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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione: tra i terroni dell'impero 9 I. South Carolina («Bei posti, bei visi») 15 1. La storia si è fermata a Charleston 16 2. Kamau, una vita da nero 21 3. La terra del caporalato postmoderno 27 II. North Carolina («Prima a volare») 33 1. Benvenuti nel casino cherokee 34 2. Sequoyah, l'uomo che divenne un albero40 III. Tennessee («Suona bene») 45 1. In quella valle c'era il New Deal 46 2. La modernità non corre più sui cavi 51 3. Chattanooga la devota 56 IV. Georgia («Nella mia mente») 61 1. Mi voglio tanto segregare: gli atenei neri negli Usa 62 2. Lungo Via del Pesco, la Mecca degli afroamericani 67 3. C'era una volta Americus 72 4. Vivere in una città di guarnigione 77 V. Alabama («Le stelle vi caddero su») 83 1. Come si manda in bancarotta il razzismo 84 2. Morire di incentivi 89 VI. Texas («Lo stato della stella solitaria»)97 1. Nella tana di Bush 98 2. I tejanos del Rio Grande 102 3. L'Austin che conta, a un brunch nel parco 107 4. Lungo il fiume, sotterraneo 111 VII. Florida («Lo stato al sole») 115 1. Microfanatismo in pantofole 116 2. La città che deve tutto a Fidel Castro 121 3. Miami, che prova tanta simpatia per il denaro 127 5. Alligatori in orbita 132 Appendici 141 Statistiche 142 Cronologia 145 |
| << | < | > | >> |Pagina 283. LA TERRA DEL CAPORALATO POSTMODERNO[...] Per attirare un nuovo stabilimento della Michelin, la provincia di Anderson ha emesso buoni per 400 milioni di dollari e le autorità si sono impegnate a costruire una bretella dell'autostrada I-85. Perché anche questo è New South: la guerra spietata, e suicida, che gli stati del sud combattono tra loro per attirare le industrie, a colpi di esenzioni fiscali sempre più massicce, di incentivi sempre più allettanti. La speranza è che il singolo stato riceverà un beneficio perché i nuovi posti di lavoro creati forniranno nuove tasse. Ma intanto molte imprese tolgono le tende, una volta finito il periodo di massima agevolazione fiscale, lasciando stato ed enti locali col fardello dei debiti sul groppone. Oppure falliscono, come è successo a CropTech, che sviluppa medicine dal tabacco e che ha dichiarato bancarotta dopo aver ricevuto finanziamenti dallo stato della S-C per un milione di dollari: notizie di questo genere costellano i giornali. L'onere è aggravato dall'ideologia liberista che vige in questi stati dove ridurre le tasse è un vangelo. Non potendo andare in deficit (molti stati hanno il pareggio del bilancio iscritto nella propria costituzione), né potendo aumentare la pressione fiscale, le spese per finanziare questi stabilimenti industriali comportano per forza tagli nei servizi, nella scuola, nella sanità: già ora la South Carolina (come d'altronde l'Alabama e il Mississippi) occupa la coda di tutte le statistiche del benessere americano, dalla riuscita scolastica degli scolari, alla mortalità infantile. Per attirare le varie Bmw, Michelin, Honda gli stati s'indebitano fino a letteralmente autostrangolarsi, anche perché non c'è limite all'ingordigia delle multinazionali né agli incentivi che possono essere offerti. [...] Il lettore deve sempre avere presente che negli Stati uniti iscriversi a un sindacato non è un diritto individuale ma collettivo: cioè non ti puoi svegliare una mattina e decidere di aderire a un sindacato. Per poterlo fare è necessario che 1) la maggioranza dei lavoratori di quell'impresa decida con un voto di sindacalizzarsi, 2) il padrone permetta la sindacalizzazione. Dopo che il passo 1) è stato compiuto, è perciò necessario un conflitto (sempre durissimo) perché avvenga il passo 2), perché cioè il padrone sia costretto ad accettare il sindacato: e si tenga conto che negli Stati uniti al padronato è lecito assumere crumiri mentre è in corso uno sciopero. Questo spiega molte caratteristiche altrimenti incomprensibili del mondo del lavoro americano: la debolezza storica del sindacato; il fatto che in ogni impresa ci sia uno e un solo sindacato; che i lavoratori di un ospedale possono decidere di aderire al sindacato dei camionisti, i Teamsters; che il sindacato sia presente soprattutto nel settore pubblico; e infine che a traslocare nei paradisi sindacali sono le ditte americane che in patria hanno una mano d'opera sindacalizzata (automobile, aerospaziale). Perciò le multinazionali sbarcano in Carolina del Sud perché sono sicure di non trovare i sindacati: "Nessun sindacato dell'Afl-Cio è presente in nessuna di queste fabbriche straniere, che anzi trattano abbastanza bene i loro dipendenti proprio per indurli a non sindacalizzarsi" | << | < | > | >> |Pagina 402. SEQUOYAH, L'UOMO CHE DIVENNE UN ALBERORISERVA CHEROKEE. I più giganteschi alberi della natura portano il suo nome, come pure un grande parco californiano dove questi monumenti della flora sono preservati, così come una centrale nucleare costruita dalla Tennessee Volley Authority. Ma dubito che molti in Italia sappiano perché a quest'uomo siano stati attribuiti tanti onori. Io per lo meno lo ignoravo, prima di visitare la riserva Cherokee in North Carolina. Questa è dunque la storia di Sequoyah (poi corrotto in sequoya o sequoia). In lingua cherokee sequoyah significa «piede di porco», e il nome gli fu dato a causa della malformazione al piede che lo colpì alla nascita. Sequoyah nacque in Tennessee nel 1760 - secondo una bibliografia pubblicata dal Tennessee Star Journal -, o nel 1769 - secondo un ottocentesco articolo pubblicato da Harper's New Monthly Magazine nel 1870 (vo. 41, pp. 542-548) -, o infine nel 1776 - secondo la biografia ciclostilata dal consiglio tribale della riserva cherokee. Sequoyah era figlio di una donna di prominente famiglia cherokee e di Nathaniel Gist, contrabbandiere e mercante di pellicce, tedesco od olandese, a seconda delle versioni: all'epoca i mercanti si sposavano spesso con indiane non solo per soddisfare i propri desideri e per avere una donna che procurasse loro cibo e lo cucinasse, ma anche per essere «adottati» dalla tribù indiana (legalmente tra gli indiani ogni proprietà del marito apparteneva alla moglie) e rendere più facile il proprio commercio. Il padre europeo scomparve dopo poco, non fu mai più rivisto e il bambino non lo conobbe, ma visse sempre con la madre, donna energica che decise di non risposarsi e che coltivava i campi, allevava il bestiame, mungeva le mucche: già, perché contro tutte le immagini ricevute in migliala di film western, questi indiani erano soprattutto coltivatori e allevatori e furono spinti a diventare cacciatori professionisti dal commercio di pellicce con i mercanti bianchi. Per di più vivevano non in tende ma in case di legno o di argilla. Madre e figlio vivevano nella città di Tuskegee e il piccolo Sequoyah mostrò subito una particolare abilità manuale, tanto che poi divenne fabbro e argentiere e divenne abile nel disegno. Di taglia media, magro, venne ritratto sempre con una lunga pipa in mano e descritto come riservato, un po' sognatore, anche se Harper's dice che era conviviale, amava ricevere e offrire da bere (il magazine però afferma che «il mezzo sangue non divenne mai uno di quegli ubriaconi»). [...] Fu negli anni tra il 1809 e 1821 che Sequoyah conseguì quella che viene enfaticamente descritta come «la più grande conquista della storia»: in 11 anni elaborò un alfabeto cherokee per rendere scritta la lingua del proprio popolo. La lingua cherokee era infatti impossibile da trascrivere nell'alfabeto latino (per di più con la pronuncia inglese). Per esempio i cherokee non avevano la «r» e lo stesso nome della loro nazione, cherokee, si sarebbe dovuto trascrivere in inglese come chalaque o shalakke. Alcune nasali cherokee erano totalmente assenti, come anche alcuni suoni vocalici. Perciò Sequoyah si lanciò nell'impresa di fabbricare un nuovo alfabeto e vi riuscì coniando 86 caratteri che riproducono i suoni delle 79 sillabe (fonema vocale/consonante) di base che danno luogo a tutte le parole della lingua cherokee. (L'equivalente italiano dell'alfabeto di Sequoyah conterrebbe un carattere per il suono «gl» come in gli, un altro per il suono «gn» come in ogni, un altro per il suono sc come in scena o scia, e così via). | << | < | > | >> |Pagina 573. CHATTANOOGA LA DEVOTAMa la microreligiosità americana si rivela in tutta la sua potenza nelle numerose pagine che i quotidiani di provincia consacrano alla venerazione di dio. Ecco qui un riassunto delle quattro pagine, formato grande, che il giornale Chattanooga Times Free Press (17 aprile 2004) dedica al «calendario religioso della settimana» che elenca gli eventi organizzati dalle 54 denominations (chiese e sette) di questa contea, al confine con la Georgia, che conta 300.000 abitanti. Gli eventi sono messe, servizi, conferenze, liturgie musicali, scuole religiose domenicali o del sabato. [...]
Le quattro pagine enumerano eventi per i seguenti culti (qui seguiti
dal numero di chiese o templi in cui si svolgono):
Alliance: 2; Associazione Cristiana di Vineyard: 1; Associazione di Willow Creek: 2; Avventisti del Settimo Giorno: 17; Anglicani: 1; Assemblea di Dìo: 6; Baha'i: 1; Battisti: 236; Battisti della Libera Volontà: 4; Buddisti: 2; Cattolici Carismatici: 1; Cattolici Romani: 12; Cattolici Romani Tradizionali: 1; Chiesa di Cristo: 41; Chiesa di Cristo Unita: 1; Chiesa di Dio 37; Chiesa di Dio (altra): 4; Chiesa di Dio (Anderson): 1; Chiesa di Dio in Cristo: 5; Chiesa Mondiale di Dio: 1; Chiesa di Dio di Profezia: 4; Chiesa di Dio dell'Assemblea Unita: 1; Chiesa di Gesù Cristo dei Santi dell'Ultimo Giorno (mormoni): 8; Christian Science: 1; Comunità Metropolitana: 1; Cristiani: 7; Cristiani Contemporanei: 2; Cristiani Metodisti Episcopali: 3; Episcopali: 17; Episcopali Carismatici: 1; Episcopali Missionari: 1; Ebrei: 2; Luterani: 9; Messianici: 3; Metodisti Episcopali Africani: 7; Metodisti Episcopali Africani di Sion: 4; Metodisti della Bibbia: 1; Metodisti Evangelici: 1; Metodisti Uniti: 65; Nazareni: 16; Nondenominazionali (quei culti od organizzazioni che non sono riconosciuti come denominazioni e che che vanno dal «Potere del Tocco» al «Cowboy del Carpentiere» al «Centro Pneuma Cristiano» all'Esercito della Salvezza): 70; Ortodossi Orientali: 2; Pentacostali: 7; Pieno Vangelo: 4; Presbiteriani (Cumberland): 19; Presbiteriani Evangelici: 3; Presbiteriani Indipendenti: 1; Presbiteriani Ortodossi: 1; Presbiteriani Pca (???): 15; Presbiteriani Pcusa (???): 15; Quaccheri: 1; Santità Pentacostale: 1; Unità: 2; Universalisti Unitari: 1; Wesleyani: 2. | << | < | > | >> |Pagina 902. MORIRE DI INCENTIVI[...] E qui interviene il fattore «incentivi fiscali». Per attirare la Mercedes, la North Carolina promise importanti abbattimenti tributari, finanziamenti, agevolazioni al credito. Era una pratica ben consolidata. Nell'85, quando la Gm dovette scegliere un sito per la sua nuova fabbrica Saturn, il Tennessee concesse sgravi fiscali, incentivi e finanziamenti pari a un totale di 26.650 dollari per ogni posto di lavoro creato. Nello stesso anno la Toyota ricevette dal Kentucky 50.000 dollari, mentre nel '92 la Bmw ottenne dalla Carolina del sud la cifra record di 65.500 dollari per ogni posto di lavoro creato (135 milioni di dollari in tutto). Ora la North Carolina fece offerte ancora più strabilianti. Ma aveva fatto i conti senza la febbre a tre punte che aveva colto gli uomini politici e gli affaristi dell'Alabama; una fabbrica di auto di lusso in uno degli stati più disastrati, sfibrati dalla miseria e dal Ku Klux Klan. Il governatore democratico James Folson Jr. volò tre volte a Stoccarda con un pacchetto di finanziamenti sempre più generoso. Per migliorare l'immagine del proprio stato, accettò di far ammainare lo stendardo da battaglia confederato (cioè sudista) che dagli anni '60, dall'era delle lotte per i diritti civili, ancora sventolava sul Campidoglio di Montgomery. Ma fu quando la Mercedes chiese agli stati finalisti di pagare gli stipendi di tutti i dipendenti dell'impianto per il primo anno (!!!) che la Carolina issò bandiera bianca mentre l'Alabama accettò persino questa condizione capestro. Il 30 settembre 1993 la Mercedes annunciò che per la sua fabbrica aveva scelto l'Alabama. E grazie! basta guardare i munifici regali ottenuti: oltre a imponenti sgravi fiscali e crediti agevolati, l'Alabama offriva 77,5 milioni di dollari in lavori d'infrastruttura (fogne, rete idrica, strade); offriva altri 92,2 milioni di dollari per acquistare il sito ed equipaggiarlo, e circa 5 milioni di dollari (annui) per la formazione del personale. Nel '93 il totale ammontava a 253 milioni di dollari che - per la lievitazione dei costi - tre anni dopo erano diventati circa 300, per una fabbrica che allora doveva impiegare 1.500 dipendenti [...] [...] Ribatto alla sua supponenza lievemente scortese dicendo che un modo c'è di verificare gli effetti di questi incentivi: basta vedere se a undici anni di distanza la salute dei conti pubblici è migliorata o è peggiorata. E non è certo migliorata se per il 2004 i tagli al bilancio statale sono stati di 400 milioni di dollari, e se nel 2005 si prevede un disavanzo (o tagli) per 620-660 milioni di dollari. Intanto per lo stato dell'Alabama non fu facile raggranellare i 300 milioni di dollari da regalare alla Mercedes: nel 1993 rappresentavano un decimo di tutte le sue entrate annue (erano di 3,4 miliardi di dollari nel '93). Per uno stato pesantemente indebitato era necessaria molta fantasia per reperire una cifra simile. L'Alabama è ultimo (come per molti altri record negativi che detiene) nella graduatoria fra i cinquanta stati quanto a entrate fiscali pro capite: la media Usa è di 3.100 dollari ad abitante versati ai singoli stati. In Alabama è di 2.117 dollari, cioè solo l'8,6% del reddito pro capite annuo in questo stato. Per fare un confronto, in Connecticut è di 4.595 (l'11 % del reddito pro capite), nello stato di New York di 3.545 (il 10% del reddito pro capite), in California di 3.463 (10,6%). Se l'Alabama avesse entrate fiscali pro capite pari a quelle dello stato di New York, più che raddoppierebbe il proprio bilancio con 11 miliardi di dollari in più. Persino la Georgia (2.841 dollari pro capite, il 10% del reddito), la South Carolina (2.379 $, 9,7% del reddito) stanno meglio dell'Alabama che sta peggio anche del Mississìppi. Per dì più, per ogni otto dollari che entrano nelle casse dello stato dell'Alabama, sette sono vincolati (il termine americano è «marchiati alle orecchie»), mentre negli altri stati la percentuale delle entrate vincolate si aggira intorno al 30%: un'entrata è vincolata se per statuto è destinata a un solo uso: così nella maggior parte degli stati Usa, le tasse sul carburante sono vincolate a essere spese in viabilità. Pensa che ti ripensa, la soluzione più astuta fu quella di tagliare le spese scolastiche. Ma poiché da decenni l'Alabama arriva ultimo nella graduatoria fra stati per quel che riguarda la spesa pro capite per la scuola dell'obbligo (elementare e secondaria), la Corte suprema dell'Alabama bocciò questo taglio. A corto di risorse, l'Alabama fece ricorso ai finanziamenti federali alla Guardia nazionale per affidare alla propria milizia statale una «missione dì allenamento» per disboscare e spianare il sito della fabbrica. Ma naturalmewnte non bastava [...] | << | < | > | >> |Pagina 1032. I TEJANOS DEL RIO GRANDE[...] Al ristorante troviamo seduto il giudice Oscar Martinez, che parla male inglese («È detto "el huevo", l'uovo», mi avevano avvertito, «ma non chiamarlo così in sua presenza» con una spiegazione salace del nomignolo). Negli Usa i giudici di contea e di stato sono eletti. «Sono gli avvocati che finanziano le campagne dei giudici, così poi sono sicuri di ricevere un trattamento per lo meno non ostile», mi aveva detto a San Antonio la giornalista Lisa Sorg. È come se Previti finanziasse la campagna di Ilda Boccassini o Gherardo D'Ambrosio. Ma i miei commensali minimizzano: «Gli avvocati finanziano le campagne di tutti e due i contendenti, per mettersi al sicuro. E poi, se il giudice fa troppi favoritismi, la sentenza viene respinta in appello». Ma anche i giudici d'appello sono eletti. «Sì, ma non c'è più la connessione locale». Più tardi, nella redazione del Laredo Morning Time, il capocronista Robert Garcia mi racconta di un avvocato: punito da un giudice con una multa da 25.000 dollari per «disprezzo della corte», ha fatto causa sostenendo che la multa gli è stata affibbiata perché non aveva contribuito alla campagna del giudice. [...] Chiedo quali sono i problemi specifici di Laredo, vista la sua posizione di frontiera. «Nessun altra città negli States dipende tanto dall'economia di un paese straniero» mi risponde Villarreal, «Noi dipendiamo in tutto e per tutto da come va il Messico: se il Messico starnutisce, noi ci prendiamo il raffreddore». «Un altro problema sono le gang giovanili, in crescita esponenziale; io non ti posso dire molto, ma quando torniamo nel mio ufficio telefono a un poliziotto che è mio compadre». Detto fatto, nel suo ufficio, trovo un tarchiato poliziotto in borghese, Mario Alberto Sona, compadre di Villarreal, che mi mostra la lista delle 53 gang di strada (non tutte giovanili) - due anni fa erano solo 35 gang - con nomi come Latin Kings, Born Krazy Krue, Pura Gente Racio, Camiados Locos. «Hanno effettivi da una decina di membri fino alle centinaia. La gang più grande di tutte è La Movida con 200 pandilleros. Le pandillas sono le gang, e i pandilleros i loro membri. Senza contare le grandi gang di prigionieri: qui ce ne sono tre, e si chiamano Mexican Mafia, Hermanos Pistoleros Latinos, Texas Sindacate. Queste tre gang controllano le prigioni. E quando escono, i detenuti dirigono la mala locale. Sono loro in contatto con i Cartels della droga dall'altra parte del confine. La cosa funziona così: i Cartels trattano con le gang carcerarie che subappaltano i contratti sulla vita, il contrabbando e lo spaccio di droga alle gang di strada». Chiedo al giornalista Robert Garcia se da questo lato del confine la polizia è corrotta. «No, o per lo meno non al livello del Messico. Lì i Cartels controllano intere città. A Nuevo Laredo quest'anno ci sono stati 65 omicidi nei primi nove mesi. Poliziotti uccisi per strada, gente sequestrata in pieno giorno. In un caso il killer era atteso, c'erano i cecchini sui palazzi intorno ad aspettarlo. Lui è arrivato, i cecchini della polizia sono scappati lasciando lì i fucili e lui ha eseguito il contratto uccidendo un commissario». [...] Faccio la fila insieme ai messicani che rientrano dopo la giornata di lavoro. Pago un pedaggio di 50 centesimi. Sul ponte vedo infine il mitico Rio Grande che è piccolo quanto il Tevere. Passo il posto messicano (nessuno mi ha chiesto documenti all'uscita). E piombo all'improvviso nel Terzo mondo. Le auto sono scrostate, gli autobus zeppi e mezzo arrugginiti, le insegne stinte, i vestiti poveri, i mendicanti insistenti, la densità umana brulicante. Le ragazzine sono truccatissime, i ragazzi bulletti emanano testosterone. In cerca di brividi, di tequila, sesso e pittoresco, i turisti e le turiste americane spiccano per la loro bonacciona arroganza. Dal lato Usa i negozi straboccano di radio, tv, computer, orologi, palmer, telefonini, vestiti, blue jeans. Dal lato Messico, liquori, olio, stivali di pelle, selle da cavallo. Soprattutto, un sacco di farmacie e di dentisti. Le farmacie sono piene di vecchi americani che vengono a comprare qui le medicine perché costano un quinto che negli Usa. Bob Salvatore mi aveva detto: «Anche mia moglie va a Nuevo Laredo a comprare le medicine. Fa 500 km andata e ritorno, ma intanto visita la madre, e poi risparmia». Di dentisti, alcuni in androni lerci, ce ne sono centinaia sulla sola Avenida Guerrero (eroe della rivoluzione). Mentre fotografo le vistose insegne dei dentisti, un signore distinto, vestito con cura, mi si avvicina minaccioso e mi chiede «Que busca? (che cerca)» come a portarmi via la macchina fotografica. Ceno a capretto e cerveza. Alla frontiera pago 35 centesimi. Riattraverso il ponte sul fiume inargentato dalla luna piena. Al posto americano questa volta mi chiedono il passaporto. Laredo è il solo luogo che io conosca dove basta attraversare un ponte per passare dal Terzo al Primo Mondo. | << | < | > | >> |Pagina 1283. MIAMI, CHE PROVA TANTA SIMPATIA PER IL DENARO[...] Nel descrivere il propprio lavoro Diaz ostenta quell'entusiasmo così frequente negli Usa che non sai mai se è sincero o di facciata: «Essere sindaco di una città come Miami è davvero eccitante, perché Miami è così piena di diversità, così viva. Oltre il 60% dei suoi cittadini sono nati all'estero. Se ti piace la diversità, questo è il posto in cui vivere. A me piacciono gli altri popoli, le altre culture e a Miami ce n'è un sacco. Ed è per questo che sta diventando una città davvero globale». Altrettanto idilliaco è il sindaco sui rapporti tra i diversi gruppi ispanici (venezuelani, messicani, nicaraguensi...) che notoriamente non si amano affatto: «I rapporti sono ottimi, migliori di ovunque altrove. È per questo che parlo di 'città neutrale'. Argentini, colombiani, cubani, ci facciamo affidamento reciprocamente». [...] Manny Diaz si vede come il profeta di un nuovo modello di convivenza interetnica, «anche se la geografia conta. E questo modello non è facile da esportare perché devono essere presenti insieme tutti i fattori che vi hanno contribuito. Anche se penso che Miami sia il nuovo volto dell'America e penso che altre città diventeranno più simili a Miami e adatteranno il modello di Miami in termini di diversità e di popoli diversi che vivono insieme». Dopo questo ritratto paradisiaco di Miami, sembra di sentir descrivere tutta un'altra città quando parla Jim Mullin. [...] Mullin attribuisce alla giovinezza anche un'altra caratteristica: Miami sarà sì un gigante economico, ma è di sicuro un nano culturale. È quasi impossibile trovare una libreria decente: la produzione di film o di libri è bassissima e di bassa qualità. L'offerta culturale nel suo insieme è penosa, la varietà di cinema, teatri, concerti è quella di una città provinciale. Se Miami pensa a sé stessa come a una Parigi e una Londra (così dice il suo sindaco), certo che ha da trottare parecchio. «Ma anche questo semideserto culturale è dovuto alla giovinezza, all'immigrazione, alla povertà. Qui la stragrande maggioranza ha un solo obiettivo: sopravvivere. Non ha il tempo di pensare ad altro. E probabilmente ci sono librerie più ricche in spagnolo che in inglese.»
Per tutti gli anni '90 sono usciti articoli pesantissimi sulla corruzione
politica di Miami: nel 1998 circa 300 funzionari della contea e del comune
risultavano incriminati per malversazioni, bustarelle, appropriazioni
indebite... Ma, secondo Mullin, Miami non è più corrotta di Philadelphia o di
Chicago: il narcotraffico non rappresenta più un vero problema. «Certo c'è
ancora tanto riciclaggio di denaro sporco, ma questa è una forma di crimine
astratta, che non tocca la vita di tutti i giorni. La forma più diffusa è quella
del dirottamento di fondi pubblici verso i propri amici privati. Qui hanno
capito che il modo più rapido per ascendere è fare politica, entrare in posti di
comando e rendere ricchi i propri amici. Che restituiranno il favore».
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