Copertina
Autore Roberto Denti
Titolo Incendio a Cervara
EdizioneVoland, Roma, 2005 [1974], Libri piccoli 13 , pag. 136, cop.fle., dim. 120x165x10 mm , Isbn 978-88-88700-54-0
PrefazionePier Paolo Pasolini
LettoreGiovanna Bacci, 2006
Classe narrativa italiana , storia sociale
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Indice


Incendio a Cervara

Prima parte     1956 ...                PAGINA 9

Seconda parte   1971 ...                PAGINA 63

Nota ...                                PAGINA 129

Postfazione di Pier Paolo Pasolini ...  PAGINA 131



 

 

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Pagina 10

A 707 metri sul livello del mare, Cervara è un paese escluso da tutte le vie di comunicazione: la strada che lo congiunge a Pontremoli passa per un'altra frazione (Vignola) e termina nella piazza del paese. Arrivati a Cervara, ci si può soltanto inoltrare a piedi e sul mulo per i sentieri segnati dai montanari, ma il paesaggio non è attraente e le montagne non hanno cime interessanti. È una zona povera, senza rapporti di scambio, sia commerciali che civili.

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Pagina 23

EDOARDO V.

pastore — anni 46


Io non sono d'accordo che si dovesse bruciare il paese. È vero che così abbiamo accelerato i tempi e ottenuto lo scopo, ma il sacrificio è stato troppo alto. Ora abbiamo le case nuove, più confortevoli, più pulite, ma molti di noi, e io per primo, ci sentiamo estranei, come vivessimo da un'altra parte. Questa non è più Cervara: dai pascoli, i tetti con gli embrici la fanno assomigliare a qualsiasi paese della pianura. Una volta i nostri tetti grigi di ardesia, gli uni uniti agli altri, come se ogni casa fosse la continuazione dell'altra, i nostri tetti, dicevo, erano un segno della nostra comunità, unica per gli estranei e per noi.

Non si può di colpo ricominciare. Non so, non sono molto vecchio, ma non riesco ad ambientarmi. Quando hanno deciso di lasciar distruggere il paese dal fuoco, anch'io ho detto sì, ma era un momento particolare, eravamo tutti eccitati, e le donne più di tutti. Ci siamo lasciati prendere dal fanatismo. Forse si poteva, ad esempio, andare in città, tutti assieme, con i bambini e i vecchi, a piedi: la distanza non conta, perché qui l'unica cosa che tutti sappiamo fare è quella di camminare, camminare sempre.

Giù in città, quasi trecento persone che protestavano, decise a non muoversi se non avessero ottenuto quello che volevano, avrebbero certo risolto la situazione e l'effetto sarebbe stato diverso da quello ottenuto dalle delegazioni a colloquio con il prefetto. Ma adesso è inutile rimpiangere quello che abbiamo o che non abbiamo fatto.

Ora dobbiamo portare avanti l'esperimento cooperativo, con i boschi e i pascoli e le terre coltivabili che verranno messi in comune. È troppo presto per dire come ce la caveremo, però siamo entusiasti e le cose sembrano andar meglio. Ma il paese non dovevano bruciarlo, perché ora ci si sente estranei, e anche i bambini - io ho tre figli, il più grande ha dodici anni - sembrano vivere distaccati da noi. Forse il tempo farà superare questa situazione, ma intanto ne soffriamo, e vediamo i vecchi aggirarsi nelle strade nell'inutile tentativo di ritrovare una vita che hanno già perduto.

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Pagina 57

PIETRO T.

segretario della sezione del P.C. - anni 32


Stabilire di chi sia il merito della resurrezione di Cervara è estremamente difficile. Innanzi tutto c'è stata la forza popolare, la coscienza dei propri diritti, la rivendicazione verso una vita che non fosse soltanto di miseria e di soprusi. Ma a questa presa di coscienza ha contribuito, in ugual misura, il partito, che si è assunto la funzione di guida, che ha incoraggiato e indirizzato i moti spontanei e si è assunto la responsabilità della linea politica da seguire. Devo dire che la fortuna di Cervara è stato Gianni che ha potuto inserirsi nella situazione e guidare la lotta perché è figlio di questa gente e nello stesso tempo era un militante che seguiva le direttive del partito, non soltanto studiando la teoria ma vivendo giorno per giorno i problemi concreti a contatto con la realtà. Gianni si era dimostrato uno dei giovani migliori e più attivi della federazione giovanile e già quando studiava a Pontremoli era stato segnalato come un elemento molto promettente tanto che, preso il diploma, fu mandato a Bologna, per un anno, a frequentare la scuola di partito. Gli hanno mosso l'accusa di non far parte dei 'poveri' del paese e di avere avuto la possibilità di studiare: ma forse questa è una colpa? Soltanto chi dalla situazione emotiva della condizione di classe può elevarsi ad una presa di coscienza politica è in grado di entrare nei quadri dirigenti del partito. Gianni è rimasto sempre legato alla realtà di Cervara e anche quando è stato condannato dal tribunale non si è affatto sentito un eroe, ma ha considerato un fatto normale la vendetta del potere. Le leggo una parte dell'ultima lettera che abbiamo ricevuto:

"Il carcere di Castelfranco Emilia è chiamato la tomba dei poveri. L'edificio, probabilmente ricavato da una vecchia costruzione medioevale, è completamente circondato da un profondo fossato, ed è isolato, in mezzo alla campagna. Appena mi hanno trasferito qui, ho perso il mio nome e sono diventato il numero 4075, con il quale le guardie mi chiamano. Non ho scritto subito, come avrei voluto, perché per quaranta giorni mi hanno relegato in cella d'isolamento, non per un motivo particolare, ma per una decisione che è a discrezione del direttore del carcere, in base al curriculum-vitae e ai motivi della condanna del prigioniero. Nessun libro, l'inerzia totale, l'impossibilità di rivolgere la parola a qualcuno, per quaranta giorni danno la sensazione che le giornate e le notti non finiscano mai. Il vitto è buono ma per la mia fame del tutto insufficiente. L'isolamento è terminato da alcuni giorni e cerco di ambientarmi fra persone molto diffidenti verso di me, in quanto esiste sia una forma di intesa in base alle condanne per il tipo di reato sia un affiatamento per zone di provenienza. Ecco perché mi trovo, al momento, molto solo, ma non credo che questa situazione duri a lungo. Ho ricominciato a leggere e a studiare e questo ha suscitato l'interesse di altri prigionieri: alcuni mi sfottono, ma altri cominciano a chiedermi notizie e informazioni. Credo che potrò iniziare un lavoro politico che darà i suoi frutti."

È facile rilevare, da queste semplici parole, la forza d'animo di Gianni e la sua costante compenetrazione all'ambiente e la volontà di rendere politica ogni situazione, così da gettare le basi di una lotta. In continuo contatto con la federazione provinciale del partito, Gianni trasformò la sezione di Cervara da un luogo attivo durante i soli periodi elettorali, in un ambiente che è diventato il centro della vita del paese.

[...]

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Pagina 87

LA COOPERATIVA


L'idea della cooperativa nacque in noi lentamente, giorno dopo giorno. Con l'incendio e l'acqua sentivamo che molto era cambiato, ma che non sarebbe stato sufficiente ai nostri bisogni. I nostri poderi erano suddivisi in piccoli appezzamenti, che ciascuno lavorava a mano, senza mezzi meccanici e quindi con scarsissimo rendimento. Inoltre i nostri pascoli erano molto in alto, e quindi sfruttabili soltanto per pochi mesi durante l'estate. Così guardammo anche ai pascoli più bassi di proprietà del comune e affittati a due padroni di Pontremoli, che a loro volta subaffittavano, pagando appena i soldi delle tasse che avrebbe pagato un privato se il terreno fosse stato suo.

Il partito ci aiutò nella nostra lotta e, con l'aiuto dei socialisti, ottenne la rescissione del contratto di affitto che aveva delle clausole sbagliate, e l'assegnazione dei terreni alla nostra cooperativa. Per quanto cerchi di scavare, e nella mia memoria, e nel passato, non ricordo una annata più abbondante di quella. L'erba era alta e verde e per tanto che le pecore brucassero ce n'era sempre tanta che riuscimmo a mettere da parte quasi tutto il fieno necessario per l'inverno. Era uno spettacolo meraviglioso, donne, uomini, ragazzi, uniti nel lavoro per la prima volta erano riusciti a convivere in nome dell'interesse comune, fuori da tutte le beghe personali.

Luigi - anni 48

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Pagina 101

IL CEMENTIFICIO


La silicosi è stata scoperta così: un'operaia che in sei anni di lavoro aveva passato tutti i reparti della fabbrica e che negli ultimi tempi si sentiva stanca e l'avevano messa alle pulizie, ha cominciato a dire che non respirava, che le faceva male il naso, dava la colpa al naso, faceva fatica a respirare e in pochi giorni è morta. Dall'autopsia hanno scoperto che aveva i polmoni addirittura coperti di polvere. Altre operaie che in precedenza si sentivano male, erano state curate per pleurite o per tubercolosi. Dopo la morte di questa operaia hanno fatto un'inchiesta, ci hanno visitato tutte e hanno scoperto che il 70% delle donne e il 40% degli uomini, più o meno gravemente, erano ammalati di silicosi. Nel 1967 abbiamo fatto un grande sciopero per fare abolire la silicosi e per un premio di produzione. Ma anche in questo caso operai e operaie ci tenevano più al premio di produzione che all'eliminazione della silicosi. Non volevano credere che fosse così grave. Il reparto più colpito è quello della macinazione. Io nel reparto ci sono stata un mese soltanto, con altre ragazze, perché occorreva gente, avrò avuto sedici anni, e le operaie più anziane ci deridevano, ci chiamavano aristocratiche perché avevamo le unghie dipinte e per lavorare ci mettevamo i guanti. Le macchine erano messe da una parte e dall'altra e funzionavano con dei motorini e con le cinghie di trasmissione. Dietro le macchine c'erano dei cassoni dove gli uomini portavano la terra presa dalla cava, la terra veniva macinata e si trasformava in una polvere finissima molto più della farina e subito si sollevava in un polverone. Per la polvere, nel reparto sembrava sempre che ci fosse la nebbia e non ci si vedeva e le operaie avevano soltanto un fazzoletto in testa per proteggersi i capelli. Sotto la macchina più grossa c'era una specie di buca dove finiva tutta la terra macinata e, al sabato, due operaie a turno pulivano la buca. Questo era il mestiere più bestiale, si beveva e si mangiava polvere, andava tutta nel naso e in bocca. Le macchine, allora, non erano coperte, ci si trovava come in una bufera di vento, la terra volava, ma era più fine della sabbia, non ci si vedeva. Lavoravano a questo reparto circa quaranta donne che per la polvere non si vedevano e siccome le macchine facevano un rumore fortissimo, dovevi gridare per farti sentire, così si sorbiva ancora di più la terra. A lavorare lì dentro, nel naso avevi come un pantano, come avere del fango.

Pinuccia - anni 22

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