|
|
| << | < | > | >> |Indice13 Fondazioni & collezioni Gino Castiglioni 17 Venezia e il secolo della Biennale Achille Bonito Oliva 19 I dipinti 21 Venezia e la Biennale La Collezione della Fondazione di Venezia Enzo Di Martino 71 I vetri 73 I vetri delle Biennali Rosa Barovier Mentasti 101 Le fotografie 103 Graziano Arici Fotografo dell'arte e degli artisti Enzo Di Martino 143 Note biografiche Gli artisti Le vetrerie L'Archivio Graziano Arici Il Fondo De Maria |
| << | < | > | >> |Pagina 17Venezia e il secolo della Biennale
Achille Bonito Oliva
La Biennale di Venezia, nel corso della sua storia ultracentenaria, è stata, ed è tuttora, un deposito culturale internazionale da cui sono fuoriuscite numerosissime schegge di alta qualità artistica. Opere di arte maggiore (pittura e scultura) e di arti minori (legate anche a una manualità che rasenta l'artigianato) hanno viaggiato dalla laguna veneziana in tutto il mondo dopo un loro transito ai Giardini di Castello. In ogni edizione della Biennale sono stati presenti numerosi artisti veneziani e veneti, operanti sui due versanti, che hanno partecipato a diverse edizioni con opere assolutamente puntuali e rispondenti allo spirito del proprio tempo. Questi artisti sono stati sempre favoriti da un contesto, quello di una cultura che viene da lontano, che accompagna tutta la storia della Serenissima Repubblica veneziana. Per questo tali artisti vanno considerati come un valore aggiunto e una memoria stabile di un vero e proprio genius loci. Infatti essi iconograficamente e manualmente realizzano opere capaci di documentare un'identità quale frutto della storia, quella di una città capace di contrapporsi al primato toscano e di espandersi nello stesso tempo alacremente nel mondo e con i propri commerci. Gli artisti veneziani e veneti presenti nella storia della Biennale di Venezia documentano appunto la capacità evolutiva di un'identità che non resta mai fissata alla grandezza di un'epoca storica e di invece adattare il trend espressivo al tempo e al proprio vissuto, arti maggiori e arti minori. Infatti tali artisti conservano radici che corrono dal valore della luce della Scuola veneta fino alle forme in movimento di Tintoretto. In tal senso ci troviamo di fronte a un vero e proprio patrimonio culturale, quello documentato da questa mostra, che vuole celebrare nello stesso tempo il valore culturale degli artisti presenti e la cornice entro cui essi furono presentati, la Biennale di Venezia appunto. È importante notare le diverse ricerche linguistiche qui presentate, l'evoluzione sperimentale di forme che man mano assumono le cadenze stilistiche di un'epoca culturale. Se la Biennale di Venezia infatti ha presentato nel corso della propria storia ogni due anni la ricerca in atto a livello internazionale, ecco ben documentato come la presenza degli artisti veneziani sia assolutamente pertinente e capace di sostenere un dialogo con artisti di paesi diversi. È chiaro come il tessuto culturale veneziano sia stato attraversato, per importazione ed esportazione, da venti provenienti dall'Oriente e dal Nord Europa. Nella loro capacità di scambio gli artisti veneti, anche quelli attuali, hanno assorbito e rappresentato sul piano iconografico i valori del nomadismo, dell'eclettismo e dell'ibridazione. La loro rappresentazione ha significato anche l'ulteriore conferma di un'antropologia culturale conseguente allo spirito della Serenissima. Il nomadismo è comprovato dall'assunzione e dalla rivisitazione di stili e linguaggi che provengono da altri contesti non sempre mediterranei. Frutto di una curiosità e di una vista necessariamente cosmopolita, conseguente all'espansionismo politico ed economico di Venezia. L'eclettismo nasce dalla libertà espressiva di artisti che hanno maturato una profonda conoscenza della propria identità, la sicurezza di un miglior esito espressivo a partire dall'intreccio con la diversità culturale e stilistica. L'ibridazione infine il frutto di un ampliamento espressivo, la capacità di coniugare arti maggiori e arti minori, concettualità e manualità insieme, per approdare a un risultato formale che sfida ogni categoria e conferma l'appartenenza a un tessuto culturale come memoria, ora ben difeso dalla Fondazione di Venezia. | << | < | > | >> |Pagina 21Venezia e la BiennaleLa Collezione della Fondazione di Venezia
Enzo Di Martino
Una collezione d'arte formatasi in oltre cento anni contiene naturalmente numerosi riferimenti storici che, nel caso della Fondazione di Venezia, hanno prevalentemente a che fare con la Biennale. In un processo diverso da quello di una collezione privata, che configura invece una sorta di ritratto spirituale del solo collezionista. Inducendo perciò a molteplici riflessioni di carattere storico, culturale e perfino socio-economico, perché molte e diverse sono le motivazioni che ne hanno determinato la connotazione. La committenza dell'arte Sappiamo bene che l'arte si manifesta sempre nelle comunità sociali che elaborano anche altre ricerche e sviluppano nuove conoscenze, che concepiscono strutture sociali codificate, che si interrogano in varia maniera sul loro destino, che infine esprimono una organizzazione complessa e ragionata dei rapporti sociali ed economici. Le connessioni tra lo sviluppo dell'economia e la ricerca artistica sono ormai evidenti nella storia dell'uomo e qualcuno sostiene che Le Vite del Vasari consentano di conoscere meglio dei trattati specialistici i rapporti sociali e i valori economici del tempo. Il fenomeno appare ancora più clamoroso quando la committenza dell'arte, affidata un tempo solo al Principe e alla Chiesa, per ragioni di celebrazione o di devozione, si estende invece, con accenti laici, nelle società mercantili, a uno strato più vasto di persone, come è avvenuto ad esempio nei Paesi Bassi e, in particolare, a Venezia. La questione non è tanto quella di notare la differenza dei motivi tematici che determinavano la pittura, perché in fondo anche le corporazioni di mestiere a Venezia richiedevano agli artisti figure religiose e rappresentazioni di devozione. La novità risiede nel fatto che, per tale via, l'arte acquisisce nella nuova situazione un ruolo diverso, assume la funzione di strumento di omologazione culturale, diviene il segnale distintivo di una nuova condizione sociale ed economica. Venezia e l'arte Da questo punto di vista la grande storia dell'arte a Venezia risulta esemplare e particolarmente interessante perché la committenza qui è sempre stata diffusa e differenziata. In cima a questa situazione di «necessità» dell'arte vi sono le maestose committenze dogali, per ragioni politiche, assieme a quelle parimenti sontuose, per ragioni di culto, delle oltre cento chiese disseminate nella città. Senza contare le esigenze delle Scuole grandi e piccole, cioè le numerose congregazioni, e l'ambizione di manifestare pubblicamente la propria ricchezza, esibita dai nobili mercanti nei loro magnifici palazzi. Nel grande mercato internazionale di Rialto, nei secoli d'oro della Repubblica Serenissima, erano esposti e messi in vendita non soltanto elementi di prima necessità o addizionali, le spezie ad esempio, ma, probabilmente, anche manufatti per la decorazione e l'abbellimento, come le preziose stoffe, i legni scolpiti e dipinti, i cuoi decorati e i raffinati vetri soffiati di Murano. La struttura architettonica di Venezia, del resto, risponde alla stessa logica, connotata com'è essenzialmente da elementi di puro abbellimento, fatta di sole facciate che si specchiano sulle acque dei canali, in una concezione assai diversa rispetto alla solidità delle fortificazioni difensive di altri centri urbani del tempo. Da questo punto di vista Venezia appare per davvero una città d'arte, anzi è essa stessa un'opera d'arte, realizzata com'è con il solo scopo della bellezza, concepita per suscitare sorpresa e sbalordimento nel visitatore in arrivo dal mare, per procurargli quella illusione dello sguardo che è forse lo scopo più autentico dell'arte. Solo una grande società mercantile come quella veneziana poteva permettersi di commissionare agli artisti la decorazione a fresco degli esterni, cioè di quasi tutte le facciate dei palazzi sul Canal Grande, e acquisire al loro interno l'incredibile quantità di tesori d'arte inestimabili che conosciamo e che affollano oggi i musei di tutto il mondo. Il Fontego dei Tedeschi a Rialto, affrescato nella facciata sul Canal Grande da Giorgione, e in quella che dà sulla calle laterale dall'allora giovane Tiziano, è un esempio clamoroso di questa straordinaria committenza che ha determinato uno sviluppo dell'arte che, per l'altissima qualità formale e l'incredibile quantità di opere, non ha confronti in nessuna parte del mondo.
Non sorprende allora se proprio qui, già nella prima metà del Settecento,
prende avvio quella moderna relazione tra arte e committenza che prefigura per
certi versi l'odierno rapporto tra artista e mercante. Mi riferisco
al console, ma anche mercante e finanziere inglese Joseph Smith, e al suo
rapporto con il pittore Antonio Canal, il Canaletto, del quale egli acquisisce
in esclusiva l'intera produzione pittorica per esportarla in Inghilterra.
Influenzando addirittura i motivi di ispirazione e i temi figurali da
rappresentare - condurrà perfino Canaletto a vivere e lavorare per alcuni anni a
Londra - e determinando così la nascita di quello che oggi chiamiamo
il mercato e il sistema dell'arte, all'interno del quale l'artista non conosce
più la destinazione delle sue opere disperse in numerose collezioni private.
Il mito di Venezia L'ultimo dei celebri pittori del passato, Giandomenico Tiepolo, figlio e aiuto del grande Giambattista, muore nel 1804 e con la sua scomparsa si chiude forse per davvero la straordinaria stagione dell'arte a Venezia, durata miracolosamente alcuni secoli. A partire dalla caduta della Repubblica, qualche anno prima, la città diviene nell'immaginario collettivo il luogo del passato e della nostalgia, del disastro epocale, meta di viaggiatori romantici alla ricerca del mito e della bellezza forse perduta per sempre. Byron, già nel 1817, scriveva che «di tredici secoli di ricchezza e di gloria non rimangono ora che ceneri e pianto». E Ruskin, nel suo Stones of Venice (Le pietre di Venezia , parlava nel 1857 di Venezia come di «un fantasma sulle sabbie del mare». La città appare in quegli anni stremata sia da un punto di vista politico sia da quello culturale ed economico, immersa in una crisi che sembra irreversibile e che durerà in effetti alcuni decenni. Tuttavia grandi pittori da tutto il mondo vengono a visitarla - Sargent e Manet, Corot e Renoir, Moreau e Monet, tra i molti - come in un «pellegrinaggio alle sorgenti della pittura».
Tra questi, nel 1819 per la prima volta, verrà anche Turner, scoprendo così,
anche in successivi soggiorni, la luce avvolgente e inafferrabile riflessa
dall'acqua della laguna. Per il grande pittore inglese sarà una folgorazione
visiva che modificherà radicalmente la sua maniera di dipingere. Facendo dire a
Kenneth Clark he «la pittura moderna è nata a Venezia, quando Turner arriva
sulla laguna e scopre il dissolversi delle forme nella luce».
Il Novecento a Venezia: la Biennale Sorprendentemente, però, la città che aveva subito due dominazioni straniere riesce a cogliere dopo qualche decennio alcuni importanti appuntamenti storici e, con una sorta di miracolosa intuizione, perfino istituire, nel 1895, una grande rassegna internazionale d'arte come La Biennale di Venezia.
Un'istituzione ormai ultracentenaria che, pur nelle sue crisi ricorrenti,
rimane ancora oggi la più prestigiosa manifestazione artistica internazionale, e
che ha restituito alla città, almeno in questo campo, il ruolo storico
di crocevia del mondo. Aprendosi nel corso degli anni a nuove discipline,
istituendo nel 1932 il primo festival del cinema, nel 1934 quello del teatro e
della musica, fino a giungere nel 1980 a dare vita alla Biennale di
Architettura, ormai la maggiore manifestazione internazionale di questa
disciplina. Divenendo così la più importante istituzione multidisciplinare del
mondo, capace di attirare una straordinaria attenzione sulle sue
attività, dunque su Venezia.
|