Copertina
Autore Ruggero D'Alessandro
Titolo Breve storia della cittadinanza
Edizionemanifestolibri, Roma, 2006, La nuova talpa , pag. 208, cop.fle., dim. 144x210x13 mm , Isbn 978-88-7285-420-4
LettoreRiccardo Terzi, 2006
Classe politica , storia sociale , diritto , storia contemporanea
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Indice

Introduzione                                                     9

CAPITOLO 1.
DA SUDDITI A CITTADINI.
LINEAMENTI DI EVOLUZIONE STORICA DEI DIRITTI                    13

1.1 Una storia multidisciplinare                                13
1.2 La parola Stato                                             15
1.3 Stato assoluto e affermazione borghese                      16
1.4 Il Parlamento in Francia e Gran Bretagna                    18
1.5 A lezione dagli ex coloni: l'esperienza statunitense        20
1.6 Illuminismo politico                                        22
1.7 La Grande Rivoluzione e i diritti                           24
1.8 Lo Stato dopo il 1789                                       27
1.9 Gran Bretagna: meno povertà, più capitalismo                29
1.10 Francia: dalla barriera censitaria al suffragio universale 30
1.11 Gli Stati Uniti: il bipartitismo integratore               32
1.12 Alle origini del Welfare State: la Germania di Bismarck    33
1.13 La legittimità dello Stato                                 35
1.14 L'evoluzione dello Stato costituzionale nell'800           36
1.15 Stati Uniti: cittadini di serie A e B                      38
1.16 Dall'Impero russo all'Unione Sovietica                     39
1.17 L'Italia dall'unità alla difficile integrazione Nord-Sud   41
1.18 La negazione dei diritti: i fascismi europei, A) Italia    43
1.19 La crisi del 1929 e il Welfare State                       46
1.20 La negazione dei diritti: i fascismi europei, B) Germania  50
1.21 Lo Stato genocida: la Shoah                                54
Note al capitolo 1                                              59

CAPITOLO 2.
LA CRISI DELLA CITTADINANZA COME CRISI DELLO STATO SOCIALE      63

2.1 La diffusione del Welfare State                             63
2.2 Contro il Welfare                                           66
2.3 Le conseguenze sociali del modello reaganiano               68
2.4 I limiti del Welfare                                        69
2.5 L'analisi di Thomas Marshall                                71
2.6 I modelli di gestione della cittadinanza                    74
2.7 Tra ricostruzione e benessere: gli anni '50                 76
2.8 La dimensione politica della cittadinanza negli Usa         77
2.9 La lotta per i diritti civili negli Usa                     81
2.10 La società giovanile                                       83
2.11 La lotta contro le istituzioni totali                      86
2.12 I sogni più belli nascono a maggio                         87
2.13 Dall'utopia ai nuovi soggetti portatori di diritti         89
2.14 L'autunno caldo                                            93
2.15 Tra Stato e società civile                                 94
2.16.1  La crisi dello Stato tardocapitalista:
        l'analisi di Claus Offe                                 96
2.16.2  La crisi fiscale dello Stato: James O'Connor            98
2.16.3  Le dinamiche del capitalismo maturo: Jürgen Habermas
        e Niklas Luhmann                                       100
2.17 Dallo Stato-crisi al potere costituente: Antonio Negri    105
2.18 Michel Foucault microfisico del potere                    107
2.19 I1 ruolo dei gruppi d'interesse                           109
Note al capitolo 2                                             114

CAPITOLO 3.
IL DIBATTITO SULLE NUOVE PORME DI CITTADINANZA                 117

3.1 Dalla cittadinanza statalistica alla cittadinanza
    societaria                                                 117
3.2 La cittadinanza femminile                                  118
3.3 Le Bürgerinitiativen                                       122
3.1 Le lotte fiscali in Usa negli anni '70                     124
3.5 Riprendersi la città                                       126
3.6 Movimenti e nuovi diritti in Europa                        127
3.7 Riflessioni libertarie                                     130
3.8 Il terribile 1977                                          131
3.9 Repressione e ordine pubblico:
    Stati Uniti, Italia e Germania                             135
3.10 Le lotte per l'ambiente                                   143
3.11 Il 1989 e la democrazia: l'analisi di Ralf Dahrendorf     145
3.12 Politica dei nuovi diritti                                147
3.13 Un confronto sui diritti sociali                          148
3.14 Ampliare i diritti                                        150
3.15 Tecnologia e privacy                                      153
3.16 Bioetica e tecnologia                                     154
3.17 Democrazia e cittadinanza: il caso italiano               156
3.18 Cittadinanza e mondo del lavoro                           159
3.19 Il reddito minimo di cittadinanza                         166
3.20 Le rivolte urbane                                         168
5.21 Le migrazioni                                             170
3.22 I diversi volti dell'esclusione                           179
3.23 La cittadinanza globalizzata                              182
Note al capitolo 3                                             190

Conclusione                                                    195
Bibliografia                                                   200

 

 

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Pagina 9

INTRODUZIONE



La cittadinanza è un tema di dibattito assai attuale soprattutto dagli anni '90 grazie all'intrecciarsi di alcuni avvenimenti: la fine dei regimi dittatoriali nei paesi dell'Est Europa tra il 1989 e il '90 (rappresentata simbolicamente dalla caduta del «muro di Berlino»), l'arrivo sulle coste italiane di masse di stranieri provenienti dall'Africa, dal Medio ed Estremo Oriente e desiderosi di trasferirsi nel nostro paese, la tecnologia e la scienza che nei loro ritmi vorticosi di sviluppo determinano nuove situazioni da inquadrare sotto il profilo della cittadinanza, le profonde trasformazioni nel mercato del lavoro sempre più all'insegna della precarietà. Tutti questi fenomeni sono poi inquadrabili nel turbine della globalizzazione, parola usata e abusata ogni giorno da giornali, televisione, radio, esperti, politici, che porta con sé paure ed entusiasmi stravolgendo velocemente ritmi di vita, mentalità, dinamiche sociali e individuali.

Questo libro è uno dei pochi tentativi di tracciare una breve storia dello sviluppo dalle origini a oggi del concetto di cittadinanza espressa nelle tre forme dei diritti civili, politici e sociali. La letteratura in materia abbonda di titoli ma sono principalmente concentrati sull'attualità o sul recente passato. Penso che una ricognizione che ripercorre il cammino percorso dalla cittadinanza possa aiutare a fare il punto sui rapporti tra Stato e cittadini e a conoscere l'agenda dei temi da affrontare nei prossimi anni.

Questo volume intende presentare una sintesi della storia sociale e politica dei diritti di cittadinanza in alcune nazioni europee e negli Stati Uniti d'America.

Naturalmente ogni ricerca seria opera delle selezioni e ne è cosciente; in una storia come questa non si poteva non tralasciare una serie di temi dei passato e del presente vista la complessità e la ricchezza dell'argomento, il suo svolgersi nell'arco di secoli, coinvolgendo con tempi e intensità diversi tutti i paesi.


La distanza tra governanti e governati e le relative frizioni, il processo di delegittimazione che affligge da anni le istituzioni dei paesi dell'occidente industrializzato, i complessi legami tra economia e politica s'intrecciano con le iniziative sempre più numerose che, a partire dagli anni '70, modificano il panorama dei rapporti tra Stato e cittadini.

Dalla concessione dei primi diritti da parte dei sovrani e dei parlamenti nel passaggio all'era moderna, si è assistito alla codificazione della cittadinanza in costituzioni, raccolte di leggi, dichiarazioni universali, per poi giungere alla crescente iniziativa dei cittadini nel senso dell'allargamento e dell'aggiornamento delle loro garanzie.

Nell'ottica evolutiva di Thomas Marshall il quadro della cittadinanza si presenta tripartito: civile con cui l'individuo ottiene il diritto a gestire il proprio spazio, politica per partecipare all'amministrazione della cosa pubblica, sociale in base alla quale gli vengono erogati dallo Stato tutta una serie di servizi.

Se non c'è dubbio che oggi una delle sfide più impegnative per la moderna democrazia sono proprio i diritti, essi nascono però tra il '500 e il '600, dunque molto tempo dopo l'affermarsi della concezione democratica della società e della politica. Appaiono sulla scena sociale come diritti individuali accompagnandosi ad una nuova classe che rivendica per l'individuo la libertà di affari, commerci, impresa economica: l'individualismo giuridico emana direttamente dall'affermazione della borghesia.

Questo libro cerca sinteticamente di tracciare il percorso delle rivendicazioni delle classi, dei gruppi e degli individui e delle relative codificazioni; si tratta di una storia in cui si intrecciano profondamente politica, sociologia, storia contemporanea, storia delle idee e della cultura.

Le vicende delle varie sfere di cittadinanza riflettono la storia della società, nel senso che i diritti costituiscono delle spie assai sensibili dell'evoluzione in campo economico, sociale, culturale; uno degli esempi più attuali, il problema della regolazione dei diritti degli immigrati, è in tal senso particolarmente indicativo.

Si può allora pensare alle politiche economiche, sociali, sanitarie, educative, alla pianificazione ambientale, all'evoluzione della codificazione della cittadinanza, alle relazioni internazionali come all'insieme di strumenti indispensabili per garantire un futuro di sviluppo, convivenza e libertà ad un pianeta che vive il peso della complessità e della crisi.

Il filosofo del diritto e della politica Norberto Bobbio osserva che per una definizione minima di democrazia

non basta né l'attribuzione del diritto di partecipare (...) alla presa di decisioni collettive ad un numero molto alto di cittadini né l'esistenza di regole di procedura come quelle di maggioranza (...) occorre che a coloro che sono chiamati a decidere o ad eleggere coloro che dovranno decidere siano garantiti i cosiddetti diritti di libertà, di opinione, di espressione della propria opinione, di riunione.

Dunque in ogni paese la storia politica, economica, culturale comprende anche un capitolo fondamentale costituito dall'evoluzione della cittadinanza e delle sue forme.

L'insieme dei diritti, passaporti per la dignità e il vivere a misura d'uomo, rappresenta una delle risposte più efficaci alla debolezza della democrazia.


Questo studio è stato scritto con la speranza che possa rappresentare un piccolo tassello nel faticoso e fondamentale lavoro di affermazione di una politica forte dei diritti.

Nell'ormai classico manuale di economia del premio Nobel statunitense Paul Samuelson viene riportata un'amara e acuta boutade che distingue i regimi capitalisti da quelli di socialismo reale nel seguente modo: nei primi regna lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, nei secondi accade il contrario. Allora, dalla coscienza di quanto abbiamo conquistato come cittadini potremo, con il dovere dell'ostinazione, pensare e costruire finalmente una società altra di liberi, eguali e diversi.

L'impegno è incalcolabile così come il bisogno che si sente di vivere a misura d'uomo: sui tempi che occorreranno ci si può ricordare quanto scriveva Water Benjamin concludendo il suo saggio sulle Affinità elettive di Goethe:

Solo per chi non ha più speranza ci è data la speranza.

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Pagina 96

2.16.1 La crisi dello Stato tardocapitalista: l'analisi di Claus Offe


Con un breve excursus sui «teorici della crisi» degli anni '70 cerchiamo adesso di comprendere alcune delle ragioni della crisi di legittimazione e di funzionamento dello Stato, posto sotto assedio dagli innumerevoli inputs sociali.

Ricordiamo che la categoria Stato resta fondamentale per la comprensione tanto dei processi politici dall'alto quanto degli ambiti di dialogo o di frattura con la società civile. Osserva infatti Zincone a proposito dei teorici della crisi, Jürgen Habermas, Claus Offe, James O'Connor, Niklas Luhmann:

molti di coloro che hanno osservato la modernizzazione dei sistemi di sicurezza sociale hanno rilevato un progressivo aumento delle richieste rivolte allo Stato in questo campo (...) e hanno segnalato un progressivo drenaggio di competenze e di potestà da parte dello Stato nei confronti delle organizzazioni della società civile per quanto riguarda la gestione della sicurezza e di altri diritti sociali.

Un approccio originale è quello del socio-politologo tedesco Claus Offe che nello studio della struttura statale delle società di capitalismo maturo fa interagire le analisi tardomarxiste con alcuni dei contributi del funzionalismo di scuola statunitense.

In sintesi Offe sostiene che l'idea di Marx dell'apparato statale come «comitato d'affari della borghesia» è ormai superata, insieme alla separazione tra sfera politica e sfera produttiva. Del resto siamo da tempo alle prese con uno Stato interventista e sociale che appronta meccanismi di selezione di gruppi e ruoli ben più raffinati e complessi nell'esercizio del dominio politico.

Dunque, una teoria della crisi statale deve indagare all'interno dell'apparato istituzionale; se prima ci si poneva la questione dei limiti del sistema, oggi ci si interroga anche sulle capacità del sistema stesso di autoespandersi grazie a procedure di autoadattamento (a cominciare, ovviamente, dal welfare).

Occorre quindi poter disporre di una

teoria dei limiti della gestione economica e politica della crisi, e una teoria di classe dovrebbe conseguentemente essere impostata come teoria del potenziale conflittuale che le funzioni disgregatrici e «pacificatrici» dello Stato assistenziale autoritario non riescono a tenere sistematicamente sotto controllo.

Considerando l'ambito della società civile mediato e colonizzato dal continuo intervento statale, Offe sottolinea che lo Stato tardo capitalista fonda la sua legittimazione sulla partecipazione universale alla formazione della volontà politica (policy making e decision making) nonché sulla possibilità, scissa dalla propria collocazione di classe, di usufruire delle prestazioni statali e degli interventi regolativi del mercato.

In tema di diritti politici lo studioso tedesco fa notare la minore rilevanza assunta negli ultimi anni dal diritto di voto o dall'accesso a cariche pubbliche rispetto alla necessità di garantire la stabilità del gioco politico dalla minaccia di forze disgregatrici. In tal senso partiti e sindacati sono ormai ridotti a meri filtri che selezionano soltanto gli interessi omogenei alle esigenze del sistema.

Considerando dunque che le crisi trapassano da un settore all'altro e che possono anche essere scatenate da politiche incoerenti e scoordinate, si osserva chiaramente come l'apparato statale si concentri nello sviluppo di un'amministrazione prettamente tecnocratica atta a prevenire la crisi con una strategia di lungo periodo.

Queste misure implicano: 1) la dislocazione di bisogni sociali pericolosi alla periferia del sistema in modo da neutralizzarli; 2) il mantenimento di un ampio consenso di massa in base al quale gli imperativi dei tecnocrati si convertono in principi politici coesivi a livello di opinione pubblica.

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Pagina 98

2.16.2 La crisi fiscale dello Stato: James O'Connor


Un'analisi particolarmente incentrata sul versante economia pubblica/privata, spese assistenziali, rivolta fiscale e crisi del budget statale è quella di James O'Connor.

Con il termine «crisi fiscale dello Stato» l'economista statunitense si riferisce alla tendenza delle spese governative ad aumentare più rapidamente delle entrate determinando in tal modo:

- il deficit di bilancio statale;

- il consenguente aumento di legittime aspettative verso un welfare particolarmente generoso;

– l'intreccio tra crisi fiscale e crisi sociale.

Anche O'Connor segnala, come Offe e Habermas, la lacerante contraddizione dello Stato tardocapitalista e assistenziale che persegue tanto l'accumulazione quanto la legittimazione.

Che lo Stato debba sforzarsi di creare o conservare condizioni idonee all'armonia sociale è ovvio giacché

se utilizzasse apertamente le proprie forze di coercizione per aiutare una classe ad accumulare capitale a spese di altre classi perderebbe legittimità e minerebbe quindi le proprie basi di lealtà e di consenso.

A differenza degli economisti liberali O'Connor sostiene che la crescita delle industrie monopolistiche è indotta dall'espansione del settore statale e delle spese per sostenerlo; ma nello stesso tempo lo sviluppo del settore monopolistico crea inflazione, ristagno e povertà. In ultima analisi l'attività statale è contraddittoriamente causa ed effetto delle posizioni dominanti sul mercato. Questo contrasto tra la socializzazione dei costi e l'appropriazione privata dei profitti causa crisi fiscali, sociali e politiche.

L'economista neomarxista denuncia anche il parallelo sviluppo del Welfare e del Warfare State, delle spese assistenziali e di quelle militari, nonché la funzione quasi manageriale dei sindacati che svolgono il compito ormai istituzionalizzato di frenare la spontaneità rivendicativa dei lavoratori, mantenendo in tal modo la disciplina. In altri termini le associazioni operaie rappresentano per O'Connor i garanti delle prerogative manageriali.

Lo Stato ha davanti a sé l'arduo compito di integrare tutte le fasce di popolazione assicurando il consenso di massa e con ciò garantendosi la legittimazione.

In vari paesi sono state create apposite agenzie che assolvono allo specifico compito di regolare i rapporti tra Stato, capitale e lavoratori non organizzati per prevenire burocraticamente conflitti sociopolitici che altrimenti avrebbero l'effetto di delegittimare l'autorità federale (negli Usa ne sono esempio il National Labor Relations Board, la Social Security Administration, o il Bureau of Family Services).

Lo Stato si tiene opportunamente a distanza dagli interessi del capitale, in una posizione di indipendenza. Le sue due funzioni primarie, l'accumulazione e il consenso, trovandosi in contraddizione tra loro devono essere riconciliate per mezzo di strategie di razionalità amministrativa.

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2.16.3 Le dinamiche del capitalismo maturo: Jürgen Habermas e Niklas Luhmann


Vicina alle posizioni di O'Connor e maggiormente incentrata sul versante sociologico è la teoria del principale esponente della seconda generazione della Scuola di Francoforte, Jürgen Habermas. I suoi studi indagano la tematica della crisi di struttura e di legittimazione delle società di tardo capitalismo fondendo le teorie neo-marxiste con il funzionalismo nordamericano (contaminazione comune a Niklas Luhmann ma con esiti ben diversi).

Anzitutto, analogamente a Offe, anche l'erede della teoria critica parla di capitalismo maturo (Spätkapitalismus), considerando che nell'economia di mercato statualmente regolata gli sviluppi sociali hanno un andamento critico e non certo esente da contraddizioni. In altri termini, la struttura sociale deve affrontare più problemi di quante siano le soluzioni adottabili; si tratta di una considerazione che viene ripresa da Luhmann per giustificare la necessità di disporre di parametri di riduzione della complessità sociale.

In particolare si sottolinea che di crisi si può parlare quando i cittadini si sentono minacciati nella propria identità sociale dai mutamenti strutturali; solo se il consenso alle strutture normative si incrina alla radice con il rischio di anomia allora il sistema è realmente messo in questione.

Con la necessità imperativa di porre in correlazione i tre principali sistemi, economico, amministrativo, di legittimazione, l'integrazione nel modello tardocapitalista richiede la capacità di aver ragione di un ambiente ipercomplesso. La spoliticizzazione delle masse è una conseguenza dell'aggravarsi della crisi nel terzo dei suddetti sistemi: con la generalizzazione della sfera dei diritti civili il processo legittimante è direttamente verificato in occasione delle consultazioni elettorali, cioè con la democrazia formale; come si vede un'ottica meno smaliziata rispetto a un Offe disilluso sui meccanismi democratici, partiti ed elezioni in primis.

D'altronde il rischio di incrementare la contraddizione tra produzione socializzata del lavoro e costante appropriazione privata di plusvalore (classico concetto marxiano) viene vanificato, o quantomeno si cerca di vanificarlo, rendendo l'apparato amministrativo autonomo dalla sfera di legittimazione dello Stato (altro tipico tema luhmanniano).

Un altro fondamentale concetto habermasiano cui occorre accennare è la «struttura salariale quasi politica». Le controparti sociali si accordano sui movimenti salariali da contrattare in modo da immunizzare l'originaria zona di conflitto tra padronato e sindacati; dunque la merce forza-lavoro assume un prezzo «politico». Le conseguenze sono:

a) sviluppi salariali disparitari (...) b) un'inflazione permanente; c) una crisi permanente delle finanze dello stato, accompagnata dalla miseria pubblica (...) d) un insufficiente equilibrio degli sviluppi economici (...) Il compromesso di classe assunto nella struttura del capitalismo maturo rende (quasi) tutti al tempo stesso partecipi e vittime in una persona.

Permanendo la contraddizione marxiana tra capitale e lavoro salariato lo Stato può soltanto tentare di contenere la crisi entro margini consentiti.

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Pagina 182

3.23 LA CITTADINANZA GLOBALIZZATA


Bobbio ha definito il secolo passato come l'età dei diritti, sottolineando lo sviluppo esponenziale che hanno vissuto le diverse forme di cittadinanza, soprattutto nelle sue componenti sociali.

Il secolo che stiamo vivendo (ma è una tendenza evidente già negli anni '90) è caratterizzato da sentimenti di precarietà, insicurezza, paura del futuro.

Il valore libertà si è ripreso un certo spazio all'indomani dell'ultimo conflitto mondiale, proseguendo il proprio cammino nelle guerre di indipendenza di tanti paesi del continente africano, nelle lotte politiche e sociali degli anni '60 e '70, nella caduta dei regimi dittatoriali del socialismo reale tra l'89 e il '90. Ma si tratta comunque di un cammino segnato da alti e bassi.

Uno dei problemi che oggi la libertà vive è altrettanto chiaramente quello della sua convivenza con il tema della sicurezza. Come giustamente sottolinea Zygmunt Baumann la libertà e la sicurezza non possono essere separate: se manca la prima abbiamo la schiavitù, se non c'è la seconda si fa strada l'angoscia.

Con la caduta del muro di Berlino si assiste ad un evento epocale, nel senso letterale del termine: si chiude l'epoca del mondo diviso in due sfere d'influenza. Ma in realtà il mondo del socialismo reale entra in crisi già negli anni '70, con l'esplodere delle varie correnti di dissenso, non solo al proprio interno (da Sacharov a Siniavsky), ma anche nel mondo occidentale, fra le file della sinistra vecchia e nuova.

Con gli anni Novanta il modello tardocapitalista si afferma su scala mondiale: si tratta in effetti dell'unica conseguenza possibile della fine dei regimi esteuropei.

Già a metà decennio, e dunque alle porte del nuovo millennio, si comincia a parlare di globalizzazione. La realtà che oggi, nel 2005, viviamo in pieno comporta una serie di effetti che cambiano radicalmente il quadro socio-economico, politico e culturale su scala planetaria e con un'intensità, velocità e complessità che non si verificava nella storia moderna dai tempi della prima rivoluzione industriale.

Le analisi sui diversi fenomeni legati a questa realtà pienamente consolidata si contano a centinaia negli ultimi dieci anni.

È ancora Baumann a sottolineare un aspetto centrale: con l'affermarsi della globalizzazione la politica si trova sempre più marginalizzata. Il ruolo dello Stato del 2000 sembra essere quello di chiudere le frontiere ai migranti, stringere le cinghie della repressione, far fronte ai terrorismi legati ai vari integralismi religiosi e politici, tenersi alla larga dai conflitti locali che proseguono come nel `900, chinarsi di fronte al trionfo della comunicazione unidimensionale in un mercato-mondo di concorrenza spietata.

In questo quadro a dir poco inquietante il politico cede il passo all'economico: le istituzioni pubbliche giocano ancora al ruolo di attore di primo piano, quando in effetti si trovano in una condizione di crescente impotenza di fronte agli scenari disegnati dal capitale transnazionale.

Citiamo un passo significativo del sociologo polacco:

Le politiche di deregolamentazione e di libertà di commercio illimitata, perseguite da quasi tutti i governi nazionali, facilitano lo stabilirsi di una nuova strategia di dominio (...) basata più sul disimpegno che sulla responsabilità dell'amministrazione quotidiana e sui vincoli di bilancio. È la minaccia di fuggire, di spostarsi altrove, di abbandonare i «locali» alle loro risorse scarse e inadeguate, a mantenere le persone che dipendono dal capitale globale in una condizione di obbedienza e soggezione; una «precarietà» di vita (...) deliberatamente coltivata e la sua prospettiva possono allora diventare la forza disciplinante principale e un fattore ulteriore di paralisi politica. (...) Nulla si può fare (...) finché non viene riconquistato il controllo politico sull'economia.

Se sul piano economico l'interventismo pubblico appare profondamente ridimensionato a partire dagli anni '80 (anche se le diverse situazioni nei vari paesi non consentono di tracciare un quadro omogeneo), sul piano della sicurezza, della repressione dell'anomia sociale (prima che politica), della lotta al terrorismo, gli apparati statali guadagnano posizione. Basti pensare ai dibattiti innescati dalla svolta rappresentata dagli attentati negli Stati Uniti dell'11 settembre 2001: la limitazione dei diritti umani, del transito e della migrazione delle persone tra i continenti, l'incremento esponenziale della sorveglianza, il controllo strisciante delle libertà d'informazione, opinione, espressione sono ormai appannaggio tanto della destra che della sinistra. Sembra anzi probabile che in Gran Bretagna un futuro governo conservatore possa dimostrarsi più moderato nella pianificazione della sicurezza nazionale di quanto lo è attualmente quello laburista retto da Tony Blair (inossidabile alleato del presidente Usa George Bush jr. nella seconda guerra in Iraq e in quella contro il fondamentalismo islamico).

Non c'è dubbio che, proseguendo in questo trend, lo scontro tra esigenze di difesa del territorio e della popolazione dagli attacchi dei terroristi da un lato, garanzie dei diritti di cittadinanza dall'altro si farà sempre più acceso; forse sarà proprio questo il fossato in crescita che separerà la vecchia politica (comprensiva di destra, centro e sinistra, sempre più indistinguibili fra loro) dalla nuova.


Si osserva spesso che da qualche anno si assiste alla fine delle «grandi narrazioni», le vicende complesse del mondo che si svolgono attorno a concetti quali verità, libertà, rivoluzione, ragione. Il contraltare di questi cardini della modernità sono state le teorie della società che si sono sviluppate tra '700 e '800 per capire e raccontare la civiltà moderna. I grandi salti li abbiamo visti nei paragrafi iniziali: l'indipendenza statunitense, la rivoluzione industriale, quella francese. Il sociologo Krishan Kumar osserva che l'idea di moderno nasce con i Lumi, nell'età della Ragione a metà del XVIII secolo.

Oggi siamo di fronte a una nuova, grande trasformazione della modernità: si passa da un mondo fordista incentrato sulla relativa sicurezza del lavoro salariato, sulle grandi fabbriche, sulla produzione protagonista della società novecentesca, ad uno scenario improntato alla comunicazione e all'informazione, le nuove risorse senza le quali non si fanno profitti, non si controlla il mercato in posizione dominante, non si varano le strategie di conquista di risorse e di idee, non si controlla la vera produzione di oggi e di domani: quella immateriale. Direbbe Marx che siamo al trionfo del general intellect.

Ma siamo anche alle prese con un mondo complesso, un pianeta che comincia a ribellarsi alla schiavitù, all'espropriazione sistematica da parte dell'uomo, ai modelli economici che non riescono più da anni ad offrire lavoro ma solo a ridurlo sempre più.

Intanto il fossato tra ricchi e poveri si avvia a diventare una voragine che rischia di inghiottire energie, capacità, dignità di cittadini non in grado di difendersi.

Oggi, mentre i profitti delle corporation nel mondo stanno raggiungendo livelli ineguagliati, 89 paesi si ritrovano molto peggio economicamente di quanto fossero all'inizio degli anni Novanta. Il capitalismo aveva fatto sperare che la globalizzazione avrebbe ridotto il gap esistente tra ricchi e poveri, invece l'ha soltanto ingrandito. Le 356 famiglie più ricche del pianeta si godono una ricchezza che nel suo complesso supera le entrate annuali del 40 per cento della razza umana. Le tre famiglie più ricche in assoluto (...) possono contare su una ricchezza che supera il reddito annuale dei 940 milioni di persone più povere che vivono sulla Terra. Gli ideologi del capitalismo avevano promesso di «collegare chi era scollegato», di far entrare i poveri del mondo nel villaggio globale dell'high tech. Tale promessa non è stata mantenuta: anzi, due terzi degli esseri umani viventi non hanno mai fatto una telefonata e un terzo (...) non ha accesso all'elettricità.

Sul piano economico i fenomeni principali che si osservano hanno pesanti ripercussioni a livello sociale:

- prevalenza del capitale finanziario sul capitale produttivo;

- diffusione planetaria dell'ideologia e della tecnica della deregulation;

- spostamento nei rapporti di potere dal lavoro al capitale;

- correlativa riduzione della capacità contrattuale della forza-lavoro;

- precarizzazione di interi settori della popolazione con conseguenze molto visibili in tema di disuguaglianze;

— crisi del Welfare State: sanità, istruzione, servizi sociali, cultura.

Dunque, gli scenari che si intravedono raccontano una storia ben diversa dalle «magnifiche sorti e progressive» di un futuro di luminosa globalizzazione.

Cominciano a farsi avanti i critici del modello che in questi ultimi anni ha preteso di dichiarare la fine delle ideologie, dei confini, della storia, quando in realtà la trionfante ideologia è proprio questa, quando i confini sono in realtà più vivi che mai (migrazioni, frontiere, scontri di civiltà, controlli, polizie internazionali), quando la storia non è altro che il racconto degli uomini su se stessi e sul loro mondo che sfugge alle interpretazioni ma ne merita di migliori rispetto a quella dominante.

Se si osserva che i flussi di produzione stanno trovando una base sempre più forte nei paesi a bassi salari (Cina, India, Taiwan, Corea del Sud, Singapore), che imparano in fretta a creare e immettere sul mercato prodotti in quantità sempre crescenti, non è difficile immaginare quale sarà l'andamento dell'economia dei prossimi anni.

La sola Cina sforna ogni anno ben 2 milioni di ingegneri; situazione analoga la vive l'India che possiede una sua Silycon Valley con industrie, campus e centri di ricerca che si fanno man mano più attrezzati e sofisticati.

Se tecnologia, sviluppo, know-how emigrano dove la manodopera riesce ad essere da 10 a 30 volte meno cara di quella occidentale, il risultato inevitabile è la delocalizzazione delle attività produttive dal centro alla periferia del pianeta. Si tratta di ben più di una semplice ridistribuzione territoriale dell'economia, come sostengono i liberisti che appoggiano la globalizzazione; i paesi dell'Estremo Oriente non hanno alcun interesse a proseguire sulla strada delle produzione di basso livello (tessile, giocattoli, piccoli elettrodomestici), bensì investiranno e guadagneranno con le alte tecnologie che si avviano a saper dominare, un giorno non lontano, meglio degli occidentali.

[...]

La globalizzazione sfugge, dunque, ad un autentico controllo democratico e minaccia la cittadinanza sociale svuotandola di contenuto.

Sul piano politico si possono schematizzare alcuni fenomeni sempre più vistosi che emergono dagli anni '90 ad oggi:

– crisi della partecipazione politica;

– crescente indistinzione fra i programmi e le politiche dei partiti;

– tendenza al predominio della classe media (l'illusione che tutti ne facciano parte);

– conseguente trionfo del modello del «partito acchiappa tutto» stabilizzato al centro degli schieramenti;

– personalizzazione e verticismo in politica;

– rafforzamento del potere delle aziende non solo a livello finanziario ma anche politico e sociale;

– confini meno netti tra politica ed economia (dal profilo degli interessi, delle alleanze, dell'ideologia);

– sovrapposizione tra meccanismi pubblicitari e propaganda partitica (slogan, manifesti, spots televisivi, preferenza per l'immagine e non per la sostanza, demagogia).

La democrazia nell'epoca della globalizzazione planetaria si trova ad essere minacciata dai giochi della finanza mondiale, dall'incapacità di operare un controllo dal basso delle dinamiche del mercato, dalle rigidità del mondo del lavoro, riducendosi ad una sorta di postdemocrazia elitaria e oligarchica dominata da intrichi di interessi lontani anni luce dai reali bisogni di cittadini non di rado preda di scetticismo per il presente e paura per il futuro.

Come scrive il filosofo Roberto Finelli:

l'espansione dei diritti (...) che ha contrassegnato la modernità (...) si interromperà verosimilmente per cedere a un sistema sociopolitico di democrazia autoritaria, nella quale il consenso attorno alle nuove asimmetrie nei rapporti di consumo e di potere tra le classi verrà sempre più procurato, più che attraverso i partiti e gli istituti della rappresentanza, essenzialmente attraverso la manipolazione dell'universo mediatico e la produzione televisiva di forme generalizzate di coscienza postmoderna legate all'apparire più estrinseco, superficiale e deformato dalla realtà.

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