Copertina
Autore Arthur C. Danto
CoautoreGunnar B. Kvaran, Hanne Beate Ueland, Rem Koolhaas, Hans Ulrich Obrist
Titolo Jeff Koons. Retrospettivamente
EdizionePostmedia, Milano, 2007 , pag. 112, ill., cop.fle., dim. 15x21x0,9 cm , Isbn 978-88-7490-030-5
OriginaleJeff Koons. Retrospektiv/Retrospective [2004]
TraduttoreElena Molinaro, Gianni Romano
LettoreFlo Bertelli, 2006
Classe arte
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Indice


                             Introduzione    7


                         Gunnar B. Kvaran



Banale e celebrativa: Parte di Jeff Koons   15


                          Arthur C. Danto



                            Retrospective   35


    Gunnar B. Kvaran e Nanne Beate Ueland



                               Intervista   77


         Rem Koohaas e Hans Ulrich Obrist



                                Biografia  103

 

 

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Pagina 7

INTRODUZIONE

Gunnar B. Kvaran


Aspirapolvere, neon, contenitori d'acqua, salvagenti, un mini-bar, il trenino Jim Beam, Luigi XIV, Buster Keaton, Michael Jackson, pornografia, un cane di palloncini e giocattoli da spiaggia sono tra gli ingredienti dell'arte di Jeff Koons, che dialogano tra premesse simboliche molto personali e generiche riflessioni sull'arte e l'estetica.

Sebbene Jeff Koons abbia cominciato come pittore (e certamente lo è ancora), è opinione generale che la sua carriera abbia cominciato a spiccare il volo grazie alle sue sculture tridimensionali. Convinto che l'arte si crei con l'arte, Jeff Koons ha cominciato con delle installazioni di giocattoli gonfiabili e specchi sul pavimento della galleria, che ricordavano vagamente dei lavori di Robert Smithson. Poi hanno fatto seguito degli assemblaggi con elettrodomestici moderni, The Pre-New, specie di bassorilievi contemporanei con gli oggetti fissati ad una base di metallo o di plexiglas, che successivamente, con la serie intitolata The New, sarebbero diventati più somiglianti a vetrine, con degli aspirapolvere in una teca di plexiglas illuminata dal basso o da dietro con i neon. Koons ha accompagnato questa serie di lavori, le cui illuminazioni si riferiscono direttamente all'arte minimal di Dan Flavin e ai modelli modernisti, con dettagliate riflessioni sui suoi significati. I suoi commenti sono stati un fattore determinante nel meccanismo dell'opera (come dice l'artista: "Se dovessero accendere uno dei miei lavori lo distruggerebbero") e un importante metro di valutazione per apprezzarla. Il fatto che siano "nuovi" determina la sua bellezza. L'artista ha anche fornito altre interpretazioni sulla loro "qualità antropomorfica, l'androginia sessuale" e sulla loro "immortalità".

Già in queste prime serie incontriamo temi ricorrenti come sessualità e immortalità, ma anche un'interpretazione legata all'estetica di classe. La classe media, priva di una storia o di una profonda tradizione, con un atteggiamento che tende ad appropriarsi di valori e oggetti derivanti dalla classe dominante, è fondamentale nella poetica di The New. A più riprese vediamo che la pulsione morale dell'arte di Jeff Koons risiede principalmente nella riconsiderazione di questi valori derivati e nella produzione di un valore artistico riconosciuto tramite i luoghi comuni della classe media.

Le serie successive, Equilibrium, Statuary e Luxury and Degradation, presentano dei readymade alterati, ottenuti trasformando il materiale originale (un canotto e un salvagente fusi in bronzo) oppure assemblando oggetti diversi, come i palloni da basket sospesi in equilibrio perfetto in una teca piena di liquido. Nonostante la loro oggettività, questi oggetti risultano concettuali, meditativi, riuscendo ad esprimere una sensazione della "morte come stato dell'essere definitivo". Ancora una volta l'artista conferisce agli oggetti delle intenzioni simboliche. Con Statuary questo è in parte dovuto al materiale (l'acciaio inossidabile che per Koons rappresenta "l'argento dei poveri"), e in parte ai suoi riferimenti iconografici (emblematiche statuine popolari). In Luxury and Degradation il simbolismo riguarda anche il materiale e la volontà di iconizzare importanti oggetti quotidiani tipici della classe media (a cominciare dalle tracce del consumo di alcol) e le narrative semiotiche dei dipinti (pubblicità di alcolici che comunicano al consumatore tramite livelli più o meno astratti, secondo il grado d'istruzione del presunto lettore-spettatore). In tutte queste serie, dunque, vediamo che gli oggetti sono abbinati a tematiche fondamentali come la morte e l'eternità, la classe e la posizione sociale, la gerarchia dei valori estetici.

Con queste prime serie di lavori Jeff Koons sviluppa ulteriormente il concetto di readymade duchampiano, tramite l'allestimento (la combinazione di oggetti a scopi estetici e narrativi), la trasformazione dei materiali e fornendo una lettura delle premesse concettuali, dei contenuti e delle proprie intenzioni. L'artista non lascia niente al caso, gli oggetti segni selezionati comunicano concetti filosofici e sociali.

Con Banality l'artista si allontana dai readymade privilegiando una situazione con la quale si appropria di determinati stili. Crea delle statuine secondo modelli stilistici diversi: l'intaglio del legno tedesco o le ceramiche popolari in stile barocco o rococò. Così facendo, invece di appropriarsi di oggetti, l'artista si appropria di determinati gusti, specialmente di quelli che "il mondo dell'arte" non considera artistici. Di nuovo, Koons s'immerge nei contenuti culturali delle classi "basse" per trarne nozioni teoriche e decorazioni concettuali che sono (più o meno) elementi derivati da stili artistici riconosciuti e gli fornisce forme e contenuti nuovi.

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Pagina 15

BANALE E CELEBRATIVA: L'ARTE DI JEFF KOONS

Arthur C. Danto


                    Nei miei giudizi estetici tendo a pensarla
                    come il vero kentuckiano davanti a un whisky:
                    è possibile che alcuni siano meglio di altri;
                    ma sono tutti esteticamente buoni.

                    Charles S. Peirce



È risaputo che Jeff Koons sia tra i più importanti artisti degli ultimi decenni del XX secolo. Non c'è collezione importante di arte contemporanea che possa fare a meno dei suoi lavori così immediatamente riconoscibili. Come succede con qualunque artista, alcune opere sono più fondamentali di altre, ma l'importanza consiste nel carattere generale che la sua opera trasmette nell'insieme. Non c'è, però, molto consenso su come identificare questo carattere o su quali basi poggi la sua importanza. Coloro che dovrebbero chiarire questa faccenda, i maggiori critici del tempo, in teoria sono ostili all'opera e persino allo stesso Jeff Koons, il quale a sua volta ha il dono di irritare chiunque grazie alle sue piatte proclamazioni da oracolo che sfidano i luoghi comuni tramite i quali l'establishment della critica dispensa risposte a domande come questa e riguardo alle stesse opere.

Mentre scrivevo questo saggio, il New Yorker, guida della sofisticazione cosmopolita, lo ha apostrofato dandogli del ciarlatano con estrema nonchalance. Dunque, non possiamo appellarci a ciò che i teorici istituzionali dell'arte a volte chiamano "il mondo dell'arte", un'instabile congrega di critici ed esperti vari che decretano quali oggetti siano opere d'arte e quali siano gli artisti importanti. Se dovessimo interrogare i suoi membri, troveremmo una certa resistenza all'idea che Koons sia poco più che un'abile opportunista che è riuscito ad ingannare il mondo dell'arte, lo stesso tipo di storie che si raccontano a proposito di quegli artisti che misero a disagio i critici dall'alba del modernismo. Basterebbe questo a provarne l'importanza, riflettere su come sono stati accolti i suoi predecessori. Ma sicuramente dovremmo aspettarci una risposta migliore e lo scopo di questo saggio è proprio quello di capire perché Jeff Koons sia tanto importante.

Parte della risposta appartiene alla storia dell'arte, se pensiamo a questa nella stessa maniera progressiva in cui pensiamo alla storia della scienza. L'evoluzione concettuale dell'arte, da Duchamp a Warhol, per arrivare a Koons, è pari all'evoluzione a tappe che da Galileo porta a Newton, fino ad Einstein. Parte della risposta ha a che fare con gli stessi oggetti di Koons, che sono meno di quanto siamo disposti ad accettare ora come arte (a partire dai risultati dei due principali predecessori), e invece somigliano molto a prodotti ornamentali di massa. Sono, e lo sono spesso, come quegli oggetti che potremmo trovare in un negozio di regali e non in una galleria d'arte contemporanea: si tratta cioè di oggetti fatti per essere regalati perché sono divertenti o romantici, animali carini, paffuti bimbi rosa, personaggi comici che fanno cose comiche. È quel tipo di estetica che fa innervosire i critici, i missionari della grande arte. Eppure questi oggetti devono piacere a molte persone, altrimenti non esisterebbero. In genere non appartengono a ciò che riteniamo utile, a meno che non vi siano incastonati anche orologi, termometri e calendari. Eppure fanno gola ad un gusto molto diffuso e lo stesso Koons potrebbe aggiungere che, al giorno d'oggi, il gusto stesso è tutto tranne che universale.

Diciamolo pure, questi oggetti piacciono a chiunque non sia stato corrotto dalla grande arte, per citare una frase che Wittgenstein utilizzava a proposito della filosofia. A tutti piace il lavoro di Koons, direbbe lo stesso Koons, a meno che non gli sia stato detto di non ammetterlo. Dato che alla gente che si interessa d'arte è stato insegnato a non attribuire alcun merito ai banali esempi di kitsch, che sono invece i paradigmi di Koons, c'è un ostracismo conflittuale nelle loro menti, quindi amano e odiano il lavoro di Koons contemporaneamente. Ma le persone normali non hanno alcun problema a farselo piacere, dato che non provano lo stesso conflitto. Koons ha scoperto il modo di realizzare arte alta grazie all'arte bassa, ma in una maniera che non sarebbe stata possibile senza le rivoluzioni concettuali di Duchamp e Warhol, e che di conseguenza collegano questi artisti a quella serie progressiva a cui mi riferivo prima.

Eppure, qualcosa di simile al conflitto che la situazione di Koons illustra così bene oggi è già accaduto nell'arte da quando la produzione artistica ha preso due direzioni, alta e bassa, rivolte a mercati diversi, una svolta cominciata (ad un certo punto) nel corso dell'Ottocento. Di conseguenza, sarebbe utile discutere ciò che chiamerò la politica del gusto per collocare Koons in quella prospettiva storica.

Nelle sue storie lo scrittore Henry James utilizzava spesso artisti e personaggi le cui vite venivano definite grazie alla frequentazione di artisti. Ho sempre ritenuto utile James come guida, perché in qualche modo è impressionante come il suo mondo dell'arte sia simile a quello che abbiamo ereditato, nonostante né lui né i suoi lettori potevano immaginare l'arte del Novecento, figuriamoci quella del Duemila. Infatti, in una delle prime storie di James, The Madonna of the Future, c'è un artista che somiglia abbastanza a Jeff Koons, ed io lo utilizzerò come modello per capire meglio il suo lavoro. The Madonna of the Future è uno dei miei racconti preferiti, mi sono addirittura appropriato del titolo per uno dei miei libri. Ci sono delle ragioni abbastanza ovvie, se ci fossero stati nella storia dell'arte artisti somiglianti al personaggio di James sarebbero stati completamente dimenticati. Ai fini di questo saggio, ciò che conta è che uno degli artisti di James definisce una tipologia alla quale appartiene lo stesso Koons.

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