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| << | < | > | >> |Pagina 11Succede sull'aereo. Siamo in volo sopra il Mediterraneo, da qualche parte tra Roma e Palermo, e mentre guardo il mare fuori dal finestrino, quel mare che di qui a pochi decenni avrà inghiottito chissà quante isole in tutto il mondo e milioni di chilometri di costa, lei a un tratto mi tocca un braccio. Io mi volto. La guardo con aria interrogativa. Si toglie le cuffie dell'iPod. Mi dice qualcosa. D'istinto, aggrotto le sopracciglia. Lei allora toglie le cuffie dell'iPod anche a me, zittendo all'istante Madonna, e ripete la frase che mi sembrava di averle letto sulle labbra. «Ricordati che me l'hai promesso.» «Promesso? Io?» le chiedo, anche se so benissimo a cosa si riferisce. «L'altra sera, dopo la cerimonia.» «Avevo bevuto. Non ricordo.» «Non fare il furbo.» Sorride, mettendo su subito dopo quel suo adorabile broncio. Mi arrendo. «Che cosa ti ho promesso?» «Che in Sicilia faremo un figlio.» Dire proprio così: Che in Sicilia faremo un figlio. E, in quel momento, iniziamo la discesa. | << | < | > | >> |Pagina 13«Tu che dici? Come finirà?» «Come finirà che cosa?» «Come finirà questa storia?» «Quale storia?» «La nostra storia.» «La nostra storia?» mi fa lei, abbassando le spalline bianche del bikini. «E la chiami tipo storia?» Le sorrido. La adoro, quando fa così. «Perché, scusa? Quale parola dovrei usare?» «Mah, fai un po' tu.» «Dài, dimmi.» «Be', mi pare forzato... mica stiamo parlando di una robetta così. Forse una parola sola non basta. Forse ce ne vogliono di più. Forse dovresti dire qualcosa tipo "il Grande Amore della Nostra Vita". E tutto con le maiuscole, non credi?» «Be', sì. Hai ragione, in effetti.» Mi alzo a sedere sul lettino blu. La guardo. I lunghi capelli bruni. Le lunghe braccia sottili. Le lunghe gambe affusolate. Per non parlare degli alluci: davvero lunghissimi, e staccati almeno due centimetri dalle altre dita dei piedi. Siamo in Sicilia da appena un paio di giorni e lei, al contrario di me, si sta già abbronzando. «Ora, a parte il fatto che ci siamo sposati sabato scorso e siamo qui in viaggio di nozze, anche perché alle Mauritius, Seychelles e Maldive sono già stata e volevo tipo conoscere i luoghi della tua infanzia di cui praticamente non mi hai ancora parlato, tu e io stiamo insieme da sei mesi, Luca. Dico, sei mesi. Non so se ti rendi conto: mezzo anno. È troppissimo. Conosci per caso una coppia che stia insieme da così tanto?» «Fammi pensare.» Il caldo naturalmente è record, e la spiaggia ovviamente brucia. In compenso c'è poca gente. Siamo a fine giugno e la maggior parte dei bipedi non è ancora in vacanza. «Allora?» «Be', ci sono...» esito. «Alfredo e Susanna. Loro stanno insieme da mezzo secolo, più o meno.» «Sì, ma Alfredo e Susanna sono i miei nonni, tesoro. E i nonni non valgono. Trovami qualche unione di lunga durata tra quelli della nostra età, please. A parte il fatto che io di anni ne ho appena trentuno, e tu già quaranta.» «Vabbè, poi passano.» «Tra l'altro sai che cosa voglio in regalo per i miei trentadue.» «No che non lo so.» «Sì che lo sai. Dato che ora ci stiamo togliendo la Sicilia della tua infanzia, voglio, anzi, pretendo, no, esigo un viaggio stramegasuper in Laos, Vietnam e Cambogia.» «La Cambogia pullula di mine antiuomo.» «Fatti tuoi, io sono una ragazza.» «E in Vietnam c'è la Sars.» «Cos'è'? Un'alga tossica?» «Oh mio dio.» «Se è un'alga tossica non mi tange. Basta e avanza fare un po' d'attenzione quando si fa il bagno.» «Non è un'alga tossica, è l'influenza aviaria. Ma non li leggi i giornali?» «No che non li leggo. Lo sai. Il maniaco dei giornali sei tu.» «Già. Allora sappi che potenzialmente l'aviaria ha già fatto milioni di morti.» «Che vuol dire potenzialmente l'aviaria ha già fatto milioni di morti?» sbotta lei, rigirandosi sul lettino blu e lanciandomi un'occhiata da dietro i suoi Gucci a fascia. Almeno credo: oltre che a fascia sono anche a specchio. «Vuol dire che nei mesi scorsi si prevedevano milioni di morti, e che anche se per il momento non ci sono ancora stati, questo non ci autorizza ad abbassare la guardia. Forse non te ne sei accorta, ma la gente non mangia più polli. In generale, evita tutto ciò che vola: quaglie, fagiani, pterodattili. Inoltre si tiene alla larga dai ristoranti cinesi, e sta attenta anche alle uova.» Si alza i Gucci. Mi fissa con un'aria divertita. «Ma quanti morti ci sono stati, finora?» «Ehm... la cifra esatta... non è nota», farfuglio. «Più o meno», insiste lei. «Non conosco gli ultimi dati ufficiali», abbozzo, stringendomi nelle spalle. «Centomila? Diecimila? Mille?» «Che io sappia...» esito. «Che tu sappia?» «Due morti. No, aspetta, sei. Diciamo una ventina tra Corea, Cina e Vietnam, insomma. Non ricordo esattamente. Il Laos comunque è lì a due passi. E se non sbaglio c'è stata anche una vittima in Turchia.» | << | < | > | >> |Pagina 63Siamo da Gerardi, il lussuosissimo negozio di prelibatezze di piazza Mameli. La temperatura all'esterno deve essere intorno ai trentotto gradi. Ma dentro, grazie all'aria condizionata a livelli thailandesi, si gela. Mi aggiro tra i banchi strabordanti di merci aspettandomi di inciampare in qualche stalattite. O stalagmite? Prima o poi dovrò procurarmi un dizionario e verificare una volta per tutte, penso. Grazie al gioco di specchi creato da un paio di vetrinette riesco a darmi una rapida occhiata alla nuca. Ma non riesco a capire se per caso da ieri a oggi ho perso qualche capello. Bottarga di Favignana. Pistacchi di Bronte. Capperi di Pantelleria. Origano di Agrigento. Pomodori di Pachino. Acciughe di Messina. Olive del Belice. Olio di Paternò. Ragusano di Noto. Provola di Floresta. Primosale di Caltanissetta. Pecorino di Corleone. Mandorle di Avola. Arance di Ragusa. Fichi d'India dell'Etna. E l'uva? Qui a Marsala la usano per fare il vino Florio, Donnafugata, Pellegrino, quindi da Gerardi tengono quella da tavola assai celebre di Canicattì. Da Gerardi tutto sfavilla sotto le luci scintillanti dei neon, a parte l'omino ingobbito sul marciapiede di fronte al negozio, che in camice blu e con la barba di tre giorni attende sotto il sole di caricare su una minuscola bici le borse colme di roba per le consegue a domicilio. «Ehi! Hanno perfino le scatolette con il condimento per la pasta coi ricci!» esclama Benedetta dal corridoio parallelo a quello dove mi trovo. La raggiungo. Afferro una delle scatolette in questione e controllo la provenienza. «Sì, però arrivano dal Portogallo. Chissà che ci mettono, per conservarlo. Come minimo è cancerogeno.» «Paranoico», scuote la testa lei. «Sei totalmente paranoico.» «Che senso ha comprare del condimento per la pasta coi ricci in scatoletta e pure portoghese, in Sicilia?» «Be', da noi i ricci non si trovano. E se poi sono veramente... sì, insomma, e se questa voglia di pasta coi ricci continua a venirmi anche quando siamo tornati a casa? Esigo almeno dieci o dodici scatolette di condimento per la pasta coi ricci. No, venti. Ehi! Ce ne sono anche di spagnole!» Attacca ad accaparrarsi scatolette come se avessimo appena dichiarato guerra alla Turchia. Lascio perdere e mi allontano. Al bancone della pasta fresca quattro matrone marsalesi uscite di casa con tanto di capi e ori razziano voraci busiate e gnocculi. Anche mia madre li comprava fatti, e quando papà tornava a casa dal servizio gli dava a intendere di aver passato la mattina a impastare. Lui fingeva di non essersi accorto dell'involucro del pastificio dimenticato sul piano lavoro della cucina e le schioccava un bacio in fronte. Poi veniva da me, mi strizzava l'occhio accarezzandomi la nuca e mi chiedeva di mostrargli il diario e i quaderni per controllare se avevo fatto per bene i compiti. Nel settore vini e liquori mi blocco di fronte al Moscato di Pantelleria. Papà ne beveva un bicchierino dopo cena, quando seduto in poltrona fumava uno dei suoi Toscani leggendo qualche pagina di Seneca o Tacito, oppure chiacchierando con i colleghi che invitava a cena da noi almeno una volta la settimana. La mamma, che naturalmente detestava l'odore di sigaro, giocava a carte in terrazza con le amiche, e cioè con le mogli degli altri ufficiali. Quel giorno, però, prima papà e poi mamma vennero lasciati soli. Soltanto il colonnello Rallo si comportò diversamente. Faccio per prendere una bottiglia dallo scaffale ma poi esito perché lì accanto c'è il Passito, sempre di Pantelleria. Vengo colto dal dubbio: quale dei due preferiva papà? Il Moscato o il Passito? Ben Ryé, leggo sull'etichetta. Prodotto con uve Zibibbo maturate e appassite al sole e al vento dell'isola. Vino da meditazione, da abbinare a formaggi erborinati, fegato grasso e dolci della tradizione siciliana. Da provare sul cioccolato. Servire a 14 °C. Sto per controllare le diciture su una bottiglia di Moscato, quando a un tratto ho come la sensazione di essere osservato, e allora mi volto e... No, non ci credo. «Luca!» «Katja?» Mi si avvicina, e un po' impacciata mi bacia sulle guance, abbozzando un abbraccio. È proprio lei, non ci sono dubbi. «Che sorpresa!» mi fa. «Non avrei mai immaginato di incontrarti qui!» «Da Gerardi?» «Be', più che altro a Marsala. Quanto tempo è passato!» «Direi... ventisette anni. Più di un quarto di secolo, temo.» «Come siamo invecchiati, eh?» mi fa. «Invecchiati?» sorrido. «Non direi. Non ancora, almeno. Di certo non tu». anche se mentre lo dico noto le rughe che ha intorno agli occhi, e la piega amara della sua bocca. «Ma che ci fai qui?» mi chiede. Ha anche messo su qualche chilo, non troppi. Del resto ha tre anni più di me, quindi va per i quarantaquattro. «Io? Tu piuttosto! La Germania è lontana.» «Oh, sai, io a Monaco insegno italiano. Torno in vacanza in Italia ogni anno, e di tanto in tanto scendo a Marsala, come facevo con i miei genitori. Devo dire che tutte le volte ho anche sperato di incontrarti, ma non è mai successo. Fino a oggi.» «Già.» Chissà dov'è Benedetta, mi chiedo. «Ma tu non mi hai risposto. Che ci fai qui, dopo tutto questo tempo?» Esito, chissà perché. «Sei con la mamma? Vivi ancora con lei?» Sento il trillo del cellulare che uso per comunicare con mia madre. Lo ignoro. «Ehm», mi schiarisco la voce. «No. Non vivo più con lei. Mi sono... sposato. Sono qui... con mia moglie.» «Oh, quante novità! Siete sposati da molti anni?» «Una decina... di giorni.» «Mein Gott! Ma allora siete in viaggio di nozze, no?» «Be', non proprio. Più o meno. Cioè, in definitiva sì. Benedetta voleva conoscere i luoghi della mia infanzia e adolescenza, ecco.» «E sei felice?» «Mah, direi di sì. Certo che sì. Anzi, direi che sono più che felice. Sono... molto contento. E tu?» In quell'istante risuona il trillo di un altro cellulare. È il Nokia che uso per comunicare con Benedetta. Quelli che usiamo per il lavoro abbiamo deciso di tenerli spenti. «Scusa», dico a Katja. Mi frugo nelle tasche dei pantaloni. Lo trovo. «Si? Io? Come dove sono? Con te, da Gerardi. Ah, sì? E dove? In farmacia? Quale farmacia? Ah, ho capito. Va bene. Sì. Arrivo.» Chiudo la comunicazione. «Devi andare?» mi chiede Katja. «Mia moglie mi aspetta», le rispondo. «Magari uno di questi giorni ci si rivede.» «Già, perché no?» «Vi fermate a lungo?» «Uhm, non saprei... un paio di settimane, credo. Forse una. Dipende. Sai, in realtà vogliamo girare un po'. Palermo, le isole. Comunque Marsala non è grande, ci s'incontra di sicuro.» «Lo spero. Allora... arrivederci, Luca.» «Ciao, Katja.» Mi bacia nuovamente sulle guance. Giro i tacchi. Quando arrivo all'uscita, una cassiera mi blocca. «Sua moglie ha lasciato queste da pagare.» Mi indica una montagna di scatolette di condimento per la pasta coi ricci. Pago in contanti dodici scatolette di condimento per la pasta coi ricci spagnole e nove scatolette di condimento per la pasta coi ricci portoghesi, per un totale di ventuno scatolette di condimento per la pasta coi ricci, 189 euro e 63 centesimi. Sono quasi 400.000 lire di condimento per la pasta coi ricci, ma non importa. Voglio solo uscire. Fare in fretta. Andarmene. | << | < | > | >> |Pagina 111Seduto con le gambe penzoloni sul pelo dell'acqua all'estremità del molo per Mozia, guardo l'isola che si staglia nera contro il cielo invaso dal rosso del sole sul punto di tramontare al di là dell'orizzonte, nel breve tratto di mare che da qui sembra quasi unire anziché separare Marettimo e Favignana. Ho mal di testa. Ma per una volta non vengo sfiorato dal dubbio che si tratti di un cancro al cervello. E che a un tratto sono confuso. In teoria dovrei sentirmi felice all'idea di diventare padre. E fino a oggi in effetti mi sembrava di esserlo. Così come per avere sposato Benedetta. Solo che ritrovare Katja dopo tutti questi anni mi ha... turbato, ecco. Non perché lei mi dica ancora qualcosa, questo no. Ormai ha quarantatré anni. Ricordo che la prima volta la vidi uscire dal mare al Lido Delfino, indossava un bikini giallo con i bordi blu. Noi, papà, mamma e io, eravamo scesi in spiaggia con il colonnello Rallo e sua moglie. Il colonnello mi prese per mano e mi portò da lei, che intanto si stava asciugando i capelli con un telo bianco. Luca, mi disse strizzandomi un occhio, questa è Katja, la figlia dei tedeschi a cui abbiamo affittato la casa al mare. Suo nonno ha fatto la guerra con me, quand'ero ragazzo, tanti anni fa. Katja e io ci guardammo, e mi innamorai di lei. O almeno credetti di innamorarmi. Non mi era mai successo nulla di simile, prima di allora. A scuola, alle medie, avevo messo gli occhi su un paio di ragazzine. Ma Katja era più grande di loro e di me, e veniva da un posto esotico, la Germania. Non c'era gara tra lei e le mie compagne di classe, tra l'accento tedesco di lei e quello siciliano di loro. Katja evocava con ogni suo gesto o sguardo un mondo lontano, a me sconosciuto. Non era solo una bella ragazza straniera, rappresentava le infinite possibilità del futuro. Chiacchierare in spiaggia con lei, o incontrarla per caso un pomeriggio alla Standa e scambiare un sorriso e un saluto alla presenza dei rispettivi genitori, era già lasciare Marsala zaino in spalla, esplorare luoghi sconosciuti. Ricordo una sera, il colonnello Rallo e sua moglie ci avevano invitati al mare, nella casa che avevano affittato a quella famiglia tedesca, perché la madre di Katja aveva voluto organizzare una cena bavarese per tutti. Mangiammo in giardino wurstel e crauti, e feci il possibile per farmi piacere la senape. Dopo cena il padre di Katja montò il proiettore e fece scorrere su un lenzuolo centinaia di diapositive: si era divertito a documentare il viaggio da Feldafing a Marsala. Per la prima volta in vita mia, approfittando del buio e del riparo offerto da un pino marittimo, baciai una ragazza. Katja e io ci baciammo molte altre volte, e un giorno facemmo l'amore nel garage del colonnello, approfittando del fatto che tutti erano in spiaggia. Il giorno della sua partenza ci scambiammo gli indirizzi. Quando l'auto con la D accanto alla targa sparì in direzione di Palermo, piansi. La prima lettera gliela spedii quella mattina stessa. Poi ne vennero altre. Dopo la morte di papà, smisi di scriverle. Lei per un po' continuò a farlo. A un certo punto credetti di dimenticarla. Ma a diciott'anni, quando finite le superiori decisi di affrontare la mia prima vacanza da solo, feci un biglietto Inter-Rail e finii a Monaco. Su un'agendina avevo ancora il suo indirizzo e il numero di telefono. La chiamai. Per puro caso lei in quel momento non era fidanzata. Fu così che ci mettemmo insieme, e che iniziarono i miei frequenti viaggi tra l'Italia e la Germania. Non potevamo immaginare allora che a una ventina d'anni di distanza ci saremmo rivisti proprio qui, lei con una figlia, io fresco sposo. Katja, Katja. Eri così bella, da ragazza. Ora dimostri tutti gli anni che hai, forse anche qualcuno in più. Probabilmente a causa della vita che deve averti fatto fare il padre di Andrea. Deve essere stata molto dura per te. Dio mio, com'eravamo giovani. Com' ero giovane. Sembra l'altro ieri. Ma tra appena dieci anni ne avrò cinquanta. Arriveranno in fretta, molto in fretta. Ora lo so. Ho sempre creduto che se mai ci fossimo rivisti avrei provato chissà quali emozioni. Invece riesco solo a pensare a quanto siamo invecchiati. A quanto sono invecchiato. E non so, ma il fatto di essermi sposato, e di poter diventare padre molto presto, be', non mi fa sentire benissimo. No, decisamente no. Sento nuovamente il trillo del cellulare che uso per comunicare con mia madre. «Pronto... ciao mamma... scusa, non l'ho sentito... ho capito... va bene... certo... sì, stai tranquilla... sto benissimo... non preoccuparti... va bene... sì, te la saluto... ciao.» Era questo che volevo?
È passato tutto così in fretta.
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