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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 5 Insieme per sempre 11 (JEFFERY DEAVER) Il compromesso di Keller 193 (LAWRENCE BLOCK) |
| << | < | > | >> |Pagina 11La matematica non è come guidare con attenzione lungo un'autostrada sgombra, ma come partire per una spedizione in un mondo strano e selvaggio, in cui spesso gli esploratori si perdono. W. S. Anglin, Mathematics and History Alla loro età, pensò l'uomo, si comportano come ragazzini. Non si rendevano conto di quanto fossero ridicoli. Il giardiniere sbirciava la coppia sopra la siepe di bosso che stava potando. Sy e Donald Benson erano nell'ampio portico sul retro di casa propria, seduti sul dondolo a bere champagne. E dovevano averne bevuto parecchio. Di sicuro. Ridacchiavano, sghignazzavano, rumorosamente. Come ragazzini, pensò l'uomo con disprezzo. E anche con un pizzico di invidia. Non per i soldi, di quelli non gli importava. Guadagnava bene facendo il giardiniere per i vicini dei Benson, che erano altrettanto ricchi. No, l'invidia era dovuta al semplice fatto che anche a quell'età i due sembravano innamoratissimi e felici. Il giardiniere cercò di ricordare l'ultima volta che aveva riso così con sua moglie. Dovevano essere passati almeno dieci anni. E da quando non si tenevano per mano? Come minimo avevano smesso dopo il primo anno che stavano insieme. La potatrice elettrica lo richiamava al dovere, ma lui si accese una sigaretta e continuò a osservare la coppia. I Benson versarono nei bicchieri ciò che restava dello champagne e li svuotarono. Poi Donald si protese in avanti bisbigliando qualcosa all'orecchio della moglie, che rise di nuovo, gli rispose e gli diede un bacio sulla guancia. Che roba. Guarda un po' questi vegliardi. Dovevano avere quasi settant'anni. Era come vedere i suoi genitori che si sbaciucchiavano. Cristo. I due si alzarono, andarono a un tavolo metallico in fondo al portico e sparecchiarono, raccogliendo i piatti su un vassoio. Non smettevano di parlare e di ridere. Il signor Benson, malfermo sulle gambe, prese il vassoio. Il giardiniere si aspettava che lo facesse cadere. Invece no, la coppia rientrò in cucina senza danni. La porta si chiuse. Il giardiniere gettò il mozzicone nell'erba e tornò a esaminare la siepe. Sentì un uccellino che cinguettava piacevolmente: si intendeva parecchio di piante, ma non di animali, non sapeva bene di che specie fosse. Però sulla natura del rumore che riecheggiò nell'aria pochi secondi più tardi, non ebbe alcun dubbio. Rimase paralizzato tra un'azalea cremisi e una violetta. Lo sparo, proveniente dalla casa dei Benson, era inconfondibile. Un attimo dopo ne udì un secondo.
Restò immobile il tempo di tre battiti del cuore. Poi,
mentre l'uccellino riprendeva a cinguettare, lasciò cadere sul prato la
potatrice e si precipitò al furgone, su
cui aveva lasciato il cellulare.
Westbrook County, nello Stato di New York, è un grande trapezoide di quartieri ricchi e poveri, parchi, centri direzionali e piccole fabbriche, un'area in cui i residenti tirano a campare, per la maggior parte, facendo i pendolari in direzione di Manhattan, che si trova qualche chilometro più a sud.
Lo scorso anno questa comunità apparentemente
tranquilla di 900.000 anime tonde tonde è stata teatro
di 31 omicidi, 107 stupri, 1423 rapine, 1575 rapine aggravate, 4360 violazioni
di domicilio, 16.955 furti e
4130 furti d'auto, con un tasso criminale di 3223,3 per
100.000 abitanti (pari dunque al 3,22 per cento) calcolato sulla base dei
cosiddetti "crimini-indice", una lista
standard dei reati utilizzata nelle statistiche nazionali
per confrontare tra loro le varie località e ognuna di esse con il proprio
passato. Quest'anno stava andando
peggio del precedente: il tasso criminale a Westbrook
County era già al 4,5 per cento quando ancora i mesi
estivi, che solitamente infiammano gli animi, erano di là
da venire. Questi dati, e migliaia di altri riguardanti
l'andamento della comunità, erano sempre a disposizione di chiunque li volesse
consultare. Il merito spettava soprattutto a un giovanotto bruno e magro, con
gli occhi scuri e i capelli corti e ben pettinati, che al momento era seduto in
un piccolo ufficio al terzo piano del
Westbrook County Sheriff's Department, sede della
Detective Division. Sulla sua porta si leggeva:
La Detective Division era un ampio open space circondato da una U di uffici. Tal e i servizi ausiliari si trovavano in un braccio della U, soprannominato "Reparto Reati Ineffettivi" da tutti quelli dell'altro braccio (detto infatti "Reparto Reati Effettivi", anche se il nome ufficiale era Major Crimes and Tactical Services). Quella mattina di aprile, Tal Simms era seduto nel suo ufficio ordinatissimo, intento a studiare l'unico foglio che occupava la scrivania, la prova di una frode finanziaria perpetrata a Manhattan. Le indagini erano condotte in realtà da un'équipe congiunta del dipartimento di Giustizia e della Security and Exchange Commission, ma c'era qualche dettaglio a livello locale che richiedeva l'attenzione di un esperto di Westbrook County. Tal si aggiustò distrattamente la cravatta a righe nere e rosso borgogna, poi, con la sua grafia precisa e minuta, tornò a prendere nota delle cifre che non concordavano tra loro. Hmm, stava pensando, un virgola 588 che sarebbe dovuto essere un virgola 743. Una differenza minima, che tuttavia poteva condurre a un'incriminazione. Avrebbe dovuto... La mano destra di Tal sussultò sul foglio quando da fuori una voce roboante tuonò: "Era un maledetto suicidio. Tutto tempo perso". Tal cancellò il segno lasciato dalla matita a margine dello stampato e alzò gli occhi sulla sagoma tozza del capo della Omicidi, il detective Greg LaTour, che si faceva largo nella Detective Division, puntando dritto verso l'ufficio di faccia a quello di Tal. Con un sonoro clunk il detective lasciò cadere lo zaino sulla propria scrivania. "Cosa?" disse qualcuno. "I Benson?" "Sì, proprio loro", replicò LaTour. "Sulla Meadowridge, a Greeley." "Ce l'hanno dato come omicidio." "Be', col cazzo." | << | < | > | >> |Pagina 28Quando studiava matematica a Cornell, dieci anni prima, Talbot Simms sognava di diventare un John Nash, un Pierre de Fermat, un Euler, un Bernoulli. Una volta finita l'università, guardandosi intorno e vedendo gli altri studenti con le sue stesse aspirazioni, si era reso conto di due cose: una, che la matematica continuava a sembrargli bellissima ma, due, che detestava il mondo accademico.A che serve? si chiedeva. A scrivere articoli che saranno letti da tre o quattro persone? A diventare un professore? Per lui, con i suoi voti pressoché perfetti, sarebbe stato un gioco da ragazzi. Però a Tal una vita del genere sembrava un nastro di Möbius, quella superficie che si può percorrere con continuità all'infinito: insegnare ad altri professori a insegnare... No, lui voleva applicare il suo talento a un uso pratico. Perciò aveva abbandonato l'ambiente universitario. In quel periodo c'era grande richiesta di statistici e analisti a Wall Street e Tal aveva scelto quella strada. In teoria, sembrava un mestiere su misura per lui: numeri, numeri e ancora numeri, con evidenti applicazioni pratiche. Ben presto però aveva scoperto che la matematica di Wall Street era piuttosto ambigua: Tal subiva pressioni perché alterasse le analisi statistiche di certe compagnie, in modo da permettere alla banca di vendere prodotti finanziari alla clientela. Per lui 3 era solo 3, ma talvolta i datori di lavoro volevano che sembrasse 2,9999 piuttosto che 3,12111. Non c'era niente di illegale in questo: tutti i dati erano a disposizione dei clienti. Ma Tal vedeva le statistiche come un mezzo per comprendere la vita, non come cortine fumogene che consentissero ai predatori di sopraffare gli ignari. I numeri erano puri. E il grandioso stipendio che riceveva non era sufficiente a fargli dimenticare l'onta della prostituzione. Lo stesso giorno in cui aveva preso la decisione di andarsene, l'FBI era arrivata nel suo ufficio. Non per qualcosa che lui o la sua banca avessero fatto, bensì per esaminare con apposito mandato i conti di un cliente coinvolto in una frode. Guarda caso, l'agente incaricato dell'indagine era un matematico, oltre che un esperto contabile. Lui e Tal si erano lanciati in appassionanti discussioni mentre l'agente esaminava i registri, equipaggiato di un paio di manette, una pistola automatica e una calcolatrice Texas Instruments. Finalmente Tal aveva trovato un logico sbocco alla sua passione per i numeri. Il lavoro della polizia lo aveva sempre interessato. Da ragazzino propenso alla solitudine, non solo aveva letto testi di matematica, trigonometria e teorie einsteiniane, ma anche gialli di Arthur Conan Doyle e Agatha Christie. E la sua mente analitica gli permetteva spesso di scoprire l'assassino molto prima della fine della storia. Dopo l'incontro con l'agente federale aveva contattato l'ufficio personale del Bureau, ma con grande delusione aveva appreso che le assunzioni presso l'FBI erano temporaneamente sospese. Non si era perso d'animo e aveva chiamato l'NYPD e altri dipartimenti di polizia nell'area di New York, incluso quello di Westbrook County, dove aveva vissuto per diversi anni con la famiglia prima che il padre, vedovo, trovasse lavoro come insegnante di matematica in California, presso la UCLA. A Westbrook occorreva un esperto che si occupasse dei reati finanziari ma, aveva precisato il direttore del personale, l'incarico comprendeva anche la raccolta di dati e la compilazione di statistiche. Per Tal Simms i numeri erano sempre numeri, e anche i compiti più noiosi non lo spaventavano. Un mese più tardi aveva detto addio a Wall Street e aveva traslocato in una bella casetta in stile Tudor a Bedford Plains, nelle campagne di Westbrook County. Purtroppo c'era un altro spiacevole dettaglio di cui il direttore del personale non aveva fatto menzione, probabilmente perché lo aveva ritenuto ovvio: per assumere l'incarico presso lo Sheriff's Department, Talbot Simms doveva diventare poliziotto. I quattro mesi di addestramento erano stati duri. Oh, la parte accademica riguardante il codice penale e le procedure non era stata un problema. La sfida semmai era l'addestramento pratico, che ricordava un po' quello dell'esercito. Tal, che dai tempi del liceo era alto un metro e settanta e pesava ottanta chili, si era sempre tenuto alla larga da qualsiasi sport, tranne pallavolo, tennis e tiro con la carabina. Nessuno di questi lo qualificava per il corso di cattura dei sospetti. Ciononostante se l'era cavata, qualificandosi nell'1,4 per cento dei migliori della sua classe. Alla cerimonia del giuramento era presente una dozzina di amici, provenienti da college locali e da Wall Street, e suo padre, attualmente professore di analisi matematica all'Università di Chicago. Il severo genitore non riusciva a capire perché il figlio avesse scelto quel percorso, ma aveva rinunciato ormai da anni a spingerlo in una direzione piuttosto che in un'altra. Appena si era messo al lavoro, Tal aveva scoperto che i reati finanziari a Westbrook erano rari e che, quando capitavano, erano soggetti a inchieste federali. Il suo ruolo di investigatore era dunque marginale. Per contro, erano molto richieste le sue prestazioni come statistico. La ricerca e l'analisi dei dati sono molto più vitali di quanto la gente sia portata a credere. Certe statistiche possono determinare strategie di budget e di assunzione di personale. Soprattutto permettono di diagnosticare i mali di una comunità. Se la media nazionale mensile di teenager uccisi da coetanei, in aree in cui il reddito lordo è 26.000 dollari, ammonta a 0,03, perché a Kendall Heights, nella parte sud di Westbrook County, la media sale a 1,1? E che cosa si può fare per risolvere il problema? Da qui la necessità del maledetto questionario. Alle sei e trenta del pomeriggio, con in tasca il modulo appena compilato, Tal rientrò in ufficio. Inserì le informazioni acquisite nel database e depose il questionario nel cestino delle pratiche da archiviare. Osservò lo schermo per qualche secondo, poi si apprestò a spegnere il computer. Ma cambiò idea e si collegò a Internet per esaminare alcune banche dati. Infine lesse il breve rapporto ufficiale sul suicidio dei Benson. Sobbalzò sulla sedia quando qualcuno entrò nel suo ufficio. | << | < | > | >> |Pagina 145"E come?"Allo stesso modo in cui aveva imparato a lucidarsi le scarpe e a usare parole di meno di quattro sillabe, così Farley era diventato esperto nel giostrarsi i pazienti. Sapeva come gettare l'esca. "Vorrei parlarle della fondazione. Prima le spiacerebbe firmare questo?" Aprì il cassetto della scrivania e porse a Covey un documento. Lui lo lesse. "Tutto quello che mi direte è confidenziale." "È un accordo standard." "Lo so. Ne ho scritti anch'io. Per quale motivo vuole che lo firmi?" "Perché ciò che sto per dirle non può essere reso pubblico." Il dottore era sicuro di averlo incuriosito, anche se Covey cercava di dissimulare. "Se non vuole firmare, la posso capire. Ma in tal caso la nostra conversazione dovrà concludersi qui." Covey rilesse il documento. "Ha una penna?" Farley gli porse una Mont Blanc. Covey prese la pesante stilografica con una risatina, segno che non gli piaceva l'ostentazione. Firmò e restituì al medico penna e documento. "Dunque... la dottoressa Lansdowne è una brava persona ed è pronta a fare tutto ciò che è umanamente possibile per la sua guarigione e per concederle qualche anno in più di vita. Ma la scienza medica ha limiti invalicabili. Dopotutto, signor Covey, tutti noi moriamo. Lei, io, i bambini che nascono in questo momento. I santi e i peccatori... Si muore tutti." "Ha un approccio interessante, dottore. È sempre così che tiene allegri i suoi pazienti?" Farley sorrise. "Oggigiorno si parla molto dell'invecchiamento." "In Tv non parlano d'altro." "E di persone che cercano di restare giovani per sempre." "È la seconda volta che dice 'per sempre'. Continui." "Signor Covey, ha mai sentito parlare della regola di Hayflick?" "No. Mai." "Ha preso il nome dallo studioso che scoprì come le cellule umane possano riprodursi un numero limitato di volte. Inizialmente realizzano copie perfette di loro stesse. Ma dopo un po' non riescono più, per così dire, a mantenere lo stesso livello di qualità. Diventano sempre più inefficienti." "Per quale motivo?" Covey sembrava un individuo sveglio. La maggior parte delle persone se ne stavano sedute di fronte a lui ad annuire con un sorriso stupido sul viso. "Perché un importante filamento di DNA si accorcia ogni volta che le cellule si riproducono. Quando diventa troppo corto, le cellule non si duplicano più correttamente. E a volte smettono del tutto." "La seguo sul piano generale, ma non entri troppo nei dettagli: la biologia non è mai stata il mio forte." "Come vuole, signor Covey. Esiste il modo di aggirare il limite di Hayflick. In futuro forse sarà possibile estendere la durata della vita in modo significativo, di decine o addirittura centinaia di anni." "Non è 'per sempre'." "No, non lo è." "Veniamo al sodo." "Non saremo mai capaci di costruire un corpo umano in grado di durare più di qualche centinaio di anni. Le leggi della fisica e della natura non lo consentono. E, anche se ci riuscissimo, resterebbero comunque le malattie e gli incidenti." "Sempre più allegro." "Ora, la dottoressa Lansdowne farà tutto il possibile sul piano medico. E il centro di supporto cardiologico darà il proprio contributo." "Dipende dall'infermiera", commentò Covey. "Prosegua." "Lei potrebbe vivere ancora cinque, dieci, quindici anni... Oppure prendere in considerazione il nostro programma." Farley tese al paziente un biglietto da visita e batté la punta dell'indice sul logo della Lotus Research Foundation, un fiore dorato. "Sa che cosa significa il loto nella mitologia?" "Non ne ho idea." "Immortalità." "Ah, sì?" "I popoli primitivi vedevano i fiori di loto spuntare dai letti di fiumi in secca da anni. Ritenevano che queste piante fossero immortali." "Ha detto che non potete impedire che la gente muoia." "Non possiamo. Lei morirà. Quello che noi offriamo potrebbe essere definito una sorta di reincarnazione." Covey fece un'espressione beffarda. "Sono trent'anni che non vado in chiesa." "Be', signor Covey, io non ci sono mai andato. Non sto parlando di una reincarnazione spirituale. Sto parlando di una reincarnazione scientifica, dimostrabile." "A questo punto i suoi pazienti non riescono più a seguirla, vero?", borbottò Covey. Farley fece una sonora risata. "Infatti. Più o meno a questa frase." "Be', io la sto ancora seguendo. Continui." "È piuttosto complesso, ma glielo spiegherò in sintesi. In termini di biologia elementare." Il paziente bevve un sorso di caffè e gli fece cenno di continuare. "La fondazione ha il brevetto di un processo conosciuto come 'replica rigenerativa delle cellule nervose'. Lo so che è difficile da capire. Noi qui lo chiamiamo semplicemente 'clonazione della coscienza'." "Mi spieghi." "Che cos'è la coscienza?" chiese Farley. "Lei si guarda intorno in questa stanza, vede le cose, ne sente gli odori, ha delle reazioni. Dei pensieri. Io, nella stessa stanza, posso focalizzarmi sulle stesse cose o su cose diverse e avere altre reazioni. Perché? Perché ciascuno dei nostri cervelli è unico." Un cenno di assenso. Il pesce stava per abboccare all'amo. | << | < | > | >> |Pagina 193Keller, in attesa che il semaforo passasse dal rosso al verde, si domandava che cosa fosse accaduto al mondo. Non era il semaforo il problema. I semafori esistevano da prima di quanto lui fosse in grado di ricordare, da prima che lui nascesse. Esistevano da quando esistevano le automobili, immaginò, anche se l'automobile era chiaramente venuta prima, cosa che, a tutti gli effetti, aveva reso necessario il semaforo. Agli inizi, immaginò Keller, si faceva senza. Poi, una volta che il numero delle macchine in circolazione era aumentato al punto che avevano cominciato a scontrarsi le une con le altre, qualcuno doveva avere capito la necessità di istituire una forma di controllo, qualche strumento per fermare il flusso sulla direttrice est-ovest, permettendo simultaneamente quello sulla direttrice nord-sud, alternando quindi il tutto. Keller riusciva addirittura a visualizzare il guidatore dei primordi che inveiva contro il nuovo regime. L'intero mondo se ne sta andando all'inferno. Ci stanno strappando i nostri diritti l'uno dopo l'altro. La luce diventa rossa perché uno stramaledetto orologio le dice di diventare rossa, il che ci costringe a mollare tutto quello che stiamo facendo e a schiacciare il freno. Non ha importanza se non c'è una sola altra auto nel raggio di chilometri, dobbiamo fermarci e restare lì come dei dannati imbecilli fino a quando la luce diventa verde e ci dice che possiamo muoverci di nuovo. Chi vorrebbe vivere in un Paese come questo? Chi vorrebbe fare figli in un mondo pieno di cretinate come questa? Un clacson suonò, strappandolo bruscamente dai primi giorni del ventesimo secolo ai primi del ventunesimo. Il semaforo, notò, era passato dal rosso al verde, e il tizio nel SUV subito dietro di lui aveva ritenuto necessario richiamare la sua attenzione su quella realtà storica. Senza permettere alla rabbia e all'irritazione di filtrare troppo, Keller si concesse un altro momento nell'immaginario: mettere il cambio automatico su Park, tirare il freno a mano, scendere dalla macchina e raggiungere a piedi il SUV, il cui guidatore aveva già cominciato a pentirsi di essersi attaccato al clacson. Anche se il tizio (faccia da suino e mascella prognata, nella fantasia di Keller) stava per premere il pulsante di chiusura delle portiere, Keller lo batteva sul tempo, lo agguantava per il davanti della camicia (quello adesso sudava, andava fuori di testa, proferiva simultaneamente scuse e minacce), lo trascinava fuori dall'abitacolo e lo scaraventava sull'asfalto. Poi, mentre il figlio del tizio (no, meglio la moglie, una balorda obesa dai capelli tinti e gli occhi acquosi) guardava con orrore, Keller si chinava in avanti e assassinava il tizio con un colpo appreso dal maestro birmano U Minh U, in cui le mani dell'adepto toccavano appena il soggetto, ma la morte, per quanto spaventosamente dolorosa, era anche virtualmente istantanea. Soddisfatto di quella fantasia, Keller riprese a muoversi. Dietro di lui il guidatore del SUV – una giovane donna sola, Keller notò a quel punto, capelli trattenuti da una bandana, sacchetto del supermercato sul sedile accanto – gli tenne dietro per mezzo isolato, poi svoltò a destra, apparentemente ignara dell'incontro ravvicinato con la morte. È così che si va avanti, pensò lui. Era quel maledetto guidare. Prima che tutto se ne andasse all'inferno, non sarebbe stato costretto ad attraversare l'intera nazione in auto. Avrebbe preso un taxi fino all'aeroporto JFK, un volo per Phoenix e una macchina a noleggio, per il giorno o due necessari a sbrigare il lavoro, l'avrebbe riportata indietro, poi un volo per New York. Dentro e fuori, caso chiuso, e avanti con la vita di tutti i giorni. E senza neppure lasciare tracce. Prima dell'imbarco volevano vedere un documento d'identità, lo facevano ormai da anni, ma non era necessario che quel documento d'identità fosse perfetto. Adesso, prima di lasciarti salire sull'aereo, l'unica cosa che non facevano, non ancora almeno, era prenderti le impronte digitali. Esaminavano il tuo bagaglio scaraventandoci dentro una dose letale di raggi-X. E che Dio ti aiuti se avevi un tagliaunghie nel portachiavi. Da quando quelle procedure di sicurezza erano entrate in vigore, Keller non aveva più messo piede su un aereo, e non aveva idea se lo avrebbe fatto in futuro. I viaggi di lavoro si erano notevolmente ridotti, aveva letto, e lui poteva ben comprendere perché. Chi viaggiava per affari preferiva saltare in macchina e farsi ottocento chilometri piuttosto che presentarsi in aeroporto con due ore di anticipo e affrontare tutte le rotture di scatole che il nuovo sistema gli imponeva. Era già brutto se gli affari consistevano nell'incontrare un gruppo di addetti alle vendite per fare loro qualche pistolotto aziendale. Nella linea professionale di Keller, be', l'aereo era ormai fuori questione. Viaggiava di rado al di fuori del lavoro, tuttavia ogni tanto si spostava per un'asta di francobolli, oppure perché era il cuore dell'inverno newyorchese e lui sentiva la necessità di sdraiarsi da qualche parte al sole. In quelle circostanze, ipotizzava, avrebbe anche potuto prendere l'aereo, mostrando un documento d'identità regolare e tagliandosi le unghie prima di salire a bordo. Eppure, in fondo, perché avrebbe voluto farlo? Viaggiare sarebbe stato ancora un piacere quando si era costretti a sottostare a tutte quelle menate per arrivare a destinazione? Si sentiva come quell'autista immaginario, inferocito dai semafori rossi. Al diavolo, se è questo che mi costringono a fare, vado a piedi. O resto a casa. Così imparano! | << | < | > | >> |Pagina 222Tornato in città, con l'idea di accogliere il suggerimento di Dot e di arrivare in volo fino a Denver, Keller chiamò una delle linee aeree. Arrancò oltre i vari livelli del centralino automatico, premendo tasti numerati del telefono a richiesta del menu pre-registrato e finendo in attesa, visto che tutti gli impiegati erano indaffarati con altri clienti. La musichetta che suonavano era già abbastanza fetente di per sé, ma, come se non bastasse, il sistema continuava a interromperla ogni quindici secondi per ricordare come tutto sarebbe stato più semplice usando il sito Internet. Dopo alcuni minuti, Keller riappese e telefonò alla Hertz, trovando immediatamente un umano.La mattina presto del giorno dopo andò a prelevare una Ford Taurus, fregando íl traffico dell'ora di punta attraverso il Lincoln Tunnel e inoltrandosi lungo il New Jersey Turnpike. Aveva noleggiato l'auto sotto il suo vero nome, mostrando la sua vera patente e usando la sua vera American Express, ma aveva anche un'altra carta di credito donata sotto un diverso nome – era stata Dot a fornirgliela – e fu quella che usò nei motel dove si fermò lungo il tragitto. Gli ci vollero quattro lunghi giorni per arrivare a Tucson, Arizona. Guidava fino a quando non gli veniva fame, o finché non doveva fare benzina o andare in bagno, poi si rimetteva al volante e guidava un altro po'. Quando era stanco, trovava un motel e si registrava usando il nome sulla carta di credito taroccata, si faceva una doccia, guardava un po' di Tv e andava a letto. Dormiva, si svegliava, si faceva un'altra doccia, si vestiva e andava alla ricerca di un posto in cui fare colazione. Durante il viaggio ascoltava la radio fino a non poterne più, poi la spegneva e così rimaneva fino a quando non ne poteva più del silenzio. Al terzo giorno la solitudine cominciò a fargli effetto, senza che lui riuscisse a capire perché. Era abituato a stare solo, aveva passato l'intera vita da solo, e di certo non aveva mai voluto, né voleva, compagnia sul lavoro. Eppure, adesso sembrava volerla, per cui a un certo punto accese la radio e la sintonizzò su una stazione a onde medie di Omaha che trasmetteva un programma a linee aperte. Gli ascoltatori telefonavano per dichiararsi in disaccordo con il conduttore, oppure in disaccordo con un precedente ascoltatore, o anche con il maestro di scuola che aveva rotto loro le scatole in terza elementare. L'argomento del giorno era una legge più rigorosa sulle armi da fuoco, ma il vero argomento, per lo meno secondo Keller, era il risentimento, e di quello ce n'era da vendere. Rimase ad ascoltare, sulle prime affascinato, ma non gli ci volle molto per averne le palle piene oltre il tollerabile. Se avesse avuto una pistola a portata di mano avrebbe piantato un proiettile dritto nella radio. Invece si limitò a spegnerla. L'ultima cosa che voleva, scoprì Keller, era qualcuno che parlasse con lui. Questo aveva pensato, e un momento dopo si rese conto non solo di averlo pensato, ma di averlo anche detto ad alta voce. Stava parlando tra sé e sé, e si chiese – se lo chiese in silenzio, grazie a Dio – se per lui questo non fosse qualcosa di inedito. Se dormi da solo, come fai a sapere che hai veramente dormito da solo? Non lo sapresti, a meno di non russare così forte da svegliarti. Allungò la mano verso la radio, ma interruppe il gesto prima di accenderla di nuovo. Verificò il tachimetro: il controllo crociera teneva la macchina cinque chilometri all'ora al di sopra del limite. Senza quel marchingegno potevi andare più o meno forte di quello che volevi, sprecando tempo o rischiando una multa. Inserendolo, non c'era bisogno di fare mente locale su quanto veloce andavi. Era l'auto a pensare per te. Il passo successivo, pensò Keller, sarebbe stato il controllo dello sterzo. Sali a bordo, accendi il motore, inserisci i parametri, dopo di che ti rilassi e chiudi gli occhi. L'auto avrebbe seguito le curve della strada, e un sistema di sensori avrebbe attivato i freni quando un'altra auto ti si piazzava davanti, effettuando i sorpassi dove consentito, imboccando la prossima uscita quando l'indicatore della benzina fosse sceso al di sotto di un certo livello. Sembrava fantascienza, ma non più di quanto, negli anni verdi di Keller, lo fossero stati il controllo crociera, le segreterie telefoniche e un solido novantacinque per cento delle cose che oggigiorno si davano per scontate. Non aveva il benché minimo dubbio: in quel preciso momento, qualche geniale giovanotto a Detroit, Osaka o Brema era al lavoro sul sistema di controllo dello sterzo. Ci sarebbero stati alcuni spettacolari scontri frontali prima che riuscissero a ripulire il marchingegno dai difetti, ma non ci sarebbe voluto molto perché tutte le auto ne fossero equipaggiate. Il numero di incidenti sarebbe andato giù a picco, quelli della polizia stradale non avrebbero avuto più nessuno a cui affibbiare multe e tutti avrebbero fatto i salti di gioia per quell'ultima finezza tecnologica, eccezion fatta per un branco di rompiballe inglesi convinti che la qualità della guida e il chilometraggio migliori si ottenevano comunque alla vecchia maniera.
Intanto, lui teneva entrambe le mani sul volante.
Le Sundowner Estates, dimora di William Wallis Egmont, si trovavano a Scottsdale, sobborgo raffinato di Phoenix. Tucson, circa trecentoventi chilometri più a est, era il limite che Keller si era imposto a bordo della Taurus. Seguì le indicazioni per l'aeroporto e lasciò la macchina nel parcheggio a lungo termine. Nel corso degli anni aveva lasciato altre auto in parcheggi a lungo termine, ma erano auto di altri, e con i rispettivi proprietari cacciati dentro il baule. Senza necessità di recuperarle, Keller si sbarazzava degli scontrini alla prima occasione. Questa volta però era diverso, così si infilò nel portafogli il tagliando che ricevette alla sbarra d'ingresso, annotando la sezione e il numero dello spazio di parcheggio. Entrò nel terminal, trovò il bancone dell'agenzia di noleggio veicoli e prese una Toyota Camry usando la carta di credito fasulla e la corrispondente patente fasulla della Pennsylvania. Gli ci vollero alcuni minuti per capire come funzionava il controllo crociera della Camry. Era quella la rogna delle auto a nolo: per ogni nuova macchina dovevi imparare nuovi trucchi, dai fari ai tergiscristalli, dal controllo crociera alla regolazione dei sedili. Forse avrebbe fatto meglio a tornare alla Hertz e prendere un'altra Taurus. C'era effettivamente un vantaggio ad andare in giro sempre con lo stesso modello di auto? Oppure c'era uno svantaggio, ed era stata proprio l'intuizione dell'esistenza di quello svantaggio a portarlo all'Avis? "Stai pensando troppo", disse, realizzando di avere parlato ad alta voce, di nuovo. Scosse il capo, più divertito che scocciato, e dopo pochi chilometri di strada si rese conto di quello che voleva, di quello che aspettava fin dall'inizio: non tanto qualcuno con cui parlare, quanto qualcuno che potesse starlo ad ascoltare. Poco oltre uno svincolo di uscita, un ragazzo con una sacca militare esibiva il pollice alzato dell'autostoppista, cercando di scroccare un passaggio. Per la prima volta da quando riusciva a ricordare, Keller sentì l'impulso di fermarsi. Fu solo un pensiero fuggevole, ma se avesse avuto il piede sull'acceleratore avrebbe cominciato a sollevarlo. Respinse il pensiero e aumentò nuovamente l'andatura. L'autostoppista scomparve dalla vista nello specchietto retrovisore, ignaro di quanto aveva appena scampato di pochissimo. Perché l'unica ragione per dargli un passaggio era che voleva parlare con qualcuno. Gli avrebbe detto tutto. Dopo di che, quale scelta avrebbe avuto?
Keller poteva quasi vederlo, quel ragazzo, che ascoltava con gli occhi
sbarrati tutto ciò che lui aveva da dirgli. E poteva vedere anche se stesso,
intento a sgravarsi l'anima, grato al ragazzo perché lo ascoltava, ma anche
costretto dalle circostanze a cancellare ogni traccia. Immaginò la macchina che
rallentava fino a fermarsi, immaginò la breve collutazione, immaginò il corpo
lasciato nel fosso a lato della carreggiata, la Camry che puntava verso ovest ai
cauti cinque chilometri orari sopra il limite.
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