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| << | < | > | >> |IndiceI rabdomanti, una memoria necessaria 7 Tommaso Di Francesco I RABDOMANTI Dei poeti e degli aguzzini [ad Aldo Natoli] 9 Cinera [a Luigi Pintor] 19 Fare luce [a Lucio Magri] 27 La forza in disparte [a Eliseo Milani] 33 K.S. Karol, la leggenda di Solik [a Rossana] 37 Lei è matrice non è Medea [a Rossana Rossanda] 41 La sabbia e l'oasi [a Valentino Parlato] 53 Il zunzuncito [a Lidia Menapace] 61 Mefis è tornata [a Luciana Castellina] 65 Note ai testi 79 |
| << | < | > | >> |Pagina 7I rabdomanti sono gli instancabili cercatori d'acqua, in ogni luogo, nelle condizioni più avverse, spesso senza strumenti o con mezzi di fortuna, inusuali se non «magici». A questa attitudine hanno lavorato le persone, le compagne e i compagni, che hanno fondato la storia politica del Manifesto. Un'avventura che, con fatica e con coraggio, ancora continua ogni giorno. Abbiamo avuto il privilegio di incontrarli e di averli come maestri nel lavoro di riflessione, scrittura e organizzazione in tutti questi decenni a cavallo dei secoli e dei millenni. Contro la diffusa cancellazione del passato, «soprattutto del passato prossimo, anche per quanto riguarda le esistenze individuali» denunciava Franco Fortini, la memoria sconfinata, introspettiva e «al presente» della poesia torna, con questi umili versi «privati», necessariamente a loro nei 50 anni dalla nascita del quotidiano comunista il manifesto, al cui collettivo redazionale questo libretto è idealmente dedicato. | << | < | > | >> |Pagina 19I ancora la stagione è collettiva Ho avuto il senso del tempo presente dentro l'imbuto notturno d'occidente nelle città vuote della gatta sfinge, strusciava solidale abitudine e giorno che spento brivido finiva nella soap, al cortile intorno e dentro l'abitare. Domandavano accese le piante bisognose in che direzione verso dove e perché e quale forza e come debolezza, quando luce penetrante e quieta, alla fine: silenzio è l'attesa salvezza per tutti. [...] | << | < | > | >> |Pagina 271 Il treno per dove s'affanna, dove ha preso il via e inventerà l'arrivo? Da chi vuole farsi trainare, vagone abbandonato su binario morto? A quando la locomotiva che non offra l'eroe e il sacrificio e cammini fuoco per legna, legna per fuoco, eguale scambio di presente al futuro? Non sarà già, senza di noi, partito... [...] | << | < | > | >> |Pagina 531 Vaghi a testa bassa per i budelli dei corridoi come per non essere sotto tiro al cecchino. [...] | << | < | > | >> |Pagina 65
L'ospite della casa di passaggio era una signora
molto bella, troppo bella. E molto inafferrabile. Per
Mefís che l'aveva conosciuta in quei mesi, era come
un uccello. Oggi era in un posto, domani in un altro.
Scendeva da un treno per prendere una nave per correre su un aereo. E che quando
era a casa smaniava, organizzava, spesso sostenuta da un bastone che le
evitava una delle sue troppe cadute. Pareva senza
gambe. Quel suo continuo essere in movimento,
come pinnando dentro un grande mare la faceva apparire come una sirena. Una
sirena troppo vicina alla «sua» signora. Che spesso aveva sorrisi e parole solo
per lei. Sì, Mefis era gelosa.
Mefis così rinchiusa non ci poteva proprio stare.
Provava a dirlo in mille modi. Ogni gatta sa come
fare. Così miagolava dispiaciuta quando poteva accanto alla sua signora, che non
capiva e continuava ad accarezzarla come se niente fosse. Oppure le si accostava
e strusciava...«Così chiusa non ci posso stareeee...». La signora aveva deciso
di venire via da Parigi in tutta fretta dopo avere abitato in quel luogo
riparato per molti anni. Si era convinta all'improvviso
che quella città tanto amata non avrebbe dato più
nulla ai suoi occhi stanchi, soprattutto dopo la perdita del suo «signore», un
uomo tranquillo e dolce con cui Mefis aveva lungamente parlato e giocato.
Mefis e la signora erano rimaste sole. Sole con Maria
che aiutava la signora a camminare, perché ormai,
piegata in due come un albero sotto una tempesta di
vento, non gliela faceva più a stare dritta ed era finita
su una sedia a rotelle. La gatta era severa verso il futuro che le
aspettava...che ci facevano in una città
nuova? E perché quel posto sarebbe stato diverso da
Parigi che «non poteva dare più nulla»?
La signora parlava a tutti quelli che venivano a trovarla. Erano tanti e spesso molto più giovani di lei che ormai quasi non aveva più età. Chiacchieravano del vuoto che li circondava. La signora insisteva... rimproverava... raccomandava. Quelli che venivano a trovarla si dividevano, questo Mefis l'aveva capito, tra chi ricordava solo i bei tempi passati, quelli che invece pensavano a cose nuove da fare e infine i pochissimi che arrivavano soltanto per stare con lei. Ma tutti sembravano in fuga, cercavano qualcosa che, a quanto pare, non c'era più. Mefis li annusava, ma non veniva messa al corrente di nessuna delle intenzioni che uscivano da tutte quelle parole che sentiva. Così si allontanava quasi a sottolineare la sua estraneità: «Se non mi vogliono allora me ne vado». Certo, la soluzione poteva essere proprio quella... fuggire... Quando poi tutti quei giovani scomparivano per giorni, restavano di nuove sole Mefis, la signora e Maria. In quella casa abbastanza grande dove erano ospiti benvolute di un'altra signora, bella e sempre indaffarata, ma dove l'orizzonte non si vedeva dal giardino diviso dalle inferriate. Stavano ogni giorno e ogni notte, chiuse, rinserrate. |