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| << | < | > | >> |IndiceAthos de Luca IL BAMBINO IGNOTO 5 Giovanni Bollea L'ISTINTO ECOLOGICO DELL'INFANTE 8 Leopoldo Silvestroni 270 GIORNI NELLA PANCIA DI MADRE NATURA 11 Dina D'Addesa LA PAPPA DELLA SALUTE 17 Athos de Luca TELEVISIONE E BAMBINI 22 Paolo Landi BULIMIA E CONSUMISMO 32 Patrizia Angrisani NUTRIAMOLO CON LE FIABE 36 Claudia Lama IL TEMPO PER NASCERE 40 Luigi Cancrini DIAMO VOCE AL DOLORE 44 Anna Cotugno PER UN'ECOLOGIA DEI SENTIMENTI 48 Carla Parisi DOLCE DORMIRE 58 Francesco Santoro IL BAMBINO ALLERGICO 62 Francesco Tonucci IL BAMBINO URBANIZZATO 67 Lodovico Benso IL BAMBINO IPOCINETICO 77 Carla Rocchi QUANDO I BAMBINI SI AMMALANO 82 Francesco Robustelli IL BAMBINO E GLI ANIMALI 85 |
| << | < | > | >> |Pagina 5Il disagio psicofisico che l'infanzia manifesta nei confronti dello stile di vita della società dei consumi è un allarme rispetto alla compatibilità del modello postindustriale con il bene/essere delle generazioni future. Una società che sta bruciando le enormi risorse del pianeta nell'arco di una generazione e che sta omologando le diversità e le qualità culturali, sociali e biologiche della vita, provocando crisi di rigetto da parte dei bambini, deve interrogarsi seriamente sulla bontà del proprio cammino. È urgente aprire la vertenza politica bambino e sviluppo per illuminare la contraddizione insanabile tra la globalizzazione e omologazione mercantile, i diritti umani, il rispetto dei tempi della vita e il principio del limite. Le conseguenze negative sui bambini di un eccesso di consumi nel nord del mondo e di una carenza degli stessi nel sud costituisce la grande prova della insostenibilità dell'attuale modello di sviluppo. È compito della politica tradurre tutto ciò in azione, in informazione e confronto, facendo nascere dalla contraddizione tra i bambini e questo mondo una forte coscienza critica negli adulti, tale da indurli a correggere l'attuale modello di sviluppo. La Convenzione di New York del 1989 definisce l'interesse del fanciullo prevalente su tutti gli altri, investendo tutto sulle future generazioni, senza le quali vi è l'estinzione e/o l'autodistruzione della specie. I bambini stanno perdendo la loro diversità, non gli lasciamo più il tempo per stupirsi e scoprire il mondo; appena aprono gli occhi devono consumare, essere adulti. L'infanzia è quel rifornimento prezioso di sogni, di fantasie, di fisicità, di giochi, di sentimenti, di scoperte, di paure, necessario per non fermarsi senza combustibile a metà strada della vita, come accade a tanti giovani che non capiamo più e non possiamo più aiutare, registrando così il più tragico fallimento di una generazione di super manager, di super-man, di semi-dei, incapaci tuttavia di ascoltare e parlare con i loro figli. Dobbiamo porre fine allo sfruttamento scientifico e sistematico dei bambini, principali protagonisti e vittime di questa società che consuma l'infanzia, la sua freschezza, i suoi sogni, la sua fantasia, i suoi gesti, tutto usato per indurre nuovi bisogni, nuovi consumi, nuovi profitti. Paradossalmente per educare e crescere bene un bambino oggi gli specialisti rivelano ai genitori i segreti per difenderlo dalla televisione, dal cibo, dai farmaci, dai videogiochi,... insomma dai prodotti del presunto benessere. Osservando i bambini come una cartina di tornasole in laboratorio, come un sensore biologico, si evidenzia l'esito positivo del test sul malessere della società. Forse siamo ancora in tempo ad ascoltare i bambini e le migliaia di specie che scompaiono ogni giorno, per salvare insieme a loro anche gli adulti e il pianeta. Il silenzio di un bambino può essere assordante per chi sa ascoltare, come il vuoto di una foresta che scompare per chi sa guardare. La raccolta informale di questi contributi e pensieri sul bambino ecologico non si propone come uno studio sistematico bensì come un contributo libero alla riflessiole e all'impegno di tutti per definire una strategia culturale e politica capace di sanare questo tragico iato tra disagio di chi nasce alla vita e l'arroganza di chi lo domina. Da parte di tutti i bambini un grazie di cuore agli autori. Athos de Luca, ex deputato verde, Segretario nella Commissione Bicamerale per l'Infanzia | << | < | > | >> |Pagina 8L'ISTINTO ECOLOGICO DELL'INFANTE
Giovanni Bollea, Neuropsichiatra Infantile
Ho sempre sostenuto che la globalizzazione economica sarà positiva solo se accompagnata da una globalizzazione della solidarietà: prendere, guadagnare, certo, ma contemporaneamente dare, creando equilibri di difesa verso i più deboli che per ora sono indiscutibilmente sfruttati. Dando però e sempre ascolto e voce all'ecologia: all'interno di strategie razionali, controllate e mirate ai problemi dell'ambiente ormai riconosciuti ovunque come determinanti e prioritari. Non dimentichiamo che il movimento del popolo di Seattle in un prossimo futuro sarà considerato decisivo e fondamentale a una filosofia del vivere sociale. L'ambiente è già area chiaramente "preminente" per l'evoluzione dei nostri bambini: molti di voi penseranno infatti che è sempre stato "preminente"! Ma si può anche dire che l'infanzia è sempre stata antesignana nel proporci, con gli evidenti problemi di disattenzione e trascuratezza nei suoi confronti, il dramma ecologico che la travolge. L'uomo nasceva e subito il cortile, la piazza, il parco erano il suo ambiente oltre all'interno della sua piccola o grande casa dove l'aria e il cibo sono sani e puliti. Lì l'incontro, lì la coordinazione dei suoi gesti, della sua attività fisica, lì l'amico, la sua socializzazione spontanea e giochi di tutti i tipi che perfezionavano il suo dominio corporeo. Pensiamoci: intelligenza, furbizia, amicizia, sana competizione sono stati "rubati" al pianeta "infanzia" dalle esagerate esigenze dell'uomo adulto. Com'è stato facile insegnare ecologia alle Elementari e poi alle Medie! Facile perché lo stimolo scattava dal risveglio di un inconscio collettivo sollecitato dal fascino scoperto nel vissuto dei nostri predecessori, molti secoli fa. Ma non è facile convincere e imporre l'assolutismo ecologico nell'azione quotidiana, coinvolgendo i giovani e creando in loro non solo una coscienza, ma quella mentalità ecologica indispensabile al risultato ottimale. L'idea deve trasformarsi in quell'istinto e quella necessità interiori che poi da uomini maturi li spingeranno a realizzare progetti puliti e mirati a un continuo perfezionamento del vivere sano. Noi continueremo perciò a parlare di sviluppo sostenibile, di lotta all'inquinamento, di pericoli futuri e vicini, oltre al mondo della new economy, ma saranno parole disperse nel vento se l'ecologia non diventerà appunto un istinto, una necessità interiore, un'istanza pari a un imperativo categorico. Farlo diventare un istinto: questo, il compito della Scuola e dei genitori. Solo così i nostri ragazzi divenuti cittadini, lavoratori, imprenditori e politici godranno di un ambiente adatto a scongiurare malattie e morte ai loro stessi figli. | << | < | > | >> |Pagina 36NUTRIAMOLO CON LE FIABE
Patrizia Angrisani, Associazione "Dentro lo Specchio"
Ci sono genitori che non raccontano ai loro bambini fiabe classiche di matrigne, di streghe e di giganti, in quanto pensano che venendone a conoscenza diventino, a loro volta, matrigne, streghe e giganti. Questi genitori credono sia preferibile raccontare al loro bambino storie "vere" per aiutarlo ad acquisire strumenti utili su come muoversi nella realtà. Questa "operazione educativa" non prende in considerazione che lo svolgimento della storia "vera" è assolutamente estraneo al pensiero di un bambino prepubere, così come, allo stesso modo, gli eventi soprannaturali della fiaba sono estranei al pensiero dell'adulto. Le storie realistiche contrastano le esperienze interiori del bambino e hanno un modesto nutrimento emotivo. Il bambino, infatti, non è in grado di rintracciare nella storia "vera" un significato personale che trascenda il contenuto manifesto e di conseguenza può trovare grande difficoltà a trasformare la conoscenza in esperienza. Possiamo dire però, allo stesso tempo, che pensare di prescrivere fiabe e mettere al bando storie "vere" è altrettanto irragionevole. Nel corso dello sviluppo, queste due "storie" devono venire ambedue raccontate perché nutrono due diversi aspetti della personalità del bambino: quella emotiva e quella razionale. Con la metafora delle "storie" vogliamo raccontare solo uno dei molteplici aspetti del complesso problema della nutrizione del bambino. I genitori che disperatamente provano a tavola tra le mura domestiche, nel bar davanti alla scuola, in trattoria, sulla spiaggia... a far comprendere al proprio bambino "spiegazioni scientifiche" sul cibo, paradossalmente non tengono conto di altrettante "spiegazioni scientifiche" sul funzionamento mentale del bambino. Quest'ultimo, dal suo mondo soggettivo, caratterizzato da un pensiero animista, ascolta stupito le parole dell'adulto che si accanisce nel mettere "ordine" in un mondo dove gli oggetti parlano e danno consigli, gli animali sentono e pensano come lui, le stelle si tramutano in principesse e fatine... L'adulto nel relazionarsi con questo mondo non può fare a meno di tener presente che i suoi consigli devono, necessariamente, per essere accolti, rispettare i tempi evolutivi del bambino altrimenti le sue parole rischiano di risultare "mostruose" come quelle delle matrigne, delle streghe e dei giganti. Questo mondo incantato esige rispetto e non può essere violato da affermazioni incomprensibili come quelle: "mangia prima la carne e poi la pasta perché le proteine sono migliori dei carboidrati... o ...non mangiare il pane mentre aspetti il primo altrimenti si blocca l'appetito...". Non è questa, infatti, la strada per un sano rapporto col cibo perché questa appartiene unicamente alla storia "vera" ed il suo linguaggio può essere ascoltato ma non compreso. La strada è più lunga e tortuosa, parte dal caldo e rassicurante seno materno e arriva al colorato seggiolone, dove, inizialmente, le polpette di carne devono potersi trasformare, anche, in palline da lanciare e l'acqua nel bicchiere, anche, in un laghetto dove intingere le dita per lavarsi. Se ciò sarà possibile, questo stesso bambino crescendo, a tavola, insieme agli adulti, mangerà con piacere il minestrone, per poi al cinema con gli amichetti, sprofondato in una comoda poltrona, nel buio della sala, potrà godersi un sacchetto di patatine fritte senza sentire di far torto alla mamma che a casa sta cucinando, per lui, un ciambellone. Solo in questo percorso, per il genitore forse un po' faticoso e irrazionale, il bambino troverà la possibilità di nutrire, al tempo stesso, la sua fantasia, il suo corpo, il suo legame con la madre. Da adulto poi, nei grandi magazzini, al mercato, nei ristoranti... riuscirà ad integrare la fiaba con la storia "vera". | << | < | > | >> |Pagina 44DIAMO VOCE AL DOLORE
Luigi Cancrini, Psichiatra
C'era una volta un'impresa che decise di "donare" ai suoi dipendenti una visita neuropsichiatrica di controllo per tutti i loro figli. Due bambini di sei e di otto anni, fratellino e sorellina, andarono malvolentieri dal medico. Non parteciparono ai giochi, parlarono poco e con difficoltà. Per l'aria malinconica che avevano ne ricavarono una diagnosi di depressione e un consiglio di terapia farmacologica: diagnosi e trattamento subito confermati presso un grande "centro di studi sulla depressione". C'erano una volta due bambini che iniziarono a prendere dei farmaci antidepressivi. Dopo un breve periodo di euforia ("i bambini stanno meglio"), tuttavia, la situazione tornò ad essere quella di prima. Uno psicoterapeuta, consultato a questo punto, apprese solo allora con una qualche sorpresa che i genitori si stavano separando e che nessuno, fino ad allora, aveva pensato di dover collegare i due fatti: la separazione e la sofferenza dei bambini. Trasformata in malattia depressiva dalla mancanza di curiosità (e di competenza) di due neuropsichiatri, la sofferenza era rimasta dunque priva d'ascolto. Bastò, come era naturale, dare parole a questo dolore per mettere in piedi una strategia terapeutica efficace dimenticandosi della malattia. Bambini irrequieti o molto agitati, bambini che fanno pipì a letto, bambini che non parlano a scuola, bambini che non giocano con gli altri bambini, bambini violenti che rompono tutto, bambini che seviziano gli animali o i fratellini piccoli, bambini depressi o fuggitivi, bambini che non hanno il senso del pericolo o che si arrabbiano troppo facilmente. Regolarmente, l'osservazione che tiene conto del contesto familiare e scolastico, delle situazioni che incidono sul loro umore e sulla loro sicurezza, sul loro benessere e sulla loro tranquillità consente di capire perché reagiscono in un modo sbagliato e, spesso, controproducente. Con frequenza un po' assurda, tuttavia, pediatri e neuropsichiatri infantili non mettono in moto, ancora oggi, questo tipo di indagine. Non si interrogano su quello che sta succedendo. Si contentano della possibilità di trasformare in "sintomi" i comportamenti strani del bambino. Tentano di curarli (di cancellarli con degli psicofarmaci). Esiste un curioso tipo di omertà fra i professionisti. Coperti dal grande ombrello dell'industria farmaceutica, medici, pediatri e neuropsichiatri infantili continuano a fare danni gravi esercitando in modo improprio il loro mandato professionale. L'esistenza e la consistenza di tali danni provocati dalla loro devastante superficialità non sono oggetti d'intervento civile o penale, tuttavia, semplicemente perché i bambini non sono in grado di far sentire la loro voce. Considerare sintomi di una malattia quelle che dovrebbero essere considerate manifestazioni d'un disagio legato alla famiglia o alla scuola, non fa comodo solo ai produttori di farmaci, allevia il senso di colpa dei genitori, allenta la pressione sulla inadeguatezza della scuola.
L'ipocrisia di chi fa finta di occuparsi del bambino continuando ad
occuparsi soprattutto dei propri interessi, voglio dire, non riguarda solo
coloro che gli vendono abiti o giocattoli. Riguarda anche gli operatori che si
occupano della sua salute. Produzione ed uso degli psicofarmaci, in particolare,
avvengono per un buon 90% dei casi senza che ci sia evidenza scientifica della
loro utilità. Con sospetti seri, al contrario, sui danni che possono provocare
nell'immediato e, soprattutto, nel futuro. Sedare un bambino e dimenticare
d'ascoltarlo vuol dire infatti regolarmente opporsi ad un suo sviluppo
armonioso, influenzando seriamente l'organizzazione futura della sua
personalità.
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