Copertina
Autore Lella Costa
Titolo Che faccia fare
EdizioneFeltrinelli, Milano, 1998, UE 1530 , Isbn 978-88-07-81530-0
LettoreRenato di Stefano, 1999
Classe satira , teatro italiano , umorismo
PrimaPagina


al sito dell'editore


per l'acquisto su IBS.IT

per l'acquisto su BOL.IT

per l'acquisto su AMAZON.IT

 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


Pag. 7  Prologo

    11  Ma tu, scrivi per Lella Costa?
        di Bruno Agostini

    15  The Voice. Un'idea per
        Lella Costa e il suo futuro
        di Piergiorgio Paterlini

    17  Come ci siamo ridotti
        di Gabriele Vacis

    21  A teatro è diverso
        di Massimo Cirri e
        Sergio Ferrentino

    25  CHE FACCIA FARE

    27  Magoni

    73  Stanca di guerra

   121  Un altra storia

   177  Gli spettacoli


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 27

Magoni


Facciamo finta che sia una favola. Che comincia molti anni fa con un mio amico. Avevo un amico che non piangeva mai, non per una posizione ideologica, ma proprio perché non gli veniva facilmente da piangere. Era un tipo sobrio, trattenuto, scoppiava solo in lacrime irrefrenabili, vittima di un magone invincibile ogni volta che, più o meno per caso, gli capitava di vedere alla televisione Il mago Houdini, il film, quello con Tony Curtis. Non ce la faceva a trattenere le lacrime. Ogni volta che vedeva il povero Tony prigioniero di quella specie di enorme frigoverre subacqueo gli scoppiava questo magone e piangeva, si dannava l'anima. Non si capisce perché. Era un vero magone, assolutamente privo di motivi. Non aveva mai avuto un papà ex illusionista pentito, e mai nessun mago maldestro gli aveva segato una qualche fidanzata... No, era un vero magone. Molti anni dopo ho incontrato una poesia di Sylvia Plath, che si chiama La lunga attesa dell'angelo, che a un certo punto dice: "Avvengono miracoli. Se siamo disposti a chiamare miracoli quegli spasmodici trucchi di radianza". Ho pensato che ci potesse essere una storia, un percorso, un filo che conduce dai magoni ai miracoli, passando per i trucchi di radianza, le lacrime agli occhi, la visuale un po' appannata, i cerini, i fuochi fatui, le gibigianne... Forse tutto questo si può chiamare miracolo, perché avvengono, i miracoli. Se siamo disposti a chiamarli miracoli.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 32

(...) Il magone è un punto di partenza singolare, forse non ci porterà un granché lontano, forse sarebbe più giusto vedere da dove viene; se è vero che i tedeschi non hanno dimestichezza con la nostalgia, è sicuramente vero che noi come popolo abbiamo una grande dimestichezza con i magoni. Pensiamo a Cecco Angiolieri, che diceva: "la mia malinconia è tanta e tale"; pensiamo semplicemente ai canti popolari che ci portiamo dietro dall'infanzia. Senza scomodare quelli militari che inevitabilmente trattano di argomenti luttuosi; anche se credo valga la pena di citare almeno Il testamento del capitano, con il capitano della compagnia che è ferito, sta per morire e fracassa le palle per un numero esagerato di strofe prima di farla finita, roba che neanche De Niro agonizza per tutto quel tempo... Deve raccontarlo a tutti, fare dei testamenti da necroforo, una roba disgustosa questo riavvoltolarsi nel magone, nella sofferenza. Ma pensiamo semplicemente ai canti popolari, ai canti tradizionali, Vitti 'na crozza e va be', ma perché appena uscito di casa "tutti mi dicono maremma, maremma, ma a me mi pare una maremma ammara"?

Per quale motivo, vogliamo dare delle motivazioni? "L'uccello che ci va perde la penna." Fuor di metafora, non è poi un lutto così insuperabile. "Io ci ho perduto una persona cara." Lo vedi? C'è sempre il lutto vero, in agguato, fosse anche per un povero cacciatore. E che dire di altri luoghi magonici, inspiegabili, misteriosi, inavvicinabili. "Quando saremo fora, fora de la Valsugana." E che cazzo ci sarà mai in Valsugana che non si riesce a uscirne? Quale perverso meccanismo, quale trappola mortale? Siamo entrati nel tunnel della polenta taragna? Che cosa c'è in Valsugana, perché vuole uscire dalla Valsugana, per fare che cosa? C'è una spiegazione, c'è un motivo: "quando saremo fora de la Valsugana andarem trovar la mama". Ah, la solita questione edipica, d'accordo, possiamo parlarne, "per sapere come la sta". E come la sta la mamma: "la sta ben". Benissimo, e torniamo a farci la polenta in Valsugana. No, "è il papà che l'è ammalato". Per un attimo era sembrato di riuscirci... No, invece si ricasca sempre, si ricasca sempre lì, in montagna ma anche al mare: i pescatori vivono vite terribili, la barca torna sola, appena arriva in mezzo al mare il bastimento, che dovrebbe cominciare a sentirsi a suo agio, si rovescia e perché? Forse anche il neorealismo - dirò un'eresia - puo essere interpretato in questa chiave; il neorealismo non è stato altro che un lungo magone liberatorio, creativo, giusto, incazzato ma nient'altro che un lungo magone nazionalpopolare. Queste sono le nostre radici, questa è la nostra realtà, l'humus di cui ci siamo nutriti, da qui dobbiamo partire per cercare di capire.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 42

Adesso torno sul terreno delle parole, che lo controllo meglio. Perché credo che questo meccanismo possa valere anche per le parole parlate. Si dice che far piangere sia più facile che far ridere. Forse è banale, ma purtroppo o per fortuna è vero: la comicità è un meccanismo più delicato di ciò che viene scritto, pensato o detto per fare piangere, perché richiede molti più elementi, molte più variabili: la disponibilità del pubblico, un linguaggio comune... Basta un piccolo errore, una pausa, una parola anticipata e il fragile castello della comicità crolla, non funziona, mentre le cose scritte per commuovere, per far piangere, durano molto di più, si usurano meno, arrivano sempre a segno. Si può provare a fare un esempio con una battuta di Woody Allen. Ecco, se io vi dico: "Sono in analisi da quindici anni, l'anno prossimo vado a Lourdes", qualcuno ride, qualcuno no, magari è vecchia, tutto si è già sentito oppure non lo so, l'ho detta male io, mille sono i motivi. Però è molto più probabile, non dico che tutti si mettano a piangere o si commuovano, ma che magari avvertano un'increspatura nella pelle o anche nell'anima, a seconda delle dotazioni individuali, se io invece provo con altre parole come: "Per nessun altro, amore avrei spezzato questo beato sogno. Buon tema alla ragione, troppo forte per la fantasia. Fosti saggia a svegliarmi, e tuttavia tu non spezzi il mio sogno, lo prolunghi. Tu, così vera che pensarti basta per fare veri i sogni e le favole storia. Entra fra queste braccia: e se ti parve giusto per noi non sognar tutto il sogno, ora viviamo il resto". Bella forza, questo è John Donne, una poesia meravigliosa, è facile. Ma forse può funzionare lo stesso con altre parole, con parole molto più quotidiane: "Non andare via, non andare via, io non parlo più, non piango più, mi metto là e ti guardo mentre parli e sorridi e poi ti ascolto quando canti e ridi, fammi diventare l'ombra della tua ombra, l'ombra della tua mano, l'ombra del tuo cane ma non andare via, non andare via, non andare via". E questo in fondo era soltanto Jacques Brel, tradotto.

Ahimè, l'amore, l'amour, l'amour, io credo che basti soltanto provare, osare affacciarsi sulle sponde di quell'immenso, magmatico, straordinario, sconvolgente, inspiegabile, imperscrutabile casino che è l'amore per trovare dei magoni dovunque... Credo non esista amore senza magoni: anche gli amori perfetti, quelli solari, tersi, meravigliosi, hanno sempre in agguato quella specie di commozione, di groppo in gola, la sensazione forse di essere andati vicino a qualcosa di unico e perfetto, ma di una fragilità assoluta. Sembra che ci sia ma non si sa se domani ci sarà ancora, possiamo perderlo, smarrirlo per sempre. Però ancora una volta non voglio parlare di dolore, i dolori dell'amore, gli abbandoni, i tradimenti, le perdite... No, voglio parlare di magoni, e credo che nonostante siano parecchi, il più cocente magone di stampo sentimentale rimanga la consapevolezza che non soltanto l'amore è cieco, sordo e dotato di gravi turbe anche a livello neurologico, ma è soprattutto di una superficialità mostruosa.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 58

(...) D'altra parte si sa, la costruzione di un magone spezza le vene delle mani. Posso provare con delle fotografie, certo, delle fotografie di un'estate perfetta, e poi, e poi qui ci sono i poeti naturalmente. Cardarelli: "dovevamo saperlo che l'amore / brucia la vita e fa volare il tempo". E poi com'era quello di Scott Fitzgerald, La lampada alla finestra? "Ti ricordi, prima che le chiavi girassero nelle serrature, quando la vita era un primo piano e non una lettera occasionale." Ed Eliot, naturalmente, "Aprile è il mese più crudele, genera / lillà da terra morta, confondendo / memoria e desiderio". Ho già la pelle d'oca alta così. E poi com'era Pavese? "Ci si accorge di non essere più giovani quando dire un dolore lascia il tempo che trova." E Il Piccolo Principe: "come è misterioso il paese delle lacrime". Pessoa: "quante lacrime hanno mancato tutti quelli che hanno vinto". E Pascal, naturalmente, "il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce". No, scusate, arimortis, mi sto incaponendo su qualcosa che probabilmente non ha senso. Perché cercare di procurarsi a tutti i costi un magone del cuore, quando probabilmente anche la ragione ha magoni che il cuore non conosce? Forse bisogna semplicemente provare a sperimentare un altro tipo di magone, un magone che tragga spunto dalla realtà, quindi un magone lucido, intellettuale, intenso ma non per questo non coinvolto, insomma un magone irrazionale, una sorta di commozione della mente, una commozione cerebrale.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 73

Stanca di guerra


E io che faccia faccio? Che faccia si può fare o forse che faccia si deve fare quando si prova ad affrontare un argomento così grande e terribile come la guerra? Che poi non si sa neanche bene dove, come, quando, perché sia cominciata. No, non è vero, in realtà questo un po' si sa. Anzi, forse all'inizio è stata anche una faccenda relativamente semplice, una roba tipo: "Tu hai la caverna più calda, la donna più pelosa, la ruota più rotonda. Io ho la clava più grossa". E felicemente ignara della simbologia: "Te la spacco sulla testa, così mi prendo quello che mi piace". Rozzo, ma mica poi tanto. Forse il significato vero, l'essenza, della guerra sta proprio tutto qui, visto che alcuni millenni dopo un teorico della guerra, un signore che si chiamava von Clausewitz - nella sua vita si è occupato solo e soltanto di guerra, ha scritto un unico libro intitolato .cors Della guerra, un maniaco -, ha definito la guerra "un atto di violenza attraverso il quale costringiamo il nemico a fare la nostra volontà"; quindi colpi di armi sempre più precise, letali, raffinate. Poi gli uomini hanno cominciato ad aggregarsi, a mettersi insieme per poter fare meglio la guerra e sono intervenuti gli dei che mandavano gli uomini a fare la guerra per loro conto e in loro nome, e a un certo punto gli uomini hanno cominciato addirittura a spostarsi per fare la guerra, non più soltanto vicino a casa o nei territori confinanti.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 77

Guardi l'ora e son le otto. A me... a me fa paura quel bambino lì, mi mette a disagio, mi inquieta. E poi mi dispiace per sua mamma, che è una donna deliziosa. Lei è molto simpatica. C'è chi dice che cucina male, ma non è questo. Non è vero che cucini male. Più che altro le vengono fuori dalle pentole dei gran begli esperimenti di pop art. Belli sul serio! Delle robe... Le han proposto di fare dei cataloghi, delle mostre. Son belli! Non soltanto i colori così forti, contrastati. Son belli anche i materiali. Non sono commestibili ma sono molto interessanti da un punto di vista pittorico. Qualunque cosa lei gli metta nel piatto, il bambino mangia tutto senza dire "be"', la guarda con occhi colmi di gratitudine e alla fine fa anche la scarpetta con il pane. E lei è preoccupata, povera donna, intanto che le muoia avvelenato, ma soprattutto è preoccupata da un punto di vista, come dire, psicologico-emotivo. Dice: "Ma perché questo ragazzino fa così, alla sua età dovrebbe essere l'opposto, dovrebbe avere i suoi gusti e le sue opinioni, dovrebbe farli valere urlando, puntando i piedi, avercela col mondo; invece perché gli va bene tutto, perché sorride sempre, perché non vuole mai scontentare nessuno, perché vuole andare d'accordo con tutti? Cosa mi diventa poi da grande un bambino così? Uno come Veltroni...".

Però va detto che lei parte prevenuta, perché lei di suo appartiene istintivamente all'altra teoria sociologica, quella appunto che si ispira al conflitto. Secondo i teorici del conflitto non è affatto l'integrazione o l'armonia a dominare il mondo, ma semmai il suo opposto, la guerra, la battaglia: sono i conflitti, spesso anche i conflitti di interesse a muovere il motore del progresso umano. E' così da sempre, sarà così per sempre. Non c'è da scandalizzarsi o fare i moralisti. E' proprio la guerra che muove, che fa andare avanti la storia dell'umanità. Per cui - alè - il più classico tutti contro tutti, dagli albori della storia: i bianchi contro i neri, il Nord contro il Sud, le classi contro le classi, gli architetti contro gli ingegneri, gli indigeni contro gli immigrati, i cani contro i gatti, i dinosauri contro - non si è mai saputo esattamente contro chi, però qualcuno c'è stato di sicuro, tant'è che i dinosauri han perso, poverini -, gli antibiotici che vincono contro la febbre, le Maiolo che vincono contro i giudici, accidenti a loro, i comitati contro gli zingari, gli arabi contro gli israeliani, "Panorama" contro "L'Espresso" e i russi, i russi e gli americani, e i padri contro i figli, i fratelli contro i fratelli per l'eredità, Gianni contro Pinotto, anche loro per l'eredità, la Vespa contro la Lambretta, i Mods contro i Rockers a Liverpool, la Pepsi contro la Coca-Cola, il bene contro il male, la luce contro le tenebre, la conoscenza contro l'ignoranza, Eros contro Thanathos, più raramente Athos contro Porthos ma si è visto anche questo, Paperino contro Gastone, Peppone contro don Camillo, i Beatles contro i Rolling Stones, i boxer contro gli slip, la vasca da bagno contro la doccia, la Rai contro la Fininvest, la Fininvest che diventa Mediaset con il Milan e Sgarbi contro tutti.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 108

I militari di carriera sono una specie di mondo a parte; forse è un problema di linguaggio, obiettivamente parlano una lingua diversa dalla nostra, anche la logica che seguono è diversa dalla nostra, non ragionano come noi, no. Seguono altri percorsi a noi incomprensibili. Per fare un esempio, quando fu mandato il primo contingente di pace dell'esercito italiano in Bosnia, via mare, l'hanno fatto imbarcare a Salerno. Da Ancona era più corta. Sarà un segreto militare. Sarà che devono stare attenti che il nemico li ascolta. Sarà che hanno una testa diversa. Io non so cosa abbiano nella testa. Ma qualunque cosa sia non potrà mai spiegare, men che meno giustificare, ciò che si imputa oggi veramente come colpa grave al mondo militare, il vero scandalo delle guerre contemporanee, vale a dire le vittime civili, il fatto che nelle guerre a morire siano le persone, le donne, i bambini. Per carità, è sempre successo: la guerra antica, la madre di tutte le guerre, è fatta di continui stupri, saccheggi, stragi degli innocenti. Però se non altro questo avveniva prima. Prima che l'Occidente si autoproclamasse paladino della libertà, garante dell'incolumità delle popolazioni civili in tempo di guerra. Poi vai a leggere i bollettini, peraltro stilati da un premio Nobel, e scopri che nella Prima guerra mondiale le vittime sono state per il 5 per cento civili e per il 95 militari. Si può tranquillamente sostenere che i civili sono morti incidentalmente. Nella Seconda guerra mondiale le vittime sono state per il 48 per cento civili e per il 52 militari. Non si può già più sostenere che i civili sono morti incidentalmente. Nelle guerre contemporanee, una qualunque, una a caso, le vittime sono per il 10 per cento militari e per il 90 civili. Si può tranquillamente sostenere che i militari muoiono incidentalmente. D'altra parte è a furia di sentirsi ripetere "prima le donne e i bambini, prima le donne e i bambini", si vede che l'hanno presa alla lettera. E allora io mi chiedo, ma chissà che faccia fanno, quando indossano le loro elegantissime divise, qualunque sia il paese che quella divisa rappresenta, e salgono a bordo dei loro scintillanti aeroplani, qualunque sia la bandiera che contraddistingue quell'aeroplano, e si librano in volo nel cielo limpido, azzurro - Dio, che straordinaria sensazione di libertà - e dopo un po' che volano, le carlinghe dei loro aerei si aprono per lasciar fuoriuscire degli strani oggetti metallici, neanche brutti a loro modo, delle specie di curiosi fiori postmoderni che cadono in caduta libera per alcune centinaia di metri e poi a loro volta si aprono, per lasciar fuoriuscire degli altri oggetti sempre metallici, ma questa volta totalmente differenti per foggia, dei pregevoli manufatti che imitano in modo encomiabile le pietre, i sassi, i ciottoli dei fiumi. Dio, la natura quanti insegnamenti! E questi oggetti vanno a cadere un po' qua e un po' là e più in alto voli, più ampio sarà il raggio in cui si depositeranno, e quindi sarà ancora più facile, e in qualche modo meno colpevole, per chi li sgancia, smemorarsene - "Ma via, come pretendete che sappia esattamente dove sono caduti, li ho sganciati, saranno andati un po' qua e un po' là, si pianteranno nel terreno, si mimetizzeranno perfettamente, resteranno lì tutto il tempo che devono restare". Addirittura alcuni di questi oggetti li fanno a forma di giocattoli, perfettamente imitati proprio nei dettagli, per esser del tutto sicuri che prima o poi, un giorno o l'altro, un bambino lo noterà, lo rac- coglierà, lo guarderà, per quanti secondi? tre? quattro? dieci? Gli ultimi secondi della sua vita. O forse no. Forse saranno l'inizio di un'altra vita, una vita di seconda scelta, una vita scaduta, una vita avariata, una vita senza gli occhi, senza le braccia, senza le gambe. E se è molto fortunato, forse quel bambino incontrerà un chirurgo bravissimo che viene dall'altra parte del mondo e che probabilmente per espiare qualcuna delle colpe di quel mondo ha deciso di andarsene in giro a ricucire pezzi di bambini.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 121

Un altra storia


Rinunci a Satana?

Abbia pazienza, temo di non aver capito bene la domanda. Poi, sa com'è, sono appena arrivato, non ho neanche fatto in tempo... Lei mi pare uomo di mondo, potrà capire. Oh, arrivo anche a fare dodici poppate al giorno. Non è poco, mi creda, per uno che la vita gliela misurano ancora in grammi e in giorni. E poi sa com'è, il trauma della nascita, il dentro che diventa fuori, il fuori che diventa dentro, la perdita, il cordone ombelicale, son tutte faccende delicate, che se uno le imposta bene da subito, poi son tutti soldi risparmiati da grande in psicoanalista. Le dispiacerebbe rifarmi la domanda?

Rinunci a Satana?

Mi dispiace, non sono in grado, mi mancano proprio le coordinate, i riferimenti, non posso rispondere, dovrà farlo qualcun altro al mio posto, gente preparata, non creda... Altroché se sono preparati, sono mesi che si preparano a rispondere, tra cucchiaini d'argento ritorti per le prime pappe e catenine d'oro perfette per essere scambiate a suo tempo con la mia prima dose di ecstasy. Si sono preparati accuratamente a rispondere a quesiti tanto cruciali, per me è un onore presentarglieli: il mio padrino, la mia madrina. Risponderanno loro alla domanda che Lei mi ha fatto e alla quale io...

Rinunci a Satana?

| << |  <  |