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| << | < | > | >> |Pagina 13IntroduzioneAvrete notato che l'interesse per la scienza va crescendo anche nei mezzi di comunicazione che fino a ieri ritenevano che non facesse parte della cultura di un cittadino alfabetizzato. C'è voluto tempo, e gli effetti sulla società della pillola, del computer, e via via della comunicazione planetaria, della soia transgenica, e scoperte strabilianti di pianeti attorno a lontani sistemi solari, ma ci sono arrivati un po' tutti. Appunto mentre i computer rimpicciolivano - da massicce neo piramidi previste da Asimov, fantascienziato peraltro geniale, diventavano portatili come previsto da Richard Feynman, scienziato geniale e basta - a qualcuno è venuto in mente che era ora di dare una spolverata ai Musei della Scienza. Li avevamo ereditati dalle rivoluzioni, da quella industriale inglese e da quella politica francese, entrambe convinte che lo spettacolo pubblico delle meraviglie della scienza e della tecnica facesse bene allo sviluppo, economico e coloniale per l'una, di una mente libera uguale e fraterna per l'altra. Così sono spuntati, funghi sotto una pioggia di miliardi, cattedrali nuove o riciclate e di recente i cosiddetti «Science Centre» (una breve scelta della crescente letteratura che li riguarda si trova nella Bibliografia a pag. 281). Non siamo scrittori ma abbiamo cercato di usare l'italiano corrente, senza troppi termini stranieri magari più precisi ma meno trasparenti. Le eccezioni sono tre: Science Centre: frutto degli amori tra luna park e doposcuola per curiosi di ogni età, sono musei della scienza senza collezioni storiche, o parchi giochi che insegnano come un museo; exhibit: gli oggetti messi sotto gli occhi e spesso sotto le mani del visitatore, vedi definizione seguente; hands on: a volte reso qui con «mani in pasta», dicesi di science centre o exhibit che è fatto per essere maneggiato e si presta all'interattività; si declina anche in nose on, minds on e hearts on, quando oltre alle mani uno è incitato a metterci pure il naso, il ragionamento e le emozioni. Tutti termini inglesi, come inglese è la lingua passepartout della scienza. La quale porta via parole di uso comune e le dirotta ai propri fini. Discendenti da contadini (almeno chi non ha il sangue blu), sappiamo che cos'è un campo: un pezzo di campagna che si ara. Adesso, non è che un campo elettromagnetico si possa arare, ma la parola campo conserva una rassicurante familiarità e segnala una differenza nel paesaggio circostante. Se venisse sostituita con «field», la scolaresca di Voghera rifuggirebbe spaventata e la scienza diventerebbe più esoterica ancora, mentre sarebbe bello, per tanti motivi, se facesse parte della cultura quotidiana. Farcela rientrare è lo scopo dei musei scientifici e tecnici. Dei science centre infarciti di exhibit hands on in particolare: da quando siamo nati, ci creiamo un'idea delle cose, degli eventi e dei fenomeni grazie alle parole di chi ce li spiega, forse, ma anche perché li sperimentiamo con i sensi, il cervello, i ricordi di altre cose e fenomeni. È con il corpo intero che prendiamo la misura di quello che abbiamo attorno e ne traiamo un'immagine più o meno coerente, una conoscenza. Come diceva Simone Weil citata dal collettivo scientifico femminile Ipazia: «il latte si prende dalle poppe, ma è la mucca intera che lo fa». Gli oggetti fatti soltanto per essere visti si appellano a saperi e gusti che abbiamo già nella mente, quelli «interattivi» a misurarci con le cose e a capire come lo facciamo. Musei e centri scientifici hanno una storia (cfr. «Breve storia dei musei della scienza», pag. 31) piena, come tutte le storie, di idee intelligenti e di strani pregiudizi. Sono tanti, non basta un pieghevole con i grandi monumenti europei di cui parla comunque la prima parte (a pag. 55). Serve una guida: non trovandola in giro, l'abbiamo tentata noi. Anche le scienze sono tante e cambiano e si suddividono in continuazione; cambiano anche i luoghi nei quali vengono presentate un po' dappertutto nell'Unione Europea, salvo in Italia e in Grecia. Pare che l'Italia sia il paese al mondo dove si tengono più convegni sui centri scientifici e meno se ne costruiscono: eppur si muove? Risposta nella parte seconda, pag. 127. | << | < | > | >> |Pagina 31Breve storia dei musei della scienza«Scienza» qui è usato come abbreviazione. Sta per le descrizioni della natura (altra abbreviazione, ma sorvoliamo o non si finisce più) fornite dalla ricerca, per le tecnologie che da essa derivano o per quelle che la rinnovano e la indirizzano su nuove strade. Sta anche per quello che noi - la società che edifica e frequenta i musei - pensiamo dei nostri rapporti con il mondo che ci circonda - da esplorare, da migliorare, da preservare o da distruggere - e per l'immagine che ci viene data dell'organizzazione e degli orientamenti, mode e priorità della scienza, insomma della sua politica. Oggi, i musei distinguono fra le molte discipline e sotto-discipline e si specializzano, proprio come la scienza. In questo, smentiscono uno dei libri più influenti del dopoguerra, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, in cui Thomas Kuhn sostiene che sono nuovi concetti a muovere la scienza in nuove direzioni. Come dice il fisico inglese e poi americano Freeman Dyson in Mondi possibili (McGraw Hill Italia, 1988), il saggio «era talmente ben scritto da aver portato un'intera generazione di studenti e storici della scienza a pensare erroneamente che tutte le rivoluzioni scientifiche abbiano origine da idee innovative». E Dyson, per le sei rivoluzioni intellettuali elencate da Kuhn, ne cita una ventina dovute a nuovi strumenti: dal telescopio di Galileo ai rilevatori ad accoppiamento di carica o CCD per l'astronomia, dalla diffrazione dei raggi X all'armamentario che la fisica e la biologia hanno mutuato dall'informatica. La comunità scientifica non è democratica: anche se la maggioranza è convinta che l'aria sia una sostanza elementare e la chiama flogisto, basta un solo signore, Antoine Lavoisier in questo caso (oppure l'inglese Priestley, oppure il tedesco emigrato in Svezia Scheele, dipende dove siete stati a scuola), a dimostrare che è fatta di gas tra cui l'ossigeno. E la maggioranza si adegua. Invece i musei nascono con la democrazia. Nel Cinquecento, gli strumenti e a volte i ritrovati della scienza erano raccolti dai regnanti, dall'aristocrazia o da ricchi mercanti e banchieri in collezioni private, le cosiddette Wunderkammern, o «gabinetti di meraviglia» che contenevano di tutto: opere d'arte come le intendiamo ora, pietre o piante rare dalle forme bizzarre, e astrolabi, telescopi, orologi ecc. Nel Seicento arrivano le Accademie delle scienze, che apriranno poco a poco le proprie collezioni a un pubblico selezionato di curiosi. Nel Settecento la scienza rimane ancora, come voleva Francis Bacon, un'attività per gentiluomini (lui escludeva le gentildonne non sappiamo se per svista o per principio) ma va perdendo poco a poco il nome di filosofia naturale e si scinde dal «sapere universale». L'aristocrazia e l'alta borghesia intellettuale francese si dotano di «gabinetti» di fisica sperimentale o di meccanica; le gentildonne praticano l'astronomia insieme ai signori. Eccezione che conferma la regola, l'apertura alla cittadinanza, e per il suo uso esclusivo e collettivo, del Teyler Museum ad Haarlem, in Olanda (pag. 203) nel 1784. Eccezione, nel senso che prima di quella data le istituzioni scientifiche inglesi già ammettevano il pubblico in visita, ma non erano fatte appositamente per lui. | << | < | > | >> |Pagina 45Musei in rete[...] UN ESEMPIO PER TUTTI Glielo dobbiamo, glielo dobbiamo proprio. L' Exploratorium di San Francisco è stato citato un'infinità di volte in questa guida, ma siccome non è in Europa non abbiamo potuto dedicargli un capitolo. Rimediamo con il suo sito: http://www.exploratorium.edu . L'Exploratorium (il «museo della scienza, dell'arte e della percezione umana») è il padre e la madre del movimento dei science centre: è stato il primo, rappresenta la figura di riferimento per tanti (tutti?) gli altri, è anche fertile in senso letterale, in quanto molti degli exhibit che troviamo in giro per l'Europa sono stati generati a partire dai famosi Cookbooks, le dettagliatissime ricette per costruire esperimenti. I Cookbooks sono destinati a un uso professionale e costano molto cari, ma ci sono anche gli Snackbooks (si può tradurre «ricette da merenda»?), che raccolgono esperimenti realizzabili da chiunque (scuole, ragazzi, insegnanti, genitori volonterosi) con materiali poveri. Partiamo da qui per esplorare il sito: nella sezione The Learning Studio (http://www.exploratorium.edu/ learning_studio/index.html) quasi tutti gli esperimentini degli Snackbooks sono disponibili in linea (i libri sono 107, gli esperimenti in linea 216), molti addirittura in 4 lingue (inglese francese, spagnolo e - udite, udite - italiano!). Sono ricchi di illustrazioni e contengono istruzioni dettagliate per costruire un elettroforo, osservare la propria retina o farsi apparire un buco nella mano semplicemente saccheggiando la propria cucina o rovistando nella scrivania (nota: una selezione delle ricette è stata pubblicata in italiano nel volume Gli esperimenti dell'Exploratorium, cfr. Bibliografia). |
| << | < | > | >> |RiferimentiBibliografia AA.VV., Le guide de la science en France, Hachette, Paris 1994 ed edizioni successive. AA.VV., Museums and the Public Understanding of Science, Science Museum, London 1992. AA.VV., Museum of Modern Science, Nobel Symposium, Watson Publishing International, Stockholm 2000. AMARI M., Guida al turismo industriale: Lombardia, Electa, Milano 1998. BASSO PERESSUT L., Musei per la Scienza, spazi e luoghi dell'esporre scientifico e tecnico, Lybra Immagine, Milano 1998. -, (a cura di), Stanze della meraviglia, i musei della natura tra storia e progetto, Clueb, Bologna 1997. BUTTLER S., Science and Technology Museums, Leicester University Press, Leicester 1992. CERUTA P. (a cura di), Gli esperimenti dell'Exploratorium, Zanichelli, Bologna 1996. DANILOV V.J., Science and Technology Centres, MIT Press, Cambridge, MA 1982. DEMARIE M., BODO S. (a cura di), L'esperienza internazionale dei Science Centre. Concetti, modelli, esperienze, Fondazione Agnelli, Torino 1998. DURANT J. (a cura di), Scienza in pubblico. Musei e divulgazione del sapere, Clueb, Bologna 1998. [...] | << | < | |