Copertina
Autore Giuseppe Culicchia
Titolo Il paese delle meraviglie
EdizioneGarzanti, Milano, 2004, , pag. 320, cop.fle., dim. 136x205x28 mm , Isbn 978-88-11-62039-6
LettoreGiovanna Bacci, 2004
Classe narrativa italiana
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Indice

1.  Audax fortuna juvant. Uah!      ll
2.  Tre sorelle                     14
3.  Il nonno                        17
4.  Alice scrive                    21
5.  Francesco Zazzi detto Franz     23
6.  Al castello                     25
7.  La Cavalla                      27
8.  Tennis                          30
9.  Margherita                      32
lO. Cara Alice                      35
11. Potenza del femminismo          37
12. Mollo                           40
13. In chiesa                       43
14. La mia quercia                  45
15. Vestro                          48
16. Ragazze                         50
17. Don Bob                         54
18. La Mastrullo                    57
19. Dal nonno                       60
20. La mia stanza                   65
21. Il primo bacio                  68
22. Olga Korbut                     71
23. Assurdo                         74
24. Sempre troppo tardi             78
25. Politica                        81
26. Carbonara                       83
27. Bevo Jaegermeister              85
28. Arsenio Lupin                   90
29. Dall'ebreo                      93

[...]
 

 

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Pagina 11

1.
AUDAX FORTUNA JUVANT. UAH!



Tipo che all'inizio sembra una storia inventata. Giusto perché oggi ci tocca l' Inferno, della serie Lasciate ogni speranza voi ch'entrate eccetera eccete ecc.

Mollo: «Ho male all'utero».

Zazzi: «CAZZO DICI?»

Mollo: «Ho male all'utero».

Zazzi mi guarda. Io guardo Mollo. Mollo guarda Zazzi. Si tiene la pancia, piegato in due.

«Secondo me questo si fa di ero. E DATOSI CRE le apparenze notoriamente ingannano, anziché quel cinghiale OBESO che crediamo di vedere è un tossico magrissimo in crisi d'astinenza», ipotizza Franz. «Di' la verità al camerata Zazzi, COGLIONE. Sei in rota, eh?»

«Ti dico che ho male all'utero», insiste lui.

«Occhio che l'utero non è lì», lo avverto.

«Mia zia invece mi ha spiegato che è lì.»

«Cazzo c'entra tua zia?» si insospettisce Zazzi.

«Mi fa educazione sessuale», borbotta Mollo.

«Educazione SESSUALE?»

«Eh.»

«Cos'è, TE LA TROMBI?» ghigna Zazzi, pizzicandosi il neo peloso sulla guancia, grande come una moneta da cinquanta lire. Oggi sfoggia una maglietta su cui ha scritto a biro SANGUE E ONORE. Dice che è il motto della Hitlerjugend.

«Deficiente», sbotta Mollo, offeso.

«Secondo me SE LA TROMBA. Attila?»

«Secondo me non ha capito una sega.»

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Pagina 43

13.
IN CHIESA



Nostra madre non si limita a leggere i Vangeli a ogni santa messa. Ascolta Radio Maria. Canta nel coro. Partecipa alle gite in torpedone organizzate da don Curio. Dal Papa è già stata sei volte. Da Padre Pio sette. Effetti benefici purtroppo zero. Forse dovrebbe provare con Lourdes. Tra un pellegrinaggio e l'altro batte il paese in cerca di abbonati per il bollettino parrocchiale. Lei però legge solo «Grand Hotel». Sa vita opere e miracoli di Santa Carolina di Monaco. Alice e io invece in chiesa non mettiamo piede. Ai preti siamo allergici da un pezzo. È andata così.

Federica, una mia ex compagna delle elementari, un giorno d'estate è arrivata con un gattino. A me Federica è sempre stata simpatica. Una volta che in quinta mi aveva invitato a casa sua con la scusa dei compiti avevamo passato il pomeriggio sull'altalena, e quando le avevo visto le mutandine lei non aveva fatto una piega. Anzi, mi aveva sorriso tutta contenta. Federica il felino lo teneva in braccio. Pensavo alle sue mutandine anche mentre cercava di rifilarmelo. Totale: non ha dovuto insistere granché. Alla fine il felino in braccio me lo sono ritrovato io. Subito dopo però mi sono reso conto di non aver chiesto il permesso a nessuno. Così, per prendere tempo, ho chiuso il micio nel mio armadio. E visto che continuava a miagolare, l'ho coperto di maglioni. La sera, quando sono tornato a dargli un'occhiata, era morto soffocato. Non riuscivo a crederci. Avevo ammazzato un gatto. Un gatto di poche settimane. Che prima di morire tra l'altro aveva fatto i suoi bisogni sui miei maglioni. Ero scioccato.

Più tardi ho raccontato tutto ad Alice. Non mi ero mai sentito così in colpa. Lei mi ha abbracciato. Ha accarezzato il gatto. Abbiamo deciso che non potevamo limitarci a buttarlo in un fosso. Così la mattina dopo abbiamo messo la salma in una busta di nylon, come avevamo visto fare alla tele dagli americani con i loro caduti in Vietnam. Dopo di che siamo andati a seppellirlo per i prati. Non so perché finita la cerimonia mi è saltato in mente che forse dopo quel gatticidio avrei fatto meglio a confessarmi. Fatto sta che l'ho detto ad Alice e siamo tornati in paese. Ma quando ci siamo lasciati alle spalle il sole della strada e siamo entrati in chiesa, ho avuto una strana sensazione. E a un tratto ci siamo trovati di fronte a don Curio e a nostra madre. Alice mi ha immediatamente coperto gli occhi con una mano. Dopo di che mi ha tirato via e siamo scappati di corsa.

Secondo me è stato quel giorno che ha deciso di andarsene di casa.

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Pagina 78

Ad alzare la mano adesso è la Mastrullo. Il don le sorride.

«Parla, cara.»

«Alla Camera è stata approvata la legge sul... sull'aborto, Padre», fa lei, con l'aria di volersi pulire la bocca dopo aver pronunciato quella parola.

«Esatto», annuisce lui. «Ed è stato dato il via, ragazzi ma soprattutto ragazze, a un vero e proprio crimine contro l'umanità. Paragonabile ai genocidi perpetrati da Mao, da Stalin e da Castro. A causa del quale, se le donne non agiranno cristianamente facendo trionfare la Vita sulla Morte e seguendo il loro destino, che è in Cristo, periranno milioni di innocenti.»

«Sempre troppo tardi», ghigna Franz.

«Come dici, Zazzi?»

«Sempre troppo tardi!» ripete ad alta voce lui, senza farsi pregare.

Il don lo guarda gelido. La Mastrullo e la Ponchia invece lo guardano esterrefatte. Come il resto della classe, tranne Mollo che sta buttando giù la formazione dei Migliori Allenatori della Juventus di Tutti i Tempi e Gina che continua a farsi le unghie. Si capisce. Sono un branco di piccole democristiane cresciute democristianamente da papà democristiani e mamme democristiane secondo valori democristiani. E come dice Franz, al matrimonio arriveranno vergini: dopo due o tremila POMPINI e qualche CETRIOLO NEL CULO, si capisce.

«Zazzi voleva dire che era ora che le donne di ogni ceto potessero abortire negli ospedali anche in Italia», intervengo io. «Anziché farlo di nascosto e correndo il rischio di perdere la vita. Fino a oggi solo le ragazze di buona famiglia potevano permettersi un aborto in clinica, magari in Svizzera.»

Naturalmente arrossisco. Ma chissenesbatte. Quello che conta è dare in testa al don.

«Queste cose tu le dici solo per provocare», mi fa lui. «Ma in quanto cristiano non puoi pensarle veramente. Cristo è Dio perché ha vinto la Morte. E l'aborto è Morte.»

«ABERRANTE era il fatto che l'aborto fosse vietato dalla legge solo perché in questo paese c'è il PAPA», gli fa Franz.

«Zazzi!» insorge la Mastrullo. «Chiedi immediatamente scusa per quello che hai detto!»

«A chi? Al PAPA? E chi lo conosce? [...]

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Pagina 120

37.
VOLONTARIO



Franz è in piedi accanto alla cattedra.

Solo.

La prof di inglese lo guarda.

Lui tiene gli occhi chiusi, le palpebre strette in uno sforzo di concentrazione che si intuisce immane.

La prof gli ha appena chiesto: Zazzi, how do you do?

E a Franz toccherebbe rispondere.

La classe tace.

Anche oggi Franz si è presentato volontario. È successo per sbaglio. Ieri, dopo l'intervallo, per colpa della Cavalla che tardava ad arrivare. La Ponchia è saltata su ricordando alla classe che l'indomani, cioè oggi, la prof di inglese avrebbe interrogato. Ma l'indomani, cioè oggi, avevamo, o meglio abbiamo, compito in classe di francese. Che problema c'è? Basta che uno con le PALLE si presenti volontario, ha sparato Franz, grattandosele sotto il banco. E allora presentati volontario tu, gli ha sibilato la Mastrullo, sfidandolo. Franz non ha pensato prima di risponderle. Franz non pensa quasi mai prima di rispondere. In generale non pensa quasi mai prima di parlare. Sai CHEMMENEFOTTE! Certo che mi presento volontario! ATTACCO TOTALE ALLA ZAZZI! UAH! Totale: Franz si era messo nei casini da solo. Un classico.

L' how do you do della prof galleggia nell'aula. Non è una domanda così difficile. Ma anche se ormai siamo arrivati a marzo, Franz il libro d'inglese non se l'è ancora comprato. Quei soldi ha preferito fumarseli.

«Zazzi, have you heard me?» gli fa la prof. «I've just asked you a very simple question. How do you do?»

«Iesss», le fa lui, spalancando gli occhi e abbozzando un sorriso. Franz ha un debole per la prof di inglese. Cioè, per usare parole sue, se la TROMBEREBBE VOLENTIERI. Bruna, labbra carnose, tette a punta, gambe chilometriche, la prof di inglese è un tipo molto comunicativo. E per di più porta sempre jeans attillatissimi, senza preoccuparsi di legare un pullover in vita per nascondere qualcosa. Fare una figuraccia davanti a lei insomma è davvero un crimine. Non si può cavare dai neuroni solo uno Iesss. Fosse una vecchia strega come quella di francese, allora... Ma Franz, che sostiene di essere portato per le lingue perché sa cantare la prima strofa di Deutschland Uber Alles, il libro d'inglese se l'è appunto fumato.

«Yes, what?» gli fa la prof, aggiustandosi una ciocca bruna. «How do you do, Francesco Zazzi?»

«Iesss», biascica Franz, senza pudore. «Ai em Francesco Zazzi.»

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Pagina 218

70.
LAVORARE STANCA



Accompagno il nonno nell'orto. Deve piantare le canne di bambù accanto alle piantine dei pomodori, per aiutarle a venire su. Tipo che fino a un paio d'anni fa ce la faceva da solo. Ma adesso è meglio dargli una mano. È da quando è morta la nonna che il nonno ha il cuore malato. Ultimamente il medico gli ha detto di evitare gli sforzi.

«Ecco, guarda. È così che devi fare», mi dice, infilando una canna di bambù nella terra soffice e spingendola giù. «Poi devi darle due o tre colpi in testa con una pietra, belli decisi.»

Si china per raccogliere la pietra, ma riesco ad anticiparlo. Do un paio di colpi sull'estremità della canna di bambù.

«Dlastu vist?» mi sorride il nonno, soddisfatto.

Piantiamo a quel modo una dozzina di canne. Stese a terra ne rimangono altre sei. Ma quando ne afferro una il nonno mi prende per un braccio e mi fa:

«Basta così. Mai esagerare: lavorare stanca. Vieni adesso, che in frigo ho una roba per te».

Lo seguo in casa. Dal vecchio frigorifero bianco tira fuori un cornetto Algida. Lui si mischia in un bicchiere un po' di vino e un po' di gazzosa.

«Nessuno dovrebbe mai lavorare», mi fa, asciugandosi il sudore sul collo con un fazzoletto bianco. «Ne ho fatti mille di mestieri quand'ero ragazzo, in America. E non uno che mi abbia nobilitato. Il lavoro non nobilita l'uomo. Più facile che lo ammazza, boiafaus.»

Beve un sorso di vino e gazzosa.

«Quando lavoravo in falegnameria, un conto era se potevo disegnare io un mobile e poi farlo. Un altro se il padrone mi diceva: fammi quaranta cadreghe tutte uguali, così e così. Perché allora non sei un lavoratore, ma uno schiavo. E tricabranca il lavoro è quella roba lì. Il padrone stabilisce a che ora devi presentarti e a che ora puoi andartene. Che cosa devi fare e come farlo. Quanto lavoro devi fare e a che ritmo. Ti obbliga perfino a vestirti in un certo modo, molte volte, e decide lui quand'è che puoi andare al gabinetto. Senza contare che nelle fabbriche, come negli uffici, ogni dipendente è schedato. Il padrone ha le sue spie, cristeleison, e se dici la tua stai tranquillo che c'è chi glielo va a riferire.»

Mi sto mangiando anche la cialda del cono. Al nonno va di parlare. Da quando è morta la nonna sta solo la maggior parte del tempo.

«Padroni e sindacati sono d'accordo. Secondo loro dobbiamo vendere il nostro tempo, che poi è l'unica vera ricchezza che abbiamo, in cambio della sopravvivenza. Lorsignori litigano solo sul prezzo. Ma per come la vedo io nella vita anziché lavorare bisognerebbe giocare.»

«Giocare?»

«Ricordo che quando eravamo piccoli, con mio fratello giocavo a mondo...»

Per un istante mi sembra che abbia gli occhi lucidi. Col fazzoletto bianco si asciuga la faccia. Fuori il sole si è un po' abbassato. Prendo l'incarto del gelato e lo butto nel sacchetto di plastica che il nonno tiene attaccato alla maniglia della porta per raccogliere la spazzatura. Poi mi viene in mente che se non lo aiuto io, domani mattina nell'orto dovrà sbrigarsela da solo.

«Che ne dici se piantiamo le ultime sei canne?» gli chiedo.

Mi sorride. Andiamo.

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