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| << | < | > | >> |Pagina 31 [ inizio libro ]Da una settimana il signor R. Childan teneva d'occhio ansiosamente la posta. Ma il prezioso pacchetto inviato dagli Stati delle Montagne Rocciose non era ancora arrivato. Il venerdì mattina, quando aprì il negozio e vide sul pavimento solo lettere pensò: il mio cliente si infurierà.Si versò una tazza di tè istantaneo dal distributore a parete da cinque centesimi, poi prese una scopa e cominciò a spazzare; ben presto l'ingresso venne ripulito e il negozio Manufatti Artistici Americani, tutto tirato a lucido, era pronto per una nuova giornata, con il registratore di cassa pieno di spiccioli, un vaso di calendule fresche e la radio che suonava musica in sottofondo. All'esterno gli uomini d'affari percorrevano veloci il marciapiede diretti verso i loro uffici di Montgomery Steect. In lontananza passò un tram a funicolare; Childan si soffermò a guardarlo con vivo compiacimento. Donne nei loro lunghi abiti di seta colorata... rimase a guardare anche loro. Poi il telefono suonò e Childan si voltò per rispondere. | << | < | > | >> |Pagina 70«Non lo so,» rispose Joe. «Sono sceso dal camion solo per venire qui. Ma questo stato non mi piace. Forse dormirò nel camion.»«Il motel Honey Bee non è male,» suggerì il cuoco. «D'accordo,» disse il camionista più giovane. «Forse andrò là. Se a loro non disturba che io sia italiano.» Aveva un accento ben definito, benché si sforzasse di nasconderlo. Juliana lo guardò. "E' l'idealismo", pensò, "che lo amareggia così tanto. Ha chiesto troppo alla vita. Sempre in movimento, senza sosta, e sempre oppresso da qualcosa. Io sono come lui; non sono stata capace di vivere sulla costa occidentale e alla fine non riuscirò a vivere neanche qui. Non erano così anche i nostri vecchi? Ma, pensò, adesso la frontiera non è qui; è sugli altri pianeti." "Potremmo fare domanda, io e lui", pensò Juliana, "per partire su uno di quei razzi che trasportano coloni. Ma i tedeschi scarterebbero lui per il colore della pelle e me per il colore dei capelli, troppo neri. Quei finocchi delle SS, nordici pallidi e magri, che si addestrano nei loro castelli bavaresi. Questo tizio - Joe come-si-chiama - non ha nemmeno l'espressione giusta in faccia; dovrebbe avere quello sguardo freddo ma in qualche modo entusiasta, come se non credesse in nulla ma nutrisse nello stesso tempo una fede assoluta in qualcosa. Sì, è così che sono. Non sono idealisti come Joe e me; sono dei cinici con una fede totale. E' una specie di malformazione cerebrale, come una lobotomia... quella mutilazione che gli psichiatri tedeschi eseguono come misero surrogato della psicoterapia." "Il loro è un problema legato al sesso, decise; negli anni 30 lo hanno trasformato in qualcosa di sporco, e col tempo la cosa non ha fatto che peggiorare. Cominciò Hitler con sua... chi era? Sua sorella? Sua zia? Sua nipote? E nella sua famiglia c'erano già unioni fra consanguinei; sua madre e suo padre erano cugini. Tutti commettono incesto, tornando al peccato originale di desiderare la propria madre. Ecco perché quelle checche aristocratiche delle SS hanno quei sorrisi affettati, quella bionda innocenza da bambini; si stanno risparmiando per mammina. O per qualcuno di loro." "E chi è mammina, per loro?" Si chiese Juliana. "Il capo, Herr Bormann, che si dice stia per morire? O... l'Ammalato." "Il vecchio Adolf che si vocifera sia in manicomio chissà dove, a consumare i suoi giorni nella paresi senile. Sifilide del cervello, che risale ai tempi in cui era un povero barbone, in quel di Vienna... giaccone nero, biancheria sporca, pensioncine d'infimo ordine." "Ovviamente, era l'ironica vendetta di Dio, uscita da qualche film muto. Quell'uomo orrendo abbattuto da una sozzura interiore, lo storico flagello della depravazione umana." "E l'aspetto più terribile era che l'attuale Impero Tedesco era un prodotto di quel cervello. Dapprima un partito politico, poi una nazione, poi la metà del mondo. Ed erano stati gli stessi nazisti a diagnosticarlo, a identificarlo; quel ciarlatano di medico erborista che aveva curato Hitler, quel dottor Morell che aveva somministrato a Hitler un farmaco appena brevettato chiamato le Pillole Antigas del Dottor Koester.. in origine era uno specialista in malattie veneree. Lo sapevano tutti, eppure il bla-bla del Capo era ancora sacro, era ancora come la Bibbia. Quelle idee avevano contagiato ormai un'intera civiltà e, come spore maligne, i ciechi, biondi finocchi nazisti stavano sciamando dalla Terra verso gli altri pianeti, spargendo il contagio." "Ecco ciò che si ricava dall'incesto: follia, cecità, morte." "Brrr." Juliana fu scossa da un brivido. | << | < | > | >> |Pagina 74«Plastica. Poliesteri. Resine. "Ersatz"... per uso industriale. Capisce? Non per il consumo al dettaglio.»«La Svezia possiede un'industria della "plastica"?» Aveva un'aria incredula. «Sì. E molto avanzata. Se mi lascia il suo nome le farò avere per posta un opuscolo informativo della ditta.» Baynes estrasse penna e taccuino. «Non importa. Sarebbe inutile, per me. Sono un artista, non mi interesso di affari. Senza offesa. Magari lei ha visto i miei lavori, mentre si trovava nel Continente. Alex Lotze.» Attese. «Temo di non avere un grande interesse per l'arte moderna,» disse Baynes. «Amo i vecchi cubisti e gli astrattisti di anteguerra. A me piace un'immagine che sicnifichi qualcosa, e che non sia la semplice rappresentazione di un ideale.» Distolse lo sguardo. «Ma è quello il fine dell'arte,» disse Lotze. «Favorire la spiritualità dell'uomo a scapito della sua sensualità. La sua arte astratta simboleggiava un periodo di decadenza, di confusione spirituale, conseguenza della disintegrazione della società, della vecchia plutocrazia. I miliardari ebrei e capitalisti, l'apparato internazionale che sosteneva quella forma d'arte decadente. Quei tempi sono passati; l'arte deve andare avanti... non può rimanere ferma.» Baynes annuì, fissando fuori dal finestrino. «E' mai stato sul Pacifico?» cli domandò Lotze. «Molte volte.» «Io no. C'è una mostra delle mie opere a San Francisco, organizzata dall'ufficio del dottor Goebbels insieme alle autorità giapponesi. Uno scambio culturale per promuovere la reciproca comprensione e le buoni relazioni. Dobbiamo alleggerire le tensioni fra Est e Ovest, non crede? Dobbiamo comunicare di più, e l'arte può essere un ottimo strumento.» Baynes annuì. In basso, sotto l'anello di fuoco emesso dal razzo, si potevano già scorgere la città di San Francisco e la Baia. «Dove si può mangiare, a San Francisco?» stava chiedendo Lotze. «Ho prenotato al Palace Hotel, ma mi risulta che si possono trovare degli ottimi ristoranti nella parte internazionale, per esempio a Chinatown.» «E vero,» confermò Baynes. «I prezzi sono alti, a San Francisco? Sono venuto a mie spese. Il Ministero è molto frugale.» Lotze rise. «Dipende dal cambio che riesce a ottenere. Immagino che lei abbia con sé assegni della Reichsbank. Le consiglio di andare alla Bank of Tokyo, in Samson Street, e di cambiarli là.» «Danke sehr,» disse Lotze. «lo li avrei cambiati in albergo.» Il razzo aveva quasi toccato il suolo. Adesso Baynes poteva vedere il campo di atterraggio, gli hangar, i parcheggi, l'autobahn che veniva dalla città, gli edifici... "un panorama molto piacevole", pensò. Montagne e acqua, e qualche nuvola di nebbia che fluttuava accanto al Golden Gate. «Che cos'è quell'enorme struttura laggiù?» chiese Lotze. «E incompleta, ed è aperta da un lato. Uno spazioporto? I nipponici non hanno una flotta spaziale, a quanto mi risulta.» Con un sorriso, Baynes rispose, «Quello è il Golden Poppy. Lo stadio di baseball.» Lotze scoppiò a ridere. «Già, a loro piace il baseball. E' incredibile. Hanno messo mano a una struttura così grande solo per un gioco, per uno stupido sport che fa perdere tempo... » «E' finita,» lo interruppe Baynes. «Quella è la sua forma definitiva. Aperta da un lato. Un nuovo disegno architettonico. Ne sono molto orgogliosi.» «Sembra progettata da un ebreo,» disse Lotze, guardando verso il basso. Baynes fissò l'uomo a lungo. Ebbe la netta, momentanea sensazione della qualità squilibrata, della vena psicotica insita nella mente dei tedeschi. Lotze aveva parlato sul serio? La sua era stata un'osservazione veramente spontanea? «Spero che ci rincontreremo, a San Francisco,» disse Lotze mentre il razzo toccava il suolo. «Mi sentirò sperduto, senza un connazionale con cui parlare.» «Io non sono un suo connazionale,» disse Baynes. «Oh, sì, è vero. Ma dal punto di vista razziale siamo molto vicini. E anche sotto il profilo delle intenzioni e degli obiettivi.» Lotze cominciò a muoversi sul sedile, preparandosi a slacciare la complicata cintura di sicurezza. "Sono simile a quest'uomo, dal punto di vista razziale?" si domandò Baynes. "Simile a tal punto da avere le stesse intenzioni e gli stessi obiettivi? Allora c'è anche in me quella vena psicotica. E' un mondo psicotico, quello in cui viviamo. I pazzi sono al potere. Da quanto tempo lo sappiamo? Da quanto tempo affrontiamo questa realtà? E... quanti di noi lo sanno? Non Lotze. Forse se uno sa di essere pazzo, allora non è pazzo. Oppure può dire di essere guarito, finalmente. Si risveglia. Credo che solo poche persone si rendano conto di tutto questo. Persone isolate, qua e là. Ma le masse... che cosa pensano? Tutte le centinaia di migliaia di abitanti di questa città. Sono convinte di vivere in un mondo sano di mente? Oppure intravedono, intuiscono in qualche modo la verità?" "Ma", pensò, "che cosa significa la parola pazzo? E' una definizione legale. E per me, che significato ha? Io la sento, la vedo, ma che cos'è?" "E' qualcosa che fanno, pensò, qualcosa che sono. E' la loro inconsapevolezza. La loro mancanza di conoscenza degli altri. Il fatto di non rendersi conto di ciò che fanno agli altri, della distruzione che hanno causato e che stanno ancora causando. No, pensò. Non è quello. Non lo so; lo sento, lo intuisco, ma... sono volutamente crudeli... è quello? No. Dio, pensò, non riesco ad arrivarci, a chiarire il concetto. Forse ignorano parti della realtà? Sì. Ma c'è di più. Sono i loro progetti. Sì, i loro progetti. La conquista dei pianeti. Qualcosa di frenetico e di folle, così come lo è stata la loro conquista dell'Africa, e prima ancora dell'Europa e dell'Asia." "La loro visione; è cosmica. Non un uomo qua, un bambino là, ma un'astrazione: la razza, la terra. Volk. Land. Blut. Ehre. Non l'onore degli uomini degni d'onore, ma l'Ehre stesso; per loro l'astratto è reale, e il reale è invisibile. Die Gute, ma non gli uomini buoni, non quest'uomo buono. E' il loro senso dello spazio e del tempo. Essi vedono attraverso il "qui" e "ora", nell'enorme e nero abisso che c'è al di là, nell'immutabile. E questo è fatale alla vita. Perché alla fine non ci sarà più vita; una volta c'erano soltanto le particelle di polvere nello spazio, gli ardenti gas di idrogeno, e niente più, e così tornerà a essere. Questo è un intervallo, ein Augenblic. Il processo cosmico procede a grandi passi, frantumando la vita e riducendola di nuovo a granito e metano; la ruota gira sempre, per tutta la vita. E' tutto temporaneo. E loro - questi pazzi - rispondono al granito, alla polvere, al desiderio dell'inanimato; essi vogliono aiutare la Natur." "E io", pensò, "so perché. Vogliono essere gli agenti, non le vittime, della storia. Si identificano con la potenza di Dio e credono di essere simili a dèi. Questa è la loro pazzia di fondo. Sono sopraffatti da qualche archetipo; il loro ego si è dilatato psicoticamente a tal punto che non sanno più dire dove essi cominciano e dovefinisce la divinità. Non è hybris, non è orgoglio; è l'ego gonfiato a dismisura, fino all'estremo... la confusione tra colui che adora e colui che è adorato. L'uomo non ha divorato Dio; Dio ha divorato l'uomo." "Quello che non comprendono è l'impotenza dell'uomo. Io sono debole, piccolo, senza la minima importanza per l'universo. L'universo non si accorge di me, e io vivo senza essere visto. Ma perché questo deve essere un male? Non è meglio così? Gli dèi distruggono coloro di cui si accorgono. Se sei piccolo potrai scampare alla gelosia di chi è grande." Mentre si slacciava la cintura di sicurezza, Baynes disse: «Signor Lotze, non l'ho mai detto a nessuno. lo sono un ebreo. Capisce?» Lotze lo fissò con aria di commiserazione. «Lei non se ne sarebbe mai accorto,» riprese Baynes, «perché non ho affatto l'aspetto esteriore di un ebreo; mi sono fatto modificare il naso, ridurre i pori troppo larghi e untuosi, schiarire chimicamente il colore della pelle, alterare la conformazione del cranio. In breve, non è possibile individuarmi dal punto di vista fisico. Posso muovermi, e spesso l'ho fatto, all'interno dei circoli più importanti della società nazista. Nessuno mi scoprirà mai. E ... » Fece una pausa, e si avvicinò a Lotze, parlando con voce così bassa che solo l'altro poteva sentirlo. «E ce ne sono altri, come me. Ha sentito? Noi non siamo morti. Viviamo ancora. Continuiamo a esistere senza essere visti.» Dopo un attimo di esitazione, Lotze farfugliò: «Ma la polizia... » «Il Dipartimento di Polizia può controllare il mio dossier,» disse Baynes. «Lei può anche denunciarmi, ma io ho amicizie molto in alto. Alcuni sono ariani, altri ebrei che occupano posti di rilievo a Berlino. La sua denuncia verrà archiviata, e subito dopo sarò io a denunciare lei. E per via di queste stesse amicizie, lei si ritroverà in custodia protettiva.» Sorrise, fece un cenno con la testa e percorse il corridoio per raggiungere gli altri passeggeri, allontanandosi da Lotze. Tutti discesero la rampa e raggiunsero il campo freddo e ventoso. Al termine della discesa Baynes si ritrovò momentaneamente vicino a Lotze. «In effetti,» disse Baynes, camminandogli accanto, «a me non piace il suo aspetto esteriore, signor Lotze, perciò credo che la denuncerò comunque.» Poi allungò il passo, lasciandosi alle spalle Lotze. | << | < | > | >> |Pagina 332 [ fine libro ]«E strano,» disse Juliana. «Non avrei mai pensato che la verità la facesse arrabbiare.» La verità, si disse. Terribile come la morte. Ma più difficile da trovare. Io sono fortunata. «Credevo che lei fosse contenta ed eccitata come me. E' un malinteso, non è vero?» Sorrise, e dopo una pausa la signora Abendsen riuscì a ricambiare il sorriso. «Be', buonanotte, in ogni caso.»Un attimo dopo Juliana ripercorreva il vialetto lastricato in pietra, camminando sulle macchie di luce che provenivano dalle finestre del soggiorno, e poi nelle ombre del giardino che circondava la casa, fino al marciapiede buio.
Camminò senza voltarsi indietro verso la casa degli
Abendsen e, mentre camminava, continuò a guardare su e giù
per la strada in cerca di un taxi o una macchina, qualcosa
di mobile, vivo e lucente che la riportasse al motel.
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