo le probabilità associate alle nostre previsioni come probabilità fisiche inerenti al mondo esterno, o come probabilità relative alla nostra ignoranza di un qualche determinismo sottostante ai fenomeni".

Queste considerazioni ne richiamano alla mente altre, avanzate a più riprese da P. Suppes, il quale ritiene che proprio il legame fra causalità e complessità, già messo in luce da Poincaré, conduca a un superamento della tradizionale dicotomia determinismo/indeterminismo. Tale superamento passa attraverso la constatazione che anche processi deterministici, se caratterizzati da grande complessità e/o instabilità, sono imprevedibili e mostrano un comportamento casuale. Una successione casuale può allora essere vista come "caso limite di successioni deterministiche sempre più complesse". La tradizionale opposizione fra determinismo, prevedibilità e causalità, da un lato, e indeterminismo, imprevedibilità e casualità, dall'altro, verrebbe così superata, per dar luogo a una visione entro la quale la casualità risulta del tutto compatibile col determinismo. In una simile prospettiva, la scelta fra determinismo e indeterminismo finisce coll'essere lasciata al "gusto filosofico" di ciascuno, e cessa di porsi come questione rilevante rispetto al problema dei fondamenti della conoscenza scientifica.

Se questa appare come la più plausibile conclusione cui può condurci un'analisi della nozione di "caso" non viziata da preconcetti di ordine filosofico, l'excursus che precede suggerisce come tanto l'esame della "casualità logica" quanto quello della "casualità fisica" portino alla nozione di "complessità". Anche su questo piano, tuttavia, si ripropone il problema di chiarire i possibili legami fra gli aspetti matematici e gli aspetti fisici della nozione di complessità. È con questi temi che si confronta la letteratura più recente.

Le osservazioni che precedono non danno certo una risposta alla domanda da cui hanno preso le mosse, ma contribuiranno forse a focalizzare i termini del problema.

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