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| << | < | > | >> |IndiceCapitolo uno: la terra: 010 Capitolo due: gli oceani: 066 Capitolo tre: l'atmosfera: 124 Commenti / Fonti: 176 |
| << | < | > | >> |Pagina 4IntroduzionePrimavera silenziosa, il libro di Rachel Carson pubblicato nel 1962, è considerato il punto di partenza del movimento ambientalista moderno. Controverso e appassionante, riuscì a risvegliare il mondo dalla completa ignoranza riguardo alla grave minaccia che il DDT (diclorodifeniltricloroetano), un insetticida chimico ampiamente usato negli anni '50 contro gli insetti che trasmettono malattie mortali per l'uomo, come malaria e tifo, rappresentava per l'uomo e la natura. Per quanto indubbiamente efficace, questo pesticida aveva conseguenze devastanti sull'ambiente. Rachel Carson condusse una serie di indagini sullo stato di salute della terra, degli oceani e dell'atmosfera, concludendo che, se non si fossero adottate misure drastiche volte a limitare gli abusi dell'uomo sull'ambiente e a cercare alternative sostenibili, ben presto sul Pianeta sarebbe calata una "primavera silenziosa". Il tema di un'imminente catastrofe ambientale sollevato da Rachel Carson conobbe un ulteriore sviluppo nell'articolo di Garrett Hardin "The Tragedy of the Commons" (Tragedia dei beni comuni), pubblicato nel 1968. Ricollegando il danno ambientale al progressivo aumento della popolazione mondiale, Hardin fu l'ispiratore della prima Giornata della Terra (1970), e del fondamentale Rapporto Meadows (1972) del Club di Roma, in cui si definivano i limiti dello sviluppo mondiale. Durante questi primi anni, le preoccupazioni ambientali si concentrarono soprattutto sulla scarsità di risorse causata da una popolazione sempre più numerosa. Il mondo aveva finalmente iniziato a capire che la capacità di sostentamento offerta dal Pianeta non era illimitata e che il consumo continuo e sregolato avrebbe condotto al disastro ambientale. Le previsioni essenzialmente pessimistiche formulate negli anni '70 cambiarono nel corso del decennio successivo in seguito all'emergere di un nuovo paradigma, quello dello sviluppo sostenibile. L'attenzione si spostò dalla preoccupazione per gli ecosistemi e per le risorse alla fede nella supremazia del mercato, nella convinzione che la crescita economica continua potesse essere compatibile con la tutela dell'ambiente. Opere di grande influenza, come il Rapporto Brundtland sullo sviluppo sostenibile, sembravano suggerire che, contrariamente alle conclusioni tratte dal precedente Rapporto Meadows, non esistessero limiti allo sviluppo. Sarebbe stato sufficiente adottare le cosiddette "strategie verdi" o una "crescita verde". Questa visione fu adottata con entusiasmo da tutta una serie di economisti "verdi", tra cui David Pearce nei suoi libri World Without End e The Economic Value of Biodivesity (scritto in collaborazione con Dominic Moran). La scelta di concentrarsi sull'economia invece che sulla conservazione caratterizzò anche il lavoro di altri economisti, forse meno sensibili alle tematiche ambientali, come Bederman (1996) e Lomberg (2001), che decisero di sfidare le affermazioni del movimento ambientalista dichiarando di non ritenere che la situazione mondiale fosse in via di peggioramento. Sostenevano che le preoccupazioni di ordine ecologico erano apparentemente sbagliate o gonfiate ad arte e, se solo l'ambiente fosse stato affidato al mercato, sia la popolazione mondiale che l'ecosistema avrebbero prosperato. Da allora, un decennio di espansione economica sospinta dal debito e dal rapido sviluppo dei Paesi del cosiddetto BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) ha focalizzato la nostra attenzione su ciò che nel 1972 Ward e Dubos avevano scelto come titolo per il loro libro: Una sola Terra (1972). Lo sviluppo di quella che è stata definita "impronta ecologica" ha dimostrato senza possibilità di dubbio che, considerato il ritmo attuale di sfruttamento delle risorse, la specie umana sta vivendo al di sopra delle possibilità di sostentamento concesse dal Pianeta. Le estinzioni largamente annunciate, come quella del lipote (delfino d'acqua dolce del fiume Yangtze) in Cina, hanno scosso l'opinione pubblica mondiale, mettendola nuovamente faccia a faccia con l'imminente catastrofe ecologica predetta da Rachel Carson quasi cinquant'anni fa. L'atteggiamento del mondo sta lentamente cambiando. Entro certi limiti, le prove scientifiche hanno dato ragione al messaggio ambientalista e il cambiamento climatico antropogenico (ossia causato dall'azione umana) è ormai un dato di fatto e non più una semplice teoria. Ora, i principali responsabili dell'inquinamento quanto meno riconoscono il loro ruolo nei cambiamenti inflitti all'atmosfera e, in definitiva, a tutte le specie che popolano il Pianeta, Homo sapiens incluso. Molte persone stanno iniziando a giungere alla stessa conclusione espressa da Heinberg, secondo cui, lungi dall'abitare un "mondo senza fine", ci troviamo di fronte a un secolo di declino. Come conseguenza di questo mutato atteggiamento, si è provveduto a raccogliere oltre un miliardo di dollari per salvaguardare le aree verosimilmente più importanti del Pianeta dal punto di vista ambientale: gli "hotspot" (punti caldi) di biodiversità. Oggi accade che alcune delle specie maggiormente minacciate, come ad esempio il pappagallo kakapo, vengano protette all'interno di riserve prive di predatori, dove possono lentamente cominciare a riprodursi. Per altre specie, come la tartaruga dell'isola di Pinta, nelle Galapagos, è ormai troppo tardi. George il Solitario è l'ultimo di questa specie, un'amara prova della lentezza con cui ancora oggi si cerca un equilibrio fra sviluppo e tutela. Il presente volume evidenzia lo stato attuale del Pianeta, a cinquant'anni dall'avvertimento lanciato da Rachel Carson circa il potenziale disastro ambientale futuro, che si sarebbe potuto evitare solo smettendo di danneggiare l'ambiente. La nostra speranza è che i dati scioccanti sull'ambiente contenuti in questo libro possano muovere l'opinione pubblica a fare pressione sui governanti, spingendoli ad adottare politiche e strategie che consentano sia alla popolazione sia all'ambiente di imboccare un nuovo corso che possa evitarci una "primavera silenziosa".
Questo libro si divide in tre parti, che prendono in
esame l'impatto umano su LA TERRA, GLI OCEANI e L'ATMOSFERA.
LA TERRA
Gli esseri umani hanno bisogno di un luogo dove
vivere, e attualmente 7 miliardi di individui affollano
la Terra, depredandola delle sue risorse. La biodiversità
terrestre non si concilia felicemente con l'assalto che le
muove l'espansione umana. Non sorprende, pertanto, che
con l'aumentare del consumo delle risorse siano stati
identificati alcuni hotspot di biodiversità, coincidenti
con le aree ecologicamente più importanti del Pianeta.
Tuttavia, anche questi santuari della natura, per lo più
foreste tropicali e piccole isole dalle caratteristiche
uniche, si trovano già a fronteggiare gravi minacce. La
loro sopravvivenza è perciò vitale nell'ottica di preservare
un bacino di risorse genetiche fondamentali. L'impatto
dell'agricoltura e la distruzione degli habitat naturali
hanno colpito, più o meno direttamente, numerose specie.
Stiamo vivendo al di sopra delle possibilità di sostentamento
offerte dal nostro Pianeta: i fatti parlano chiaro. Questa
sezione del libro analizza l'impatto umano sulla terra che
sta sotto i nostri piedi.
GLI OCEANI
Gli oceani ricoprono circa il 70% della superficie
del Pianeta, distese d'acqua che sembrano infinite e capaci
di produrre risorse illimitate a disposizione dell'uomo.
Eppure, nel corso degli ultimi decenni sono emersi due
problemi. Il primo è dato dalla scoperta che gli oceani
sono interconnessi, il che significa che l'inquinamento e
i rifiuti inesorabilmente si diffondono dall'uno all'altro,
fino a contaminarli tutti. Allo stesso modo, i commerci
d'oltremare hanno contribuito ad avvicinare il mondo come mai
in precedenza, ma hanno anche diffuso specie aliene invasive
in nuove aree, con conseguenze spesso disastrose. Il secondo
problema è la consapevolezza che la generosità illimitata
degli oceani era una mera illusione. Oggi sappiamo che gli
oceani sono stati inquinati e sfruttati oltre ogni limite.
L'ATMOSFERA
L'atmosfera avvolge la Terra come una coperta
protettiva essenziale allo sviluppo della vita. Questo
fragile involucro ci fornisce l'aria che respiriamo, regola
la temperatura della superficie terrestre e protegge gli
esseri viventi dai danni delle radiazioni ultraviolette.
Eppure, l'attività umana non cessa di inquinare l'atmosfera,
di modificarne la composizione chimica e, di conseguenza,
di alterare il clima del Pianeta. Nonostante molto sia stato
scritto sui pericoli del riscaldamento globale, gli abitanti
del Pianeta non si sono ancora decisi a intraprendere azioni
decisive per fermare, o almeno rallentare, questo processo.
Dopo avere esaminato i problemi globali, occorre considerare anche quelli a livello regionale o locale. Per quanto siano stati fatti progressi in materia di piogge acide, mettendo al bando la combustione a carbone in alcune aree o cercando modalità più pulite per bruciare i combustibili, la realtà non è particolarmente incoraggiante. L'impatto dell'inquinamento dell'aria nelle aree urbane, un'altra problematica per cui ci si era illusi di avere trovato una soluzione grazie all'approvazione dei vari Clean Air Act nel corso degli anni '50, rappresenta ancora oggi una delle peggiori minacce per la salute della popolazione locale. Ma anche all'interno delle nostre case i danni che provochiamo all'ambiente non ci danno tregua, rendendo l'inquinamento domestico un problema sempre più rilevante. Questo libro si propone di risvegliare le coscienze e non di presentare una litania di fatti e statistiche deprimenti. Per ogni sconfortante problematica ambientale esiste una soluzione alla portata delle capacità umane. In molti casi, si tratta di soluzioni semplici, e quasi tutte richiedono un diverso atteggiamento nei confronti dell'aria che respiriamo, dell'acqua che beviamo e della terra su cui viviamo. Lo slogan "pensa globale, agisci locale" sarà forse diventato un luogo comune, ma è ancora vero, oggi più che mai. Considerate il vostro impatto sul Pianeta e modificate il vostro atteggiamento e le vostre azioni per proteggerlo da un ulteriore degrado. Scrivete lettere di protesta. Comprate prodotti locali. Andate al lavoro in bicicletta. Fate la raccolta differenziata. Tanti piccoli cambiamenti a livello locale sono davvero in grado di realizzare un grande cambiamento a livello globale. | << | < | > | >> |Pagina 1295%: La percentuale di estinzione delle forme di vita mai esistite su questo Pianeta.10.000: L'attuale indice di estinzioni per anno, contrapposto a un dato storico di 1.000 l'anno. COMMENTO: Il processo di selezione naturale causerà inevitabilmente la scomparsa di alcune specie, mentre altre, nuove, si evolveranno. L'estinzione delle specie procede con una rapidità mai sperimentata dall'ultima estinzione globale di massa, avvenuta circa 65 milioni di anni fa. Le testimonianze fossili dimostrano che il tasso di estinzione annuo per le specie marine in passato procedeva al ritmo di 0,1-1 specie estinte su un milione; per i mammiferi si attestava su 0,2–0,5. Si calcola che il tasso attuale sia di 100–1000 volte superiore a quello considerato naturale. Questo fenomeno è dovuto principalmente ai mutamenti nell'uso della terra, ad esempio allo sviluppo dell'agricoltura e all'urbanizzazione, oltre che all'introduzione di specie invasive. FONTI: G. Mace, H. Masundire e J. Baillie "Biodiversity" in Ecosystems and Human Weilbeing: Current State and Trends, a cura di H. Hassan, R. Scholes e N. Ash, 2005. http_//www.maWeb.org/documents/document_273.aspx.pdf J. Rockström, W. Steffen, K. Noone et alii, "Planetary boundaries: exploring the safe operating space for humanity" in Ecology and Society, 14(2):32, 2009. http://www.ecologyandsociety.org/vol14/iss2/art32/ 0. Sala, F. Chapin III, J. Armesto et alii, "Global biodiversity scenarios for the year 2100" in Science, 287, 2000, pp. 1770–1774. | << | < | > | >> |Pagina 202,3%: L'area complessiva di superficie terrestre occupata dalle 34 oasi (hotspot) di conservazione che ospitano quasi il 50% delle specie vegetali e il 42% delle specie di uccelli, mammiferi, rettili e anfibi del Pianeta.70%: Il totale di specie vegetali spontanee già scomparse in questi hotspot di biodiversità. COMMENTO: Il concetto di "hotspot di biodiversità" è stato ideato da Norman Myers nel 1988. Per qualificarsi come tale, una regione deve rispondere a due rigidi criteri: deve contenere almeno lo 0,54 o 1500 specie di piante vascolari endemiche (presenti solo in quel luogo) e deve avere già perso almeno il 70% del suo habitat originario. FONTI: [...] | << | < | > | >> |Pagina 2252%: La percentuale di mammiferi globalmente minacciati di estinzione endemici di questi hotspot.47%: Il tasso di perdita previsto per queste specie endemiche in caso il loro habitat si riducesse di altri 1000 km2. COMMENTO: La natura sembra avere collocato molte uova in un solo nido, perché questi "punti caldi" ospitano anche le cosiddette "specie endemiche", ossia quelle reperibili soltanto in un'area specifica del Pianeta. Eppure, questi hotspot non solo hanno già perso il 70% della loro vegetazione originaria, ma sono anche colpiti da alcuni dei più devastanti fenomeni di distruzione dell'habitat, a causa dell'aumento della popolazione umana e della sua sempre maggiore densità. Anche se il tasso di perdita dell'habitat all'interno dei diversi hotspot è variabile, sembra subire un'accelerazione generale, rendendo quanto mai cupo il futuro di molte di queste specie endemiche. FONTI: [...] | << | < | > | >> |Pagina 361.175 $: Il valore annuo di un singolo ettaro di foresta pluviale amazzonica sfruttato in modo sostenibile.110–150 $: Il valore annuo di un singolo ettaro convertito a pascolo o ad altri usi agricoli. COMMENTO: Diversi studi sulla foresta pluviale tropicale amazzonica ne hanno stimato il valore annuo di un singolo ettaro in 1.175 dollari. Questa valutazione comprende 549 dollari/ha/anno derivanti dal legname, dalle resine, dal lattice, dagli alimenti e dal turismo; 414 dollari/ha/anno per la sua capacità di assorbimento del carbonio dall'atmosfera, per la prevenzione dell'erosione del suolo e per il contenimento delle inondazioni; 212 dollari/ha/anno per le possibili scoperte future in campo medico o agricolo e per i vantaggi intangibili correlati. Il costo della deforestazione in Brasile da solo si attestava attorno all'8–18% del suo PIL complessivo, evidenziando la completa follia di un simile spreco di risorse sia naturali sia umane. Le stime del valore dei prodotti ottenuti dagli utilizzi commerciali e non-sostenibili della foresta pluviale variavano annualmente tra i 150 dollari/ha in caso di sfruttamento agricolo e i soli 110 dollari/ha nel caso dell'utilizzo a pascolo per l'allevamento: una misera frazione dei 1175 dollari per ettaro all'anno. FONTI: [...] | << | < | > | >> |Pagina 4260 milioni: Il numero stimato di bisonti che vivevano nelle grandi pianure americane prima della colonizzazione europea del XIX secolo.1000: Il numero stimato di bisonti sopravvissuti ai grandi massacri del 1870–1873 e del 1880–1883. COMMENTO: In linea di massima, gli indiani d'America convivevano in modo sostenibile con i bisonti. La rapida espansione europea in Nord America nel XIX secolo, però, immise la tecnologia europea in quello che potremmo definire un ambiente incontaminato, provocando un netto calo della popolazione di molte specie. Si ritiene che siano bastati 200 anni per distruggere il 95% di tutte le foreste esistenti, a fronte dei 2000 anni impiegati in Europa per raggiungere lo stesso risultato. Ma i danni provocati in America del Nord non si limitano alla scomparsa dei bisonti e delle foreste: dai tempi della prima ondata di concessioni terriere ai coloni, nel 1830, si stima che sia andato distrutto l'80–90% delle praterie delle pianure orientali. La conseguenza di una simile perdita dell'habitat ha causato l'estinzione del 98% della popolazione del cane delle praterie, con il conseguente declino di altre specie come il furetto dai piedi neri, la poiana ferruginosa (Buteo regaiis) e la volpe americana. FONTI: [...] | << | < | > | >> |Pagina 5825 settembre: Il giorno in cui il mondo va in debito quanto a consumo di risorse e smaltimento dei rifiuti (EOD — Earth Overshoot Day).25 novembre: L'EOD nel 1995. Il confronto dimostra come l'umanità stia consumando le risorse a un ritmo sempre più rapido, eccedendo le capacità produttive del Pianeta. COMMENTO: Si è molto discusso su quello che alcuni hanno definito un approccio neo-malthusiano al consumo delle risorse. Secondo la New Economics Foundation (NEF), l'incessante corsa alla crescita economica, eccessivamente focalizzata sul prodotto interno lordo, ha condannato oltre un miliardo di persone all'assoluta miseria, senza peraltro incrementare sensibilmente il benessere di chi era già ricco, né creando maggiore stabilità economica. Al contrario, ha trascinato le nazioni sull'orlo di un abisso rappresentato da una rapida diminuzione delle risorse naturali e dall'imprevedibilità dei cambiamenti climatici. L'analisi del NEF conferma che i Paesi in cui la popolazione ha uno stile di vita migliore stanno conducendo pratiche ecologicamente insostenibili, consumando una quantità di risorse superiore a quella che il Pianeta è in grado di fornire naturalmente. In conclusione, l'umanità starebbe accumulando un debito ecologico tale da condannare gli ecosistemi di tutto il mondo a un catastrofico collasso finale. FONTI: [...] | << | < | > | >> |Pagina 9240% Percentuale del totale del pescato costituita da "rigetti" (bycatch), catturati accidentalmente e in seguito abbandonati in mare.COMMENTO: Nella pesca commerciale, le reti usate per catturare un tipo particolare di pesce (le prede target) imprigionano anche altre specie non desiderate (definite prede involontarie o accidentali). Le stime sul fenomeno variano fortemente, passando dal 10% nel caso di alcune navi peschereccio ben organizzate e molto selettive al 90% delle imbarcazioni malamente attrezzate per la pesca a strascico dei gamberi. I rapporti commissionati dall'Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura delle Nazioni Unite quantificavano la pesca accidentale complessiva sui 27 milioni di tonnellate nel 1994, ma soltanto in 7 milioni di tonnellate nel 2004. Questa differenza deriva dal miglioramento delle modalità di pesca e dalla mutata definizione di "pesca involontaria". Ora, si definisce "accidentale" la pesca di quelle specie che non costituivano l'obiettivo primario della spedizione e che finiscono scartate e ributtate a mare, oppure portate a terra ma non vendute (e quindi eliminate), oltre a tutte le specie catturate ma non lavorate. Quest'ultimo gruppo dimostra che la pesca delle specie non utili alla successiva lavorazione è intrinsecamente insostenibile, dato che non c'è possibilità di individuare una soglia "di sicurezza". FONTI: [...] | << | < | > | >> |Pagina 128450 parti per milione di anidride carbonica: secondo alcuni scienziati sarebbe questo il "punto di non ritorno" del cambiamento climatico, la soglia oltre la quale il fenomeno diverrebbe pericoloso e irreversibile.2042: L'anno in cui si presume che, secondo il ritmo attuale, il mondo raggiungerà una concentrazione di 450 parti per milione di anidride carbonica nell'atmosfera. COMMENTO: È tuttora in corso un acceso dibattito sul "punto di non ritorno" in cui i cambiamenti climatici diventerebbero irreversibili e l'aumento delle temperature minaccerebbe le riserve alimentari e idriche globali. Il livello di 560 ppm è ampiamente riconosciuto come pericoloso, anche se una concentrazione di 450 ppm si ritiene possa portare a un aumento medio della temperatura globale di 2°C, che molti scienziati considerano già eccessivo. Secondo il climatologo James Hansen, del Goddard Institute per gli studi spaziali della NASA, basterebbe un livello di 350 ppm (inferiore a quello registrato nel 2009) per scatenare cambiamenti irreversibili. Hansen sottolinea che in passato i poli si sono trovati in larga misura privi di ghiaccio già in presenza di una concentrazione pari a 425 ppm. FONTI: [...] | << | < | > | >> |Pagina 146Una centrale elettrica a carbone da 500 megawatt emette annualmente una quantità di anidride carbonica paragonabile a quella emessa da circa 600.000 automobili.COMMENTO: Il carbone è un combustibile fossile molto abbondante, ma inquina molto più del petrolio o del gas. Nel biennio 2004—05, gli Stati Uniti hanno pianificato la costruzione di circa 150 nuove centrali elettriche a carbone. Grazie alle mobilitazioni degli ambientalisti, alle complesse questioni giudiziarie e ai cambiamenti della normativa sulle emissioni, la maggior parte di queste centrali non sarà mai realizzata. In altre regioni del mondo, però, il carbone rappresenta con ogni probabilità la spina dorsale dell'espansione della rete elettrica per gli anni a venire. Sia l'India sia la Cina progettano di costruire centinaia di nuove centrali elettriche a carbone nei prossimi decenni. Alcune saranno più efficienti e pulite rispetto a quelle realizzate in passato, ma continueranno comunque a rilasciare nell'atmosfera gas serra e altre sostanze dannose. FONTI: [...] | << | < | > | >> |Pagina 1644.000: Il numero di sostanze chimiche tossiche presenti nel fumo passivo.30%: L'incremento del rischio di morte per malattie cardiovascolari causato dal fumo passivo. COMMENTO: Accendendo una sigaretta si emettono due tipi di fumo: quello direttamente inalato nei polmoni del fumatore, e quello diffuso nell'aria circostante. Si stima che il fumo involontario sia per il 15% fumo esalato dai fumatori e per l'85% fumo disperso nell'ambiente (il cosiddetto "sidestream smoke"). Tra le 4.000 sostanze chimiche tossiche rilevate nel fumo passivo, ve ne sono almeno 40 cancerogene. Molte di queste sostanze dannose per la salute sono presenti in concentrazioni molto più elevate nel fumo passivo che, rispetto al fumo attivo, contiene percentuali di monossido di carbonio cinque volte superiori (che riducono la capacità dell'emoglobina di ossigenare i tessuti), quantità di benzopireni tre volte maggiori (cancerogeni) e quantità di ammoniaca cinquanta volte superiori (irritante per gli occhi e per l'apparato respiratorio). Poiché il fumo può restare negli ambienti interni per molte ore, si ritiene che esista un nesso causale tra il tabagismo dei genitori e le infezioni acute delle basse vie respiratorie dei più piccoli.
FONTI:
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