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| << | < | > | >> |IndiceVIII Indice delle illustrazioni XI Indice delle cartine XII Indice delle tavole XIII Indice delle appendici XVII Prefazione 1 Introduzione 21 1. Le isole di Mezzanotte 57 2. Le isole Dipinte dal 600 a.C. al 43 d.C. circa 103 3. Isole di frontiera dal 43 al 410 circa 139 4. Le isole germanico-celtiche dal 410 all'800 circa 195 5. Le isole a Occidente dal 795 al 1154 255 6. Le isole d'Oltremare dal 1154 al 1326 335 7. Le isole anglicizzate dal 1326 al 1603 439 8. Due isole: tre regni dal 1603 al 1707 539 9. Le isole dell'impero britannico dal 1707 al 1922 709 10. Le isole postimperiali dal 1900 circa 857 Appendice 979 Indice dei nomi |
| << | < | > | >> |Pagina 211. Le isole di MezzanotteL'UOMO DELLA GROTTA DEL CANYON. Non molto tempo dopo l'ultima era glaciale, non lontano dal mare Occidentale, un uomo di giovane età fu seppellito in una grotta posta in alto sulla parete di roccia calcarea di un canyon. Dietro di lui era collocato uno strano oggetto lungo, costituito da corna ramificate, variamente interpretato come una sorta di scettro o come un attrezzo per raddrizzare le lance. La fossa poco profonda scavata nel piano della grotta era circondata da migliaia di selci: le parti non deperibili di lance, coltelli, raschiatoi e bulini, tipici dell'età della pietra. Accanto c'erano anche mucchi di ossa appartenuti agli uccelli e agli animali che avevano costituito la dieta alimentare dell'abitante della grotta: cavalli, renne e cervi rossi; lepri grigie, orsi bruni, volpi bianche e pernici bianche nordiche; maiali, ancora pernici, falchi pellegrini; infine, anche un osso di mammut, un pezzo unico e molto più antico. La grotta e il suo contenuto erano rimasti indisturbati fino al ritrovamento in tempi moderni. Le grotte erano uno dei rifugi preferiti dagli uomini preistorici. Offrivano asilo in tutte le stagioni, una temperatura mite e protezione dagli animali selvaggi. Diversamente da una caverna nelle vicinanze, servita da rifugio per le iene e usata in tempi molto più remoti da ominidi, la grotta del Canyon fu abitata solo dopo la fine dell'ultima era glaciale. La sua temperatura fresca, ma mai gelida, era ideale per la crescita delle stalattiti e, ai nostri giorni, per la stagionatura del formaggio. Circa sette-ottomila anni dopo la tumulazione dell'uomo nella grotta, arrivarono gli anglosassoni e lì vicino fondarono un villaggio che chiamarono Ceodor, termine utilizzato per indicare un canyon o una gola. Cinque secoli dopo gli anglosassoni giunsero i normanni, che chiamarono il canyon gorge, parola che si riferiva sia a una gola sia a una valle molto stretta. Ben poco si sa riguardo all'uomo sepolto nella grotta del Canyon. Di sicuro non era inglese, sebbene morto e vissuto in un paese che, molto tempo dopo, sarebbe stato chiamato Inghilterra. Non sappiamo a quale tribù o popolazione appartenesse, non conosciamo la lingua o le lingue parlate dalla sua gente e nemmeno se queste fossero comprensibili ad altri esseri viventi nelle vicinanze. Ignoriamo che idee avesse riguardo al proprio mondo o se si fosse fatto un'opinione sull'epoca in cui era nato. Possiamo supporre che fosse un cacciatore o, al limite, che fosse rifornito di cibo dai cacciatori e da altri membri della sua tribù. Dato che si nutriva di carne di animali e di frutti della foresta, si può anche ipotizzare che fosse abituato a girovagare di continuo. E che seguisse i branchi di animali sulle colline e lungo le valli, nel clima freddo e secco di quel primo periodo postglaciale. Probabilmente, per raggiungere il mare, che distava appena un giorno di cammino dalla sua grotta, doveva arrampicarsi spesso sulla parete del canyon, fino ai sentieri erbosi sul crinale e percorrerli verso la spiaggia. Anche se la costa si trovava molto più in là rispettto a oggi, si può immaginare che a bordo della sua canoa attraversasse il vicino estuario raggiungendo la riva settentrionale o che affrontasse l'ancor più avventuroso guado del Golfo Profondo, per approdarvi oltre il tramonto. Dalla scoperta, avvenuta nel 1903 nella Gough's Cave della Cheddar Gorge, lo scheletro dell'"uomo di Cheddar" rimase per novant'anni nel Museo di storia naturale a Londra. Poi, nel 1996, fu oggetto di un esperimento straordinario. Fu inviato all'Institute of Molecolar Medicine di Oxford per un esame del DNA; successivamente i campioni di DNA mitocondriale furono messi a confronto con un buon numero di campioni simili, prelevati da volontari scelti tra gli abitanti dell'attuale distretto di Cheddar. Come riferisce il "Times", «tra lo stupore degli scienziati, si è riscontrata una stretta corrispondenza tra l'uomo di Cheddar e il signor [Adrian] Targett», un quarantaduenne insegnante di storia presso la King of Wessex Community School, a Cheddar Village. Al di là di ogni ragionevole dubbio, l'esperimento ha quindi dimostrato che un uomo della fine del XX secolo è un diretto discendente per via materna di una persona vissuta nella stessa località nell'età della pietra. Le implicazioni del caso Targett sono di notevole portata. Se non è il frutto di un errore o di una sorprendente coincidenza, il risultato indicherebbe che un numero considerevole di abitanti dell'attuale Britannia costituisce gruppi di parentela locale, che si sono perpetuati senza soluzione di continuità per tre o quattrocento generazioni. A sua volta, ciò significa che ognuna di queste generazioni si è adattata a ogni successiva ondata culturale, linguistica e politica avvenuta nel corso di millenni. Per molto tempo si è contestata con decisione l'antica tesi secondo cui la "razza insulare" della Britannia sarebbe il risultato di numerose e massicce invasioni, dai parenti dell' "uomo di Cheddar" del Mesolitico, che ripopolarono le isole dopo l'era glaciale, a tutte le popolazioni storiche (celti, romani, sassoni, vichinghi, normanni e angioini), che quasi cancellarono i loro predecessori preistorici. Oggi questa posizione è virtualmente indifendibile. Il bagaglio genetico preistorico deve essere stato indubbiamente modificato e integrato dall'arrivo di popolazioni più recenti. Eppure, è ancora lì. Rimangono da fare altre considerazioni di importanza cruciale. Al popolo britannico si insegna, con modalità che portano a un'accettazione del tutto acritica, che «l'uomo di Cheddar visse sull'isola preistorica della Britannia». A ben vedere, però, ogni singolo termine di questa affermazione è inesatto. Quando, infatti, l'antenato del signor Targett fu seppellito nella grotta, il canyon non era ancora quello della Cheddar Gorge. Quindi, chiunque fosse l'"uomo della grotta del Canyon", non poteva essere l'"uomo di Cheddar". Inoltre, né lui né i suoi parenti potevano sapere di essere "preistorici". E la loro terra di origine era millenni lontana dall'essere l'Inghilterra o la Britannia. E la cosa più stupefacente, dato che nove millenni rappresentano un semplice istante nella durata complessiva della preistoria, è che quel territorio non era ancora un'isola. L'ultima rilevazione effettuata col carbonio 14 faceva risalire la morte dell'uomo della grotta del Canyon a circa 8980 anni prima. In anni solari, ciò corrisponde a una data non precisata nell'VIII millennio a.C., che precede quindi ampiamente la data media in cui i geologi collocano la formazione delle isole al largo dell'Europa. Se anche fosse nato esattamente nel luogo del suo decesso, non c'è praticamente dubbio che l'uomo della grotta del Canyon fosse un continentale. | << | < | > | >> |Pagina 25LA STORIA DELL'UMANITA sulla penisola che oggi chiamiamo Europa è durata per sette-ottocentomila anni. Per più del 99% di questo lungo lasso di tempo, gli uomini vissero nell'età della pietra, utilizzando arnesi di pietra grezza o di selce , la cui complessità cresceva in maniera estremamente lenta. Essi vivevano cacciando, costruendo trappole, pescando e raccogliendo piante selvatiche e molluschi. Sebbene le grotte e gli spazi all'aperto, nell'arco di lunghi periodi, fossero ripetutamente occupati, abbandonati e occupati di nuovo, vi erano ancora pochi insediamenti, poiché gli uomini seguivano i branchi di animali attraverso i continui cambi di stagione e di pascolo.Se misurassimo il periodo della vita umana preistorica sulla Penisola su una scala da 1 a 100, dovremmo situare la nascita dell'uomo moderno, Homo sapiens sapiens, verso 94; quindi, poco dopo 98, l'arretramento della calotta glaciale settentrionale e l'inizio dell'era mesolitica; intorno a 99, le primissime origini della cosiddetta rivoluzione neolitica. In nessuna fase, prima di arrivare a 100, furono presenti isole di una certa dimensione al largo della costa nordoccidentale della Penisola. Per gran parte dell'epoca preistorica, le terre oggi chiamate Isole britanniche o Isola britannica e Isola irlandese costituivano un vasto promontorio che faceva parte della massa continentale, una sorta di penisola della Penisola affacciata verso l'oceano (vedi cartina n. 1). Il promontorio era costituito da due parti, un tronco principale che si sviluppava da nord a sud e una lunga protuberanza a ovest. Nel corso delle diverse ere glaciali, il suo popolamento, sempre scarso, fu incostante, a volte favorito dalle condizioni miti tra una glaciazione e l'altra, a volte scoraggiato dalla morsa del ghiaccio e dalle condizioni climatiche tipiche della tundra dovute all'avanzamento dei ghiacciai. Al culmine dell'ultima era glaciale era scomparsa ogni traccia di insediamento umano. Nuovi insediamenti ripresero soltanto intorno al 10000 a.C., dopo un intervallo di circa sette-otto millenni. Da allora, la presenza dell'essere umano sulle Isole non ha avuto più interruzioni fino ai giorni nostri. Ai tempi dell'uomo della grotta del Canyon, le valli a sud si erano rapidamente ricoperte di una boscaglia ancora più fitta di quella dell'epoca postglaciale; sempre più spesso gli abitanti stabilivano accampamenti lungo la costa o si trasferivano verso le isole minori, le lontane regioni montane (uplands) e le zone più a nord dove, a tempo debito, le capanne circolari sarebbero diventate una forma tipica di insediamento. La trasformazione della penisola affacciata verso l'oceano in un arcipelago di isole vere e proprie ebbe luogo nel corso del VII o del VI millennio a.C. Con ogni probabilità avvenne gradualmente e non in seguito a una drammatica catastrofe geologica o a un improvviso innalzamento del mare. Fu in parte provocata dall'oscillazione della superficie terrestre, resa instabile dal ritirarsi dei ghiacci e, in parte, dall'innalzamento del livello del mare. Le regioni costiere sprofondarono lasciando affiorare solo le vette, che rimasero come una fila di piccole isole attorniate dalla tempesta. Le montagne del nord si innalzarono. Il braccio occidentale della penisola si staccò, dando così origine a due isole separate, l'isola Verde e l'isola Grande. All'interno del lungo Golfo Profondo si sollevarono le maree oceaniche, provenienti non solo da sud, ma anche attraverso i nuovi turbolenti stretti del nord, trasformando così la parte superiore del golfo nel mare di Mezzo. Quindi, a oriente, le pianeggianti distese costiere continentali si ritirarono verso sud a mano a mano che le basse acque salmastre avanzavano. Questo fenomeno aumentò considerevolmente le dimensioni del mare Orientale e ridusse il braccio di terra che univa la penisola al continente a uno stretto istmo che si estendeva pianeggiante verso sud, largo meno di 160 chilometri, tra due crinali calcarei. Alla fine, data la continua crescita del livello del mare, l'istmo stesso cominciò a restringersi. Dapprima divenne un acquitrino umido e salato, quindi iniziò a inondarsi. Una volta sommerso l'istmo, le correnti provenienti da est si unirono a quelle occidentali, ripulendo così gli ultimi residui di calcare, ghiaia e sabbia. In un periodo non ben definito, tra il 6000 e il 5500 a.C., il collegamento con la terraferma scomparve del tutto. Era nata La Manica, con il suo punto di maggiore assottigliamento in corrispondenza dello stretto Meridionale. | << | < | > | >> |Pagina 788(13) LA GRAN BRETAGNA MULTIRAZZIALE: «UN NUOVO MODO DI ESSERE BRITANNICI»Durante il XX secolo, la nozione di "razza" subì cambiamenti enormi. La genetica di inizio Novecento non era in grado di spiegare ragionevolmente le differenze tra gli uomini. In Gran Bretagna, come nel resto del mondo, trionfava una pseudoscienza in cui l'eugenetica era una disciplina riverita e rispettabile. I britannici, adusi alle razze equine, tendevano a pensare alle "razze umane" negli stessi termini. Confondevano infallibilmente i concetti di "razza" e di "nazione", assumendo che la "razza inglese" e la "razza scozzese" fossero biologicamente distinte. Inoltre, erano oltremodo sensibili al "colore", sebbene non avessero una guida migliore dello "schema a cinque razze" in voga nel XVII secolo, che distingueva rozzamente le razze in nera, marrone, rossa, bianca e gialla. Essi si attenevano alla dubbia equazione "bianchi" uguale "europei", variamente e malamente identificati in "ariani" o "caucasici". La nozione primitiva e inaccettabile della prevalente "teoria razziale" fu correttamente smascherata e screditata solo dopo il 1945, quando gli orrori della pseudoscienza della Germania nazista si rivelarono nella loro interezza. La scoperta del DNA, effettuata nel 1953 da due scienziati britannici, incanalò la ricerca scientifica rigorosa in una cornice completamente nuova. Da allora, nessuno poté più ragionevolmente contestare il dato che tutti gli esseri umani condividono un corredo genetico fondamentalmente uguale. La prima ondata immigratoria dell'era moderna fu quella degli ebrei dell'Europa orientale, nel periodo 1885-1905. In fuga dalla povertà del "recinto ebraico" creato dall'impero zarista e dal terrore delle persecuzioni, gli immigrati ebrei di lingua yiddish si riversarono in modo improvviso e incontrollato, trasformando l'East End londinese e altri simili quartieri delle maggiori città in quartieri a maggioranza ebraica. Certamente non avevano un'estrazione omogenea. Vi erano anche persone altamente istruite, ben integrate nella cultura polacca o russa, ma i più appartenevano a comunità religiose ortodosse e chassidiche, che risiedevano in comunità separate e si attenevano a rigidi precetti in fatto di abbigliamento, alimentazione e igiene personale. Il loro arrivo fu molto agevolato da organismi già esistenti come il Chief Rabbinate (1758) e il Board of Deputies of British Jews (1760) e, a livello politico, dall'Associazione anglo-ebraica (Aja). L'entità delle cifre circa centomila immigrati indusse il parlamento britannico a emanare l'Aliens Act (1906) e incrementò i fenomeni di antisemitismo, soprattutto durante la breve esistenza della British Union of Fascists, negli anni trenta. Nondimeno, la diaspora, l'immigrazione e, in larga misura, l'assimilazione degli immigrati ebrei, al 1939 erano essenzialmente compiute. Un'ultima ondata dalle avanzate comunità di Austria e Germania precedette di pochissimo la seconda guerra mondiale. Da allora, il contributo degli ebrei alla vita nazionale è stato eccezionale. In epoca vittoriana ed edoardiana, certamente gli ebrei venivano ritenuti un gruppo razziale, non una semplice comunità religiosa, visione questa rafforzata dai dettami dell'ebraismo ortodosso che proibiva i matrimoni interrazziali e considerava automaticamente ebrei tutti i figli di madre ebrea. L'assimilazione, dunque, non era cosa semplice. Da un lato, la crescita dell'ebraismo riformato, che mitigava molte delle 613 regole religiose, poteva facilitare il processo; dall'altro, la necessità di integrarsi spingeva molti ebrei ad abbandonare le comunità di appartenenza, ad adottare filosofie politiche o sociali radicali e spesso ad anglicizzare il proprio nome. Una possibile soluzione per i giovani ambiziosi era quella di celare il proprio ebraismo. Come oggi è ben documentato, fu questa la strategia di vita di Leopold Amery (1873-1955), figlio di un'immigrata ungherese, che fece una brillante carriera nel partito conservatore, distinguendosi per le posizioni ultra patriottiche. Amery nacque in India, dove suo padre aveva lavorato come funzionario di secondo piano. Frequentò alcune delle migliori scuole britanniche, Harrow, Balliol e All Souls, per approdare infine al British Cabinet, dove prestò servizio sia come segretario alle colonie sia come segretario di stato per l'India durante il governo Churchill. Perfino nella sua autobiografia egli fornì false informazioni per nascondere la propria origine. Poiché Amery era l'estensore della dichiarazione Balfour, il creatore della legione ebraica, un intimo amico di Jabotinsky, un fermo oppositore all'immigrazione controllata in Palestina e l'uomo che nel 1940 rovesciò Neville Chamberlain, adattando le parole di Cromwell «Nel nome di Dio, avanti!» nella Camera dei Comuni, la sua condotta non era propriamente irrilevante. Tale condotta, però, presto si rivelò tragica, quando il suo primogenito John (1915-1945) divenne un convinto fascista e antisemita, un convinto e determinato collaboratore di Franco, del regime di Vichy e dei nazisti. Il figlio più giovane Julian (1919-1997) seguì le orme del padre con una sfavillante carriera politica. John Amery fu impiccato per alto tradimento nel dicembre 1945. Le radici di questa tragedia vanno ricercate nelle tensioni dell'immigrazione. Nella prima guerra mondiale le forze armate britanniche schieravano molti uomini dell'esercito indiano sul fronte occidentale. Un primo ministro, Lord Salisbury, in precedenza si era cinicamente espresso al riguardo, parlando dell'India come di «una caserma inglese sui mari orientali, dalla quale attingere qualsiasi quantità di truppe senza dover pagare». Nella seconda guerra mondiale non fu più possibile sfruttare con tanta facilità un esercito indiano ormai politicizzato. Naturalmente fu impiegato nello scenario asiatico, ma solo a malapena in Africa settentrionale e in Italia. Durante e dopo il secondo conflitto, nel Regno Unito affluì il primo grande gruppo di stranieri che necessitava di essere regolarizzato e ufficialmente contemplato nelle politiche di governo. Una parte dell'esercito polacco (fra il 194o e il 1945 acquartierata in Scozia) sbarcò e combatté in Normandia; un'altra parte, precedentemente evacuata dalla Russia, combatté fra gli Alleati sui vari fronti da Tobruk a Montecassino. Alla fine della guerra, i polacchi in Gran Bretagna, circa 500000, furono sollecitati a rientrare in patria da un governo britannico che non sembrava notare che la maggior parte della Polonia era stata annessa dall'Urss. Così, circa una metà rimase in Gran Bretagna. L'istituzione dei Polish Resettlement Corps (1947-1949), un'unità non operativa dell'esercito britannico, aiutò gli ex soldati e i loro numerosi familiari a carico nel passaggio dalla vita militare a quella civile. Mentre i polacchi si stabilivano nel paese, cominciarono ad arrivare ondate ancora più massicce di immigrati per motivi economici, soprattutto dalle Indie Occidentali e dal subcontinente indiano. La prima nave, l' Empire Windrush, attraccò a Tilbury il 22 giugno 1948 sbarcando 492 giamaicani. Data la carenza post-bellica di manodopera, per tutti gli anni cinquanta il governo si attenne a una politica delle "porte aperte". Le principali società, dalla London Transport al National Health Service, potevano assumere direttamente. Ma la popolazione immigrata disoccupata saliva costantemente. Dal 1962 il Commonwealth Immigration Act limitò l'afflusso alle persone in possesso di un permesso di lavoro fornito dal Ministero del lavoro, ai loro familiari a carico e agli studenti. Nei quarant'anni successivi, la percentuale di residenti nati fuori dal Regno Unito è salita al 7%, valore alquanto inferiore rispetto ad altri stati europei come la Francia e la Germania. Il risultato dell'immigrazione assunse molteplici forme. Il "negozio d'angolo", per esempio, fra i capisaldi della vita urbana in Gran Bretagna, fu salvato dagli esercenti immigrati. I ristoranti cinesi e indiani arricchirono e ce n'era bisogno la dieta britannica. Un quarto dei medici e degli infermieri era nato all'estero. Malgrado ciò, l'opposizione all'immigrazione dal Commonwealth si faceva più intensa e manifesta. Una ragione era squisitamente economica. Gli operai e i sindacati britannici temevano per il proprio lavoro, mentre gli organi statali consideravano con ansia le ripercussioni sullo stato sociale. Un'altra ragione era culturale: la società britannica aveva una conformazione assolutamente tradizionale. Il suono di una steel band di Trinidad, o la vista di una moschea a Regent's Park apparivano anomali, e spesso indecorosi. Un'altra ragione ancora era scolastica. Uno studio recente ha mostrato che per tutto il periodo anteguerra e per un lunghissimo periodo successivo alcuni libri scolastici di storia britannici predicavano ancora un messaggio di superiorità culturale e morale. Al riguardo, fu coniato il concetto di "razzismo morale". Esso denota l'acclarata tendenza ad attribuire il successo delle nazioni occidentali alla loro capacità e all'attitudine alla libertà, considerate innate. L'imperialista vittoriano Charles Dilke negli anni 1860 aveva scritto di «una dittatura morale sul globo» giustificata da «istituzioni sassoni e dalla lingua inglese». Questi aveva anche lodato gli Stati Uniti come «amplificatore della voce di Inghilterra». Un centinaio d'anni dopo, vi erano ancora accademici che si esprimevano in termini simili sulla guerra fredda, lodando il «neomoralismo» della politica estera americana e presumibilmente - della «speciale relazione». Lo sviluppo dei paesi del Terzo mondo sarebbe stato merito di quella piccola quantità di persone che hanno frequentato le università occidentali: «Seduti nei caffè e nelle sale di conferenza di Londra e di ogni altre luogo, queste persone discutevano di libera scelta e governo democratico. Essi contrapponevano a tali principi europei l'atteggiamento dei governi coloniali che essi conoscevano». Al fondo di tutto, si può intuire un elemento sostanziale di puro pregiudizio razziale. Nel 1968 un importante parlamentare conservatore, Enoch Powell (1912-1998) scelse di parlare contro l'immigrazione dal Commonwealth nei toni più ignominiosi. Powell non era un rozzo demagogo. Era un finissimo e autorevole intellettuale, già professore di lettere classiche, che parlava con lucidità e autorevolezza, qualità che rendevano esplosivo il suo punto di vista. Il suo discorso di Birmingham del 20 aprile 1968 era infarcito di riferimenti colti. «Colui che gli dei vogliono perdere», annunciò, prima lo fanno impazzire. Dobbiamo essere folli, letteralmente folli, come nazione, per permettere un afflusso annuale di circa cinquantamila familiari a carico che per lo più costituiscono il materiale della futura crescita della popolazione discendente da immigrati [...] una nazione alacremente indaffarata a erigere la propria pira funebre [...] se guardo avanti sono colmo di infausti presagi. Come i romani, mi sembra di vedere «il fiume Tevere spumeggiante di sangue». I peggiori auspici di Powell non si avverarono. Le tensioni razziali, per quanto abbastanza manifeste (Notting Hill, 1968 e Toxteth, 1981) non diventarono una caratteristica fondamentale del panorama britannico. Il British National Party (BNP) del dopoguerra, apertamente schierato su posizioni razziste, e la prebellica British Union of Fascists, vivacchiavano nell'area extraparlamentare. L'influenza di Powell decadde. Egli finì la sua carriera nel ranghi degli Ulster Unionists. Il Race Relation Act (1976) e la risultante Commissione per l'uguaglianza razziale (Commision for Racial Equality, CRE) derivarono in parte dai timori per la propaganda di Powell, ma soprattutto dal crescente senso di sicurezza delle comunità immigrate e dei loro sostenitori. L'atto rendeva illegale ogni forma di discriminazione razziale e prevedeva l'assegnazione di indennizzi alle vittime di molestie e pregiudizi. Nel 1999 la Cre era diventata uno degli organi di propaganda più attivi delle istituzioni. Essa intendeva promuovere un'immagine positiva della Gran Bretagna multietnica, fra l'altro divulgando una determinata interpretazione della storia nazionle, secondo la quale la Gran Bretagna «è sempre stata una società mista, fin dall'età del bronzo»; o ancora, affermando che «la maggior parte delle persone in Gran Bretagna sono immigrati o discendenti di immigrati». In un'epoca che vedeva gli storici attribuire alle successive invasioni un'incidenza genetica relativamente modesta, questa doveva essere un'opinione particolarmente controversa, sensata solo se si risale al principale ripopolamento delle Isole dopo l'era glaciale (vedi capitolo 1). Più seriamente, bisogna mettere in discussione alcuni dei presupposti che ammantano di buone intenzioni le attività della lobby antirazzista. Espressioni come «la comunità nera e asiatica» sono del tutto inadatte a spiegare il fatto che esistano molte diverse comunità nere, e un numero anche maggiore di comunità etniche e religiose asiatiche. Facendo riferimento al colore della pelle, certamente si rischia di dimemticare il primato della cultura. I neri protestanti evangelici che sfilano nelle parate orangiste di Liverpool possono avere più in comune con altri protestanti britannici che con i rastafariani della Giamaica o gli immigrati africani dalla Nigeria o dal Ghana. I musulmani del Pakistan, i sikh del Punjab e gli indù indiani non per forza hanno molto in comune, al di là del loro "colore", mentre altri asiatici, come i cinesi, appartengono a un mondo totalmente diverso da quello del subcontinente indiano. Le politiche antirazziste sono rese altrettanto complicate dalla vecchia confusione fra "razza" e "nazione". Negli ultimi anni, la Cre ha registrato un incremento degli esposti di "bianchi" contro "bianchi". Nel 1998, a Sheffield un autotrasportatore danese ha vinto una causa storica contro il suo datore di lavoro. «Il fatto che il signor Stevnsborg sia bianco», commentava la Cre, «non ha fatto differenza alcuna rispetto all'accusa di razzismo qui contemplata.» Al consolidamento di una coscienza nazionale scozzese corrispose un analogo aumento di ricorrenti inglesi che adivano alle vie legali contro pretese discriminazioni da parte scozzese. Può anche darsi che la Cre dovrà trovare un equilibrio con le posizioni meno rigide dell'analoga istituzione Ue, la Commissione contro il razzismo e l'intolleranza.
In ogni caso, niente contraddistinse gli anni novanta quanto lo sdegno, del
tutto giustificato, che animava il
Report of the Stephen Lawrence Inquiry
(1999). Cinque anni dopo l'omicidio di un ragazzo di colore in una via di
Londra, questa inchiesta indipendente non solo rilevava che le indagini della
polizia erano state pateticamente inadeguate, ma anche che la polizia britannica
soffriva di «razzismo istituzionalizzato». Era l'eclatante dimostrazione di
quanto la Gran Bretagna contemporanea fosse distante dall'ideale di un paese
privo di «discriminazione sulla base del colore della pelle, della nazionalità,
della cittadinanza, dell'origine etnica o nazionale».
Fra gli effetti più interessanti dell'immigrazione del dopoguerra va
annoverato lo sviluppo di una nuova corrente letteraria; o meglio, l'esplosione
di un genere che ebbe il suo precursore in Joseph Conrad. L'uso della lingua
inglese da parte degli scrittori immigrati, come mezzo per sublimare il loro
frequente disagio al contatto con la Gran Bretagna postimperiale, è stato una
volta descritto con la formula «L'impero scrive ancora. La vendetta». Θ un
pensiero stuzzicante:
Wat a joyful news, Miss Mattie, I feel like me heart gwine burs' Jamaica people colinizin Englan' in reverse. Che splendida notizia, Miss Mattie, sento il mio cuore scoppiare di gioia la gente di Giamaica che colonizza l'Inghilterra alla rovescia. L'area di provenienza degli autori era tanto vasta quanto l'ex impero. V.S. Naipaul (1932), Samuel Selvon (1923) e George Lamming (1927) sono nati nelle Indie Occidentali; Salman Rushdie (1947) in India; Timothy Mo (1950) a Hong Kong; Abdulrazak Gurnah (1948) a Zanzibar. I titoli dei loro romanzi non necessitano di spiegazioni: The Lonely Londoners, In the Castle of My Skin, Pilgrim's Way. Esistevano, si scoprì, una Gran Bretagna musulmana, una Gran Bretagna caraibica, una Gran Bretagna irlandese, una Gran Bretagna ebraica, una Gran Bretagna degli antipodi. Inevitabilmente, il tema centrale era la perdita di identità. L'incipit di un romanzo di Hanif Kureishi, per esempio, è un autentico manifisto. «Mi chiamo Karim Amir e sono un vero inglese dalla testa ai piede o quasi». Ma non manca la necessaria esortazione: Sono gli inglesi, gli inglesi bianchi, a dover imparare che essere inglesi non è più la stessa cosa di prima [...] dev'esserci un modo nuovo di vedere la Gran Bretagna... e un nuovo modo di essere inglese [...]. Mancare questa opportunità [...] significherà confinarsi a una maggiore insularità, separatezza, asprezza e catastrofe. | << | < | > | >> |Pagina 801(16) IL SISTEMA METRICO DECIMALE: UNA FORMA MENTIS IN LENTA MUTAZIONEPer la maggior parte del Novecento, il sistema metrico decimale e il sistema di misurazione imperiale, pur legalmente equiparati, non godettero di uguale trattamento. Il Regno Unito guardava al sistema imperiale come al modello nazionale, da impiegare nell'uso quotidiano. Il sistema metrico, ritenuto un prodotto straniero, era scarsamente applicato se non in campo scientifico. La prima guerra mondiale che riversò milioni di britannici in Francia, probabilmente contribuì a rendere più conosciuto il sistema metrico. Ma il secondo conflitto mondiale, che portò in Gran Bretagna milioni di americani, non poté che rafforzare i sostenitori del modello imperiale, dato che gli americani usavano un sistema di misurazione delle lunghezze e dei pesi basato sul vecchio sistema inglese precedente la riforma del 1824, una variante più antica del sistema imperiale. Dopo il 1945, i difensori del sistema imperiale tennero duro per oltre vent'anni, forti dell'appartenenza alla Nato, a guida americana, delle collaborazioni scientifiche anglo-americane e della tendenza, tipica dei governi britannici, a marcare una certa distanza con il movimento europeista. Nello stesso tempo, due principali fattori cominciavano a lavorare in favore del sistema metrico: lo sviluppo degli scambi con i "Sei" e la susseguente decisione, nel 1961, di richiedere l'iscrizione al Mercato comune. Il governo socialista di Harold Wilson, fortemente influenzato dalla comunità scientifica, proseguì su questa strada, decretando, nel 1965, la preminenza del sistema metrico nell'istruzione scolastica. Nel primo ventennio successivo all'adesione britannica alla Cee, il doppio sistema, teoricamente in uso dal 1897, finì per diventare la norma. Le misure metriche affiancavano le equivalenti imperiali. La doppia etichettatura dei beni si diffuse in lungo e in largo. I tachimetri delle auto, per esempio, riportavano la velocità in chilometri e in miglia. Le pompe di benzina avevano la doppia indicazione litri e galloni. Si sviluppò un sistema ibrido, noto come "soft imperial", che trovò largo impiego soprattutto nell'edilizia. Il mattone classico da 9 pollici e la porta di legno da 6 piedi e 6 pollici rimanevano in uso, ma con la nuova denominazione di mattone da 225 mm e porta da 1981 mm. Né i fautori del sistema imperiale né quelli del sistema metrico potevano davvero gioire. Il trattato di Maastricht del 1991, al contrario, prevedeva una futura uniformazione in tutto il "mercato unico". Così fu varato un nuovo Weights and Measures Act (1995), che si pronunciava decisamente in favore del sistema metrico. Da allora, il sistema metrico decimale sarebbe stato il solo riconosciuto nel Regno Unito. Si decise di conservare un limitato numero di misure imperiali fino al 31 dicembre 1999, da ridurre ulteriormente, a tempo indeterminato, dopo quella data. A partire dal 2000, l'uso delle non conformi unità imperiali divenne legalmente proibito e perseguibile. Fra le unità imperiali temporaneamente graziate nel 1995 vi erano la pinta (per la vendita di determinate bevande in contenitori a rendere), il therm (per la fornitura di gas) e il fathom (per la navigazione marittima). Le unità di peso imperiali rimanevano consentite solo per i beni all'ingrosso venduti in grandi quantità, ma non per gli stessi articoli venduti al dettaglio. Si potevano comprare due "tonnellate imperiali" di mele dal coltivatore, ma non due libbre di mele dal fruttivendolo. L'elenco delle unità imperiali ammesse a tempo indeterminato includeva la pinta per la spillatura di birra e sidro, l'acro per la misurazione di proprietà terriere, l'oncia troy per i metalli preziosi e alcune misure di velocità e distanza per la circolazione dei veicoli, come le miglia orarie. In pratica, si contavano infinite eccezioni e anomalie. Dal momento che i macchinari dell'industria britannica dai telai per i tappeti ai torni per il legno erano calibrati sulle unità imperiali fin dalla rivoluzione industriale, era impossibile sperare di ammodernare o sostituire la macchina produttiva nazionale nell'arco di cinque o dieci anni. L'idea che i tappezzieri abbandonassero la doppia indicazione entro la fine del secolo, per esempio, sembrava irrealizzabile. Ciò che più conta, tutti gli ambiti dell'esistenza che non rientrano nell'orbita commerciale o imprenditoriale erano autorizzati a usare ancora le vecchie misure. L'ippica non mostrava alcuna intenzione di abbandonare le mani (per altezza dei cavalli), i furlong (per la lunghezza dei circuiti) o le ghinee (per il calcolo delle vincite in denaro). I campi da golf continuavano a essere misurati in iarde. L'avversione al sistema metrico si manifestò vigorosamente in molte sedi. Un gruppo, rappresentato dalla British Weights and Measures Association (Bwma) riteneva che l'imposizione del nuovo sistema costituisse un attacco alla cultura britannica e una ferita ai diritti civili. Un secondo gruppo, capeggiato dalla Dozenal Society, fondava la sua ostilità sulla convinzione che la base 12 fornisca un miglior parametro per i calcoli matematici rispetto alla base 10. Un terzo gruppo, nell'orbita della lobby new age, vedeva il sistema metrico come parte del processo di disumanizzazione della civiltà contemporanea. Tutti i gruppi facevano riferimento agli Stati Uniti, osservando che uno dei maggiori paesi del mondo aveva saputo difendere stoicamente i principi della continuità culturale, da una parte, e della libera scelta, dall'altra. Immancabilmente, agli oppositori britannici del sistema metrico si accodarono gli irlandesi della Anti-metric League. Meritevoli di una lettura erano soprattutto le pubblicazioni della Bwma; non solo per le misteriose argomentazioni tecniche, ma anche per capire qualcosa dei meccanismi mentali degli "eurofobici". Ricorreva di continuo un'affermazione, secondo cui in Gran Bretagna generalmente chiamata Inghilterra - nulla era cambiato in centinaia, se non migliaia di anni. Un articolo su Il pollice antico di 10000 anni diceva tutto. Un'altra obiezione onnipresente voleva il sistema metrico e la base decimale opera di astuti cospiratori, sempre senza identità ma nascosti da qualche parte "in Europa" o fra "tecnocrati e burocrati di Bruxelles" senza volto (ovviamente non nel quartiere di Bruxelles che ospita la Nato). Il più delle volte, si percepiva la convinzione che il sistema metrico fosse il risultato di un'aggressione «antidemocratica», «non pratica» o pianamente «assurda» a un patrimonio secolare: «[...] le unità tradizionali sono parte della nostra lingua. Esse vivono nella nostra storia architettonica e nella nostra letteratura. Se le abbandoniamo, perdiamo un retaggio prezioso, tramandato per secoli [...] dovremmo opporci al vandalismo culturale». In sé, certe argomentazioni potrebbero apparire ragionevoli. Il fatto è che di rado trasmettono la minima nozione che il retaggio di una nazione non è mai statico, o che la spinta di fine secolo ad adottare il sistema metrico era la fase conclusiva di un processo iniziato da ben oltre cent'anni. Peraltro, la situazione degli anni novanta era quantomeno ironica: il Regno Unito si scopriva sul punto di adottare un sistema ideato nella Francia rivoluzionaria. Il nuovo "sistema imperiale britannico" definito nel 1824 si riduceva a un'entità marginale, che manteneva il suo ruolo principe soltanto in regioni come le Bahamas, la Birmania o la Micronesia. Al contrario, il "vecchio sistema inglese" (o "sistema coloniale"), a quel punto pudicamente definito "consuetudinario", rimaneva vivo e vegeto nella maggiore economia mondiale. Di fatto il vecchio sistema, sospinto dalla leadership americana nell'area delimitata dal Nafta, cominciò a diffondersi anche nell'America centro-meridionale. Grazie al dominio americano nell'industria informatica mondiale, dove le stampanti erano misurate nei «pollici antichi di 10000 anni», non in millimetri, il vecchio sistema vantava ottime credenziali per espandere ancora di più la sua portata. Pertanto, la disputa sul sistema metrico fu essenzialmente una riproposizione in scala ridotta del tradizionale dilemma del Regno Unito, da sempre in bilico fra l'Europa" o l'America". Nel caso specifico, i cambiamenti cruciali erano già avvenuti da molto tempo, ma la speranza di invertire un trend pluridecennale restava intatta. Proprio come l'astronomo di corte aveva scritto a "The Times" nel 1869 per criticare l'adozione del metro a scopi scientifici, così le lettere dei lettori al "Daily Telegraph" continuavano a invocare la conservazione delle «nostre», «convenienti», «superiori» e «funzionali» misure: I tre quarti della popolazione britannica preferiscono le misure consuetudinarie, una preferenza condivisa anche dalle persone fra i 15 e i 24 anni, nonostante anni di scolarizzazione e propaganda a senso unico. Eppure, tempo sei mesi, la vendita di mele o patate con il prezzo alla libbra sarà considerata un reato penale. Svegliati, democrazia! Una cosa è certa: la forma mentis delle persone muta più lentamente delle politiche di governo. Molte delle misure inglesi ancora più vecchie, abolite nel 1824, rimasero pienamente in uso fino a dopo il 1890 (vedi p. 657). Con quella velocità, molte delle unità imperiali abrogate nel 1995 dureranno fino al 2065, centesimo anniversario della decisione che sanciva la priorità del sistema metrico decimale nelle scuole. | << | < | > | >> |Pagina 805(17) L'ETHOS POSTIMPERIALE: LO SPIRITO COMUNITARIOInvecchiando, le persone tendono naturalmente a guardare al passato con commossa nostalgia per i "bei tempi andati", mentre il presente è sempre descritto come uno sfacelo. Invariabilmente, esse collocano l'"età dell'oro" nel passato. Per i britannici, che avevano perduto il loro invidiabile ruolo di punta, la tentazione di abbandonarsi alla nostalgia era piuttosto accentuata. I più anziani rammentavano una giovinezza caratterizzata da un approccio alla vita costruttivo e profondo. Ricordavano la solidarietà sociale degli anni di guerra, il patriottismo incrollabile. Ricordavano le buone maniere, i canoni di abbigliamento, di comportamento e di educazione che regolavano la vita di ogni giorno. Ricordavano i costumi sessuali morigerati. Si inorgoglivano al ricordo delle dure fatiche fisiche che avevano dovuto sostenere nei compiti quotidiani. E non mancavano di farlo sapere ai più giovani. «Non è che potevi andare all'assistenza sociale a ritirare l'assegno, a quei tempi.» «Bisognava stringere la cinghia e risparmiare su ogni penny per mettere insieme pranzo e cena.» «Il nonno e la nonna facevano avanti e indietro dalla chiesa a piedi ogni domenica: tre miglia ad andare e tre a tornare.» «E io a scuola ci andavo a piedi, pioggia o sole. E chi aveva mai sentito parlare di scuolabus?» «Tua madre badava alla vedova di guerra della porta accanto, sai?» «Quando la radio mandava il messaggio di Natale del re ci mettevamo sull'attenti.» «Una volta i giovanotti si toglievano il cappello per salutare gli anziani per strada, ci pensi? E le ragazze non potevano portare i pantaloni per nessun motivo.» «Gli uomini aprivano la porta alle signore, e cedevano il posto sull'autobus.» «E tutti sapevano come comportarsi.» «Se per le dieci non eri a casa, le buscavi di santa agione.» «Quando la cugina Ethel, quella senza marito, disse che aspettava un bambino, suo padre la cacciò di casa. Fu una cosa tremenda.» «Quando lo assegnarono ai bombardieri, lo zio Ken ci disse che l'avrebbero ammazzato. Ma gli toccava andare. Nessuno pensava di rifiutare.» «Non c'erano queste camicie che non i stirano, sai? Tuo nonno voleva lo sparato inamidato e il colletto rigido ogni mattino.» «E secondo te chi glieli lucidava, gli stivali?» La litania di lamentele sulle giovani generazioni era inesauribile. «Mai pensato di trovarti un lavoro vero?» «Spendono di più loro in una sera al pub che noi in un mese.» «Non sapevano nemmeno che trasmettevano il messaggio della regina.» «Ha visto, in treno? Tutti quanti che mettono i piedi sul sedile.» «E quelle che fumano di più sono le ragazzine.» «Quei ragazzacci rubano al supermercati e nessuno che dice niente.» «Ha fatto dormire a casa la sua fidanzata senza neanche chiedere il permesso e quella apriva il frigo e si serviva.» «Buttano le cartacce in giro.» «Lei dice di essere un'eco-guerriera. Sa il cielo che cos'è.» «Alla festa con i colleghi si sono ubriacati tutti, e nessuno ha fatto una piega.» Lo storico ha il problema di discernere le reazioni soggettive dai cambiamenti reali. Non vi è dubbio che negli ultimi tre o quattro decenni del XX secolo le convenzioni sociali siano mutate secondo modelli inediti, ma è arduo distinguere il declino di valori prettamente britannici dall'emergere di una cultura pop e un consumismo universali e dalla generale decadenza dell'Occidente. Né è lecito sostenere che dell'antica società fosse tutto positivo, e del modo di vivere attuale tutto deleterio. Se è vero che il senso collettivo di disciplina è allo sfascio, che la criminalità minorile e il degrado dei costumi sono sotto gli occhi di tutti, è anche vero che l'eleganza degli sparati inamidati aveva nascosto cumuli di crudeltà, di abusi taciuti, di sfruttamento disumano e di vergognosa ipocrisia. La tradizionale fedeltà alla corona non era del tutto svanita. In effetti, i sondaggi d'opinione del 1990 dimostravano la persistenza di una maggioranza monarchica. La gran parte degli britannici non riusciva a immaginare una possibile alternativa. Era però scomparsa l'antica deferenza. I componenti della famiglia reale del primo Novecento potevano compiere qualsiasi infrazione nella piena sicurezza che nessuno l'avrebbe segnalata. Dagli anni ottanta, i media britannici si liberarono di ogni scrupolo. La telefonata del principe di Galles alla sua amante o gli squidgy tapes della principessa Diana furono sviscerati nei dettagli più scabrosi. Il rispetto per l'istituzione monarchica era crollato all'unisono con le indiscrezioni sui reali. Nel 1999, quando la regina madre festeggiava il suo novantanovesimo compleanno, la marea dell'irriverenza travolse anche la figura più sacra della famiglia reale. La regina madre, nata con il secolo, era generalmente considerata l'autentica detentrice del potere fin dai tardi anni trenta, e in molti continuavano a tributarle affetto. I suoi critici, tuttavia, erano spietati. Un anziano cronista concluse che la «Regina Madre», come la mummia di Lenin nella Piazza Rossa, era qualcosa «di cui sbarazzarsi». Non si poteva immaginare niente di più distante dall'ossequio. Anche il patriottismo di vecchio stampo era passato di moda. Due generazioni di cittadini britannici erano cresciute senza che nessuno chiedesse loro di sacrificare la vita per il paese. Il servizio di leva era stato abolito nel 1961, senza essere sostituito da qualche forma di servizio civile, così il concetto di un "servizio al proprio paese" come tappa fondamentale del processo formativo, almeno per i maschi, era autorizzato a scomparire. Il senso di appartenenza dei giovani resisteva, ma in un'accezione molto meno localizzata di un tempo; una minoranza rilevante, seppur meno numerosa dei coetanei continentali, pensava a sé in termini di "europei". In ogni caso, in molti cuori allignavano ancora sentimenti patriottici. L'edizione 1953 dei popolari Bbc Promenade Concerts per la serata che chiudeva la stagione della Royal Albert Hall aveva un programma all'insegna del patriottismo. La manifestazione si apriva con l'esecuzione di Land of Hope and Glory di Elgar, proseguiva con una serie di ballate popolari e di canti marinareschi e si concludeva con i possenti cori di Rule, Britannia! e della Jerusalen di Parry. Nel 1999, la formula suscitava ancora immensi entusiasmi. Si potrebbe dire che Last Night of the Proms facesse ancora la sua figura anche alla scorparsa degli spettatori dell'edizione 1953. Anche la nozione di patriottismo era cambiata, pur rimanendo sommamente confusa. In molti, forse per l'influenza americana, cominciavano a definirsi "britannici che vivono nel Regno Unito", specialmente quando all'estero rispondevano a domande sul tema. La tipica simpatia per i canadesi, gli australiani e i neozelandesi sopravviveva, ma ora gli abitanti degli ex dominions erano considerati appartenenti a nazioni separate. Come era scontato, la secessione irlandese e la riaffermazione delle identità scozzese e gallese mettevano sempre più a rischio la tradizionale equazione "britannico = inglese". Alla fine degli anni novanta, l'"arretramento inglese" era fra i temi più preoccupanti per la collettività. Era del tutto plausibile che gli inglesi cominciassero a irritarsi e ad esigere diritti e istituzioni propri e distinti. In regime di devoluzione, i gallesi avrebbero potuto chiedersi perché godessero di un'autonomia inferiore a quella scozzese, mentre gli scozzesi avrebbero potuto innervosirsi per la permanenza del controllo di Londra. Gli abitanti dell'Irlanda del nord, che si erano espressi a larghissima maggioranza per l'accordo del venerdì santo, furono abbandonati alla loro indignazione per la mancata applicazione dell'accordo. Nell'estate del 1999 si manifestò l'ultimo ostacolo, rappresentato dalla proposta di riformare il Royal Ulster Constabulary (RUC). Se gli unionisti rispettavano un corpo che aveva affrontato valorosamente l'urto dei troubles, i nazionalisti vedevano soltanto una milizia che restava al 92% protestante e che volevano fosse smantellata. Eloquenti le conclusioni del ministro inglese che presiedeva la commissione per la riforma del Ruc, secondo il quale il corpo poteva sopravvivere solo a condizione che cancellasse la corona britannica dalle proprie insegne, mutasse il nome in Northern Ireland Police Force e smettesse di innalzare la Union Jack. Nella classe politica britannica, la "britannicità" di un tempo cessava di essere un valore irrinunciabile. L'antica capacità di autodisciplina era stata abbandonata, per cause molteplici. Per i più, l'istruzione religiosa aveva smesso di esistere. La gerarchia di classe era in dissoluzione. La facilità degli spostamenti introdusse fra i giovani l'"abbraccio all'americana" e lo scambio di baci sulla guancia tipico dei francesi. "Fare quello che si vuole" diventava accettabile. Non per forza gli usi britannici erano i migliori. Soprattutto, la rivoluzione sessuale degli anni sessanta sbriciolò i tabù sociali più radicati. L'espressione "vivere nel peccato" perse ogni senso per i giovani. Il sesso fra adolescenti divenne così frequente che la Gran Bretagna guidava la classifica europea delle maternità in età scolare. Le madri single per scelta non venivano più stigmatizzate; anzi, ricevevano uno speciale sussidio dai servizi sociali. La povertà minorile aumentò a livelli indegni. L'esercizio privato delle proprie preferenze cessò di essere criticato. L'omosessualità acquisì legittimità, e in certi ambienti divenne una sorta di vanto. L'indice dei divorzi decollò. Il concetto di dovere affondò, mentre si imponeva una nuova attenzione ai diritti della persona. | << | < | > | >> |Pagina 836(4) Tutti i capisaldi della "britannicità" storica erano in avanzato stato di decadimento. I pilastri dello stato originariamente costruito stavano sgretolandosi. Qualcuno, anzi si era già sgretolato. Il dominio dei mari, il potere supremo, l'ascendenza protestante e l'"universo imperiale" erano già svaniti. La "madre dei parlamenti", la monarchia, la tradizione sportiva e l' ethos imperiale stavano perdendo ogni prestigio. L'economia e il diritto britannici erano quasi indissolubilmente intrecciati con le istituzioni dell'Unione europea. La sterlina era a un passo dall'estinzione. Nell'arco del XX secolo, il Regno Unito aveva perduto un quarto del proprio territorio. In una delle province ancora appartenenti al Regno Unito da quasi trent'anni divampava la guerra civile. Nel 1998 si era raggiunto un accordo per la risoluzione del conflitto nordirlandese, ma a metà del 1999 non era stato ancora tradotto in pratica. Dopo due tentativi di devoluzione, il governo britannico istituì, tardivamente, forme diverse di autonomia locale per la Scozia e il Galles. Nel 1999 la regina inaugurò puntualmente il parlamento scozzese e l'assemblea gallese. Solo due anni prima un primo ministro conservatore aveva affermato che tali riforme avrebbero significato la fine dell'unità nazionale. Gran parte della forza militare britannica era impegnata nel Patto atlantico. L'indipendenza britannica, nell'accezione comune fino alla seconda guerra mondiale, aveva cessato di esistere. In svariati campi di attività, nei settori dell'economia, dell'istruzione, del sociale, i paese non teneva il passo dei rivali. Tale era lo scenario che ispirò libri con titoli come The Death of Britain? o The Abolition of Britain.Negli anni novanta la morte improvvisa di uno stato era un tema familiare. Nei quarantacinque anni trascorsi dall'ultima guerra, il popolo britannico era stato sempre informato, e con ragione, di essere minacciato da una superpotenza aggressiva munita di un arsenale di armi nucleari dalla capacità distruttiva inimmaginabile. Mentre l'impero britannico sfioriva e spariva, si pensava che l'Unione Sovietica fosse spaventosamente forte. Teneva in pugno mezza Europa, e indottrinava i popoli dei paesi satelliti sull'imminente "fine del capitalismo". Addirittura, attirava l'ammirazione di un drappello, non troppo piccolo, di intellettuali occidentali. Il suo ultimo leader veniva universalmente acclamato come un grande riformatore e un eccelso statista. E poi, di colpo, crollò su se stessa. Morì come un dinosauro colpito da un attacco di cuore. Non fu sparato un colpo. Nessun eminente sovietologo aveva previsto il suo destino. Per una volta, il crollo del blocco sovietico sembrava confermare senza incertezze la supremazia del modello occidentale. L'evento spinse un politologo americano a parlare di «fine della storia». Ma chiunque si interessasse alla vita e alla morte degli stati poteva recepire un unico messaggio. Le apparenze superficali non significano niente. Gli organismi malati possono celare la propria agonia fino all'ultimissimo momento. Gli uomini di stato dovrebbero stare attenti ai sintomi interni dei propri pazienti. La Jugoslavia costituì un altro caso di stato composito che si disintegrò, proprio all'epoca dei primi dibattiti sulla britannicità. La Serbia costituiva l'"Inghilterra" della Jugoslavia. Nelle mani di un nazionalista ex comunista aveva causato sconquassi in Croazia, Bosnia e Kosovo. Certamente il clima politico della Jugoslavia non avrebbe potuto essere più diverso da quello britannico. Gli odi etnici provocavano stragi. Il genocidio e la "pulizia etnica" erano normale amministrazione. Nessuno pensava che i Balcani potessero gettare molta luce sui problemi della Gran Bretagna. Gli storici si arrovellavano in cerca di precedenti. Nel XX secolo la maggior parte degli antichi stati era stata rivoluzionata dalle guerre. Fino al 1989 non c'erano stati molti esempi di decesso naturale. Perfino per abbattere l'impero bizantino, nel corso dei secoli ridottosi al solo territorio fisico della capitale, era stato necessario un duro assedio degli ottomani. La stessa rivoluzione francese non aveva portato allo smembramento della Francia. Al contrario la rivoluzione, sia pur dopo aver spazzato via la monarchia e l' ancien régime sotto l'ondata del Terrore, aveva sospinto una Francia rinvigorita in una fase ineguagliata di potenza e di splendore. Comunque sia, le persone che osservavano da vicino gli ultimi spasmi di uno stato o di un regime erano invariabilmente incapaci di decifrare i sintomi. Le prospettive del malato francese del 1789 sembravano molto più beneauguranti che nel 1788. Si cercò una cura. Ma la cura, come imparò Gorbacλv, può essere letale. Viene in mente la conversazione apocrifa tra un generale austriaco e un collega tedesco sul fronte in via di disgregamento nell'ottobre 1918. Il generale tedesco: «La situazione è seria, ma non disperata». L'austriaco: «No, la situazione è disperata, ma non seria».
E poi, certamente, vi era l'aspetto più critico di tutti. Molte delle
istituzioni tradizionali britanniche sembravano agli sgoccioli. In molti
aspetti, la vita del Regno Unito aveva assunto connotati del tutto sconosciuti.
Ma in fondo che cosa importava? Nessuno era colpito da pestilenze, guerre o
denutrizione. I tassi di interesse erano bassi. I redditi, secondo gli standard
di sempre, elevati. La musica veniva ancora suonata. Il pubblico continuava a
comprare libri di storia. Per chi credeva, Dio si trovava ancora nel suo
Paradiso.
(5) Di colpo esplosero le divergenze sulle possibili prospettive future.
Mentre il dibattito sulla "britannicità" proseguiva, e il disagio si aggravava,
I principali attori cominciavano a pronunciarsi sulle scelte da fare per il
futuro. Di queste scelte, una riguardava il futuro ruolo dell'Inghilterra nel
Regno Unito modificato. L'altra verteva sul più ampio contesto nazionale. Con
chi risiedevano i destini della Gran Bretagna?
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