Autore Tommaso Di Francesco
Titolo I rabdomanti
SottotitoloQuattro poemetti quattro poesie colloquiali e una favola
Edizionemanifestolibri, Roma, 2021, INbreve , pag. 84, cop.fle., dim. 10,8x18x0,6 cm
LettoreRenato di Stefano, 2021
Classe poesia italiana , media












 

| << |  <  |  >  | >> |

Indice


I rabdomanti, una memoria necessaria                 7
Tommaso Di Francesco


I RABDOMANTI

Dei poeti e degli aguzzini [ad Aldo Natoli]          9

Cinera [a Luigi Pintor]                             19

Fare luce [a Lucio Magri]                           27

La forza in disparte [a Eliseo Milani]              33

K.S. Karol, la leggenda di Solik [a Rossana]        37

Lei è matrice non è Medea [a Rossana Rossanda]      41

La sabbia e l'oasi [a Valentino Parlato]            53

Il zunzuncito [a Lidia Menapace]                    61

Mefis è tornata [a Luciana Castellina]              65


Note ai testi                                       79


 

 

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 7

I RABDOMANTI, UNA MEMORIA NECESSARIA
Tommaso Di Francesco



I rabdomanti sono gli instancabili cercatori d'acqua, in ogni luogo, nelle condizioni più avverse, spesso senza strumenti o con mezzi di fortuna, inusuali se non «magici». A questa attitudine hanno lavorato le persone, le compagne e i compagni, che hanno fondato la storia politica del Manifesto. Un'avventura che, con fatica e con coraggio, ancora continua ogni giorno. Abbiamo avuto il privilegio di incontrarli e di averli come maestri nel lavoro di riflessione, scrittura e organizzazione in tutti questi decenni a cavallo dei secoli e dei millenni. Contro la diffusa cancellazione del passato, «soprattutto del passato prossimo, anche per quanto riguarda le esistenze individuali» denunciava Franco Fortini, la memoria sconfinata, introspettiva e «al presente» della poesia torna, con questi umili versi «privati», necessariamente a loro nei 50 anni dalla nascita del quotidiano comunista il manifesto, al cui collettivo redazionale questo libretto è idealmente dedicato.

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 19

Cinera
a Luigi Pintor



                     I


    ancora la stagione è collettiva


    Ho avuto il senso del tempo presente
    dentro l'imbuto notturno d'occidente
    nelle città vuote della gatta sfinge,
    strusciava solidale abitudine e giorno
    che spento brivido finiva nella soap,
    al cortile intorno e dentro l'abitare.
    Domandavano accese le piante bisognose
    in che direzione verso dove e perché
    e quale forza e come debolezza, quando
    luce penetrante e quieta, alla fine:
    silenzio è l'attesa salvezza per tutti.

    [...]

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 27

Fare luce
a Lucio Magri



    1

    Il treno per dove s'affanna, dove
    ha preso il via e inventerà l'arrivo?
    Da chi vuole farsi trainare, vagone
    abbandonato su binario morto?
    A quando la locomotiva che non offra
    l'eroe e il sacrificio e cammini
    fuoco per legna, legna per fuoco,
    eguale scambio di presente al futuro?
    Non sarà già, senza di noi, partito...

    [...]

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 53

La sabbia e l'oasi
a Valentino Parlato



    1

    Vaghi a testa bassa
    per i budelli dei corridoi
    come per non essere
    sotto tiro al cecchino.

    [...]

| << |  <  |  >  | >> |

Pagina 65

Mefis è tornata
a Luciana Castellina



1
Mefis guardò fuori dalla finestra. La grossa gatta nera con il collarino di cuoio elegante gettò l'occhio su quello che poteva vedere dalle finestre di quel terzo piano dove il grande giardino esterno entrava con la sua luce, con tre pini giganti e tante aiuole di mortella e fiori. Annusò l'aria bloccata dalle vetrate del davanzale. Annuì che c'era un dentro e un fuori e che quel fuori avrebbe dovuto proprio conoscerlo. Non era come il giardinetto della casa di Parigi dalla quale veniva. Quel terzo piano era una «casa di passaggio», così aveva sentito dire, perché poi avrebbero traslocato in una casa tutta per loro. Per lei, per la sua «signora» e per la fedele Maria. A Parigi c'era solo un grande, elegante portone verde che escludeva la casa dal lungosenna; in quel giardinetto aperto lei usciva veloce per sdraiarsi sotto una gigantesca magnolia che sbocciava di bianchi, carnosi fiori profumati.


2

L'ospite della casa di passaggio era una signora molto bella, troppo bella. E molto inafferrabile. Per Mefís che l'aveva conosciuta in quei mesi, era come un uccello. Oggi era in un posto, domani in un altro. Scendeva da un treno per prendere una nave per correre su un aereo. E che quando era a casa smaniava, organizzava, spesso sostenuta da un bastone che le evitava una delle sue troppe cadute. Pareva senza gambe. Quel suo continuo essere in movimento, come pinnando dentro un grande mare la faceva apparire come una sirena. Una sirena troppo vicina alla «sua» signora. Che spesso aveva sorrisi e parole solo per lei. Sì, Mefis era gelosa.


3

Mefis così rinchiusa non ci poteva proprio stare. Provava a dirlo in mille modi. Ogni gatta sa come fare. Così miagolava dispiaciuta quando poteva accanto alla sua signora, che non capiva e continuava ad accarezzarla come se niente fosse. Oppure le si accostava e strusciava...«Così chiusa non ci posso stareeee...». La signora aveva deciso di venire via da Parigi in tutta fretta dopo avere abitato in quel luogo riparato per molti anni. Si era convinta all'improvviso che quella città tanto amata non avrebbe dato più nulla ai suoi occhi stanchi, soprattutto dopo la perdita del suo «signore», un uomo tranquillo e dolce con cui Mefis aveva lungamente parlato e giocato. Mefis e la signora erano rimaste sole. Sole con Maria che aiutava la signora a camminare, perché ormai, piegata in due come un albero sotto una tempesta di vento, non gliela faceva più a stare dritta ed era finita su una sedia a rotelle. La gatta era severa verso il futuro che le aspettava...che ci facevano in una città nuova? E perché quel posto sarebbe stato diverso da Parigi che «non poteva dare più nulla»?


4

La signora parlava a tutti quelli che venivano a trovarla. Erano tanti e spesso molto più giovani di lei che ormai quasi non aveva più età. Chiacchieravano del vuoto che li circondava. La signora insisteva... rimproverava... raccomandava. Quelli che venivano a trovarla si dividevano, questo Mefis l'aveva capito, tra chi ricordava solo i bei tempi passati, quelli che invece pensavano a cose nuove da fare e infine i pochissimi che arrivavano soltanto per stare con lei. Ma tutti sembravano in fuga, cercavano qualcosa che, a quanto pare, non c'era più. Mefis li annusava, ma non veniva messa al corrente di nessuna delle intenzioni che uscivano da tutte quelle parole che sentiva. Così si allontanava quasi a sottolineare la sua estraneità: «Se non mi vogliono allora me ne vado». Certo, la soluzione poteva essere proprio quella... fuggire... Quando poi tutti quei giovani scomparivano per giorni, restavano di nuove sole Mefis, la signora e Maria. In quella casa abbastanza grande dove erano ospiti benvolute di un'altra signora, bella e sempre indaffarata, ma dove l'orizzonte non si vedeva dal giardino diviso dalle inferriate. Stavano ogni giorno e ogni notte, chiuse, rinserrate.

[...]

| << |  <  |