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"'A iurnata è 'nu muorzo," la giornata è un morso, è la
voce di mast' Errico sulla porta della bottega. Io stavo
già là davanti da un quarto d'ora per cominciare bene il
primo giorno di lavoro. Lui arriva alle sette, tira la
serranda e dice la sua frase d'incoraggiamento: la giornata
è un morso, è corta, diamoci da fare. Ai vostri comandi,
gli rispondo, e così è andata. Oggi scrivo la prima notizia
per tenere conto dei nuovi giorni. Non sto più a scuola.
Ho fatto tredici anni e babbo mi ha messo a lavorare.
È giusto, è ora. L'istruzione obbligatoria va fino alla
terza elementare, lui mi ha fatto studiare fino alla quinta
perché ero malatino e poi così avevo un titolo di studio
migliore. Qua intorno i bambini vanno a lavorare pure senza
scuola, babbo non ha voluto. Fa lo scaricatore al porto,
non ha studiato, solo adesso sta imparando a leggere e
scrivere alle lezioni serali della cooperativa degli
scaricatori. Parla il dialetto e ha soggezione
dell'italiano e della scienza di quelli che hanno studiato.
Dice che con l'italiano uno si difende meglio. Io lo
conosco perché leggo i libri della biblioteca, ma non lo
parlo. Scrivo in italiano perché è zitto e ci posso mettere
i fatti del giorno, riposati dal chiasso del napoletano.
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Mast' Errico dice che i pescatori non sanno nuotare, che
quella è roba di villeggianti che in mezzo alle onde ci
vanno per sfizio e si mettono a posta sotto il sole. Il
sole è buono per chi lo piglia da fermo, sdraiato. Per chi
lo porta sulla schiena da prima luce fino a sera, il sole è
un sacco di carbone. Come la gobba di Rafaniello, penso ma
non lo dico, sono un guaglione di bottega e non posso dire
la mia al mastro. Poi se sto zitto lui continua a
raccontare e la giornata è più svelta. I pescatori vanno
sul mare dentro il gozzo a motore oppure a remi e non si
bagnano nemmeno la faccia. In testa si rincalcano un basco
che non si stacca neanche contro vento. Ai vecchi della
marina senti il tabacco, il sudore, non il sale. La
domenica escono governati con la camicia bianca. Ci sta
poca presa di pesce nel golfo, per portare a riva qualcosa
stanno in barca tutto il giorno. Mi interessano le notizie
di mare, io non lo conosco, lo vedo ma non lo so.
Mast' Errico mi parla volentieri, l'altro aiutante lo
ascoltava con fastidio. Lui starebbe a parlare, ma 'a
iurnata è 'nu muorzo, sospira e dice per finire che il sale
di mare è amaro come quello del sudore e tutt'e due non sono
buoni per l'acqua della pasta.
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Dal buio dei lavatoi spunta Maria. I tredici anni suoi
sono più cresciuti dei miei, lei già sta in un corpo
arrivato. Tre dita sotto il ciuffo dei capelli neri, corti,
c'è la sua bocca veloce con le parole, le vedo uscire fuori
dallo scivolo delle sue labbra grosse. Il sorriso le taglia
la faccia da un orecchio all'altro. Maria sa le mosse delle
donne. Sto davanti a lei e mi sento le viscere vuote, una
fame di pane, di dare un morso alla stessa fetta di pane e
burro. Me l'offre, dico no. Ha scoperto che mi alleno col
bumeràn, è curiosa. Mi sente salire, passare davanti alla
sua porta. Si avvicina, la sera è calda e porta i suoi
odori, cioccolato, origano, cannella, lo tiro col naso,
è profumo francese, dice, tirando la erre dalla gola.
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Un calzolaio straniero sa parlare così preciso in
italiano che io mi commuovo per babbo che si sforza
d'imparare e non sa la metà delle parole di Rafaniello.
Avete avuto in sogno pure il vocabolario italiano, gli
chiedo. No, dice che l'ha preso dai libri, leggendo molte
volte Pinocchio. Anch'io l'ho letto, gli dico per
contentezza di una cosa che abbiamo fatto insieme. Dice che
al suo paese Pinocchio si chiamerebbe Iòsl e resterebbe di
legno tutta la vita per fedeltà al suo creatore. "Adesso
conosci i fatti miei di quand'ero Rav Daniel e quelli dei
miei paesani che non ci sono più. Chi muore lascia la
storia in eredità ai figli, ai parenti. Il mio popolo l'ha
lasciata a me e a qualcun altro. Io te la dico perché parto
tra poco, quando si crepa questa gobba di ossa e di piume."
Don Rafaniè com'è questa Gerusalemme, che non la possiamo
imitare? Lui si pulisce la bocca, sputa, poi dice che non
la conosce ancora, ma uno gli ha detto: "In quella città la
morte ha paura di essere inghiottita dalla vita. È l'unica
città del mondo in cui la morte si vergogna di esistere".
Chiude gli occhi, dondola il collo, già sta là. Deve essere
assai speciale quel paese, a Napoli la morte non si vergogna
di niente.
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