Copertina
Autore Sergio Méndez de la Fuente
CoautoreDavide Danti [disegni]
Titolo I miti di Chiloé
SottotitoloStregoni, maghe, favolosi mostri terrestri e marini nella mitologia dell'isola di Chiloé
EdizioneEdizioni dell'arco, Bologna, 2004, Fiabe e miti dal mondo , pag. 96, dim. 140x210x7mm
CuratoreSergio Mendez de la Fuente
PrefazionePina Sardella
LettorePiergiorgio Siena, 2004
Classe narrativa cilena , fantasy , miti , ragazzi , illustrazione , favole
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Introduzione: fiaba, mito e società


Quella che vi presentiamo è una raccolta di personaggi mitologici che popolano il leggendario degli abitanti originari dell'arcipelago di Chiloé, gli "indios" Mapuches. Sempre, e ovunque, i miti hanno costituito le fondamenta primordiali di tutte le civiltà umane, le basi su cui sono state costituite le norme e le forme elementari della vita associativa. Raccontati e tramandati oralmente, di generazione in generazione, i miti sono quindi il medium ideale per conoscere un popolo, per comprenderne storia e psicologia, per entrare in sintonia con le sue tradizioni e le sue forme poetiche.

Come quella greca, a noi più vicina, anche la mitologia chilota affonda le radici nella notte dei tempi, dà la sua versione sull'origine del mondo, contiene fantasie cosmologiche, fornisce precetti morali e comportamentali.

La diversità consiste nell'immaginario, nella forma (umana, animale, stregonesca, divina) in cui si inverano i miti, nella qualità e modalità dei loro attributi, dei loro poteri, delle loro funzioni. Maghe, streghe e stregoni, spiriti del mare e della terra, animali fatati, mostri e fantasmi raccontano di un luogo che è terra e mare insieme, ci parlano di pescatori e agricoltori impegnati in una lotta quotidiana per la sopravvivenza, di pericoli e di imprese, di magie e sortilegi e dell'onnipresenza della morte.

Raccontati di generazione in generazione, questi miti sono ancora oggi vivi. Memoria e tradizione ne assicurano la sopravvivenza, ma è la magia della parola, il potere evocativo di chi narra che ne prolunga l'esistenza e ne rinnova l'efficacia.

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Il Thrauco


Il Thrauco viene descritto come un ometto, alto non più di ottanta centimetri, di forme marcatamente maschili, brutto viso ma sguardo dolcissimo, affascinante e sensuale; non ha piedi, giacché le sue gambe terminano in moncherini. Ha veste e cappello di quilineja (giunco) e usa tenere nella mano destra un'ascia di pietra, che sostituisce con un bastone ritorto (Il pahueldùn) quando si trova di fronte qualche ragazza.

Aggrappato a un ramo di un grande albero, il tique, il Thrauco aspetta la sua vittima: qualche fanciulla che sia ancora nubile, ma che abbia già forme di donna. Quando vede la ragazza inoltrarsi nel bosco, il Thrauco scende rapidamente dal suo osservatorio e quindi dà tre potentissimi colpi d'ascia al tique.

Quando la fanciulla si riprende dalla sorpresa ha accanto a sé l'affascinante Thrauco, che la tocca leggermente con il pahueldùn. Senza poter resistere, la fanciulla fissa lo sguardo negli occhi brillanti e diabolici del Thrauco, cadendo in un placido sonno d'amore.

Dopo minuti, o forse ore, si risveglia adirata e piangente. Si trova quasi nuda e con le vesti tirate su. Scuote via rapidamente le foglie dai capelli, si riabbottona l'abito e benché un po' stordita ritoma a casa.

Man mano che i mesi passano, il suo corpo si deforma, poiché è stata posseduta dal Thrauco. Dopo nove mesi nasce il figlio del Thrauco, cosa che non colpisce socialmente gran che né il figlio, né la madre, dato che adesso entrambi sono in rapporto con la magia del misterioso Thrauco.

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La Sirena


Il luogo prediletto dalla Sirena è l'isola Laitec, una delle più australi dell'arcipelago di Chiloé. Lì c'è una spiaggia di sabbie grigiastre, in parte sbiancate dal calcare delle conchiglie, che si allunga seguendo la curva di una baia fino alla punta Lile, dove forma uno stretto lembo di terra che si collega con un isolotto di rocce stratificate, bianche, grigie e rossicce. L'isolotto è coperto parzialmente da sterpaglie verdastre ed erbe multicolori con fiori vistosi che si riflettono nello specchio delle acque azzurre della quieta insenatura.

Nelle notti tranquille, e protetta dal tenue velo della nebbia, la bella Sirena risale dal fondo del mare per godere della pace di quest'angolo meraviglioso. Si posa sulla più alta delle rocce che circondano l'isolotto, facendo bruschi movimenti del capo per asciugare la sua capigliatura di grosse ciocche attorcigliate, simili ai fusti del sargasso. La sua statura e le curve del suo corpo argentato, che emette una luce pallida e dolce, sono paragonabili soltanto a quelle di una donna bellissima. La bellezza straordinaria del suo viso è messa in rilievo dal colore delle sue guance, dai suoi grandi occhi bruni, lievemente obliqui, dallo sguardo soave, dalla sua bocca ben proporzionata, con labbra rosse e sottili, dalle sue gambe dai muscoli ben sviluppati che verso l'estremità si fondono in una coda di pesce. Seduta sulle rocce, riposa a lungo contemplando la terra e il mare, sempre attenta al minimo rumore, e quando si accorge della presenza dell'uomo si rialza, fugge veloce e si tuffa nelle profondità del mare.

Un vecchio popolano dell'isola racconta che anni fa, una notte in cui era affaccendato nella pesca con altri compagni, ha sentito all'improvviso dei bruschi movimenti e scosse nella rete che, una volta tirata a bordo con grandi sforzi, mostrò avvolta nelle sue maglie una bella Sirena. La contemplarono ammirati e in estasi per lungo tempo, ma, sebbene ancora non sazi di quella vista, dovettero rimetterla in libertà, commossi dal suo amaro pianto e dai suoi lamenti carichi di emozione.

La Sirena è solita accompagnare, a prudente distanza, la barca di qualche pescatore di suo gradimento, al quale propizia abbondante pesca. Qualche ragazzo è riuscito a concretare la propria passione per questa bella ninfa; però più avanti, quando si sposa con qualche ragazza del villaggio, si accorge con angoscia che la loro discendenza nasce con una coda di pesce.

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