Copertina
Autore Gabriele D'Autilia
Titolo L'età giolittiana
Sottotitolo1900-1915
EdizioneEditori Riuniti, Roma, 1998, Storia fotografica della società italiana , pag. 192, dim. 170x220x8 mm , Isbn 978-88-359-4517-8
LettoreRenato di Stefano, 2001
Classe storia , fotografia , politica
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Indice


     5     Istantanee di un paese ottimista

    25     La vita politica

    71     La presenza dello stato

   107     Povertà e benessere

   129     Scenari della belle époque

   184     Foto simbolo

   186     Cronologia
   190     Letture consigliate
   191     Referenze fotografiche

 

 

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Pagina 5

ISTANTANEE DI UN PAESE OTTIMISTA



Storia fedelissima della vita umana: la fotografia

«... Né questo volume era possibile in altre epoche che nella nostra rapidissima e precisa. I mezzi facili sicuri fulminei con cui noi possiamo trattenere le piú fugaci apparenze del presente e fissare sopra una lastra preparata l'attimo che mezzo secolo fa era un'astrazione metafisica e adesso è un documento scientifico, sono il nostro vanto.

Cosí, raccolte come questa hanno un valore morale perché all'uomo destinato a dimenticare tutto tanto presto, specialmente il dolore, offrono il modo di ritrovarsi, appena egli voglia, una presenza del passato e dei suoi aspetti piú solenni e minuti, piú feroci e piú eroici, - e di ricordare le promesse e i propositi lanciati con tanto fervore nell'ora tragica, dileguati con tanta facilità nell'ora serena. A questo scopo, gli antichi dovevano adoperare esortazioni retoriche e rievocazione poetiche; noi ci serviamo della realtà sola e tremenda.» Con queste parole lo scrittore e giornalista Ugo Ojetti commentava il prezioso volume fotografìco realizzato per documentare una delle piú catastrofiche calamità della storia dell'Italia unita, il terremoto che corpi Messina e Reggio il 28 dicembre 1908 provocando 80.000 morti: l'assetto territoriale dell'intera area fu sconvolto, intere famiglie e patrimoni distrutti. Di fronte a questa immane tragedia la società civile rispose con una grande gara di solidarietà, ma la mancanza di coordinamento diede luogo a violenze e speculazioni. Tuttavia la vicenda del terremoto si può considerare l'episodio simbolo di una nuova attenzione dello stato nei confronti della società e parallelamente di una nuova funzione che viene attribuita alla fotografia di documentazione. Lo stato, «con mirabile slancio di fratellanza» (Giolitti), garantisce la sua presenza attraverso l'invio e l'organizzazione dei soccorsi e dei servizi essenziali, stanziando contributi straordinari per le zone devastate e impegnandosi nella ricostruzione delle infrastrutture civili, secondo la nuova politica inaugurata in questi anni nei confronti del Mezzogiorno. La Società fotografica italiana realizza un volume con 500 illustrazioni sulle città e i villaggi prima e dopo le distruzioni, sulle vittime e sull'organizzazione dei soccorsi, completandolo con alcune fotografie etnografiche sulle popolazioni locali, e con i rilievi sismografici del 28 dicembre. Un lavoro, accurato e impegnativo che si avvalse dei contributi di alcuni intellettuali dell'epoca e si meritò il lapidario commento di Gabriele D'Annunzio: «È questo un documento che rende imperituro il ricordo di quanto il fato ha distrutto. Il mondo civile ve ne deve essere grato».

Nei primi anni del Novecento si sviluppa in Italia una dialettica nuova tra lo stato e la società: lo stato è piú disponibile ad accogliere le istanze provenienti dalla società civile e in particolare da quelle classi escluse dal processo di unificazione nazionale; nello stesso tempo la società cerca nuove forme di espressione e di organizzazione. Si creano in questo periodo tutti gli strumenti che rendono possibile quella modernizzazione che finirà per trasformare abitudini, stili di vita e mentalità degli italiani. Tra questi la fotografia, che acquista le dimensioni di un fenomeno di massa già dagli anni Ottanta dell'Ottocento, e documenta gli esordi del nuovo secolo prima e meglio del cinema, che muove solo ora i suoi primi passi.

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Pagina 19

Le questioni politiche, nazionali e internazionali, condizioneranno ma non interromperanno l'esperienza del riformismo giolittiano. Alla prova dei fatti non sarebbero state terre straniere e lontane a risolvere problemi endemici della società italiana. La lotta all'analfabetismo, ampiamente diffuso nell'Italia di inizio secolo, viene condotta in questi anni nell'ambito della politica di incoraggiamento delle classi popolari; il miglioramento complessivo della situazione economica fa crescere del resto la domanda di istruzione da parte dell'operaio come del piccolo borghese di provincia. L'istruzione era allora sotto la responsabilità dei comuni, gravati da continue difficoltà finanziarie e sottoposti all'influenza del clero e degli elementi locali piú conservatori; inoltre l'obbligo scolastico era ampiamente disatteso: nel 1907 circa un milione di ragazzi non frequentava la scuola, e a questo bisogna aggiungere le precarie condizioni di lavoro degli insegnanti e la loro scarsa retribuzione. Nel 1911 viene cosí varata la legge Daneo-Credaro con la quale lo stato diventa responsabile dell'istruzione primaria. Da quel momento l'iniziativa pubblica si impegna a nominare nuovi insegnanti, ad aumentare gli stipendi ai maestri, a creare nuove scuole, a istituire corsi serali per analfabeti, a rendere obbligatoria l'istruzione per militari e carcerati, a fondare università popolari e biblioteche. L'analfabetismo che nel 1861 raggiungeva il 75%, con punte del 90% in Sardegna, si riduce significativamente nel 1911 al 37,9%: alla vigilia della guerra gli alunni delle scuole elementari risulteranno triplicati.

Anche l'estensione del suffragio elettorale vuole contribuire all'«elevamento» delle classi popolari: «L'esame sulle capacità di maneggiare le ventiquattro lettere dell'alfabeto quanto fosse necessario per scrivere il nome di un candidato sulla scheda - scrive Giolitti - non poteva ormai piú essere il criterio per stabilire se un uomo avesse le attitudini per giudicare delle grandi questioni che interessavano le masse popolari [...] D'altra parte, tutti sanno che nelle nostre campagne vi sono contadini che, pure non sapendo firmare che con la croce, spiegano facoltà di primo ordine nel maneggio dei loro affari». Sul piano politico, nelle intenzioni di Giolitti, la nuova legge avrebbe dovuto giovare alla maggioranza di governo, alla quale i nuovi elettori avrebbero garantito il loro voto. Di fatto essa contribuirà ad accelerare la spinta verso la crisi dell'intero sistema. La legge del 1912 che estendeva il diritto di voto a tutti i cittadini maschi, anche analfabeti, che avessero compiuto i trent'anni e prestato servizio militare, porterà il numero degli elettori da 3.300.000 a 8.500.000. La prospettiva delle elezioni del 1913, le prime a suffragio maschile allargato, suggerisce dunque a Giolitti di cercare alleanze che permettano di arginare l'avanzata del socialismo rivoluzionario, e gli interlocutori piú indicati sembrano essere i cattolici.

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Strade scintillanti e salotti polverosi: la società


Il riformismo giolittiano e il decollo industriale modificano radicalmente la mentalità e lo stile di vita degli italiani. Valori e comportamenti della borghesia raggiungono in questi anni un grado di omogeneità che prelude alla successiva società di massa.

L'industrializzazione comporta la comparsa, soprattutto nel nord del paese, di novità che aumentano, anche nella gente comune, il mito del progresso. La città è il regno della borghesia: in questi anni le città italiane si animano, si diffondono automobili e tram, si moltiplicano le vetrine dei negozi e i manifesti murali, si affollano i caffè. Compaiono il telefono e il cinematografo. Le giornate si allungano grazie all'energia elettrica, si può passare la serata in birrerie, café-chantant, o teatri: si privilegiano gli svaghi leggeri, all'opera si preferisce l'operetta o le canzoni piccanti delle chanteuses (a Napoli sciantose) come Niní Tirabusciò (1911). Le occasioni mondane si moltiplicano: balli, feste, spese nei nuovi grandi magazzini, concorsi ippici, avvenimenti sportivi prima sconosciuti come gare automobilistiche o aeree o partite di football. Nuove abitudini rischiano già ai loro esordi di soppiantarne altre ben consolidate; Gian Piero Brunetta cita l'opinione che lo scrittore Giovanni Papini espresse sul cinema nel 1907: «I cinematografi colla loro petulanza luminosa, coi loro grandi manifesti tricolori, e quotidianamente rinnovati, colle rauche romanze dei loro fonografi, gli stanchi appelli delle loro orchestrine, i richiami stridenti dei loro boys rosso-vestiti, invadono le vie principali, scacciano i caffè, s'insediano dove erano già le halls di un restaurant o le sale di un biliardo, si associano ai bars, illuminano ad un tratto con la sfacciataggine delle lampade ad arco le misteriose piazze vecchie e minacciano, a poco a poco, di spodestare i teatri... ».

È una «rivoluzione della percezione» di dimensioni europee che ha riflessi decisivi anche nel campo della scienza, come ha sottolineato Antonella Tarpino in un recente saggio: «In conseguenza di una serie di eventi, dalla comunicazione elettrica ai nuovi sistemi di trasporto all'avvento della cinematografia, la coscienza del tempo e dello spazio risultò irreversibilmente alterata. L'esperienza della simultaneità, che invenzioni come il telefono, l'aereoplano e il cinema garantirono, diede accesso a una pluralità di spazi e di tempi in cui gli uomini dell'epoca si trovarono bruscamente sbalzati. Alla ricerca scientifica si impose il compito di adeguare i propri parametri alla nuova realtà in corso: sotto l'effetto di una percezione temporale dilatata, la teoria einsteiniana sancí la scomparsa di un tempo assoluto, concependo altresí le coordinate temporali in relazione a un sistema specifico di riferimento». E ancora sulla nuova dimensione del tempo: «L'innumerevole quantità di azioni che ora si succedono in forma automatica - dai gesti del premere, gettare, scattare, alle continue esigenze di osservare e recepire segnali e messaggi - induce una serie di esperienze non realmente assimilate ma registrate al livello piú superficiale della coscienza, in cui si depositano incessantemente sensazioni che trapassano di continuo nella sfera per cosí dire del "postumo': emblematico a questo proposito il caso dello scatto del fotografo che nel momento in cui fissa un evento per un periodo illimitato di tempo lo consegna inderogabilmente al territorio del fu».

 

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Riferimenti

Letture consigliate

Per un quadro complessivo delle vicende politiche e sociali
del periodo giolittiano:

Emilio Gentile, L'Italia giolittiana,
    Bologna, il Mulino, 1990
Alberto Aquarone, L'Italia giolittiana (1896-1915),
    Bologna, Il Mulino, 1988
Franco Gaeta, La crisi di fine secolo e l'età giolittiana,
    Torino, Utet, 1982
Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna, vol. 7: La
    crisi di fine secolo e l'età giolittiana,
    Milano, Feltrinelli, 1974.

Una raccolta di approfondimenti su singoli aspetti dell'età
giolittiana è la

Storia d'Italia, vol. 3: Liberalismo e democrazia, a cura di
    Giovanni Sabatucci e Vittono Vidotto,
    Roma-Bari, Laterza, 1995.

Sul ruolo della pubblica amministrazione, essenziale in
questi anni, si può fare riferimento a

Guido Melis, Storia dell'amministrazione italiana,
    Bologna, il Mulino, 1996

Per le vicende biografiche di Giovanni Giolitti, di notevole
interesse e di piacevole lettura è

Giovanni Ansaldo, Il ministro della buona vita: Giolitti e i
    suoi tempi, Milano, Longanesi, 1949,

oppure il piú classico

Nino Valeri, Giovanni Giolitti, Torino, Utet, 1972.

O ancora, l'autobiografia politica scritta dallo statista
piemontese dopo la conclusione definitiva della sua lunga
vicenda politica:

Giovanni Giolitti, Memorie della mia vita,
    Milano, Treves, 1922,

disponibile nella riedizione Garzanti del 1977.

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